10 minuti

Il progetto di Dio per l'uomo e la famiglia

L'amore nel fidanzamento e nel matrimonio

Autore: José Manuel Martín Q.

Allo scopo di conoscere il progetto di Dio per l’uomo e la famiglia occorre
ritornare all’origine. “Ortega y Gasset ha ricordato la storia
dell’esploratore del Polo nord che, dopo aver puntato grazie alla sua
bussola verso il nord, corre con la sua slitta […] e alla fine scopre che si
trova a sud della posizione che aveva all’inizio. Ignora che non sta
viaggiando sulla terraferma, ma sopra un iceberg che naviga veloce nella
direzione opposta alla sua. Anche oggi molti di noi, uomini di buona
volontà, puntano la propria bussola per fare passi avanti verso nord,
ignorando che galleggiamo sul grande iceberg delle ideologie: non ci
troviamo sulla terraferma della verità della famiglia”.
Le norme necessarie sono lì, presenti fin dagli albori dell’umanità, come
bussola che indicherà sempre il nord.
La prima di queste norme o chiavi indicate nelle Genesi è che siamo stati
creati per amare ed essere amati, e questo trova compimento nel
“saranno una sola carne”.di uomo e di donna, un dono di sé che
arricchisce ed è fecondo, che si apre a nuove vite. Il matrimonio,
configurato come donazione reciproca, come richiamo all’amore, sarebbe
la prima norma.
La seconda deriva da quella precedente e si concreta nel comando divino:
“Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela”. Qui
appare il nesso tra famiglia (“moltiplicatevi”) e lavoro (“soggiogate la
terra”), inseparabilmente uniti in un mandato unico. Vale a dire, fin dal
momento in cui crea l’uomo, Dio allude chiaramente all’obbligo di
lavorare e anche al significato profondo del lavoro: non si tratta di una
semplice realizzazione personale, di un capriccio o di un passatempo, ma
di trasformare la terra per farla diventare un ambiente familiare. Fin
dall’origine dell’umanità, lavoro e famiglia stanno uniti, e il significato del
lavoro non è altro che un servizio alla famiglia. È una forma di donazione
– come lo era quella dei coniugi Adamo ed Eva –, un dono di sé, mai un
dono a se stesso.
Tuttavia, nell’ultimo secolo e mezzo si è prodotta – almeno nei paesi più
sviluppati – una frattura e si ha la sensazione che famiglia e lavoro, che in
origine erano inseparabili, ora sono inconciliabili; la famiglia appare
come un ostacolo al lavoro e viceversa. Essere madre, per esempio, è
diventato per molte donne un handicap in fatto di lavoro. Allora, che fine
ha fatto il precetto della Genesi? Quello che era un mandato unico e una
vocazione originaria, si è trasformato per molti in un dilemma: o lavoro o
figli, o lavori o ti occupi della casa; le due cose contemporaneamente
sembrano impossibili.
È significativo che questa contrapposizione coincida nel tempo con la
crisi della famiglia. E questo può indurci a pensare che una crisi abbia
indotto l’altra, dato che entrambe hanno radici comuni. La perdita del
senso della famiglia comporta la perdita del senso del lavoro. Questo,
infatti, avviene perché in molti casi il lavoro non viene concepito come un
servizio alla famiglia, ma come fine a se stesso; né si può parlare di casa,
oppure si tratta di case malandate, trascurate, dove manca il calore della
famiglia.
Quando in molti paesi occidentali avviene questa contrapposizione, vuol
dire che si sono invertiti i termini: l’impresa si presenta come una
famiglia e la famiglia viene considerata un’impresa, con una distribuzione
di funzioni e di quote paritarie, esattamente come rilevava Arlie
Hochschild in uno studio dal titolo eloquente: “Quando il lavoro diventa
la casa e la casa diventa un lavoro”.
Però sarebbe sbagliato pensare che l’ambiente di casa si possa ottenere
mediante le quote paritarie o una sorta di divisione del lavoro. Si ottiene,
invece, ricuperando il senso genuino della famiglia e,
contemporaneamente, il senso genuino del lavoro. Il vero accordo non
dipende, soltanto, dalle leggi dello Stato, ma soprattutto dal fatto che
siano d’accordo marito e moglie. Sono loro, infatti, i veri artefici della
casa. Sono liberi di lavorare fuori casa e di avere figli, scegliendo di
rivalutare il lavoro in casa.
Questo risolverebbe il dilemma al quale prima ci riferivamo.
Poi si dovrà fare il tentativo di modificare le leggi in modo che lo Stato
favorisca tale scelta a servizio della famiglia e si ottenga un cultura
imprenditoriale in questo senso. Ma prima devono essere le stesse
famiglie, i coniugi, a riconquistare il senso genuino del lavoro come dono
di sé e di servizio al coniuge e ai figli. Così alcune madri preferiranno
mantenere un’attività professionale fuori casa e altre si dedicheranno
completamente alla casa, dato che le due scelte sono ugualmente
legittime e sapendo, inoltre, che il lavoro è servizio e non fine a se stesso.
In tal modo la casa diventerà il punto d’incontro delle due realtà: famiglia
e lavoro. La casa come ambito del dono di sé e dell’amore dei coniugi, e
pertanto del vero accordo; e come compito comune che compete a tutti i
membri della famiglia. La casa non è soltanto un rifugio dove riposare per
poi tornare al lavoro, ma è il luogo dell’amore sacrificato, la scuola delle
virtù e la migliore risposta al mandato: “Siate fecondi e moltiplicatevi,
riempite la terra e soggiogatela”.
Senza uscire dalle quattro pareti domestiche si può trasformare il mondo:
“Oso affermare che, in buona parte, la triste crisi che oggi soffre la società
nasce dall’incuria domestica”.
Se il punto centrale della casa è l’amore dei coniugi che trasmette vita e
s’irradia ai figli, i loro cardini sono il letto coniugale e la tavola, intesa,
quest’ultima, come ambito di convivenza tra genitori e figli e tra fratelli,
di ringraziamento a Dio e di dialogo. È significativo che gli attacchi più
gravi che sta subendo la famiglia avvengano lì: prima di tutto, a causa
dell’edonismo e dell’ideologia di genere, che separano i due aspetti,
unitivo e procreativo, dell’atto coniugale; poi, attraverso il chiasso
generato dal cattivo uso della televisione, di internet e di altre tecnologie
che tendono a isolare gli adolescenti, impedendo la loro apertura agli
altri.
Non è un caso che una delle prime misure adottate da alcuni regimi
totalitari sia stata quella di proibire la fabbricazione di tavole alte e di
privilegiare l’uso di tavolini bassi o individuali; in tal modo risultava
molto difficile che la famiglia potesse riunirsi a pranzo e a cena. Oggi
l’abuso della televisione e della tecnologia – unito ad altri fattori come il
lavoro o le lunghe distanze – stanno producendo un effetto simile in seno
alle famiglie.
Restituire alla tavola l’importanza che le è propria vuol dire ripristinare il
clima di casa. Nella tavola confluiscono i due elementi del duplice
mandato della Genesi: la famiglia, genitori e figli – “siate fecondi e
moltiplicatevi” –, e il frutto del lavoro – “soggiogate la terra” –. La tavola
offre l’occasione di ringraziare il Creatore per il dono della vita e per i
doni della terra: è un dialogo con Dio, anche attraverso la materialità del
cibo che riceviamo dalla sua bontà; inoltre, ha una decisiva funzione
educativa e comunicativa: i figli si nutrono con gli alimenti, ma anche con
la parola, con la conversazione, con un confronto di idee, e persino con gli
attriti e le discussioni, che contribuiscono a forgiare il loro carattere.
Ed ecco l’importanza di dedicare alla tavola ogni giorno un tempo
specifico. Se non è possibile fare colazione o pranzare insieme, conviene
almeno riservare la cena al godimento di questo spazio di dialogo e di
convivenza.
Uno spazio da preparare per tempo e con piacere; che si costruisce con
rinunce e sacrifici; che deve avere inizio con la benedizione dei pasti 6 e
che deve ruotare attorno alla conversazione. È un’occasione d’oro perché i genitori educhino non con discorsi, ma con gesti marginali, con dettagli
apparentemente insignificanti; e perché i fratelli imparino a capirsi, a
collaborare, a rinunciare… Tempi e luoghi condivisi che formeranno la
loro identità, ricordi incancellabili che li segneranno indelebilmente.
Un compito entusiasmante che coinvolge tutti, perché la preghiera, il
ringraziamento e il dialogo, più che il pasto, è ciò che realmente alimenta
e sostiene la famiglia.
Puntare su una cultura della famiglia significa “venir giù” dall’iceberg
delle ideologie ingannevoli e ricuperare il senso genuino del duplice
mandato della Genesi. Questo si può ottenere in un perimetro modesto
come sono le quattro pareti domestiche, un contorno paradossale perché
è sempre “più grande da dentro che da fuori”, come lo descriveva
Chesterton; riscattando la comunicazione, l’amore dei coniugi e la
partecipazione alla mensa; lasciando sempre un piatto in più…, nel caso
che Dio questa sera voglia venire a cenare con noi.

Link alla fonte »