Il «Padre nostro», scuola di preghiera
Undici passi per imparare a pregare
Autore: Autori Cristiani
1. Pregare è confermare la propria fede nel Dio di Gesù
Il «Padre nostro», messaggio di Gesù
Nel Nuovo Testamento incontriamo due versioni del Padre nostro: quella di Matteo e quella di Luca, considerata più antica. La versione di Luca ci offre un importante elemento di riflessione: «… uno dei discepoli gli disse: “Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli”» (11,1-2).
Sappiamo che al tempo di Gesù ogni gruppo si distingueva per un suo modo di pregare. La preghiera riassumeva i contenuti della fede insegnata e professata; pregare in un certo modo significava appartenere a quel certo gruppo. Pregare il Padre nostro significava appartenere alla comunità dei discepoli di Gesù. «Insegnaci a pregare» equivale a dire: «Dacci il tuo messaggio». Nella preghiera di Gesù troviamo effettivamente gli elementi più rilevanti della sua predicazione: un Dio tanto amoroso e familiare da essere chiamato «Padre», la venuta del regno, la seria considerazione per la vita così come è, con le sue necessità (pane e perdono), e le sue durezze (il male e la prova).
Sappiamo anche che nella chiesa delle origini, il Padre nostro era riservato a quelli che avevano compiuto il loro cammino di iniziazione alla fede: si trattava infatti di professare la fede. Non è tuttavia una confessione verbale, ma vitale, quella che si richiede al cristiano come condizione per poter pregare in modo «onesto» la preghiera che ci ha lasciato Gesù.
Ha il diritto di pregare chi appartiene al popolo delle beatitudini, chi segue da vicino Gesù nel suo progetto di liberazione dell’uomo da ogni forza del male e di costruzione positiva del regno di Dio.
LETTURA BIBLICA
La vita di quanti cercano Dio veramente
Vedendo che c’era tanta gente Gesù salì verso il monte. Si sedette, i suoi discepoli si avvicinarono a lui ed egli cominciò a istruirli con queste parole:
«Beati quelli che sono poveri di fronte a Dio:
Dio darà loro il suo regno.
Beati quelli che sono nella tristezza:
Dio li consolerà.
Beati quelli che non sono violenti:
Dio darà loro la terra promessa.
Beati quelli che desiderano ardentemente quello che Dio vuole: Dio esaudirà i loro desideri.
Beati quelli che hanno compassione degli altri:
Dio avrà compassione di loro.
Beati quelli che sono puri di cuore:
essi vedranno Dio.
Beati quelli che diffondono la pace:
Dio li accoglierà come suoi figli.
Beati quelli che sono perseguitati per aver fatto la volontà di Dio: Dio darà loro il suo regno» (Mt 5,1-10).
COLLOQUIO
Dio, Padre mio e padre di ogni uomo,
quante volte mi sono rivolto a te nella mia vita? Quante volte ho pregato dicendo: Padre nostro?
Forse anche per la mia preghiera valgono le parole di Gesù:
«Non chi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli».
Dio, Padre della mia esistenza,
perdonami se ho sprecato il tuo nome, se ho pregato senza essere disposto a fare la tua volontà,
se ho pregato senza credere
nelle beatitudini del Regno.
Aiutami a convertirmi per pregarti meglio, ma aiutami a pregarti
per essere capace di convertirmi a te e alla venuta del tuo regno.
2. Pregare è entrare in conflitto con Dio
Le contraddizioni della preghiera di Gesù
Il Padre nostro ci introduce in un’atmosfera serena: sembra quasi che il mistero di quelle parole antiche ci consenta di abbandonare per un attimo i pesi della nostra esistenza. Nell’armonia del testo, però, è nascosta la narrazione di un conflitto. Invochiamo Dio con il nome di Padre: un padre è vicino, prossimo, presente. Eppure questo «Padre» nostro vive nei «cieli», lontano da noi. Nonostante il suo amore affettuoso, egli è e rimane il Totalmente Altro, quello di cui continuiamo a sentire fame, sete, nostalgia; quello di cui, a volte, ascoltiamo soltanto il silenzio.
La fede in Cristo ci dice che il regno di Dio è già iniziato, e lo crediamo; ma se guardiamo il mondo con lucidità e coraggio, facciamo fatica a trovare le tracce di questo regno; quando troviamo qualcosa si tratta di segni piccoli, invisibili, tanto poveri. Così continuiamo a pregare che il nome di Dio sia santificato, la sua volontà realizzata e che il suo regno venga. Siamo «costretti» a continuare la preghiera di Gesù.
Chiediamo il pane e il perdono. Si può forse vivere senza il proprio corpo e senza accoglienza? Ma il pane continua ad essere privilegio di alcuni e la fraternità continua ad essere spezzata. Giorno dopo giorno continuiamo ad incontrare il male e vediamo sofferenze che non trovano senso. Tutto questo rende faticoso il nostro cammino di fede: siamo spesso fratelli di Giobbe. Il conflitto sembra essere dunque il contenuto della preghiera. Il Padre nostro insegna che la causa di Dio e quella dell’uomo sono legate: pregare il Padre comporta la memoria della conflittualità dell’esperienza umana.
LETTURA BIBLICA
Lo scandalo del successo dei malvagi
E Giobbe disse:
«Perché i malvagi vivono,
invecchiano e accrescono la loro forza? Essi hanno figli e nipoti;
vivono abbastanza da vederli crescere. Le loro case non conoscono sciagure, Dio non colpisce i malvagi.
I loro tori fecondano sempre,
le loro mucche non abortiscono mai. I malvagi lasciano che i loro figli corrano e saltino liberi come agnelli. Essi cantano con il tamburo e la cetra, si divertono al suono del flauto. Passano tutta la vita nei divertimenti e scendono nella tomba senza soffrire. Eppure hanno detto a Dio:
“Sta’ lontano da noi,
i tuoi insegnamenti non ci interessano. Chi è l’Onnipotente?
A che serve ubbidirgli e pregarlo?”. Essi accumulano ricchezze,
ma io non seguirò il loro esempio.
Quando mai i malvagi sono privati della luce, colpiti dalla rovina,
puniti da Dio in collera?
Quando mai sono come paglia al vento,
spazzati via come polvere nella tempesta?» (Gb 21,7-18).
COLLOQUIO
«Padre nostro che sei nei cieli, restaci».
Così ha scritto qualcuno.
E forse aveva ragione, mio Dio. Come dire che sei Padre
davanti a tanta miseria e infelicità su questa terra?
Mio Dio, vorrei capire «come»
tu sei Padre di chi muore di fame o in guerra.
Non permettere, Signore, che il «Padre nostro» sia una preghiera ingenua.
Voglio pensare a chi soffre e muore
quando ti chiamo «Padre»,
perché questa è la vita nella sua crudezza.
Ma non permettere che io mi arrenda
e non ti chiami più «Padre» nella mia sofferenza, perché io credo che tu sei Padre
quando divento fratello di chi soffre.
3. Pregare è proclamare Dio come «Padre»
«Padre nostro»
Il rapporto col padre è una delle esperienze primarie dell’uomo, su cui si articola gran parte della sua evoluzione. Non si tratta di un rapporto semplice: nessuna cosa importante è semplice, soprattutto, nessun amore lo è. La difficoltà, in questo caso, sta nel «destino» stesso di questo rapporto: per natura sua esso tende alla distinzione progressiva dei due individui, fino al momento in cui, nella raggiunta consapevolezza della propria persona, essi possano riconoscersi reciprocamente, in un rapporto in cui «padre» e «figlio» diventano nomi di relazione, non di ruoli. Sono molti quelli che hanno avuto la benedizione di un rapporto così felice? Al di là dell’esperienza umana più o meno riuscita, però, resta il fatto che gli uomini di fede hanno trovato in Dio il loro Padre e che Dio si è fatto Padre per gli uomini. La vicenda della paternità di Dio nei confronti di Israele, di Gesù, di tutti e l’esperienza che Gesù ha fatto di sé come Figlio sono per noi una «rivelazione»: il Signore ci fa capire qualcosa su di noi. Ci viene rivelato che i padri che ci hanno generato nella carne, nella cultura, nella fede, i padri che incontriamo nella nostra storia non esauriscono (non rispondono?) il nostro bisogno di un padre. C’è qualcosa nella nostra storia che è generato altrove: noi «patiamo» il bisogno di un padre. È qui che cominciamo a pregare. Il mistero di Dio che si fa padre di tutti noi, comporta un’indicazione sulla nostra origine e sul nostro destino che non possiamo desumere, da soli, dall’intelligenza del mondo e della storia.
LETTURA BIBLICA
La bontà misteriosa di Dio verso l’uomo
Disse allora Gesù ai suoi discepoli:
«Chiedete e riceverete. Cercate e troverete. Bussate e la porta
vi sarà aperta. Perché, chiunque chiede riceve, chi cerca trova, a chi bussa sarà aperto.
Chi di voi darebbe una pietra al figlio che gli chiede un pane? Chi gli darebbe un serpente se chiede un pesce? Dunque, se voi che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, a maggior ragione il Padre vostro che è in cielo darà cose buone a quelli che gliele chiedono! (Mt 7,7-11).
COLLOQUIO
Mi rivolgo a te, mio Dio
e ti chiamo Padre.
Che cosa vuol dire: tu sei mio Padre? Chi sei tu per me,
ed io chi sono davanti a te,
Dio misterioso?
Mi metto davanti a te e ti adoro come fonte della mia vita,
fondamento ultimo del mio essere. Mi metto davanti a te e ti adoro come colui che in modo misterioso è fonte di ogni vita,
fondamento della esistenza di ogni uomo.
Mio Dio, tu sei mio Padre.
Non perché non abbia un altro padre o altri padri, ma perché tu sei il fondamento
anche del loro amore verso di me.
4. Pregare è stare davanti al Dio che è nei cieli
«Che sei nei cieli»
La dimora del Padre è dunque il cielo, luogo dove gli uomini non possono vivere. «Lassù», in quella dimensione per noi impossibile, egli è Padre. È un Padre Altro. Non è la perfezione del modello di padre che ogni uomo porta nel cuore. È vicino, è padre per noi, ma non è un superlativo di tutti i padri che hanno attraversato la nostra vita, anche con le loro debolezze; non ci permette ciò che altri ci hanno impedito e non ci protegge là dove altri ci hanno abbandonato.
Il cammino verso questo Padre Altro non è facile e indolore come sembrerebbe; esige fede, speranza e amore; capacità di accogliere dentro di sé la contraddizione di questo mondo e di poter esclamare di lì, dal centro del conflitto: Abbà, Padre!
Se non teniamo conto della radicalità di tutto questo, possiamo ritrovarci, con tutta la buona volontà, nella situazione di Nicodemo: quel «rinascere dall’alto» indicato da Gesù come necessario, lo lasciava perplesso; ma se non accettiamo di ri-nascere nello Spirito, per ri-trovare il Padre Altro, saremo sempre vicino a Gesù di notte, incapaci e impauriti come Nicodemo.
Senza questo, invocare il Padre che è nei cieli significherà soltanto coltivare il sogno di un’accoglienza indistinta, in cui non ci venga richiesta la fatica di essere persone responsabili. Chiederemo magie, non doni; tranquillità, non coraggio; pregheremo una poesia di bambini, una nenia, non la preghiera che Gesù ci ha consegnato.
LETTURA BIBLICA
L’invito a rinascere per aprirsi al regno di Dio
Nel gruppo dei farisei c’era un tale che si chiamava Nicodèmo. Era uno dei capi ebrei. Egli venne a cercare Gesù, di notte, e gli disse:
– Rabbi, sappiamo che sei un maestro mandato da Dio, perché nessuno può fare miracoli come fai tu, se Dio non è con lui. Gesù gli rispose:
– Credimi, nessuno può vedere il regno di Dio se non nasce nuovamente.
Nicodèmo gli disse:
– Com’è possibile che un uomo nasca di nuovo quando è vecchio? Non può certo entrare una seconda volta nel ventre di sua madre e nascere!
Gesù rispose:
– Io ti assicuro che nessuno può entrare nel regno di Dio se non nasce da acqua e Spirito. Dalla carne nasce carne, dallo Spirito nasce Spirito. Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere in modo nuovo. Il vento soffia dove vuole: uno lo sente, ma non può dire da dove viene né dove va. Lo stesso accade con chiunque è nato dallo Spirito (Gv 3,1-8).
COLLOQUIO
Mio creatore e Signore,
riconosco che tu sei Dio e io solo un uomo,
tu sei il creatore ed io solo una creatura, tu sei il Padre ed io solo un figlio.
Una distanza, a volte incolmabile,
si erge tra la tua misteriosa vita e presenza e la mia percezione di te.
Ti cerco e tu ti fai presente, ma sfuggi.
Ti voglio vedere e tu ti accosti,
ma resti invisibile.
Ti voglio parlare e tu comunichi con me, ma rimani indicibile.
Mio Dio e padre, accolgo nel mio cuore la tua misteriosa presenza e assenza, vicinanza e lontananza, calore e solitudine.
In tutto tu mi educhi ad essere figlio,
a starti davanti senza paura,
a contendere con te senza vigliaccheria, ad amarti perché ci sei
e non solo perché ho bisogno di te.
Davanti a te mi prostro:
io ti adoro, misterioso Padre che sei nei cieli.
5. Pregare è mettersi a servizio della santità di Dio
«Sia santificato il tuo nome»
Per l’uomo antico il nome significava la persona stessa, la sua posizione nell’universo, la sua identità. Noi chiediamo quindi: «che tu sia santificato».
Nella Bibbia santificare è sinonimo di benedire, lodare, glorificare, dichiarare santo.
«Santità» è però un concetto complesso: cosa santa indica qualcosa di separato (tagliato) da ciò che è umano, qualcosa che appartiene unicamente a Dio e attraverso cui possiamo intravederne il mistero. La santità è la natura stessa di Dio, inaccessibile all’uomo.
Eppure Dio si rivela, manifesta la sua santità, in modi diversi.
Sono soprattutto le opere di Dio per il suo popolo, la storia della salvezza, che rivelano la sua natura.
Non si tratta di una spiegazione teorica.
Percepiamo allora la santità di Dio come potenza spaventosa, che può annientare tutto, ma anche come benedizione, amore, perdono. Dio colma la distanza che la sua stessa santità pone tra lui e l’uomo: diventa il Santo d’Israele, il Padre Santo che Gesù fiducioso prega.
Santificare il nome è allora discorso più radicale che non impegno moralistico contro la bestemmia.
E certamente impegno morale, oltre che memoria continua della alterità di Dio; impegno perché la realtà umana non sia essa stessa bestemmia, non neghi, cioè, la natura di Dio; impegno perché nel mondo si creino condizioni di vita tali che gli uomini possano lasciare Dio al suo posto e non chiamarlo a riempire i vuoti della loro esistenza. 2 impegno perché il nome di Dio sia credibile e possa essere santificato.
LETTURA BIBLICA
L’invito a essere perfetti come Dio Padre
Disse Gesù ai suoi discepoli: «Sapete che è stato detto: Ama i tuoi amici e odia i tuoi nemici. Ma io vi dico: amate anche i vostri nemici, pregate per quelli che vi perseguitano. Facendo così, diventerete veri figli di Dio, vostro Padre, che è in cielo. Perché egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere per quelli che fanno il bene e per quelli che fanno il male.
Se voi amate soltanto quelli che vi amano, che merito avete? Anche i malvagi si comportano così!
Se salutate solamente i vostri amici, fate qualcosa di meglio degli altri? Anche quelli che non conoscono Dio si comportano così! Siate dunque perfetti, così com’è perfetto il Padre vostro che è in cielo» (Mt 5,43-48).
COLLOQUIO
Signore Mio Dio, tu solo sei santo
perché in te solo esiste ogni pienezza di vita. Tu solo sei santo,
eppure ci vuoi partecipi
della tua santità, santi anche noi.
Tu vuoi che la mia vita sia sempre più ricca, perché realizzi la tua santità
rendendo l’uomo felice.
Aiutami a «essere santo» ogni giorno cercando di vivere alla tua presenza, per la gioia di essere davanti a te.
Aiutami ad essere santo per partecipare agli altri l’esperienza che io provo
quando mi immergo in te, mio Dio.
6. Pregare è accogliere il regno di Dio
«Venga il tuo regno»
Il regno di Dio è il centro dell’annuncio di Gesù: è la sua buona notizia. Esso rimane, però, un mistero, forse anche un enigma. Possiamo leggere i vangeli come rivelazione progressiva del mistero del regno; quando però cerchiamo di capire questo regno (da sapienti o da scaltri, forse?) leggiamo e rileggiamo, senza risultato.
Le parabole sembrano chiudersi e perdere quella apparente chiarezza che a volte ci aveva illuminato.
La parabola del seme diventa una parola dura, ostica: «… il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa» (Mc 4,27). Viviamo in tempi in cui le migliori aspirazioni degli uomini vengono chiamate «utopie» e i desideri non realizzati «illusioni». La tentazione di considerare il regno una utopia o una illusione consolatoria è certamente reale.
Ugualmente forte, però, è la tentazione di «aver capito» che cosa questo regno sia e che cosa quindi bisogna fare. Preghiamo perché venga il regno di Dio, quello che Dio ha pensato, non quello che noi pensiamo. Forse la predicazione di Gesù riguardo al regno è veramente una benedizione: siamo «costretti» a confrontare ogni giorno le nostre ansie e le nostre certezze con il mistero del piano di Dio.
La non chiarezza ci difende dalla tentazione di fare del dono di Dio una nostra costruzione personale.
La fede nel regno come dono ci costringe alla missione, al lavoro per il regno e ci protegge dalla sfiducia.
Siamo sottoposti a questo mistero; come figli attendiamo con certezza il dono del Padre, che cresce sotto terra, sotto quanto è organizzabile e percepibile della nostra storia.
LETTURA BIBLICA
Il regno di Dio è anzitutto dono
E Gesù diceva: «Il regno di Dio è come la semente che un uomo sparge nella terra. Ogni sera egli va a dormire e ogni giorno si alza. Intanto il seme germoglia e cresce, ed egli non sa affatto come ciò avviene. La terra, da sola, fa crescere il raccolto: prima un filo d’erba, poi la spiga e poi, nella spiga, il grano maturo. E quando il frutto è pronto, subito l’uomo prende la falce perché è venuto il momento del raccolto».
E Gesù diceva: «A che cosa somiglia il regno di Dio? Con quale parabola ne parleremo? Esso è simile a un granello di senape che, quando viene seminato nella terra, è il più piccolo di tutti i semi. Ma poi, quando è stato seminato, cresce e diventa il più grande di tutte le piante dell’orto. E mette dei rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra» (Mc 5,26-32).
COLLOQUIO
Venga la pienezza di vita, mio Dio e Padre,
fra tutti gli uomini:
io credo nel tuo regno, Padre, anche se non lo vedo.
Esso cresce misteriosamente,
per tuo dono e per la buona volontà dell’uomo, dovunque qualcuno ha il coraggio
di essere uomo e amare;
dovunque una mamma dà vita alla sua creatura, un uomo spezza il pane con un uomo,
un uomo muore per un uomo.
Mio Dio, io credo al tuo seme che cresce nel silenzio,
al tuo lievito che nel silenzio fermenta tutta la pasta.
Ma non posso dimenticare la sofferenza, le tragedie e la fame,
l’apatia e la noia di tanta gente
che non sa più perché vivere e perché morire. Signore mio Dio, affretta i tempi del tuo regno.
7. Pregare è ricercare il progetto di Dio sull’uomo
«Sia fatta la tua volontà»
La volontà di Dio coincide con il suo progetto: «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi» (1 Tim 2,4).
La Bibbia stessa e, se non bastasse, la storia, ci dicono che il progetto di Dio non coincide sempre con i progetti degli uomini. Israele aveva individuato la volontà di salvezza di Dio nel dono della legge, ma non per questa raggiunta chiarezza la eseguiva. Gesù stesso, il cui cibo è «fare la volontà di colui che mi ha mandato» (Gv 4,34), non vive senza conflitto l’accordo tra la volontà del Padre e la sua. Il monte degli Ulivi è figura reale, troppo spesso attribuita solo a Gesù e alla sua condizione di «Figlio».
Ma è poi così chiaro qual è la volontà di Dio?
Attraverso la rivelazione della Scrittura, l’esperienza della chiesa e la solidarietà con tutti quelli che camminano nella fede, possiamo arrivare a capire che Dio vuole il suo regno, che ogni uomo viva in pienezza e nella gioia della sua paternità. È molto, ma può essere anche molto poco.
Spesso accade che per il credente pregare «sia fatta la tua volontà» sia un affidarsi semplicemente nelle mani di Dio, senza più né potere né sapere.
Se chi vive questa situazione è un credente adulto nella fede, che non si rifugia nelle braccia di Dio per essere esonerato dalla fatica di vivere, non possiamo parlare di una preghiera di rassegnazione. È un atto di fede.
L’atto di chi ha smesso di voler decifrare a tutti i costi la volontà di Dio, magari per poterla eseguire «bene» e mettersi al riparo dell’incertezza, ma la accoglie come un dono grande, doloroso e difficile, nel quale sta nascosta la promessa della propria identità.
LETTURA BIBLICA
Le condizioni per entrare nel regno di Dio
Disse Gesù ai suoi discepoli: «Non tutti quelli che dicono: “Signore, Signore!” entreranno nel regno di Dio. Vi entreranno soltanto quelli che fanno la volontà del Padre mio che è in cielo. Quando verrà il giorno del giudizio, molti mi diranno: “Signore, Signore! Tu sai che noi abbiamo parlato a tuo nome, e invocando il tuo nome abbiamo scacciato demoni e abbiamo fatto molti miracoli”.
Ma allora io dirò: Non vi ho mai conosciuti. Andate via da me, gente malvagia!
Chi ascolta queste mie parole e le mette in pratica sarà simile a un uomo intelligente che ha costruito la sua casa sulla roccia. È venuta la pioggia, i fiumi sono straripati, i venti hanno soffiato con violenza contro quella casa, ma essa non è crollata, perché le sue fondamenta erano sulla roccia.
Al contrario, chi ascolta queste mie parole e non le mette in pratica sarà simile a un uomo sciocco che ha costruito la sua casa sulla sabbia. È venuta la pioggia, i fiumi sono straripati, i venti hanno soffiato con violenza contro quella casa, e la casa è crollata. E la sua rovina fu grande» (Mt 7,21-27).
COLLOQUIO
Io accetto di fare la tua volontà.
Mio Dio, sono parole troppo solenni. Eppure, eccomi davanti a te
per comprendere il tuo disegno misterioso sull’uomo e sulla storia.
Signore, voglio comprendere la tua volontà, per intuire che l’uomo
non è condannato alla morte
e la storia non è destinata a una tragica fine.
Signore, voglio realizzare la tua volontà: lottare dove la vita cresce a fatica, amare del tuo amore gratuito,
perdonare dove non c’è altra via
per rompere la spirale della violenza. Io credo e voglio fare la tua volontà, mio Dio e creatore.
8. Pregare è domandare, senza vergogna, di vivere
«Dacci oggi il nostro pane quotidiano»
La parola che gli evangelisti hanno usato e che noi traduciamo con «quotidiano» sembra poter avere più di un’interpretazione. Può indicare il pane per il giorno, quotidiano, giorno per giorno; può indicare anche il pane di domani, per il giorno che viene, il nostro pane futuro; può indicare infine il nostro pane essenziale, necessario alla vita.
In che modo dunque possiamo comprendere questa espressione? L’esame del testo biblico, da solo, non consente una spiegazione soddisfacente. Se è possibile pensare che il significato primitivo della nostra espressione sia quello di «pane per il futuro» è altrettanto possibile dire che tutte e tre le interpretazioni sono vere e ne va fatta memoria nella preghiera.
Questa conclusione trova conferma nella esperienza religiosa trasmessa dalla Bibbia: il pane è sempre una realtà santa, sia perché esso viene associato al mistero della vita e della sua continuazione, ed in questo senso è segno della sollecitudine di Dio e del lavoro dell’uomo; sia perché, nel mistero dell’eucaristia, il pane diventa presenza reale di Gesù Cristo: il pane dei pellegrini che camminano verso il regno.
Nella richiesta del pane, quindi, sta nascosta tutta una comprensione della vita. Per quanto santi ed elevati possano essere i nostri pensieri, la nostra vita rimane legata al suo livello biologico e, nonostante questo, essa appare veramente umana solo quando il quotidiano trova il suo posto in un progetto più ampio di significato. Il pane quotidiano è memoria della nostra fragilità e richiesta di un futuro vitale per i nostri giorni.
LETTURA BIBLICA
La vittoria sulla paura della vita
Gesù disse ai suoi discepoli: «A voi, che siete miei amici, dico: Non abbiate paura di quelli che possono togliervi la vita, ma non possono fare niente di più. Ve lo dirò io chi dovete temere! Temete Dio, il quale, dopo la morte, ha il potere di gettare uno nell’inferno. Ve lo ripeto: è lui che dovete temere! Cinque passeri non si vendono per due soldi? Eppure, Dio non ne dimentica neanche uno. Dio conosce anche il numero dei capelli del vostro capo. Dunque, non abbiate paura: voi valete più di molti passeri (Lc 12,4-7).
COLLOQUIO
Mio Dio e Padre,
io ho fame e tanta gente ha più fame di me.
Fame di pane, anzitutto. Fame di affetto e amore. Fame di speranza e futuro.
Mio Dio, solo nella fede,
una fede che non vede
ma faticosamente si abbandona a te, io credo che tu sfami ogni uomo, perché tu sei solidale
con la sua angoscia e solitudine.
Eppure, ti prego: rendi concreto il tuo pane, rendilo visibile perché sia vinta la fame e la gente viva e sia felice.
Anche oggi, donaci il tuo pane,
misterioso Dio creatore,
che dai da mangiare agli uccelli del cielo.
9. Pregare è apprendere il perdono
«Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo»
Il Padre nostro sembra essere diviso in due parti: una riguarda Dio (il suo nome, il suo regno, la sua volontà) e una l’uomo (il pane, il perdono, la tentazione).
Queste due dimensioni così strettamente connesse nell’unica preghiera di Gesù sono segno esse stesse di quanto Dio abbia voluto legare la sua causa a quella dell’uomo.
Nella richiesta del perdono questa connessione è molto evidente: la misura della nostra capacità di perdonare è quella secondo cui verremo perdonati.
Discorso evidente, ma tanto fastidioso: dov’è allora la misericordia senza limiti di Dio per noi? Dov’è il suo amore di padre? 11 fariseo che vive nel cuore di ogni credente si ribella, comincia a fare i conti. Siamo nei panni del figlio maggiore della parabola di Luca o, ancora più spesso, ci sentiamo figli unici, senza doveri perché senza fratelli.
La chiamata ad essere figli di Dio, però, non è separabile da quella alla fraternità. Siamo figli insieme ad altri figli e la nostra relazione con Dio si gioca e si verifica in quella con i fratelli. Se viviamo seriamente questa radicalità, ci è possibile percepire come un figlio amorosamente perdonato dal padre non possa negare il perdono al fratello che lo ha offeso.
Per accettare tutto questo, però, bisogna aver conosciuto il peso opprimente del proprio peccato e, quindi, aver sperimentato la misericordia di Dio; allora comprenderemo non soltanto il valore del messaggio, ma la salvezza che ci viene rivelata quando intraprendiamo l’avventura del perdonare e dell’essere perdonati.
LETTURA BIBLICA
L’amore è il perdono disinteressato
Disse Gesù ai suoi discepoli: «Amate anche i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperare di ricevere in cambio: allora la vostra ricompensa sarà grande: sarete veramente figli di Dio che è buono anche verso gli ingrati e i cattivi. Siate anche voi pieni di bontà, così come Dio, vostro Padre, è pieno di bontà. Non giudicate e Dio non vi giudicherà. Non condannate gli altri e Dio non vi condannerà. Perdonate e Dio vi perdonerà. Date agli altri e Dio darà a voi: riceverete da lui una misura buona, pigiata, scossa e traboccante. Con la stessa misura con cui voi trattate gli altri Dio tratterà voi» (Lc 6,35-38).
COLLOQUIO
Mio Signore e Padre, tu accogli ogni uomo nonostante i suoi errori e peccati. Tu non guardi a quel che fa l’uomo, ma lo accogli perché è tua creatura. Così ognuno può vivere senza paura, inventare la vita senza ripetere il passato.
Signore, tu mi inviti a perdonare,
ma soprattutto a fare spazio al tuo perdono, come gesto di amore totale nei miei confronti.
Eppure, mio Dio,
non afferro fino in fondo il tuo perdono, non lo apprezzo abbastanza.
Sono troppo pieno di me,
troppo sicuro di quello che faccio?
Mio Dio, rendimi consapevole
della povertà che è la mia vita.
Solo così mi aprirò al tuo sconvolgente perdono e imparerò anch’io a perdonare
per la gioia di perdonare.
10. Pregare è confessare la paura della tentazione
«Non ci indurre in tentazione»
La Bibbia conosce sia la tentazione del peccato, sia la tentazione come prova, grazia offerta da Dio perché l’uomo possa «crescere».
Cerchiamo di seguire la storia di Gesù per capire quale sia lo spazio della tentazione nella vita del credente.
I vangeli ci trasmettono l’episodio delle tentazioni; tuttavia, dalla comprensione dell’intera vicenda di Gesù, possiamo dedurre che la tentazione fu per lui più che un episodio: l’esperienza della prova fu un’ombra che lo accompagnò tutta la vita. Nel compiere la sua missione Gesù incontra il potere politico, quello religioso, il «diavolo»; in questi incontri si approfondisce la consapevolezza che il cammino da compiere è quello del Servo sofferente: questa è la volontà del Padre.
Questo cammino termina e si conferma sul Calvario. L’esperienza della prova si pone per Gesù nella ricerca obbediente della strada indicata dal Padre. Gesù fronteggia così la perplessità e la delusione del popolo, le insidie degli scribi e dei farisei, l’incomprensione degli apostoli; e per tutto il racconto evangelico assistiamo agli incontri di Gesù con Satana, incarnazione del male e della tentazione.
Il Monte degli Ulivi e la croce sono l’ultima e finale prova, l’ultima obbedienza. Gesù ha superato la prova cercando e realizzando l’obbedienza. Il senso della nostra richiesta, allora, non è di essere risparmiati dalla prova; ma di essere accompagnati, per non soccombere. La nostra prova, come quella di Gesù, è pasquale.
LETTURA BIBLICA
La consapevolezza di essere fragile
Intanto raggiunsero un luogo detto Getsèmani. Gesù disse ai suoi discepoli: «Restate qui, mentre io pregherò». E si fece accompagnare da Pietro, Giacomo e Giovanni. Poi cominciò ad aver paura e angoscia, e disse ai tre discepoli: «Una tristezza mortale mi opprime. Fermatevi qui e state svegli».
Mentre andava più avanti, cadeva a terra e pregava. Chiedeva a Dio, se era possibile, di evitare quel terribile momento. Diceva: «Abbà, Padre mio, tu puoi tutto. Allontana da me questo calice di dolore! Però, non fare quel che voglio io, ma quel che vuoi tu».
Poi tornò dai discepoli, ma li trovò che dormivano. Allora disse a Pietro: «Simone, perché dormi? Non sei riuscito a vegliare un’ora? State svegli e pregate per resistere nel momento della prova; perché la volontà è pronta, ma la debolezza è grande!» (Mc 14,32-38).
COLLOQUIO
Mio Dio, riconosco che vorrei fare il bene, ma forze oscure dentro di me
e forze potenti fuori di me
mi trascinano verso il male.
Perché tanta voglia di morte in me? Perché tanta voglia di morte
negli altri e nel mondo?
Mio Dio, la fragilità appartiene alla mia vita. La fragilità e il limite
attraversano la vita dell’uomo.
Eppure l’uomo può andare al di là del limite, perché tu gli doni il coraggio.
Mio Dio, rendimi forte nella fragilità, coraggioso nell’incertezza,
tenace nelle difficoltà,
perché così partecipo anch’io
della vittoria di Gesù
sulla tentazione e sul peccato.
11. Pregare è gridare a Dio contro il male che ci avvolge
«Liberaci dal male»
Il male non va sottovalutato. Lasciamo da parte le discussioni sulla natura e sull’identità del male. Riflettendo sulla storia con gli occhi della fede, vediamo che il male è un percorso, una direzione della storia che prende corpo come progetto alternativo a quello di Dio.
Ognuno di noi fa esperienza di questa traiettoria possibile. Traducendo il testo dal greco più letteralmente, dovremmo dire «difendici dal male». Chiediamo che Dio ci protegga. Torniamo così al centro della preghiera di Gesù: da sempre l’uomo associa l’idea di protezione con quella di padre. Dunque, chiedendo la liberazione dal male, affermiamo la paternità di Dio e la nostra fiducia di figli.
La domanda di liberazione e di difesa, però, riguarda il male, non la sofferenza, come spesso siamo tentati di percepire. Lo spazio del dolore è quello della prova, della crescita, della individuazione di sé come figli di Dio e fratelli di altri uomini: da questo non possiamo chiedere di essere liberati. È lo spazio della nostra croce e noi siamo alla sequela del Crocifisso.
Questa distinzione tra male e sofferenza ci porta oltre: l’ultima invocazione del Padre nostro sta sulla bocca di figli che hanno accolto la vita come dono e missione e ne hanno accettato il conflitto; figli che non si rifiutano di crescere; figli che possono assumere con fiducia la loro responsabilità nel mondo perché hanno un Padre nei cieli.
LETTURA BIBLICA
La lotta contro le forze del male chiede la vita
Poi Gesù chiamò la folla insieme con i discepoli e disse: «Se qualcuno vuol venire con me, smetta di pensare a se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Chi pensa soltanto a salvare la propria vita la perderà; chi invece è pronto a sacrificare la propria vita per me e per il vangelo la salverà. Se un uomo riesce a guadagnare anche il mondo intero, ma perde la vita, che vantaggio ne ricava? C’è forse qualcosa che un uomo possa dare per riavere in cambio la propria vita? Se uno si vergognerà di me e delle mie parole di fronte a questa gente infedele e piena di peccati, allora il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui quando ritornerà, glorioso come Dio suo Padre, insieme con i suoi angeli santi» (Mc 8,34-38).
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