Il motivo della Rivelazione
Il desiderio naturale dell'uomo di raggiungere una vera conoscenza di Dio
Autore: Antonio Ducay
1. La nozione di Rivelazione soprannaturale
Nell’uomo esiste un desiderio naturale di raggiungere una vera conoscenza di Dio. Questa conoscenza, tuttavia, non si può raggiungere con le sole forze umane, perché Dio non è una creatura materiale o un fenomeno sensibile del quale possiamo avere esperienza. L’uomo può ottenere alcune certezze relative a Dio a partire dalle realtà create e dal suo essere personale, però queste vie ci danno una conoscenza molto limitata di Lui e della sua vita. Inoltre, per raggiungere questa certezza è necessario superare notevoli difficoltà. Se Dio non disvela il suo mistero e non manifesta la sua natura le possibilità conoscitive risultano limitate così come, secondo alcuni autori medievali, un giorno è capitato a sant’Agostino.
L’aneddoto è piuttosto famoso. Un giorno sant’Agostino passeggiava in riva al mare, rimuginando nella sua testa la dottrina su Dio e sul mistero della Trinità. A un certo punto alzò lo sguardo e vide un bambino piccolo che giocava sulla sabbia. Vedeva che il bambino correva verso il mare, riempiva di acqua un secchiello, ritornava dov’era prima e versava l’acqua in una buca. Dopo aver osservato questo procedimento varie volte, il santo sentì una certa curiosità, si avvicinò al bambino e gli domandò: «Dimmi un po’, ma che stai facendo?». E il bambino rispose: «Sto tirando via tutta l’acqua del mare e la metto in questa buca». «Ma questo è impossibile», gli assicurò il santo. E il bambino rispose: «Ancora più impossibile è cercare di fare quello che tu stai tentando di fare: comprendere nella tua piccola mente il mistero di Dio».
Tuttavia Dio non ha lasciato l’uomo in questa situazione. Ha voluto rivelarsi, vale a dire, manifestarsi, uscire dal suo mistero e togliere il “velo” che ci impediva di conoscere chi è e come è Lui. Questo non lo ha fatto semplicemente per soddisfare una nostra curiosità, e neppure lo ha fatto unicamente per comunicare un messaggio su Se stesso, ma si è rivelato venendo Egli stesso incontro agli uomini – specialmente con l’invio nel mondo di suo Figlio e con il dono dello Spirito Santo – e invitandoli a entrare in una relazione di amore con Lui. Ha voluto manifestare la sua natura, trattare gli uomini come amici e come figli amati per renderli pienamente felici col suo amore infinito.
Gli aneliti di pienezza e gli aneliti di salvezza presenti nella vita umana non si possono soddisfare con qualcosa di terreno: la rivelazione di Dio e la dedizione che Egli fa di se stesso donando il suo amore infinito, hanno la capacità di colmare in modo sovrabbondante il cuore umano, riempiendolo di una felicità molto maggiore di quella che l’uomo stesso è capace di desiderare o immaginare.
Come san Paolo ha scritto ai Corinzi: «Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano»[1]. La Rivelazione «è la realizzazione delle aspirazioni più profonde, di quel desiderio di infinito e di pienezza che alberga nell’intimo l’essere umano e lo apre a una felicità non momentanea e limitata, ma eterna»[2].
2. La Rivelazione nella storia della salvezza
Secondo il Concilio Vaticano II, la Rivelazione risponde a un piano, a un progetto che si sviluppa mediante l’intervento di Dio nella storia degli uomini. Dio prende l’iniziativa e si fa presente nella storia attraverso determinati avvenimenti (come la chiamata del patriarca Abramo alla fede, la liberazione degli israeliti dall’Egitto, ecc.), e ordina questi fatti affinché risulti manifesta la divina Volontà di salvezza. Dio comunica il significato profondo di questi avvenimenti, il loro significato per la salvezza: la comunicazione della verità raggiunge uomini scelti da Lui, quelli che costituisce in testimoni di questa azione divina. Per esempio, Mosè ed Aronne furono testimoni dei miracoli che Dio fece per obbligare il Faraone d’Egitto a lasciar partire il popolo d’Israele e così liberarlo dalla schiavitù. In tal modo Dio svelò e realizzò una tappa del suo disegno: manifestò che, secondo la sua eterna sapienza, gli uomini sappiano che stare con Dio significa libertà e salvezza. A questa tappa seguirono altre tappe e altri avvenimenti di salvezza; per questo si parla di una “storia della salvezza” di Dio nei confronti degli uomini.
Questa “storia della salvezza” è narrata nell’Antico Testamento, e più esattamente nei libri iniziali (soprattutto Genesi ed Esodo) e nei libri storici (16 libri, tra i quali il libro di Giosuè, i due libri di Samuele e quelli dei Re). La storia della salvezza culmina in un grande avvenimento: quello dell’Incarnazione del Figlio di Dio, un avvenimento situato in un determinato momento della storia umana e che segna la pienezza del progetto di Dio.
L’Incarnazione è un avvenimento singolarissimo. Qui Dio non interviene nella storia come prima, attraverso certi fatti e certe parole trasmessi per mezzo di uomini da Lui scelti, ma Egli stesso entra nella “storia”; si fa uomo e si fa protagonista interno della storia umana per guidarla e ricondurla al Padre dall’interno, con la sua predicazione e i suoi miracoli, con la sua Passione, Morte e Risurrezione. Con l’invio conclusivo dello Spirito Santo, promesso ai suoi discepoli.
Nella storia della salvezza, che culmina nella vita di Cristo e nell’invio dello Spirito Santo, Dio, oltre a rivelarci la sua natura, ci svela anche qual è il suo progetto per ciò che ci riguarda. È un progetto grande e bello, perché siamo stati scelti da Dio, ancora prima della creazione del mondo, nel Figlio, Gesù Cristo. La vita umana non è casuale, ma risponde ad un progetto che nasce dall’amore di Dio, che è un amore eterno. La nostra relazione con Dio non si limita al fatto che Egli ci ha creati, né la nostra finalità si esaurisce semplicemente nel fatto che esistiamo nel mondo o che siamo inseriti in una storia. Non siamo soltanto creature di Dio, perché, fin dal momento in cui Dio ha deliberato di crearci, ci ha contemplati con occhi di Padre e ci ha destinati ad essere suoi figli adottivi: fratelli di Gesù Cristo, suo unico Figlio. Il motivo profondo dell’esistenza è ben presente nel mistero di Dio, e solo la conoscenza di questo mistero, che è un mistero di amore, ci permette di decifrare il contenuto autentico della nostra esistenza.
Il Compendio del Catechismo riassume queste idee nel seguente modo: «Dio, nella sua bontà e sapienza, si rivela all’uomo. Con eventi e parole rivela Se stesso e il suo disegno di benevolenza, che ha prestabilito dall’eternità in Cristo a favore dell’umanità. Tale disegno consiste nel far partecipare, per la grazia dello Spirito Santo, tutti gli uomini alla vita divina, quali suoi figli adottivi nel suo unico Figlio»[3].
3. Il Dio personale e il Dio trino
I libri dell’Antico Testamento preparano alla rivelazione più profonda e decisiva su Dio, che poi ha luogo nel Nuovo Testamento. Questa preparazione presenta Dio principalmente come Dio dell’Alleanza, vale a dire, il Dio che prende l’iniziativa di scegliere un popolo – Israele – per stabilire con lui un patto di amicizia e di salvezza. Il Signore non attende, da questo patto, qualche beneficio per Sé. Dio non ha bisogno di nulla, perché è trascendente, ossia, infinito, eterno, onnipotente e completamente al di sopra del mondo: propone questa sua alleanza per pura benevolenza, perché si tratta di un patto ottimo per la felicità di Israele e del mondo intero. Il Dio che ci presenta l’Antico Testamento è assolutamente superiore e trascendente e, nello stesso tempo, intimamente collegato al mondo, all’uomo e alla sua storia. Per quel che lo riguarda, rimane inaccessibile nella sua maestà, ma il suo amore lo rende straordinariamente vicino agli uomini. È assolutamente libero nelle sue decisioni e, nello stesso tempo, è interamente impegnato in esse.
Tutto questo conferisce a Dio un carattere quanto mai personale, perché è proprio delle persone decidere, scegliere, amare, manifestarsi agli altri. Noi uomini manifestiamo la nostra personalità e il nostro carattere con le nostre parole e con le nostre azioni. Attraverso di esse, gli altri imparano a conoscerci: manifestiamo il nostro modo di essere. Così anche il Signore. Nell’Antico Testamento Dio si rivela, in primo luogo, con la parola. Spesso troviamo delle espressioni nelle quali Dio si riferisce a se stesso in prima persona. Per esempio: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile»[4]. Altre volte un Profeta comunica le parole che Dio gli ha detto: «Così dice il Signore: Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza»[5]. E, insieme con le parole, le opere: «Dio si ricordò anche di Rachele; Dio la esaudì e la rese feconda»[6], «Vi invitava in quel giorno il Signore, Dio degli eserciti, al pianto e al lamento»[7]. Parole e opere che si illuminano reciprocamente, che rivelano la volontà di Dio e che cercano di guidare il popolo eletto verso la vera sorgente della vita che è Egli stesso.
Il Nuovo Testamento contiene, rispetto all’Antico, una novità sorprendente. I Vangeli mostrano che Gesù chiama Dio «Padre mio» in un modo esclusivo. Tra il Padre e Gesù c’è una relazione unica e singolarissima, che non si può esprimere soltanto in termini umani e temporali. Anche le parole e le opere di Gesù indicano che egli non è solamente un uomo, e anche se Gesù non si è mai proclamato Dio, ha fatto capire con assoluta chiarezza che lo era da ciò che ha detto e ha fatto. Perciò gli apostoli proclamarono nei loro scritti che Gesù è il Figlio di Dio eterno, che si è fatto uomo per noi e per la nostra salvezza. Inoltre Gesù non ha svelato soltanto la sua stretta relazione con il Padre, ma anche quella dello Spirito Santo con il Padre e con Egli stesso. Lo Spirito Santo è «Spirito della verità che procede dal Padre»[8], «Spirito del suo Figlio»[9], «di Cristo»[10], o semplicemente «Spirito del nostro Dio»[11]. In tal modo, il carattere personale di Dio, che si è manifestato nell’Antico Testamento, si presenta nel Nuovo con una dimensione sorprendente: Dio esiste come Padre, Figlio e Spirito.
Questo ovviamente non significa che siano tre dei, ma che sono tre persone distinte nell’unità dell’unico Dio. Ciò si comprende meglio se si considerano i nomi delle persone, che segnalano una relazione di profonda intimità. Tra gli uomini è naturale che la relazione paterno-filiale sia di amore e di confidenza. Sul piano divino l’amore e la confidenza sono così intensi che il Padre è assolutamente intimo al Figlio e viceversa. Qualcosa di analogo si osserva nella relazione di ogni uomo con sé stesso. Tante volte, ciascuno osserva la sua coscienza, scruta i suoi pensieri e sentimenti: è la conoscenza interiore. Analogamente, lo Spirito Santo è Dio che conosce il cuore di Dio, Egli stesso è il mistero di questa reciproca intimità del Padre e del Figlio. Tutto questo ci porta a una conclusione: Dio è un mistero di Amore. Non di amore verso l’esterno, verso le creature, ma di amore interiore, tra le persone divine. Questo amore è così forte in Lui che le tre persone sono un’unica realtà, un solo Dio. Un teologo del XII secolo, Riccardo di san Víttore, in riferimento alla Ss.ma Trinità, ha scritto: «perché possa esistere, l’amore ha bisogno di due persone, perché sia perfetto ha necessità di aprirsi a un terzo»[12]. Padre, Figlio e Spirito Santo hanno la stessa dignità e natura: tutt’e tre sono un unico Dio, un solo mistero di amore.
4. L’invito alla comunione e alla fede
Un documento del Concilio Vaticano II sintetizza qual è l’obiettivo della Rivelazione: «Dio invisibile nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé»[13]. L’obiettivo è quello di offrire agli uomini la possibilità di vivere in comunione con Lui perché possano godere dei suoi beni e della sua vita. La Rivelazione fa riferimento alla felicità e alla vita di ogni uomo e di ogni donna.
Si può prospettare il problema di come questa Rivelazione di Dio arrivi a ciascuno e quali sono gli strumenti dei quali Dio si serve o quali mezzi impiega perché gli uomini sappiano che sono stati chiamati ad una comunione di amore e di vita con il loro Creatore. La risposta a queste domande ha un duplice aspetto.
Da una parte, bisogna ricordare che Cristo fondò la Chiesa perché continuasse la sua missione nel mondo. La Chiesa è intrinsecamente evangelizzatrice e il suo compito consiste nel portare la Buona Novella del Vangelo a tutte le nazioni e in ogni epoca storica, in modo che, mediante la predicazione, gli uomini possano conoscere la Rivelazione di Dio e il suo progetto di salvezza. Comunque, la Chiesa non realizza esclusivamente questo compito. Cristo, suo Signore e Fondatore, è in realtà colui che continua a dirigere la Chiesa dal suo posto nel cielo accanto al Padre. Lo Spirito Santo, che è Spirito di Cristo, conduce e sostiene la Chiesa perché porti il suo messaggio agli uomini. Il compito di evangelizzazione della Chiesa è vivificato dall’azione della Ss.ma Trinità.
D’altra parte, non c’è dubbio che le circostanze storiche non sempre permettono che la Chiesa svolga efficacemente questo compito di evangelizzazione. Non mancano ostacoli che si oppongono alla diffusione del Vangelo, e per questo in ogni epoca vi sono uomini – a volte molti – che non riescono di fatto a ricevere la Buona Novella della chiamata alla comunione con Dio e alla salvezza. Non riescono a conoscere la fede in modo significativo, perché non ricevono l’annuncio salvifico. In realtà, queste persone hanno pur sempre un contatto con la Rivelazione cristiana, perché l’azione dello Spirito Santo non è limitata da nessuna circostanza: Egli, essendo Dio, può invitare ciascuno a modalità di comunione con Lui, che si fanno presenti nell’intimo della coscienza e che trasmettono al cuore un seme della Rivelazione. Per questo non c’è nessuno che non riceva, da parte di Dio, l’aiuto e le luci necessarie per conquistare la comunione con Lui. Però, nei casi in cui non è stato possibile ricevere la predicazione della Chiesa né la testimonianza di una vita cristiana autentica, la relazione con Dio è abitualmente confusa e frammentaria, e diventa chiara e si perfeziona soltanto quando si arriva a percepire il messaggio della salvezza e si riceve il battesimo.
Fin qui abbiamo parlato quasi sempre della Rivelazione come di un invito di Dio alla comunione con Lui e alla salvezza. Ma, qual è il ruolo dell’uomo? Come si accetta la salvezza che Dio offre quando chiama gli uomini a essere figli di Dio in Gesù Cristo? La risposta è data dal Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 142: «La risposta adeguata a questo invito è la fede». Ma, che cos’è la fede? Come si può ottenere?
La fede non è semplice fiducia umana in Dio, e neppure è un’opinione più o meno convinta su qualcosa. Certe volte usiamo il verbo “credere” nel significato di “pensare o avere un’opinione su qualcosa”. Per esempio, “credo che oggi pioverà” o “credo che ciò che gli succede sia una cosa passeggera”. In questi esempi vi sono motivi per pensare che qualcosa è certa, ma in realtà non possiamo essere sicuri che sarà così. Quando nella religione cristiana si parla della “fede” si tratta di una cosa differente.
La fede è una luce interiore che viene da Dio e tocca il cuore, inducendolo a riconoscere la Sua presenza e il Suo modo di fare. Quando, per esempio, in un territorio di missione qualcuno entra in contatto con il cristianesimo grazie al lavoro di un missionario, può verificarsi che s’interessi e rimanga affascinato da quello che ascolta. Dio lo illumina e gli fa comprendere che tutto questo è molto bello, che dà realmente un senso alla sua vita, gli fa scoprire questo significato che forse stava cercando senza successo fino a quel momento. Quella persona non ha ascoltato semplicemente un discorso che ha senso, ma inoltre ha ricevuto una luce che lo fa sentire felice, pieno di gioia, perché si sono aperti per lui degli orizzonti di senso che forse non credeva possibile che esistessero. Per questo condivide con gioia quello che ha sentito, quel senso della sua vita che gli parla di Dio e di un grande amore, ed ha la certezza che sta lì la chiave della sua esistenza, in quel Dio che lo ha creato, che lo ama e lo chiama alla salvezza. Questa luce è un dono, una grazia di Dio: la risposta a questa luce è la fede.
Pertanto, la fede è una realtà simultaneamente divina e umana: è l’azione divina nell’anima e l’apertura dell’uomo all’azione divina; un atto di adesione al Dio che si rivela. Il Concilio Vaticano II riassume questa esperienza quando afferma: «Perché si possa prestare questa fede, è necessaria la grazia di Dio che previene e soccorre e gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi della mente e dia a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità»[14].
Per la sua dimensione umana, la fede è un atto dell’uomo. Un atto libero. Può verificarsi che la stessa predica del missionario muova alcuni a compiere un atto di fede, mentre altri restano indifferenti. Dio, che conosce i cuori, illumina ognuno secondo le sue disposizioni, e l’uomo rimane sempre libero di accogliere o meno l’amoroso invito di Dio, e di accettare Gesù come Signore della propria vita o di rifiutarlo. Un rifiuto che mette in pericolo di perdere la felicità terrena e quella eterna.
La fede, inoltre, è un atto di fiducia: si accetta di essere guidati da Dio, si accetta che Cristo è il Signore, che, con la sua grazia, indica il cammino della libertà e della vita. Credere vuol dire donarsi con gioia al progetto provvidenziale che Dio ha per ciascuno di noi e che permette di vivere come buoni figli di Dio in Gesù Cristo. È necessario fidarsi di Dio, come si fidò il Patriarca Abramo, come si fidò la Vergine Maria
Antonio Ducay
Bibliografia di base
– Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 50-73.
– Papa Francesco, Enciclica Lumen Fidei.
– Benedetto XVI, «L’Anno della fede. Che cos’è la fede?», Udienza, 24-X-2012.
– Benedetto XVI, «L’Anno della fede. Le tappe della Rivelazione», Udienza, 5-XII- 2012.
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