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Il servizio di Dio

«Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia» - Omelia

Autore: Santo Curato d'Ars

San Matteo ci insegna che Gesù Cristo, essendosi trovato un giorno con delle persone che si occupavano troppo degli affari temporali, disse loro: «Non vi preoccupate troppo di tutto ciò; cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà donato in abbondanza»; volendo dire con ciò, che se essi avessero avuto la fortuna di mettere tutte le loro cure nel piacere a Dio, e nel salvare le loro anime, suo Padre avrebbe fornito loro tutto ciò che fosse stato necessario per i loro bisogni corporali.

«Ma, pensate voi, come possiamo cercare il Regno di Dio e la sua giustizia?».
Come, fratelli miei? niente di più facile e di più consolante: dedicandovi al servizio di Dio, che è il solo mezzo che ci resta, per condurci al fine nobile e felice, per il quale siamo stati creati.

Sì, fratelli miei, lo sappiamo tutti, e perfino i più grandi peccatori sono convinti che non sono nel mondo se non per servire il buon Dio, facendo tutto ciò che ci comanda.

«Ma, mi direte voi, perchè ce n’è così pochi che lavorano per questo?».
Fratelli miei, ecco: perchè gli uni considerano il servizio di Dio una cosa troppo difficile; essi pensano di non avere abbastanza forze per intraprenderlo, oppure che, avendolo intrapreso, non vi potranno perseverare.

Ecco precisamente, fratelli miei, ciò che scoraggia o distoglie una gran parte dei cristiani.
Invece di ascoltare queste consolanti parole del Salvatore, che non può ingannarci, e che ci dice che il suo servizio è dolce e soave, e che trovandolo vi scopriremo la pace delle nostre anime e la gioia dei nostri cuori…

Ma, per meglio farvi comprendere ciò, vi mostrerò chi dei due conduce una vita più dura, più triste e più penosa, o colui che adempie i suoi doveri religiosi con fedeltà, oppure colui che li abbandona per seguire i suoi piaceri e le sue passioni, per vivere nella libertà (presunta; n.d.a.).

Sì, fratelli miei, da qualunque lato consideriamo il servizio di Dio, che consiste nella preghiera, nella penitenza, nella frequenza dei sacramenti, nell’amore di Dio e del prossimo, e nella totale rinuncia a se stessi, noi, fratelli miei, non troveremo in tutto ciò altro che gioie, piaceri e felicità, per il presente e per l’avvenire, come adesso vi mostrerò.

Colui che conosce la sua religione e che la pratica, sa che la croce, le persecuzioni, il disprezzo, le sofferenze, e, infine, la povertà e la morte, si trasformano in dolcezze, in consolazioni e in ricompensa eterna.

Ditemi, ve ne siete mai fatta un’idea chiara?
No, senza dubbio. Tuttavia, fratelli miei, le cose stanno esattamente come vi ho detto, e per dimostrarvelo in un modo tale che non possiate più dubitarne, ascoltate Gesù Cristo stesso: «Felici i poveri, perchè il Regno dei Cieli appartiene a loro, e disgraziati i ricchi, perchè è molto difficile che i ricchi si salvino».

Vedete dunque che, secondo Gesù Cristo, la povertà non deve renderci infelici, poichè il Salvatore ci dice: «Felici i poveri».

In secondo luogo, non sono le sofferenze nè i dispiaceri, che ci rendono infelici, poichè Gesù Cristo ci dice: «Felici coloro che piangono e che sono perseguitati, perchè arriverà il giorno che essi saranno consolati.
Ma infelice il mondo e coloro che si procurano i piaceri, perchè verrà un giorno che la loro gioia si cambierà in eterna tristezza» (tutte le citazioni si rifanno a Luca 6, con la solita “rielaborazione” del curato, ma che non è affatto “manipolazione”; n.d.a.).

In terzo luogo, non è il disprezzo che ci rende infelici, poichè Gesù Cristo ci dice: «Se disprezzano me, disprezzeranno anche voi, se mi perseguitano, perseguiteranno anche voi; ma, ben lungi dal lasciarvi andare alla tristezza, rallegratevi, perchè una grande ricompensa vi attende nel Cielo» (Giovanni 15,20; Luca 6,23; n.d.a.).

Ora ditemi, fratelli miei, che cosa potrà mai rispondere quel pover’uomo che ci dice di sentirsi disgraziato, e che ci chiede come potrà salvarsi in mezzo a tante persecuzioni, calunnie, e ingiustizie, che gli fanno?
No, no, fratelli miei, diciamoglielo: niente è capace di rendere l’uomo infelice quaggiù, se non la mancanza di religione; e l’uomo, malgrado tutto ciò che potrà subire sulla terra, se si vorrà dedicare al servizio di Dio, non potrà che essere felice!

Abbiamo detto, fratelli miei, che colui che si “attacca” al buon Dio, si ritrova più felice di tutte le persone del mondo, anche nel caso che tutto andasse secondo i loro desideri; e addirittura, vediamo che molti santi, non si appagavano se non con la felicità di poter soffrire.
Ne abbiamo un bell’esempio nella persona di sant’Andrea.

Si racconta nella sua vita che Egeo, governatore della città, vedendo che sant’Andrea, con le sue prediche, rendeva deserto il tempio dei falsi dei, lo fece catturare.

Essendosi il santo presentato davanti al suo tribunale, gli disse con aria minacciosa: «Sei forse tu, quello che fa professione di distruggere il tempio dei nostri dei, annunciando una religione totalmente nuova?».

Sant’Andrea gli rispose: «Non è affatto una nuova religione, anzi, essa ha avuto inizio con la creazione del mondo».
«O tu rinuncerai al tuo Crocifisso, oppure io ti farò morire in croce come Lui».
«Noi cristiani, gli rispose sant’Andrea, non temiamo affatto le sofferenze, ma, anzi, esse costituiscono tutta la nostra felicità sulla terra; più noi saremo stati conformati a Gesù Cristo Crocifisso, più saremo gloriosi in Cielo; sarai stanco più tu, a farmi soffrire, che io a soffrire».

Il proconsole lo condannò a morire in croce, ma per rendere il suo supplizio più lungo, ordinò di non inchiodarlo, ma soltanto di attaccarvelo con delle corde, affinchè soffrise più a lungo.

Sant’Andrea provò tanta gioia per essere condannato a morire in croce come Gesù Cristo, suo divin Maestro, che, vedendo che duemila uomini andavano ad assistere alla sua morte, e che quasi tutti erano in lacrime, temendo di essere privato della sua felicità, levò la sua voce per scongiurarli, per favore, di non ritardare il suo martirio.

Non appena scorse da lontano la croce sulla quale doveva essere legato, gridò, in un trasporto di gioia: «Ti saluto, Croce venerabile, che sei stata consacrata e ornata con l’affissione del Corpo adorabile di Gesù Cristo, mio divin Salvatore!
O Croce sacra! O Croce tanto desiderata! O Croce amata con tanto ardore! O Croce che ho ricercato e desiderato con tanto zelo, e senza sosta! Sei tu che potrai soddisfare tutti i desideri del mio cuore!
O Croce amata!, ricevimi dalla mano degli uomini, per depormi su quelle del buon Dio, affinchè io passi dalle tue braccia, in quelle di Colui che mi ha riscattato.

L’autore che ha scritto la sua vita (sembra che si riferisca a san Bernardo; n.d.a.), ci dice che, trovandosi ai piedi della croce, per esservi appeso, non mutò affatto di colore, i capelli non gli si rizzarono sulla testa, come accade ai criminali, non perse affatto la voce, il sangue non gli si congelò nella vene, e non fu colto neppure dal minimo timore; ma, al contrario, si vedeva come il fuoco della carità, di cui il suo cuore bruciava, gli faceva emettere fiamme ardenti dalla bocca.

Non appena fu sotto la croce, si spogliò da solo, e diede i suoi vestiti al carnefice; salì senza l’aiuto di nessuno sul patibolo su cui era piazzata la croce.

Tutto il popolo, almeno ventimila persone, vedendo sant’Andrea legato, gridava che era un’ingiustizia far soffrire un uomo così santo, e corse al palazzo, per fare a pezzi il proconsole, se non lo avesse subito liberato.

Appena sant’Andrea lo vide venire da lontano, gridò: «O Egeo, che cosa vieni a fare qui? Se vieni per imparare a conoscere Gesù Cristo, va bene , vieni; ma se tu vieni per farmi slegare, fermati dove sei, sappi che non ne verrai a capo, perchè avrò la consolazione di morire per il mio divin Maestro! Ah! già vedo il mio Dio, lo adoro insieme a tutti i beati».

Malgrado ciò, il governatore volle farlo slegare, per paura che il popolo facesse morire lui stesso; ma fu impossibile staccarlo dalla croce: nella misura in cui si avvicinavano per slegarlo, le forze mancavano loro, fino a rimanere immobili.

Allora sant’Andrea gridò, levando gli occhi al cielo: «Mio Dio, ti domando la grazia di non permettere che il tuo servo, che è sulla croce a causa della confessione del tuo Nome, riceva questa umiliazione, di essere liberato per ordine di Egeo.
Mio Dio! tu sei il mio Maestro, Tu sai che io non ho cercato nè desiderato che Te».

Non appena ebbe terminato queste parole, si vide una luce a forma di globo, che avvolse tutto il suo corpo, e diffuse un odore che profumò tutti i presenti, e, nello stesso momento la sua anima partì per l’eternità.

Vedete, fratelli miei? Colui che conosce la sua religione, e che si dedica uncamente al servizio del suo Dio, non considera affatto le sofferenze come delle disgrazie; ma le desidera, e le considera come beni inestimabili.

Sì, fratelli miei, già da questo mondo, colui che ha la fortuna di “attaccarsi” al suo Dio, è più felice del mondo, con tutti i suoi piaceri (abbiamo preferito lasciare il senso e il suono originario del verbo “attachèr” = attaccare o legare; n.d.a.).

Ascoltate san Paolo: «Sì, ci dice, io, nelle mie catene, nelle mie prigionie, nel disprezzo e nelle sofferenze, sono più felice dei miei persecutori, con la loro libertà, con la loro abbondanza, e con le loro crapule.
Il mio cuore è talmente pieno di gioia, che non riesce a contenerla, essa trabocca da ogni lato» (cfr. 2 Corinzi 7,4).

Sì, senza dubbio, fratelli miei, san Giovanni Battista è più felice, nel suo deserto, abbandonato da ogni aiuto umano, di Erode sul suo trono, seppellito nelle sue ricchezze, e immerso nella felicità delle passioni infami.

San Giovanni è nel suo deserto, conversa familiarmente con il suo Dio, come un amico col suo amico, mentre Erode è divorato dalla segreta paura di perdere il suo regno, e ciò lo induce a far sgozzare tanti poveri bambini (allude alla strage dei santi innocenti; n.d.a.).

Guardate anche Davide: non è forse più felice, pur dovendo sfuggire alla collera di Saul, e sebbene sia ridotto a passare le notti nelle foreste, tradito e abbandonato dai suoi migliori amici, ma unito al suo Dio per tutto questo tempo, e riponendo in Lui ogni sua fiducia; non è forse più felice, dicevamo, di Saul, immerso nell’abbondanza delle richezze e dei piaceri?

Davide benedice il Signore perchè prolunga i suoi giorni, per dargli il tempo di soffrire per amor suo, mentre Saul maledice la sua vita e diviene egli stesso il proprio carnefice.
Perchè avviene ciò, fratelli miei?
Ahimè! perchè l’uno si dedica al servizio del suo Dio, mentre l’altro lo abbandona.

Che cosa concludere da tutto ciò, fratelli miei, se non che non sono nè i beni, nè gli onori, nè la vanità, che possono rendere l’uomo felice su questa terra; ma solo l’attaccamento al servizio di Dio, quando abbiamo la fortuna di averne conoscenza e di compierlo nel modo dovuto.

Quella donna che è disprezzata da suo marito, non è, dunque, disgraziata nel suo stato, per il fatto che sia disprezzata, ma perchè non conosce la sua religione, o perchè non mette in pratica ciò che essa comanda.
Insegnatele la sua religione, e, dal momento in cui la vedrete praticare, ella smetterà di piangersi addosso e di credersi disgraziata (in ultima analisi, la crisi della fede religiosa, è la migliore alleata del divorzio, e il miglior fomite di guadagno degli avvocati divorzisti; n.d.a).

Oh! come l’uomo sarebbe felice, già su questa terra, se conoscesse la sua religione, e se avesse la fortuna di osservare ciò che comanda, se considerasse i beni che essa ci propone per l’altra vita!

Oh! quale potere ha una persona presso Dio, quando lo ama e lo serve con fedeltà!
Ahimè! fratelli miei, una persona disprezzata dalla gente del mondo, che sembrerebbe degna solo di una falcata ai piedi, la vedrete diventare padrona della volontà e della potenza di Dio stesso.

Guardate un Mosè, che costringe il Signore ad accordare il perdono a trecentomila uomini del tutto colpevoli; guardate Giosuè, che comanda al sole di fermarsi, e il sole diventa immobile: cosa mai successa e che, forse, non succederà mai più.

Guardate gli apostoli, solo perchè essi amavano il buon Dio, i demoni fuggivano davanti a loro, gli zoppi camminavano, i ciechi vedevano, e i morti risuscitavano.

Guardate un san Benedetto, che comanda alle rocce di fermarsi nella loro corsa: esse restano sospese in aria; guardatelo, mentre moltiplica i pani, o fa uscire l’acqua dalla roccia, e che rende le pietre e il legno leggeri come un filo di paglia.

Guardate un san Francesco di Paola, che comanda ai pesci di venire ad ascoltare la Parola di Dio, ed essi si recano alla sua chiamata con tanta fedeltà, ed applaudono alle sue parole.

Guardate un san Giovanni, che comanda agli uccelli di tacere, ed essi gli obbediscono (lo si racconta nella vita di san Francesco d’Assisi; n.d.a.).

Guardate anche altri che attraversano il mare senza alcun soccorso umano (ad esempio, san Raimondo di Pegnafort, e lo stesso Francesco di Paola; n.d.a.).

Ebbene! osservate ora tutti questi empi e tutti questi grandi del mondo, con i loro begli spiriti e la loro scienza del saper far tutto: ahimè! di cosa sono capaci? proprio di nulla; e perchè questo, se non perchè essi non sono dediti al servizio di Dio?

Oh! com’è felice e potente, allo stesso tempo, colui che conosce la sua religione, e che mette in pratica quello che essa comanda!

Ahimè! fratelli miei, com’è infelice e capace di ben poca cosa, colui che vive in balia delle sue passioni, e abbandona il servizio di Dio.

Mettete un’armata di centomila uomini presso un morto, e che tutti impieghino ogni loro energia per risuscitarlo: no, no, fratelli miei, quello non risusciterà mai; ma una sola persona che sia disprezzata dal mondo, e che sia nell’amicizia del buon Dio, se comanda a quel morto di riprendere la vita, subito lo vedrete levarsi e camminare. E di ciò ne abbiamo tante prove.

Se per servire il buon Dio, bisognasse essere ricchi e sapienti, molte persone non lo potrebbero.
Ma no, fratelli miei, le grandi scenze e le grandi ricchezze non sono per nulla necessarie per servire il buon Dio; al contrario, esse sono molto spesso un grandissimo ostacolo.

Sì, fratelli miei, che noi siamo ricchi o poveri, in qualunque stato ci troviamo, sapienti o meno, noi possiamo piacere a Dio e salvarci.
Anche san Bonaventura dice che lo possiamo «in qualunque stato o condizione ci troviamo».

Ascoltatemi un istante e vedrete che il servizio di Dio non può far altro che consolarci e renderci felici, in mezzo a tutte le miserie della vita.
Per ottenere ciò, voi non avete bisogno nè di lasciare i vostri beni, nè i vostri genitori, e nemmeno i vostri amici, a meno che essi non vi inducano nel peccato; non avete neanche bisogno di andare a trascorrere i vostri giorni nel deserto, per piangervi i vostri peccati; e se anche ciò ci fosse necessario, dovremmo comunque essere felici per aver trovato un rimedio ai nostri mali.

Ma no, non occorre: un padre e una madre di famiglia, possono servire il buon Dio vivendo insieme ai loro figli, ed elevandoli cristianamente; un domestico può facilmente servire il buon Dio e il suo padrone, nulla lo impedisce, ma, anzi, il suo lavoro e l’obbedienza che è obbligato a offrire ai suoi padroni, diventano oggetto di merito.

No, fratelli miei, la maniera di vivere, servendo il buon Dio, non apporta alcun cambiamente esteriore in tutto ciò che facciamo, ma, al contrario, riusciamo a fare meglio tutto ciò che facciamo.
Saremo più assidui e più attenti nell’adempiere i doveri del nostro stato; saremo più dolci, più umani e più caritatevoli; più sobri nei nostri pasti, più riservati nelle parole che diciamo; meno sensibili alle perdite e alle offese che riceviamo.

Insomma, fratelli miei, quando ci dedichiamo al servizio di Dio, noi facciamo meglio tutto quello che facciamo, solo che agiremo in una maniera più nobile, più elevata e più degna di un cristiano.

Invece di lavorare per ambizione, per interesse, lavoreremo soltanto per piacere al buon Dio, che ce lo comanda, e per soddisfare alla sua giustizia (carattere “penitenziale” del lavoro; n.d.a.).

Invece di rendere un servizio o di fare l’elemosina al prossimo per orgoglio, per essere stimati, noi lo faremo unicamente con lo scopo di piacere a Dio e riscattare i nostri peccati.

Sì, fratelli miei, ve lo dico ancora una volta: un cristiano che conosca la sua religione e che la pratichi, santifica tutte le sue azioni, senza dover cambiare esteriormente nulla a ciò che sta facendo; e, senza niente aggiungervi, tutto diventa oggetto di merito per il Cielo.

Ebbene! fratelli miei, ditemi se aveste mai immaginato che fosse così dolce e così consolante servire il buon Dio, avreste mai potuto vivere così come siete vissuti fino ad ora?

Ah! fratelli miei, quale rammarico, nell’ora della morte, allorchè vedremo che se ci fossimo dedicati al servizio di Dio, avremmo guadagnato il Cielo, senza fare niente di più di quello che già facevamo!
O mio Dio! quale disgrazia per colui che sarà nel numero di questi ciechi!

Adesso, vorrei chiedervi se per caso sono gli esercizi esteriori della religione, che vi sembrano disgustosi e troppo difficili.
E’ forse la preghiera, gli uffici divini, i giorni di astinenza, il digiuno, la pratica dei sacramenti, la carità verso il vostro prossimo?

Ebbene! ora vi farò vedere che, in tutto ciò, non vi è nulla di penoso, come l’avevate immaginato.
Vi chiedo: è forse la preghiera che è penosa?
Non è essa, al contrario, il momento più felice della nostra vita?
Non è per mezzo della preghiera che noi conversiamo con il buon Dio, come un amico col suo amico?
Non è forse in quel momento che noi cominciamo a fare ciò che faremo con gli angeli nel Cielo?
Non è forse una felicità troppo grande per noi il fatto che, pur essendo tanto miserabili, il buon Dio, che è così grande, ci tollera alla sua santa Presenza, dove ci rende partecipi, con tanta bontà, di ogni sorta di consolazioni?
D’altronde, non è Lui che ci ha donato tutto ciò che abbiamo?
Non è forse giusto che noi lo adoriamo e che lo amiamo con tutto il nostro cuore?
Non è forse questo il momento più felice della nostra vita, poichè vi proviamo tante dolcezze?
E’ forse una pena offrirgli tutte le mattine le nostre preghiere e le nostre afflizioni, affinchè Egli le benedica e ce ne ricompensi per l’eternità?
E’ forse troppo, consacrargli un giorno ogni settimana? Non dovremmo piuttosto veder arrivare questo giorno con grande piacere, poichè è in questo santo giorno che Egli ci insegna i doveri che siamo obbligati ad adempiere verso di Lui e verso il nostro prossimo, e che ci fa concepire quel grande desiderio dei beni dell’altra vita, che ci porta a disprezzare ciò che è miserabile?
Non è forse nell’istruzione domenicale, che impariamo a conoscere la grandezza delle pene che ci merita il peccato?
Non ci sentiamo, perciò, disposti a non più commetterlo, per evitare i tormenti che gli sono riservati?
O mio Dio! quanto poco l’uomo conosce la sua felicità!
(per il curato, come si vede chiaramente nei suoi sermoni, l’omelia ha una triplice finalità: parenetica, perchè esorta al corretto comportamento, contemplativa, perchè accende il desiderio del Cielo, e “deterrente”, perchè avverte del pericolo infernale che sempre ci sovrasta, anche se gli odierni predicatori vorrebbero a tutti i costi farcelo dimenticare; n.d.a.).

Ditemi: è forse la Confessione che vi ripugna?
Ma, amico mio, si può mai trovare una fortuna più grande che vedere, in meno di tre minuti, mutare la nostra eternità infelice, in una eternità piena di piaceri, di gioia e di felicità?
Non è forse la Confessione che ci restituisce l’amicizia del nostro Dio?
Non è la Confessione che spegne in noi quei rimorsi di coscienza, che ci lacerano ad ogni momento?
Non è essa che dona la pace alla nostra anima, e ci dona una rinnovata speranza per il Cielo?
Non è forse in quel momento che Gesù Cristo sembra dispiegare le ricchezze delle sue misericordie, all’infinito?
Ah! fratelli miei, senza questo sacramento, quanti dannati in più e quanti santi in meno!…
Oh! come sono riconoscenti a Gesù Cristo i santi che sono in Cielo, per aver istituito questo sacramento!

Ditemi ancora: sono forse i digiuni che la chiesa vi prescrive, che vi fanno trovare penoso il servizio di Dio?
Ma la Chiesa non ve ne comanda più di quanto possiate sostenerne.
D’altronde, fratelli miei, se noi consideriamo ciò con gli occhi della fede, non è forse una grande felicità che, con delle piccole privazioni, possiamo evitare le pene del Purgatorio, che sono così rigorose?
Ma quanti, fratelli miei, si condannano a dei digiuni molto più rigorosi, per conservare la loro salute fisica, e per appagare il loro desiderio di piaceri o la loro ingordigia? (segue una serie di esempi femminili, a dimostrazione di come si sia disposti a diete e altre privazioni, per soddisfare il proprio desiderio di piacevoli evasioni; è la prima volta che il curato prende di mira con tanta veemenza i vizi del gentil sesso; n.d.a.).
Non si vede forse una giovane donna abbandonare i propri figli nelle mani di estranei, come anche il proprio matrimonio?…
Non si vedono forse altre trascorrere spesso le notti nei cabarets, dove non sentono altro che sconcezze e abominazioni, tra continue ubriacature, e spesso rigurgitando di vino?
Non vi si vedono forse anche delle vedove, che cercano di afferrare gli ultimi minuti di vita che ancora rimangono loro, e che dovrebbero consacrare a piangere le follie della loro giovinezza?…
Non si trovano altre, che si dedicano a ogni sorta di vizi, come persone che abbiano perso all’improvviso la testa? Costoro sono di scandalo a tutta la parrocchia .

Ah! fratelli miei, se si facesse per il buon Dio ciò che si fa per il mondo, quanti cristiani andrebbero in Cielo!
Ah! fratelli miei, se sentiste il bisogno di trascorrere tre o quattro ore in una chiesa, a pregare, così come le trascorrete nelle danze o nel cabaret, come vi sembrerebbe lungo il tempo!…
Se fosse necessario fare parecchie miglia per ascoltare un’omelia, come si fa per i propri piaceri o per appagare la propria avarizia, ahimè! fratelli miei, quanti pretesti, quanti raggiri si userebbero, pur di non andarvi.
Ma per il mondo, niente vi pesa, e, per di più, non temete di perdere nè il vostro Dio, nè la vostra anima, nè il Cielo.

Oh! fratelli miei, come aveva ragione Gesù Cristo, quando diceva che i figli di questo mondo dimostrano maggiore zelo nel servire il loro maestro, cioè il mondo, di quanto ne abbiano i figli della luce nel servire il loro padrone, cioè il Signore.

Ahimè! fratelli miei, diciamolo a nostra vergogna, non si bada a spese, e non si teme di indebitarsi, quando si tratta dei propri piaceri; ecco cosa significa: “Tutto per il mondo, e niente per Dio”, poichè si ama il mondo e per nulla il buon Dio.

Ma qual è la causa, fratelli miei, per cui abbandoniamo il servizio di Dio?
Eccola, fratelli miei.
Noi vorremmo poter servire sia Dio che il mondo, e cioè far alleare l’ambizione e l’orgoglio, con l’umiltà, l’avarizia, con quello spirito di distacco che il Vangelo esige da noi; si vorrebbe poter mescolare la corruzione con la santità della vita divina, o, per meglio dire, il Cielo con l’inferno.

Se la religione comandasse, o almeno permettesse l’odio e la vendetta, la fornicazione e l’adulterio, se ciò si potesse fare, noi saremmo tutti dei buoni cristiani; tutti sarebbero dei figli fedeli alla loro religione; il libertinaggio, come tutti gli altri vizi, non renderebbero più dannato nessuno.

Ma per servire il buon Dio, non è possibile comportarsi in questo modo; è necessario essere o tutti di Dio o niente.

Sebbene abbiamo detto, fratelli miei, che tutto è consolante nella nostra santa religione, cosa assolutamente vera, tuttavia bisogna aggiungere che noi abbiamo il dovere di fare del bene a coloro che ci fanno del male, di amare coloro che ci odiano, di conservare la reputazione dei nostri nemici, di difenderli, quando sentiamo altre persone che ne parlano male, e dobbiamo pregare il buon Dio che li benedica.

Ben lungi dal mormorare quando il buon Dio ci invia qualche pena e qualche dispiacere, dobbiamo ringraziarlo, sull’esempio del santo re Davide, che baciava la mano di colui che lo castigava.

La nostra religione esige anche che trascorriamo santamente il santo giorno della domenica, lavorando (unico lavoro consentito; n.d.a.)per procurarci l’amicizia di Dio, se abbiamo la disgrazia di averla persa, o per conservarla, se siamo tanto fortunati da possederla; essa esige anche che riguardiamo il peccato come il nostro peggior nemico.

Ebbene! fratelli miei, ecco che cosa ci sembra più duro e disgustoso.
Ma, ditemi, facendo tutto ciò, non cerchiamo forse di procurarci la nostra felicità, sia sulla terra che per l’eternità?

Ah! fratelli miei, se conoscessimo la nostra santa religione, e il piacere che si prova nel praticarla, tutto ciò ci sembrerebbe ben poca cosa!
Quanti santi sono andati al di là di ciò che Dio domandava loro, pur di conquistare il Cielo!

Essi ci hanno detto che se noi avessimo gustato una sola volta le dolcezze e le consolazioni che si provano nel servizio di Dio, ci sarebbe impossibile abbandonarlo, per servire il mondo con i suoi piaceri.
Il santo re Davide ci dice che un solo giorno trascorso nel servizio di Dio, vale più di mille di quelli che i mondani trascorrono nei loro piaceri e nelle loro gioie profane (Salmo 84,11, ebr.; la tesi del curato, sulla maggiore gratificazione che offre il servizio di Dio, rispetto ai piaceri mondani, è vera, ma per farne l’esperienza occorre una dedizione totale e radicale, altrimenti lo stesso servizio divino risulterà scialbo e disgustoso, come un buona tazza di caffè tiepido, nè caldo nè freddo, o peggio ancora, mescolato con un cucchiaio di sale, al posto dello zucchero; sta qui tutto il segreto dell’attrazione spirituale; n.d.a.).

Ditemi, chi di noi vorrebbe servire il mondo, se avesse la fortuna, la grande fortuna di comprendere tutte le miserie che vi si provano cercando i suoi piaceri, e i tormenti che ci si prepara per l’eternità?

O mio Dio! come siamo ciechi a perdere tanti beni, già da questo mondo, e per tutta l’eternità!
E in più, per dei piaceri che hanno solo l’apparenza di piacere, per delle gioie che sono mescolate a tanti dispiaceri e a tanta tristezza!
Infatti, chi mai sceglierebbe il servizio di Dio, se bisognasse soffrire tanto e sperimentare tanti affanni, mortificazioni e lacerazioni di cuore, come avviene per il servizio del mondo? (grande destrezza del curato, nel capovolgere completamente la situazione: è solo servendo il mondo che si soffre veramente e più che mai; n.d.a.).

Guardate un uomo che si sia messo in testa di ammassare dei beni: non ci sono venti, nè cattivo tempo che lo fermino; egli è disposto a soffrire ora la fame, ora la sete, ora il cattivo tempo; arriva al punto, parecchie volte, di esporre la sua vita e di perdere la sua reputazione.
Quanti vanno di notte a predare i propri vicini, e si espongono o ad essere uccisi, o a perdere la propria reputazione e quella di tutta la loro famiglia!

Senza andare troppo lontano, fratelli miei, vi costerebbe di più, durante i santi uffici, essere in chiesa ad ascoltare con rispetto la Parola di Dio, o andare fuori a chiacchierare dei vostri affari temporali, o di ciò che non è altro che nulla?

Quando diciamo i Vespri, non sareste più contenti di parteciparvi, piuttosto che restare a casa vostra ad annoiarvi, mentre si cantano le lodi di Dio?

«Ma, mi direte voi, ci sono anche tante violenze da farsi, quando si decide di servire il buon Dio».
Ebbene, io vi dirò che c’è molto meno da soffrire per seguire Dio con la sua croce, che per seguire il mondo, per seguire le sue passioni, e ora ve lo dimostrerò.

Voi forse pensate che è difficile perdonare un’offesa che vi sia stata arrecata; ma, ditemi, chi dei due soffre di più, colui che perdona prontamente e di buon cuore, per il buon Dio, o colui che nutre, durante due o tre anni, sentimenti di odio contro il suo prossimo?
Non è questo un verme che lo rode e lo divora continuamente, e che spesso gli impedisce sia di mangiare che di dormire, mentre l’altro, avendo perdonato, ha subito trovato la pace dell’anima?

Non si è forse più felici nel domare le proprie passioni impure, che nel volerle soddisfare?
Si può mai soddisfarle completamente?
No, fratelli miei, mai: uscendo da un crimine, esse vi conducono a un altro, senza mai dire che sia abbastanza; voi diventate schiavi, esse vi trascinano dovunque vogliono (riguardo a questa concatenazione delle passioni, si pensi a Davide, che, dall’aver semplicemente guardato dalla terrazza una donna che faceva il bagno, arrivò, alla fine della catena di concause, all’adulterio, all’omicidio di Uria l’ittita, alla perdita del figlio, e a una serie infinita di altre umiliazioni; n.d.a.).

Ma, per meglio convincervi di ciò, andiamo a trovare uno di questi uomini che fanno consistere tutta la loro felicità nel piacere dei sensi, e che si gettano di peso nelle lorodure delle più infami e vergognose passioni.

Sì, fratelli miei, se prima che un tale uomo fosse caduto nel libertinaggio, qualcuno gli avesse dipinto la vita che conduce attualmente, vi avrebbe mai potuto pensare senza nutrire orrore? (segue un lunghissimo virgolettato, in una sorta di drammatizzazione davvero magistrale, da leggere e rileggere, con molta calma e attenzione, come meditazione quotidiana!; n.d.a.).
Se voi gli aveste detto: «Amico mio, devi fare una scelta, o reprimere le tue passioni o abbandonarti ad esse.
L’una e l’altra scelta ha i suoi piaceri e le sue pene, ecco: scegli quale delle due tu vuoi
Se preferisci scegliere di praticare la virtù, allora devi aver cura di non frequentare mai i libertini, ma sceglierai i tuoi amici tra coloro che la pensano e agiscono come te. Tutte le tue letture saranno fatte sui libri santi, che ti infervoreranno alla pratica delle virtù, e che ti faranno amare il buon Dio; tu dovrai concepire ogni giorno un nuovo amore verso di Lui; impiegherai santamente il tuo tempo, e tutti i tuoi piaceri saranno piaceri innocenti, che, ricreando il tuo corpo, nutriranno la tua anima; adempirai i tuoi doveri religiosi senza affettazione, ma con fedeltà; sceglierai, per guidarti sulla via della salvezza, un saggio e illuminato confessore, che cercherà solo il bene della tua anima, e tu seguirai con fedeltà tutto ciò che egli ti indicherà.
Ecco, amico mio, tutte le pene che proverai nel servizio di Dio.
La tua ricompensa sarà quella di avere sempre l’anima immersa nella pace, e il tuo cuore sempre contento; sarai amato e stimato da tutte le persone perbene; ti preparerai una felice vecchiaia, esente da una infinità di infermità, che molto spesso affliggono coloro che trascorrono una giovinezza sregolata; i tuoi ultimi momenti saranno dolci e tranquilli; da qualunque lato consideriamo la tua vita, nulla potrà arrecarti dispiacere, ma tutto contribuirà a farti gioire. Le tue croci, le tue lacrime, e tutte le tue penitenze, non saranno altro che degli ambasciatori che il Cielo ti invierà per assicurarti che la tua felicità sarà eterna, e che non avrai più nulla da temere.
Se, in quei momenti, volgerai lo sguardo all’avvenire, non vedrai altro che il cielo aperto per accoglierti; alla fine, uscirai da questo mondo come una santa e casta colomba, che andrà a immergersi e a nascondersi nel seno del suo Diletto; tu non dovrai lasciare nulla, ma otterrai tutto.
Non hai desiderato che Dio solo, ed eccoti con Lui per tutta l’eternità.

Ma, se adesso tu scegliessi di abbandonare il tuo Dio e il suo servizio, per seguire il mondo e i suoi piaceri, la tua vita trascorrerà nel cercare sempre, senza mai essere appagato nè felice; avrai un bel da fare per spendere le tue risorse a tale scopo, ma non ne verrai mai a capo.
Comincerai a cancellare dal tuo spirito i principi religiosi che hai appreso dall’infanzia, e che hai seguito fino ad ora; non vedrai più quei libri di pietà che nutrivano la tua anima, e che la preservavano dalla corruzione del mondo; non sarai più padrone delle tue passioni, ma esse ti trascineranno ovunque vorranno; ti farai una religione secondo i tuoi gusti; leggerai qualche cattivo libro, che ti ispirerà solo disprezzo verso la religione e amore verso il libertinaggio, e tu camminerai nel sentiero da essi tracciato; non ricorderai più i tuoi giorni antichi, che trascorrevi nella pratica della virtù e della penitenza, allorchè era per te una grande gioia accostarti ai sacramenti, con i quali il buon Dio ti ricolmava di tante grazie, senza rimpianti per non aver dedicato tutto quel tempo ai piaceri del mondo; giungerai al punto di non credere a nulla e di negare tutto; e, per dirla tutta, tu non s

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