Insegnamenti pratici sopra l'orazione mentale - V - Parte 1
Circostanze della passione di Gesu'
Autore: Autori Cristiani
La seconda circostanza da considerare è: Che cosa patisce. E qui ancora si offre alla mente un vastissimo campo da spaziare; giacchè secondo la frase del profeta Geremia, la Passione del Redentore fu un oceano senza limiti. Quindi, sebbene a chi non giudica dirittamente possa sembrare che in fatto di tormenti e di dolori molti martiri abbiano sofferto più di Gesù Cristo, in realtà, però non è stata così; e se si riflette, si arriva a capire che tutti i supplizi dei martiri non furono che goccie in confronto dell’immenso mare di dolori che ebbe a soffrire il Salvatore. Ond’è ancora che il profeta Isaia nel contemplare da lungi il doloroso stato di lui, lo designò con un nome tutto suo proprio e caratteristico, chiamandolo: Virum dolorum, et scientem infirmitatem: l’uomo dei dolori, e che conobbe che cosa fosse il patire. Ei voleva dire, che quantunque sieno stati al mondo altri uomini che abbiano patito e sofferto acerbissime pene, tuttavia niuno di essi si meritava propriamente questo nome di – vir dolorum – come se lo meritò Gesù Cristo; perchè niuno, siccome Gesù Cristo, fu designato e fatto bersaglio universale di tutto ciò che dicesi pena e tormento. Egli solo fu l’uomo, il quale non si trovò mai senza patire; l’uomo che, siccome redentore, aveva per officio di star sempre addolorato; l’uomo che era talmente oppresso dai dolori, che sembrava quasi composto di dolore, l’uomo consapevole delle pene, addottrinato nei travagli, maestro nel patire: Virum dolorum, et scientem infirmitatem.
Ed invero diamo una semplice occhiata a ciò che Gesù Cristo ebbe a soffrire in fatto di disonori e di umiliazioni. Su di che riflettete, dilettissimi, che le ingiurie e le umiliazioni tanto sono più grandi, quando più la persona che le riceve è meritevole di stima, e di rispetto: e così tanto riescono più sensibili e dolorose, quanto più alla persona preme la conservazione del proprio onore, e della propria fama. Ond’è che persona proba ed onorata preferisce la morte alla taccia di vergognosa azione. Ora osserviamo ciò che accadde al buon Gesù. Egli si era dichiarato per vero figliuol di Dio, per Messia, e Salvatore del genere umano; avea tenuto scuola e formato discepoli per istruirli nella via certa ed unica della salute; si era acquistato il nome di santo per la sua irreprensibile condotta; erasi guadagnato l’affetto, e la venerazione dei popoli per le sue opere caritatevoli, e per i suoi molti miracoli. Tutto ad un tratto ecco cambiarsi la scena. Un suo discepolo lo vende per 30 danari, come un vilissimo schiavo. Tutti gli altri l’abbandonano, quasi protestando col fatto di averlo scoperto impostore. I suoi nemici lo legano come un ribaldo, e lo trascinano colla corda al collo per mezzo di Gerusalemme fra una turba immensa che lo deride, lo maledice. E dove lo conducono? Innanzi ad empi giudici per accusarlo di menzognero, di bestemmiatore, di seduttore, di scandaloso. Ed ecco ivi difatti condannato, come reo, come degno di morte, e quasi ciò fosse poco, abbandonato al dileggio, ed al trastullo di vilissima gente, che lo caricano di vituperii, di schiaffi, di sputi, di percosse, e di maledizioni. Infine egli è messo a confronto di Barabba, pubblico assassino, e dichiarato peggiore di lui, e perciò degno di andar.e a morire sopra una croce, in mezzo a due ladri. Sul quale ultimo episodio, se si considera, ben può dirsi che ogni eccesso toccasse il suo colmo, e tanto che appena vi si crederebbe se l’Evangelo non lo attestasse. Basti ricordare che ogni qualità di persone vi prese parte; che non vi fu ingiuria e vilipendio che gli venisse risparmiato; ma che quanto può inventarsi, e mettersi in opera per avvilire, per umiliare, per deridere, per insultare, ed affliggere un cuore bennato, tutto fu eseguito contro il benedetto Gesù, gli altri l’abbandonano, quasi protestando col fatto di averlo scoperto impostore. I suoi nemici lo legano come un ribaldo, e lo trascinano colla corda al collo per mezzo di Gerusalemme fra una turba immensa che lo deride, lo maledice. E dove lo conducono? Innanzi ad empi giudici per accusarlo di menzognero, di bestemmiatore, di seduttore, di scandaloso. Ed ecco ivi difatti condannato, come reo, come degno di morte, e quasi ciò fosse poco, abbandonato al dileggio, ed al trastullo di vilissima gente, che lo caricano di vituperii, di schiaffi, di sputi, di percosse, e di maledizioni. Infine egli è messo a confronto di Barabba, pubblico assassino, e dichiarato peggiore di lui, e perciò degno di andar.e a morire sopra una croce, in mezzo a due ladri. Sul quale ultimo episodio, se si considera, ben può dirsi che ogni eccesso toccasse il suo colmo, e tanto che appena vi si crederebbe se l’Evangelo non lo attestasse. Basti ricordare che ogni qualità di persone vi prese parte; che non vi fu ingiuria e vilipendio che gli venisse risparmiato; ma che quanto può inventarsi, e mettersi in opera per avvilire, per umiliare, per deridere, per insultare, ed affliggere un cuore bennato, tutto fu eseguito contro il benedetto Gesù, anche agonizzante sulla croce. Laonde come riflette S. Giovanni Crisostomo, se Gesù Cristo non fosse stato quello che era, non potevano i giudei usare mezzi più efficaci di quelli che usarono per denigrarne la fama, e l’onore, e rendere la sua memoria oggetto di odio e di esecrazione a tutto il mondo e a tutti i posteri. A ragione adunque, se non vi fossero altre prove, dobbiamo riconoscere in Gesù Cristo umiliato, e vilipeso, l’uomo dei dolori per ec-cellenza, poichè mettendo da una parte la sublimità del suo essere divino, e l’onore e la gloria dovuta alla sua maestà infinita, per quanto vi pensiamo, non potremo mai arrivare a comprendere quanto gli costasse il doversi rassegnare a ricevere siffatte umiliazioni, che lo ridussero non solo l’ultimo degli uomini, novissimum virorum; ma ben anco l’obbrobrio, e l’abiezione degli ultimi uomini della plebe; opprobrium hominum, et abjectio plebis.
Che se poi rivolgeremo lo sguardo a considerare l’eccesso delle pene, e dei dolori da cui lasciò opprimere il suo corpo, vedrerno un altro mare sterminato che veramente opprimerà la nostra immaginazione. Imperocchè quantunque il santo Vangelo si mostri da questo lato molto parco nel farne descrizione, nullameno quei pochi cenni che ne dà, sono più che sufficienti a persuaderci essere stata questa Passione la più crudele, la più orribile, la più dolorosa di quante mai se ne possano immaginare, ovvero soffrire da tutti gli uomini eziandio riuniti insieme. Laonde i Padri e Dottori della Chiesa asseriscono di comune accordo; che in tanto Gesù Cristo durò fermo, e costante sotto il diluvio di così grandi tormenti, in quanto che Egli fece sopra se stesso un continuo miracolo per mantenersi in vita sino al punto in cui gli piacque di esalare lo spirito.
A ciò intendere bisogna in primo luogo tener l’occhio alla somma delicatezza del corpo di Gesù Cristo, che era stato cioè formato con questo fine appunto, che fosse capace di sopportare un’immensa Passione, corrispondente alla moltitudine sterminata dei peccati del mondo che. soddisfar doveva presso la divina giustizia. Questa verità l’abbiamo chiaramente espressa nella sacra Scrittura, in quelle parole del salmo, dove il profeta Davide parlando a Dio in persona del Redentore dice: Sacrilicium et oblationem noluisü, aures autem perfecisti mihi ovvero, come legge l’Apostolo: Corpus autem aptasti mihi. Volendo dire: Padre mio, quei sacrifizi di animali che l’uomo sinora vi ha offerto, non sono stati capaci di soddisfarvi; perciò avete disposto che io ve ne offrissi uno proporzionato alla vostra grandezza e maestà; ed a tal fine mi apparecchiaste un corpo non solamente perfetto, ma adattissimo per servire di olocausto, e di sacrificio. Da ciò, dilettissimi, segue, che, non trovossi mai corpo umano che fosse più capace, e soggetto al patire, come il corpo del nostro Signore Gesù Cristo; giacchè esso fu formato a bello studio da Dio, come un grandissimo vaso per empirlo di dolori, di tristezze, e di spasimi.
Su questo riflesso di tanta attitudine al patire, ponderano bene i santi, che Gesù Cristo ebbe il senso così vivace ed acuto, che più sentiva Egli una puntura di ago, di quello che altri non avrebbe sentito una crudele lanciata; che era Egli più delicato e sensibile in tutto il corpo, di quello che altri lo fosse nella; pupilla degli occhi; che più sentiva un solo digiuno, di quello che altri non avrebbe sentito asprissime inedie di continue quaresime, e di faticosissimi viaggi. Più, per la medesima cagione, dicono anche bene, che il senso del corpo santissimo di Gesù non era come il senso dei corpi nostri, che cioè nei dolori continuati quasi si addormenta, e s’istupidisce. Al contrario avendolo Egli ricevuto appositamente per patire, si mantenne perciò tanto vivace e desto, che siccome sentì i primi tormenti, così allo stesso modo sentì gli ultimi. In conseguenza di migliaia di battiture che gli furono date nella flagellazione, tanto dolore sperimentò negli ultimi colpi, quanto nei primi; nelle tre ore in cui stette pendente dalla croce, come soffrì nell’istante di esser levato in aria, così sofferse per tutto quel tempo che si conservò vivo. E su questo tenore andiamo discorrendo per tutti gli altri dolori della sua vita, e Passione.
Ciò supposto, veniamo a misurare se ci riesce, quanto dovè soffrire l’amabilissimo Gesù allorquando fu strettamente legato con funi e catene, trascinato a furia per le strade e per le scale dei palazzi, preso a schiaffi, a pugni e calci; allorquando fu flagellato alla colonna ed ivi battuto, e pesto senza misura e pietà. Quanto dovè soffrire allorchè venne sottoposto alla coronazione di spine, sentendosi conficcare sulla testa un fascio di giunchi marini, le cui punte penetrarono ben addentro in quella sacratissima testa. E chi potrà concepirne l’eccesso dello spasimo? Che diremo poi dei dolori sofferti nell’esser caricato del pesante legno della croce, nel venir costretto a recarselo sulle spalle per la salita del Calvario, ed infine nell’essere crocifisso? E chi non si sente rabbrividire nel figurarsi come quelle feroci tigri dei manigoldi gli dovessero saltare addosso, strappargli con furia le vesti, gittarlo sulla croce, stirargli le braccia e le gambe, e poi conficcarvelo sopra, squarciandogli senza misericordia e mani e piedi? Oh! certamente che il solo pensiero di queste cose lacera di compassione un cuore, sia pure di macigno! Non è dunque un’esagerazione il dire che nessuna mente creata potrebbe arrivare a comprendere la grandezza e l’estensione dei dolori e degli spasimi provati da Gesù Cristo. Difatti egli stesso per bocca del suo Profeta dall’alto di quella croce invita ciascuno, e lo provoca in certo modo a trovare un dolore somigliante al suo: O vos omnes qui transitis per viam, attendite et videte, si est dolor sicut dolor meus. Poichè ecco verificato in lui ciò che era stato predetto, che dalla pianta del piede sino alla cima del capo non ha parte alcuna senza tormento. Egli è tutto lividure, tutto ferite, tutto piaghe, tutto sangue; gli si contano le ossa ed i nervi, tanto è scarnito e dilacerato; persino ha perduto la figura di uomo, onde li Profeta Isaia scrisse che sembravagli anzichè uomo, un vilissimo lebbroso, ed uno castigato da Dio: Vidimus eum, et non erat aspectus… putavimus eum quasi leprosum, percussum a Deo, et humiliatum.
Ma tuttociò non basta ancora per chi vuol sapere che cosa abbia patito il nostro divin Salvatore: dirò anzi che tutto il fin qui accennato è quasi nulla in confronto delle pene che ebbe a soffrire nella sua anima benedetta. Udite, udite, miei cari. Imperocchè se si alzerà il velo delle apparenze, e si penetrerà collo sguardo dentro in quell’anima, è quivi che vedrassi un esercito di furibonde e spietate fiere che ne fanno una strage, una carneficina sì orrenda da non potersi a parole descrivere. Dovete pensare che in quei supremi momenti per libero e maraviglioso consiglio accadde a Gesù Cristo Signor nostro quello che accadrebbe ad un ricchissimo principe, il quale si vedesse finalmente costretto di dare quanto possiede per pagare un’enorme somma ad uno scioperato e traditore, a cui avesse fatto sicurtà. Voglio dire che giunto il momento della Passione, più che mai, ed in modo vivissimo, si rappresentò alla mente del buon Gesù il motivo di quel totale sagrifizio che venivagli richiesto, di scontare cioè i peccati degli uomini, pei quali aveva fatto sicurtà presso la divina giustizia. Laonde quasi volesse vederne e pesarne il giusto compenso da sborsare, se li fece in quel tempo venire tutti dinanzi all’immaginazione, come rappresentanti in un quadro, e tutti distintamente nel loro numero, nelle loro circostanze, nella loro circostanze, nella loro malizia; ed ohimè! quale assalto straziante fu questo per il divin Cuore di Gesù!
Per averne una giusta idea, bisognerebbe prima conoscere quanto gran male sia il peccato in se stesso, e quanto Gesù Cristo l’odiasse e l’abborrisse, ed a quali sacrifizi si sarebbe egli assoggettato piuttosto che permetterne un solo. Queste cognizioni non si possono da noi avere: tuttavia ammettendo in Gesù Cristo ed una cognizione perfettissima della malizia del peccato, ed un odio infinito verso il medesimo, possiamo, dico, congetturare almeno, e figurarci in qualche modo quanto dovesse soffrire allora quel cuore amantissimo nel vedere quell’enorme massa di iniquità, che comprendeva tutti i peccati degli uomini passati, presenti e futuri, dal principio del mondo sino alla fine; e nel vederseli tutti caricati sulle proprie spalle, e costretto a renderne ragione alla divina Giustizia, come se egli stesso ne fosse il reo ed il colpevole. Si legge di alcuni santi che rischiarati da lume divino, considerando certi peccati, ne furono talmente presi di contrizione e di dolore che rimasero come morti. Ora e che dovremo pensare del dolore e della contrizione che sperimentò l’anima di Gesù nel vedersi tutti insieme dinnanzi, e quasi appropriati non dieci, non cento, ma milioni e milioni di milioni di peccati i più enormi, i più abbominevoli e nefandi? Per certo che colui il quale si approfonda nella meditazione di questo mistero, durerà fatica a credere come mai quel cuore così sensibile e geloso dell’onore del suo Padre, potesse tuttavia resistere e sopportare di esserne riputato quasi il detrattore, e di sentirsene perciò chiedere soddisfazione, e compenso,
Ma almeno fra tanti spasimi avesse avuto Gesù Cristo il conforto di conoscere che quel sagrifizio a cui si assoggettava avrebbe condotto a salute eterna il genere umano, come era sua intenzione; essendo indubitato che si alleggerisce assai il dolore, quando se ne prevede il compenso in un gran bene. Ma no; ed ecco appunto l’altra spada crudele che nel tempo stesso veniva a straziare quell’anima santissima. Ella vedeva e conosceva chiaramente che malgrado tante fatiche, tanti tormenti e tanto sangue, la maggior parte degli uomini per loro propria colpa si sarebbero per sempre perduti. Ed a capire in qualche modo quando ciò l’affliggesse, convien riflettere alla carità che ardeva nel petto di Gesù Cristo; carità ardentissima, carità infinita, carità da cui nasceva in lui uno zelo tale per la salute delle anime, che per salvarne una sola, avrebbe egualmente intrapreso l’opera della Redenzione, come l’intraprese per tutte; e si sarebbe egualmente assoggettato alle medesime pene ed alla medesima morte, come vi si assoggettò per tutte. Dietro un tal lume consideriamo l’affanno, lo spasimo, lo strazio che il buon Gesù dovè provare nell’atto stesso che pagava il prezzo dell’umano riscatto. Eccolo costretto a vedere che quelle sue così generose intenzioni, quei suoi disegni tanto amorevòli resteranno grandemente defraudati; quell’immenso suo tesoro di meriti, che sarebbe sufficiente a salvare mille mondi, egli, il buon Gesù, se lo vede perdere da quelli stessi in favore dei quali lo sborsava. Eccolo insomma costretto a vedere non una, nè mille, ma quasi infinite anime ricusare le sue grazie, il suo amore, i suoi ineffabili beni, e scegliersi piuttosto di stare per sempre da lui disgiunte in un baratro di perdizione. Ah! che questa fu per ,Gesù Cristo una spada a due tagli, che gli trafisse il cuore da parte a parte, e più dolorosa che non furono gli altri tormenti! Dover patire un immenso dolore, e non ritrarne il frutto desiderato! anzi avere il rammarico che quelle pene e quei sagrifizi serviranno di maggior condanna a molte e molte anime, che egli aveva prescelte e destinate in modo singolare a partecipare dell’amor suo e delle sue grazie! In verità che la considerazione di questo dolore sofferto da Gesù Cristo Signor nostro apre la mente a poter capire ciò che dicono i santi, che la sua Passione fu immensamente più grande ed afflittiva nell’interno, che non fuori. E difatti se ci facciamo a riservare qual fosse quell’amaro calice di cui Gesù parla colà nell’Orto degli olivi, e da cui prega il suo divin Padre d’esser risparmiato, troveremo che era principalmente questo: di dover andare alla morte, ed alla morte di croce, per anime sconoscenti ed ingrate, ed alle quali per conseguenza non avrebbe giovato. Una tale idea, concepita allora nell’immaginativa soltanto, fu per l’amoroso cuore di Gesù Cristo un assalto così fiero, che poco mancò che non vi perdesse la vita.
Sebbene non è ancor tutto. Udite, dilettissimi, un terzo motivo che rese il patire di Gesù Cristo un patire straordinario, un patire eccessivo, Ineffabile: esso fu il dover patire in una totale desolazione di spirito. E vero che si legge di un angelo inviatogli a confortarlo, mentre appunto compiva quella misteriosa orazione là nell’orto; ma dobbiam riflettere che questo conforto non consistè già nella comunicazione di quell’interno sentimento, che dal Cielo si comunica molte volte alle anime afflitte, e di cui ne furono ricolmi specialmente i santi martiri in mezzo ai loro supplizi. No, perchè ciò avrebbe scemato assai l’eccellenza e la grandezza del patire del Redentore divino, il quale, dovea anche in questo distinguersi sopra tutti, di patire cioè il puro patire, senza consolazione di sorta. Laonde bene conchiudono gli interpreti ed i santi, dicendo che quel conforto arrecato dall’angelo consistè in una semplice rappresentazione della volontà del divin Padre, che egli patisse in quel modo, privo cioè di qualsiasi lenitivo e conforto, sia da parte della terra, sia da parte del cielo. Di fatti leggiamo nell’Evangelo che subito dopo le parole dell’angelo confortatore, Gesù sudò sangue segno chiaro dell’interno strazio che pativa anche dopo quel conforto. Un’altra prova di ciò l’abbiamo là sul Calvario, quando pendente dalla croce egli ci fa sentire quelle lamentevoli voci: « Dio mio, Dio mio, perchè mi avete abbandonato! ». E che altro volle indicarci con questa espressione se non che la vera sede del suo patire stava nascosta là dentro dell’anima sua, del suo cuore? Quasi insomma volesse direi: O uomini, voi mi compatite perchè vedete e sentite le offese che sono fatte al mio onore, perchè vedete i tormenti che soffro nel mio corpo; ma sappiate che merito assai più compatimento per la desolazione in cui trovasi l’anima mia: desolazione talmente dolorosa e straziante, che mi veggo quasi costretto e forzato a lamentarmene col mio divin Padre, dicendogli: « Dio mio, Dio mio, perchè mi avete abbandonato! ».
Oh! quali considerazioni sono mai queste, miei figliuòli, e quanto adatte ad attirare tutta la nostra attenzione! Beata quell’anima che sa profittare, perchè ella trova in esse il modo per intendere che significhi Passione di Gesù Cristo, e dove stia riposta la vera scienza della croce. Sebbene mi protesto che io ho appena accennato le cause principali, le quali concorsero ad affliggere e a tormentare l’anima benedetta di Gesù. Oh! quanto vi sarebbe a dire eziandio sul dolore che l’affisse da parte della malignità del suo popolo ebreo, per la cui salute in special modo era disceso dal cielo! Quanto vi sarebbe a dire sull’ingratitudine che ebbe a soffrire da parte del suo discepolo Giuda! e sopratutto sul dolore che gli convenne sostenere per cagione della sua Madre santissima, nell’averla quasi sempre presente ai suoi strapazzi, alle sue pene, e nel vedersela dinnanzi durante la sua penosissima agonia sulla croce! Cosa che, come ben riflettono i santi, afflisse talmente il buon Gesù, che se avesse potuto risparmiare alla sua Madre un tanto patire, si sarebbe egli stesso centuplicato i tormenti che già soffriva. Ma basta così, perchè non la finiremmo mai. D’altronde mi sembra di avervi già dato un’idea sufficiente per potere scegliere ed ordinare le vostre considerazioni sopra questa circostanza della Passione di Gesù Cristo. Ora passiamo a dire qualche cosa sulle altre due di cui vi ho dato cenno.