Il tempo del Vangelo
Discorso in occasione dell'Udienza Generale del 17 dicembre 1997
Autore: San Giovanni Paolo II
Il tempo del Vangelo (Gv 14, 8-11)
1. L’ingresso dell’eternità nel tempo attraverso il mistero dell’Incarnazione rende l’intera vita di Cristo sulla terra un periodo eccezionale. L’arco di questa vita costituisce un tempo unico, tempo della pienezza della Rivelazione, in cui il Dio eterno ci parla nel suo Verbo incarnato attraverso il velo della sua esistenza umana.
E’ il tempo che rimarrà per sempre come punto di riferimento normativo: il tempo del Vangelo. Tutti i cristiani lo riconoscono come il tempo dal quale prende avvio la loro fede.
E’ il tempo di una vita umana che ha cambiato tutte le vite umane. Una vita, quella di Cristo, piuttosto breve; ma l’intensità e il valore di questa vita sono incomparabili. Siamo di fronte alla più grande ricchezza per la storia dell’umanità.
Ricchezza inesauribile, perché è la ricchezza dell’eternità e della divinità.
2. Particolarmente fortunati furono quanti, vivendo al tempo di Gesù, ebbero la gioia di stargli accanto, di vederlo, di ascoltarlo. Gesù stesso li chiama beati: “Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Vi dico che molti profeti e re hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, ma non lo videro, e udire ciò che voi udite, ma non l’udirono” (Lc 10, 23-24).
La formula “vi dico” fa capire che l’affermazione va al di là d’una semplice constatazione del fatto storico. Quella che Gesù pronuncia è una parola di rivelazione, che illumina il senso profondo della storia. Nel passato che lo precede Gesù non vede soltanto gli avvenimenti esterni che preparano la sua venuta; Egli guarda alle aspirazioni profonde dei cuori, che sottostanno a quegli avvenimenti e ne precorrono l’esito finale.
I contemporanei di Gesù, in gran parte, non si rendono conto del loro privilegio. Vedono e sentono il Messia senza riconoscerlo come il Salvatore sperato. Si rivolgono a lui senza sapere di parlare con l’Unto di Dio annunciato dai profeti.
Dicendo: “ciò che voi vedete”, “ciò che voi udite”, Gesù li invita a cogliere il mistero, andando oltre il velo dei sensi. In questa penetrazione Egli aiuta soprattutto i suoi discepoli: “A voi è stato confidato il mistero del Regno di Dio” (Mc 4, 11).
In questo cammino dei discepoli alla scoperta del mistero si radica la nostra fede, fondata appunto sulla loro testimonianza. Noi non abbiamo il privilegio di vedere e di sentire Gesù come era possibile nei giorni della sua vita terrena, ma con la fede riceviamo la grazia incommensurabile di entrare nel mistero di Cristo e del suo Regno.
3. Il tempo del Vangelo apre la porta ad una profonda conoscenza della persona di Cristo. Possiamo a tal proposito ricordare le parole di accorato rimprovero rivolte da Gesù a Filippo: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo?” (Gv 14, 9). Gesù si aspettava una conoscenza penetrante e piena di amore da colui che, essendo apostolo, viveva in un rapporto molto stretto con il Maestro e, proprio in forza di questa intimità, avrebbe dovuto capire che in lui si manifestava il volto del Padre. “Chi ha visto me, ha visto il Padre” (Ibid.). Con lo sguardo di fede, il discepolo è chiamato a scoprire nel volto di Cristo quello invisibile del Padre.
4. L’arco della vita terrena di Cristo è presentato nel Vangelo come tempo di nozze. E’ un tempo fatto per diffondere la gioia. “Possono forse digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare” (Mc 2, 19). Gesù adopera qui un’immagine semplice e suggestiva. E’ lui lo sposo che indice la festa delle sue nozze, nozze dell’amore fra Dio e l’umanità. E’ Lui lo sposo che vuole comunicare la sua gioia. Gli amici dello sposo sono invitati a condividerla partecipando al banchetto.
Tuttavia, proprio nel medesimo contesto nuziale, Gesù annuncia il momento in cui la sua presenza verrà meno: “Verranno i giorni in cui sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno” (Mc 2, 20): è la chiara allusione al suo sacrificio. Gesù sa che alla gioia succederà la tristezza. I discepoli allora “digiuneranno”, ossia soffriranno partecipando alla sua passione.
La venuta di Cristo sulla terra, con tutta la gioia che comporta per l’umanità, è indissolubilmente legata alla sofferenza. La festa nuziale è segnata dal dramma della Croce, ma culminerà nella letizia pasquale.
5. Questo dramma è il frutto dell’inevitabile scontro di Cristo con la potenza del male: “La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta” (Gv 1, 5). I peccati di tutti gli uomini svolgono una parte essenziale in questo dramma. Ma particolarmente doloroso fu per Cristo il mancato riconoscimento da parte di una certa fascia del suo popolo. Rivolgendosi alla città di Gerusalemme, la rimprovera: “Non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata” (Lc 19, 44).
Il tempo della presenza terrena di Cristo era il tempo della visita di Dio. Certo, non mancarono coloro che diedero una risposta positiva, la risposta della fede. Prima di riportare il pianto di Gesù sulla città ribelle (cfr Lc 19, 41-44), Luca ci descrive il suo ingresso “regale”, “messianico” a Gerusalemme, quando “tutta la folla dei discepoli, esultando, cominciò a lodare Dio a gran voce, per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo: Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli” (19, 37-38). Ma questo entusiasmo non poteva nascondere, agli occhi di Gesù, l’amara evidenza di essere respinto dai capi del proprio popolo e dalla folla da essi sobillata.
Del resto, prima dell’entrata trionfale a Gerusalemme, Gesù aveva annunciato il suo sacrificio: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10, 45; cfr Mt 20, 28).
Il tempo della vita terrena di Cristo si qualifica così per la sua offerta redentrice. E’ il tempo del mistero pasquale di morte e risurrezione, da cui scaturisce la salvezza degli uomini.