In compagnia dei santi : biografie che sono come le nostre vite
Tratto da "Conoscerlo e conoscerti" (III)
Autore: Nicolás Álvarez de las Asturias
Gesù sale per la prima volta pubblicamente a Gerusalemme.
Adesso si dedica in pieno all’annuncio del regno di Dio, con le parole e i miracoli. La sua fama, dopo il prodigio operato alle nozze di Cana, si estendeva un po’ alla volta. Proprio allora, celato dal silenzio e dall’oscurità della sera, un maestro ebreo piuttosto conosciuto si avvicina per conversare con lui (Gv 3, 1). Nicodemo, ascoltando e guardando Cristo, aveva sentito dentro di sé una specie di terremoto. Molte cose si arrovellavano nella sua testa e preferiva mettervi ordine nell’intimità di una conversazione a tu per tu. Gesù, che conosce la sincerità del suo cuore, gli dice senza indugio: «Se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio» (Gv 3, 5).
Il dialogo prosegue nel modo più ovvio per chiunque di noi e cioè con una domanda: che cosa significa questo? Se conosco il giorno preciso in cui sono nato, addirittura l’ora, come si può nascere due volte? Gesù, per la verità, stava chiedendo a Nicodemo di non cercare soltanto di comprendere le cose, ma – ancora più importante – di lasciare entrare Dio nella propria vita. Infatti voler essere santo vuol dire nascere una seconda volta, vedere ogni cosa sotto una nuova luce; in definitiva, diventare una persona nuova: trasformarci, un po’ per volta, nello stesso Cristo, «lasciando che la sua vita si manifesti in noi». I santi hanno già percorso le vie del regno di Dio: hanno scalato le sue montagne, si sono riposati nelle sue valli e hanno anche esplorato gli angoli più oscuri. Dunque, anche noi ci colmiamo di speranza. Un modo per riconoscere Cristo è proprio attraverso i santi. Le loro vite possono svolgere un ruolo importante nel cammino personale di ogni battezzato che vuole imparare a pregare.
Maria prega quando è felice…
Le donne e gli uomini che ci hanno preceduto sono testimoni che il dialogo vitale con Dio è davvero possibile in mezzo a tanto andare e venire che a volte ci può far pensare il contrario. Tra loro, una testimonianza fondamentale è quella della Madonna. Ella, per la tenera vicinanza con suo figlio Gesù nella vita quotidiana di una famiglia, ebbe l’esperienza più viva di dialogo con il Padre. Come in ogni famiglia, nella casa di Nazaret c’erano momenti buoni e momenti più difficili; tuttavia, pur in mezzo a stati d’animo molto differenti, la Madonna prega sempre.
Prega, per esempio, quando è piena di gioia. Sappiamo che, poco dopo aver ricevuto l’annuncio dell’angelo, «Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda» (Lc 1, 39) per fare visita alla cugina Elisabetta. Aveva ricevuto la notizia che la famiglia sarebbe cresciuta di numero con un nuovo nipotino, cosa ben degna di essere festeggiata; ancor più trattandosi di un avvenimento inaspettato, data l’età di Elisabetta e di Zaccaria. «La descrizione che san Luca fa dell’incontro fra le due cugine è piena di emozione e ci immette in uno scenario di benedizione e di gioia»; una emozione alla quale, per così dire, si unisce lo Spirito Santo, rivelando la presenza fisica del Messia, sia al Battista che a sua madre.
Elisabetta, appena Maria entra nella sua casa, la loda affettuosamente, servendosi di parole che diventeranno una preghiera universale e alle quali noi facciamo eco ogni giorno, addentrandoci anche in questa gioia: «Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo» (Lc 1, 42). La Madonna, da parte sua, risponde con emozione all’entusiasmo della cugina: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore». Il Magnificat, nome che la tradizione ha dato a questa risposta di nostra Madre, ci indica che cosa è una preghiera di lode impregnata della parola di Dio. Benedetto XVI afferma: «Maria conosceva bene le Sacre Scritture. Il suo Magnificat è un tessuto fatto di fili dell’Antico Testamento». Quando sentiamo i nostri cuori pieni di riconoscenza per un dono ricevuto, è il momento di rivolgerci a Dio senza mezzi termini nella nostra preghiera – magari con parole della Scrittura –, riconoscendo le cose grandi che Egli ha fatto nella nostra vita. Il ringraziamento è un atteggiamento fondamentale nella preghiera cristiana, soprattutto nei momenti di gioia.
…e anche nel dolore o nello scoraggiamento
Certamente la Madonna prega anche nei momenti di oscurità, quando sono presenti il dolore o la mancanza di senso. Ci insegna, in tal modo, un altro atteggiamento fondamentale della preghiera cristiana, espressa in maniera concisa ma luminosa nel racconto della morte di Gesù: «Stavano presso la croce di Gesù sua Madre e la sorella di sua madre» (Gv 19, 25). Maria, oppressa dal dolore, semplicemente sta. Lei non ha in animo di salvare suo Figlio, e neppure di risolvere la situazione. Non la vediamo chiedere conto a Dio di ciò che non comprende. Si limita a fare in modo di non perdere neppure una sola delle parole che Gesù, con un filo di voce, pronuncia dalla Croce. Perciò, quando riceve un nuovo compito, l’accetta senza esitazione: «“Donna, ecco il tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre!”» (Gv 19, 26-27). Maria è in preda a un dolore che, a parere di molti, è il più terribile che una persona possa provare: assistere alla morte di un figlio. Eppure conserva la lucidità che le permette di accettare questa nuova chiamata ad accogliere Giovanni come suo figlio, e con lui noi, uomini e donne di ogni tempo.
La preghiera dolorosa vuol dire anzitutto stare accanto alla propria croce, amando la volontà di Dio; vuol dire saper dire sì alle persone e alle situazioni che il Signore pone accanto a noi. Pregare significa vedere la realtà, benché sembri particolarmente oscura, partendo dalla certezza che in essa c’è sempre un dono, che dietro a essa c’è sempre Dio. Così potremo essere capaci di accogliere le persone e le situazioni ripetendo come Maria: «Eccomi» (Lc 1, 38).
Infine, nella vita della Madonna scopriamo lo stato d’animo con cui prega, diverso da quello dell’oscurità del dolore. Vediamo Maria, accanto allo sposo Giuseppe, pregare anche in un momento di angoscia. Un giorno, mentre ritornano dal loro pellegrinaggio annuale al Tempio di Gerusalemme, si accorgono dell’assenza del figlio dodicenne e decidono di tornare indietro alla sua ricerca. Quando finalmente lo trovano mentre conversava con i maestri della legge, Maria domanda: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo» (Lc 2, 48). Anche noi molte volte ci possiamo sentire angosciati quando siamo assaliti dalla sensazione di essere insufficienti, inadempienti o fuori posto. Ci può sembrare, allora, che tutto sia sbagliato: la vita, la vocazione, la famiglia, il lavoro… Possiamo arrivare a pensare che la strada non sia quella che ci aspettavamo. I progetti e i sogni del passato ci sembrano una ingenuità. Ci può essere di conforto sapere che Maria e Giuseppe hanno attraversato queste crisi e che neppure la loro angosciosa preghiera ha avuto una risposta chiara e tranquillizzante: «Perché mi cercavate? Non sapete che io devo occuparmi delle cose del Padre mio? Ma essi non compresero le sue parole» (Lc 2, 49-50).
Pregare nei momenti di angoscia non ci garantisce di trovare soluzioni facili e rapide. Allora, che cosa fare? La Madonna ci mostra la strada: rimanere fedeli alla nostra vita, ritornare alla situazione normale e riconoscere nuovamente la volontà di Dio anche quando non la comprendiamo del tutto. E come Maria, possiamo anche serbare tutti questi eventi misteriosi, e a volte oscuri, nel cuore, meditandoli, ossia, osservandoli con una disposizione alla preghiera. In questo modo, un po’ per volta ci renderemo conto che la presenza di Dio ritorna; avremo la prova che Gesù cresce in noi e si rende di nuovo visibile (cfr. Lc 2, 51-52).
Biografie che sono come le nostre vite
Maria è una testimone unica della vicinanza con Dio che aneliamo, però lo sono anche i santi, ognuno in maniera personale e specifica. «Ogni santo costituisce come un raggio di luce che scaturisce dalla Parola di Dio», insegna Benedetto XVI in un documento nel quale menziona alcuni maestri: «san Ignazio di Loyola nella sua ricerca della verità e nel discernimento spirituale; san Giovanni Bosco nella sua passione per l’educazione dei giovani; san Giovanni Maria Vianney nella sua coscienza della grandezza del sacerdozio come dono e compito; san Pio da Pietrelcina nel suo essere strumento della misericordia divina; san Josemaría Escrivá nella sua predicazione sulla chiamata universale alla santità; la beata Teresa di Calcutta, missionaria della Carità di Dio per gli ultimi».
È umanamente naturale avere simpatia per certi modi di essere, per certe persone che si dedicano ad attività che ci attraggono di più o che parlano in una maniera che raggiunge direttamente il nostro cuore e la nostra mente. La conoscenza della vita e le esperienze di un santo, insieme con la lettura dei suoi scritti, sono dei momenti privilegiati per coltivare un’autentica relazione di amicizia con lui o con lei. Perciò, se si sottolineano soltanto gli esempi straordinari della vita e della preghiera dei santi, corriamo il rischio di far sì che il loro esempio sia lontano e più difficile da seguire. «Vi ricordate di Pietro, di Agostino, di Francesco? Non ho mai apprezzato quelle biografie che ci presentano – con ingenuità, ma anche con carenza di dottrina – le imprese dei santi come se essi fossero stati confermati in grazia fin dal seno materno», scrive san Josemaría, che ha sempre insistito sull’importanza di non idealizzare le persone, neppure i santi canonizzati dalla Chiesa, come se fossero stati perfetti. «Non è così. Le vere biografie degli eroi della fede sono come la nostra storia personale: lottavano e vincevano, lottavano e perdevano; in tal caso, contriti, tornavano alla lotta». Questa messa a fuoco realistica rende assai più credibile la testimonianza dei santi, proprio perché sono simili a ognuno di noi: tra i santi, dice Papa Francesco, «può esserci la nostra stessa madre, una nonna o altre persone vicine (cfr 2 Tm 1,5). Forse la loro vita non è stata sempre perfetta, però, anche in mezzo a imperfezioni e cadute, hanno continuato ad andare avanti e sono piaciute al Signore».
La nostra prospettiva sull’orazione può essere più completa se la vediamo incarnata nella vita delle persone. La familiarità con i santi ci aiuta a scoprire le differenti maniere di cominciare e ricominciare a pregare di nuovo. Può darci nuove luci, per esempio, sapere che il salmo 91 fu di grande consolazione per san Tommaso Moro durante i lunghi mesi che trascorse in carcere: «Sotto le sue ali troverai rifugio… Hai fatto dell’Altissimo la tua dimora… Lo salverò, perché a me si è affidato». Il salmo che ha consolato un martire nella desolazione della prigione, davanti alla prospettiva di una morte violenta e della sofferenza delle persone che egli amava, può anche indicarci un cammino di preghiera nelle piccole e grandi contrarietà della vita.
Lo stupore di sentirsi guardati da Dio
La familiarità con i santi ci può aiutare a scoprire Dio nelle cose di ogni giorno come hanno fatto anche loro. Possiamo leggere pieni di ammirazione ciò che scoprì san Giovanni Maria Vianney, il curato d’Ars, il giorno in cui di avvicinò a uno dei suoi parrocchiani, un contadino analfabeta, che passava lungo tempo davanti al tabernacolo. Che cosa stai facendo?, gli chiese il prete. E il buon uomo rispose con semplicità: Io guardo lui, e lui guarda me. Non faceva altro. Quella risposta rimase come un insegnamento indelebile nel cuore del parroco. «La contemplazione è uno sguardo di fede fissato su Gesù», insegna il Catechismo della Chiesa citando proprio questo episodio. Io lo guardo e – molto più importante – egli mi guarda. Dio ci guarda sempre, ma lo fa in una maniera particolare quando alziamo gli occhi e gli restituiamo il suo sguardo d’amore.
Un’esperienza simile l’ha vissuta san Josemaría, che rimase tanto impressionato da raccontarla molte volte durante la sua vita. Quando era un giovane sacerdote, alle sue prime esperienze pastorali, era solito rimanere tutte le mattine nel confessionale, in attesa dei penitenti. Talvolta sentiva un tintinnio di bidoni, che lo preoccupava e soprattutto lo incuriosiva. Un giorno, lasciandosi vincere dalla curiosità, il giovane don Josemaría si nascose dietro la porta per vedere chi era quel misterioso visitatore. Poté vedere un uomo che trasportava alcuni bidoni di latte e che, aperta la porta della chiesa, si rivolgeva al Signore dicendo: Signore, ecco qui Giovanni, il lattaio. Rimase lì un momento, poi se ne andò. Quella persona semplice, senza saperlo, dava l’esempio di una preghiera fiduciosa che meravigliò il sacerdote e lo indusse a ripetere, come un ritornello continuo: «Signore, qui c’è Josemaría, che non ti sa amare come Giovanni il lattaio». Le testimonianze di tanti santi di epoche e ambienti diversi ci confermano che è possibile sentirsi guardato con affetto da Dio, lì dove ci troviamo e così come siamo. Lo dicono in maniera credibile perché essi stessi sono stati i primi a stupirsi di questa scoperta.
Sia addormentati che svegli
I santi, dicevamo, ci aiutano anche quando li vediamo deboli e stanchi: «Ieri non sono riuscito a recitare con attenzione due Avemaria di seguito», confidava san Josemaría un giorno, verso la fine della sua vita. «Se avessi visto come soffrivo! Però, come sempre, anche se mi costava e non sapevo farlo, ho continuato a pregare: Signore, aiutami! – gli dicevo – devi essere Tu a portare avanti le cose grandi che mi hai affidato, perché ormai sai bene che io non sono capace di compiere neppure le cose più piccole: mi metto, come sempre, nelle tue mani».
Anche il giovane Filippo Neri pregava: «Signore, oggi tieni le tue mani su Filippo, perché altrimenti Filippo ti tradisce»; e la beata Guadalupe Ortiz de Landázuri riconosceva, in una lettera, la mancanza di consolazioni sensibili mentre pregava: «In fondo c’è Dio; anche se, soprattutto nei momenti in cui prego, non lo sento quasi mai…»; per non parlare di santa Teresina di Lisieux, che scriveva: «In verità, sono lontana dall’essere una santa, e niente lo prova meglio di quello che ho appena detto. Invece di rallegrarmi della mia aridità, dovrei attribuirla alla mia mancanza di fervore e di fedeltà. Dovrei essere desolata per il fatto che mi addormento (dopo sette anni) durante l’orazione e il ringraziamento. Ebbene, non provo desolazione… Penso che i bambinelli sono grati ai loro genitori nello stesso modo sia che dormano sia che sono svegli. Penso che, per fare le loro operazioni, i medici addormentino i loro malati».
Abbiamo bisogno certamente della testimonianza e della compagnia dei santi: per convincerci giorno dopo giorno che è possibile e vale la pena coltivare la nostra amicizia con il Signore, abbandonandoci nelle sue mani: «Veramente tutti siamo capaci, tutti siamo chiamati ad aprirci a questa amicizia con Dio, a non lasciare le mani di Dio, a non smettere di tornare e ritornare al Signore, parlando con Lui come si parla con un amico».