Il matrimonio
L’intima comunità di vita e di amore coniugale tra uomo e donna è sacra
Autore: Rafael Díaz
«Il patto matrimoniale con cui l’uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione ed educazione della prole, tra i battezzati è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento» (CIC, 1055 § 1).
1. Il disegno divino sul matrimonio
«È Dio stesso l’autore del matrimonio» [1] . L’intima comunità coniugale tra l’uomo e la donna è sacra, ed è strutturata in base a leggi proprie stabilite dal Creatore, che non dipendono dall’arbitrio umano.
L’istituzione del matrimonio non è una ingerenza indebita nelle intime relazioni personali tra un uomo e una donna, ma una esigenza interiore del patto di amore coniugale: è l’unico “luogo” che rende possibile che l’amore tra un uomo e una donna sia coniugale [2] , vale a dire, un amore elettivo che abbraccia il bene di tutta la persona in quanto sessualmente differenziata [3] . Questo amore reciproco tra gli sposi «diventa un’immagine dell’amore assoluto e indefettibile con cui Dio ama l’uomo. È cosa buona, molto buona, agli occhi del Creatore ( Gn 1, 31). Questo amore che Dio benedice è destinato ad essere fecondo e si inserisce nella sua cura del creato: Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela” ( Gn 1, 28)» ( Catechismo , 1604).
Il peccato originale provocò la rottura della comunione originale tra l’uomo e la donna, debilitando la coscienza morale relativa all’unità e indissolubilità del matrimonio. La Legge antica, conforme alla pedagogia divina, non critica la poligamia dei patriarchi, né proibisce il divorzio; ma «vedendo l’Alleanza di Dio con Israele sotto l’immagine di un amore coniugale esclusivo e fedele (cfr. Os 1-3; Is 54.62; Ger 2-3.31; Ez 16, 62; 23), i profeti hanno preparato la coscienza del Popolo eletto ad una intelligenza approfondita dell’unicità e dell’indissolubilità del matrimonio (Cfr. Ml 2, 13-17)» ( Catechismo , 1611).
«Gesù Cristo non solo ristabilisce l’ordine iniziale voluto da Dio, ma dona la grazia per vivere il Matrimonio nella nuova dignità di Sacramento, che è il segno del suo amore sponsale per la Chiesa: “Voi mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa” ( Ef 5, 25)» ( Compendio , 341).
«Tra i battezzati non può sussistere un valido contratto matrimoniale, che non sia per ciò stesso sacramento» (CIC, 1055 § 2) [4] .
Il sacramento del matrimonio aumenta la grazia santificante e conferisce la grazia sacramentale specifica che aiuta a vivere tutte le realtà della vita coniugale [5] , soprattutto l’amore tra gli sposi [6] . La vocazione universale alla santità viene specificata per gli sposi «dal sacramento celebrato e tradotta concretamente nelle realtà proprie dell’esistenza coniugale e familiare» [7] . «Gli sposi sono chiamati a santificare il loro matrimonio e a santificare se stessi in questa unione. Commetterebbero perciò un grave errore se edificassero la propria condotta spirituale volgendo le spalle alla famiglia o al margine di essa. La vita familiare, i rapporti coniugali, la cura e l’educazione dei figli, lo sforzo economico per sostenere la famiglia, darle sicurezza e migliorare le condizioni, i rapporti con gli altri componenti della comunità sociale: sono queste le situazioni umane più comuni che gli sposi cristiani devono soprannaturalizzare» [8] .
2. La celebrazione del matrimonio
Il matrimonio nasce dal consenso personale e irrevocabile degli sposi (cfr. Catechismo , 1626). «Il consenso matrimoniale è l’atto della volontà con cui l’uomo e la donna, con patto irrevocabile, danno e accettano reciprocamente se stessi per costituire il matrimonio» (CIC, 1057 § 2).
«La Chiesa normalmente richiede per i suoi fedeli la forma ecclesiastica della celebrazione del matrimonio» ( Catechismo , 1631). Perciò, «sono validi soltanto i matrimoni che si contraggono alla presenza dell’Ordinario del luogo o del parroco o del sacerdote oppure diacono delegato da uno di essi che sono assistenti, nonché alla presenza di due testimoni, conformemente, tuttavia, alle norme stabilite» dal Codice di Diritto Canonico (CIC, 1108 § 1).
Diverse ragioni concorrono a spiegare questa determinazione: il matrimonio sacramentale è un atto liturgico ; introduce in un ordo ecclesiale, creando diritti e doveri nella Chiesa, fra gli sposi e verso i figli. Poiché il matrimonio è uno stato di vita nella Chiesa, è necessario che vi sia certezza su di esso (da qui l’obbligo di avere dei testimoni); e il carattere pubblico del consenso protegge il “Sì” una volta dato e aiuta a rimanervi fedele (cfr. Catechismo , 1631).
3. Le proprietà essenziali del matrimonio
«Le proprietà essenziali del matrimonio sono l’unità e l’indissolubilità, che nel matrimonio cristiano conseguono una peculiare stabilità in ragione del sacramento» (CIC, 1056). Il marito e la moglie «per il patto di amore coniugale “non sono più due, ma una sola carne” ( Mt 19, 6) […]. Questa intima unione, in quanto mutua donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l’indissolubile unità» [9] .
«L’unità del matrimonio confermata dal Signore appare in maniera lampante anche dalla uguale dignità personale sia dell’uomo che della donna, che deve essere riconosciuta nel mutuo e pieno amore. La poligamia è contraria a questa pari dignità e all’amore coniugale che è unico ed esclusivo» ( Catechismo , 1645).
«Nella sua predicazione Gesù ha insegnato senza equivoci il senso originale dell’unione dell’uomo e della donna, quale il Creatore l’ha voluta all’origine: il permesso, dato da Mosè, di ripudiare la propria moglie, era una concessione motivata dalla durezza del cuore (cfr. Mt 19, 8); l’unione matrimoniale dell’uomo e della donna è indissolubile: Dio stesso l’ha conclusa. “Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” ( Mt 19, 6)» ( Catechismo , 1614). In virtù del sacramento, col quale gli sposi cristiani manifestano e partecipano del mistero dell’unità e del fecondo amore fra Cristo e la Chiesa (cfr. Ef 5, 32), l’indissolubilità acquista un significato nuovo e più profondo, aumentando la solidità originale del vincolo coniugale, in modo che «il matrimonio rato [ossia, celebrato fra battezzati] e consumato non può essere sciolto da nessuna potestà umana e per nessuna causa, eccetto la morte» (CIC, 1141).
«Il divorzio è una grave offesa alla legge naturale. Esso pretende di sciogliere il patto liberamente stipulato dagli sposi di vivere l’uno con l’altro fino alla morte. Il divorzio offende l’Alleanza della salvezza, di cui il matrimonio sacramentale è segno» ( Catechismo , 2384). «Può avvenire che uno dei coniugi sia vittima innocente del divorzio pronunciato dalla legge civile; questi allora non contravviene alla norma morale. C’è infatti una differenza notevole tra il coniuge che si è sinceramente sforzato di rimanere fedele al sacramento del Matrimonio e si vede ingiustamente abbandonato, e colui che, per sua grave colpa, distrugge un matrimonio canonicamente valido» ( Catechismo , 2386).
«Esistono tuttavia situazioni in cui la coabitazione matrimoniale diventa praticamente impossibile per le più varie ragioni. In tali casi la Chiesa ammette la separazione fisica degli sposi e la fine della coabitazione. I coniugi non cessano di essere marito e moglie davanti a Dio; non sono liberi di contrarre una nuova unione. In questa difficile situazione, la soluzione migliore sarebbe, se possibile, la riconciliazione» ( Catechismo , 1649). Se dopo la separazione «il divorzio civile rimane l’unico modo possibile di assicurare certi diritti legittimi, quali la cura dei figli o la tutela del patrimonio, può essere tollerato senza che costituisca una colpa morale» ( Catechismo , 2383).
Se dopo il divorzio si contrae una nuova unione, sia pure riconosciuta dalla legge civile, «il coniuge risposato si trova in tal caso in una condizione di adulterio pubblico e permanente» ( Catechismo , 2384). I divorziati risposati, anche se continuano a far parte della Chiesa, non possono essere ammessi all’Eucaristia, perché il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente l’unione di amore indissolubile fra Cristo e la Chiesa significata e resa attuale nell’Eucaristia. «La riconciliazione nel sacramento della Penitenza – che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico – può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell’alleanza e di fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio. Ciò importa, in concreto, che quando l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione, assumano l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» [10] .
4. La paternità responsabile
«Per sua indole naturale, l’istituto stesso del matrimonio e l’amore coniugale sono ordinati alla procreazione e alla educazione della prole e in queste trovano il loro coronamento. I figli sono il preziosissimo dono del matrimonio e contribuiscono moltissimo al bene degli stessi genitori. Lo stesso Dio che disse: “Non è bene che l’uomo sia solo” ( Gn 2, 18) e che “creò all’inizio l’uomo maschio e femmina” ( Mt 19, 4), volendo comunicare all’uomo una certa speciale partecipazione nella sua opera creatrice, benedisse l’uomo e la donna, dicendo loro: “Crescete e moltiplicatevi” ( Gn 1, 28). Di conseguenza la vera pratica dell’amore coniugale e tutta la struttura della vita familiare che ne nasce, senza posporre gli altri fini del matrimonio, a questo tendono che i coniugi, con fortezza d’animo, siano disposti a cooperare con l’amore del Creatore e del Salvatore, che attraverso di loro continuamente dilata e arricchisce la sua famiglia» (Catechismo, 1652) [11] . Perciò «tra i coniugi che in tal modo soddisfano alla missione loro affidata da Dio, sono da ricordare in modo particolare quelli che, con decisione prudente e di comune accordo, accettano con grande animo anche un più gran numero di figli da educare convenientemente» [12] .
Lo stereotipo della famiglia presentata dalla cultura dominante di oggi si oppone alla famiglia numerosa, giustificandolo con ragioni economiche, sociali, igieniche, ecc. Però «il vero amore reciproco trascende la comunione di vita tra marito e moglie, e si estende ai suoi frutti naturali, i figli. Invece l’egoismo finisce per degradare questo amore al livello della semplice soddisfazione dell’istinto, e distrugge il rapporto che unisce genitori e figli. È difficile sentirsi buon figlio – vero figlio – dei propri genitori quando si possa pensare di essere venuto al mondo contro la loro volontà, cioè di essere nato non da un amore degno di questo nome, ma da un imprevisto o da un errore di calcolo […]. Vedo con chiarezza che gli attacchi alle famiglie numerose provengono dalla mancanza di fede: sono il prodotto di un ambiente sociale incapace di comprendere la generosità, e che pretende di nascondere il proprio egoismo e certe pratiche inconfessabili con motivazioni apparentemente altruiste» [13] .
Pur con una disposizione generosa verso la paternità, gli sposi possono essere «ostacolati da alcune condizioni della vita di oggi, e possono trovare circostanze nelle quali non si può aumentare, almeno per un certo tempo, il numero dei figli» [14] . «Se per distanziare le nascite esistono seri motivi, derivati dalle condizioni fisiche o psicologiche dei coniugi, o da circostanze esteriori, la Chiesa insegna essere allora lecito tener conto dei ritmi naturali immanenti alle funzioni generative per l’uso del matrimonio nei soli periodi infecondi e così regolare la natalità» [15] .
È intrinsecamente cattiva «ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione» [16] .
Anche quando si cerca di ritardare un nuovo concepimento, il valore morale dell’atto coniugale compiuto nel periodo infecondo della donna è diverso da quello effettuato col ricorso a un mezzo contraccettivo. «Per la sua intima struttura, l’atto coniugale, mentre unisce con profondissimo vincolo gli sposi, li rende atti alla generazione di nuove vite, secondo leggi iscritte nell’essere stesso dell’uomo e della donna. Salvaguardando ambedue questi aspetti essenziali, unitivo e procreativo, l’atto coniugale conserva integralmente il senso di mutuo e vero amore ed il suo ordinamento all’altissima vocazione dell’uomo alla paternità» [17] . Facendo ricorso alla contraccezione si esclude il significato procreativo dell’atto coniugale; l’uso del matrimonio nei periodi infecondi della donna rispetta l’inseparabile connessione dei significati unitivi e procreativi della sessualità umana. Nel primo caso si commette un atto positivo per impedire la procreazione, eliminando dall’atto coniugale la potenzialità che gli è propria in ordine alla procreazione; nel secondo, si omette l’uso del matrimonio solo nei periodi fecondi della donna, cosa che di per sé non lede nessun altro atto coniugale della sua capacità procreativa al momento del suo compimento [18] . Pertanto la paternità responsabile, così come la insegna la Chiesa, non comporta in nessun modo una mentalità contraccettiva; al contrario, risponde a una determinata situazione dovuta a circostanze che per se stesse non sono volute, ma che si subiscono, e che possono contribuire, con l’orazione, a unire di più i coniugi e tutta la famiglia.
5. Il matrimonio e la famiglia
«Secondo il disegno di Dio, il matrimonio è il fondamento della più ampia comunità della famiglia, poiché l’istituto stesso del matrimonio e l’amore coniugale sono ordinati alla procreazione ed educazione della prole, in cui trovano il loro coronamento» [19] .
«Poiché il Creatore di tutte le cose ha costituito il matrimonio quale principio e fondamento dell’umana società, la famiglia è divenuta la prima e vitale cellula della società» [20] . Questa specifica ed esclusiva dimensione pubblica del matrimonio e della famiglia richiede la sua difesa e la sua promozione da parte dell’autorità civile [21] . Le leggi che non riconoscono le proprietà essenziali del matrimonio – il divorzio -, o lo equiparano ad altre forme di unione non matrimoniale – unioni di fatto o unioni tra persone dello stesso sesso – sono ingiuste: ledono gravemente il fondamento della stessa società che lo Stato è obbligato e proteggere e promuovere [22] .
Nella Chiesa la famiglia è chiamata “chiesa domestica” perché la specifica comunione dei suoi membri è chiamata ad essere «rivelazione e attuazione specifica della comunione ecclesiale» [23] . «I genitori devono essere per i loro figli, con la parola e con l’esempio, i primi annunciatori della fede, e secondare la vocazione propria di ognuno, e quella sacra in modo speciale» [24] . «È qui che si esercita in maniera privilegiata il sacerdozio battesimale del padre di famiglia, della madre, dei figli, di tutti i membri della famiglia, con la partecipazione ai sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l’abnegazione e l’operosa carità. Il focolare è così la prima scuola di vita cristiana e una scuola di umanità più ricca. È qui che si apprende la fatica e la gioia del lavoro, l’amore fraterno, il perdono generoso, sempre rinnovato, e soprattutto il culto divino attraverso la preghiera e l’offerta della propria vita» ( Catechismo , 1657).
[1] Concilio Vaticano II, Cost. Gaudium et spes , 48.
[2] Cfr. Giovanni Paolo II, Es. ap. Familiaris consortio , 22-XI-1981, 11.
[3] Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. Gaudium et Spes , 49.
[4] «Infatti, mediante il battesimo, l’uomo e la donna sono definitivamente inseriti nella nuova ed eterna alleanza, nell’alleanza sponsale di Cristo con la Chiesa. Ed è in ragione di questo indistruttibile inserimento che l’intima comunità di vita e di amore coniugale, fondata dal Creatore, viene elevata e assunta nella carità sponsale di Cristo, sostenuta e arricchita dalla sua forza redentrice» (Giovanni Paolo II, Es. ap. Familiaris consortio , 13).
[5] «Gli sposi hanno grazia di stato – la grazia del sacramento – per praticare tutte le virtù umane e cristiane della convivenza: la comprensione, il buon umore, la pazienza, il perdono, la delicatezza nel rapporto specifico» (San Josemaría, Colloqui , 108).
[6] «L’autentico amore coniugale è assunto nell’amore divino ed è sostenuto e arricchito dalla forza redentrice del Cristo e dalla azione salvifica della Chiesa, perché i coniugi, in maniera efficace, siano condotti a Dio e siano aiutati e rafforzati nella sublime missione di padre e madre» (Concilio Vaticano II, Cost. Gaudium et Spes , 48).
[7] Giovanni Paolo II, Es. ap. Familiaris consortio , 56.
[8] San Josemaría, È Gesù che passa , 23.
[9] Concilio Vaticano II, Cost. Gaudium et spes , 48.
[10] Giovanni Paolo II, Es. ap. Familiaris consortio , 84. Cfr. Benedetto XVI, Es. ap. Sacramentum Caritatis , 22-II-2007, 29; Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera sulla Comunione Eucaristica ai fedeli divorziati che si sono risposati , 14-IX-1994; Catechismo , 1650.
[11] «Nel compito di trasmettere la vita umana e di educarla, che deve essere considerato come la loro propria missione, i coniugi sanno di essere cooperatori dell’amore di Dio creatore e come suoi interpreti […], i coniugi cristiani, confidando nella divina Provvidenza e coltivando lo spirito di sacrificio, glorificano il Creatore e tendono alla perfezione in Cristo quando adempiono alla loro funzione di procreare, con generosa, umana e cristiana responsabilità» (Concilio Vaticano II, Cost. Gaudium et Spes , 50).
[12] Idem .
[13] San Josemaría, Colloqui , 94. «Gli sposi devono costruire la loro convivenza su un affetto sincero e limpido e sulla gioia di mettere al mondo i figli che Dio dà loro la possibilità di avere, sapendo all’occorrenza rinunciare a comodità personali e avendo fede nella Provvidenza divina. Formare una famiglia numerosa, se tale è la volontà di Dio, è una garanzia di felicità e di efficacia, checché ne dicano i tristi fautori di un cieco edonismo» (San Josemaría, È Gesù che passa , 25).
[14] Concilio Vaticano II, Cost. Gaudium et Spes , 51.
[15] Paolo VI, Enc. Humanae vitae , 26-VII-1968, 16.
[16] Ibidem , 14.
[17] Ibidem , 12. L’atto coniugale compiuto con l’esclusione di uno dei significati è intrinsecamente disonesto: «un atto coniugale imposto al coniuge senza nessun riguardo alle sue condizioni ed ai suoi giusti desideri non è un vero atto di amore e nega pertanto un’esigenza del retto ordine morale nei rapporti tra gli sposi»; o «un atto di amore reciproco, che pregiudichi la disponibilità a trasmettere la vita che Dio creatore di tutte le cose secondo particolari leggi vi ha immesso, è in contraddizione sia con il disegno divino, a norma del quale è costituito il coniugio, sia con il volere dell’Autore della vita umana. Usare di questo dono divino distruggendo, anche soltanto parzialmente, il suo significato e la sua finalità è contraddire alla natura dell’uomo come a quella della donna e del loro più intimo rapporto, e perciò è contraddire anche al piano di Dio e alla sua santa volontà» ( Ibidem , 13).
[18] Cfr. Giovanni Paolo II, Es. ap. Familiaris consortio , 32; Catechismo , 2370. La soppressione del significato procreativo comporta l’esclusione del significato unitivo dell’atto coniugale: «il positivo rifiuto all’apertura alla vita, ma anche una falsificazione dell’interiore verità dell’amore coniugale, chiamato a donarsi in totalità personale» (Es. ap. Familiaris consortio , 32).
[19] Ibidem , 14.
[20] Ibidem , 42.
[21] «La famiglia è l’elemento naturale e fondamentale della società e ha diritto alla protezione da parte della società e dello Stato» (ONU, Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo , 10-XII-1948, art. 16).
[22] Cfr. Pontificio Consiglio per la Famiglia, Famiglia, matrimonio e unioni di fatto , Città del Vaticano 2000; Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali , Città del Vaticano, 3-VI-2003.
[23] Giovanni Paolo II, Es. ap. Familiaris consortio , 21.
[24] Concilio Vaticano II, Cost. Lumen gentium , 11.