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Insegnamenti pratici sopra l'orazione mentale - VIII - Parte 2

Sentimenti per meditare la passione

Il terzo affetto che cade ancora a proposito nella meditazione di Gesù Crocifisso, è la contrizione, ossia un vero odio al peccato, ed un grande dolore di averlo commesso. Imperocchè è cosa naturale che considerando questo mistero, ci si presentino i motivi che ne furono la cagione. Ed ecco presentarcisi quello appunto che ebbe Iddio nel permettere un si crudele strazio del suo unigenito Figliuolo, di soddisfare cioè la sua divina giustizia, offesa dai nostri peccati, e così dalla gravezza della pena persuadere a noi la gravezza della colpa. Perciò dicesi benissimo che la Passione di Gesù Cristo ci dimostra ad evidenza qúanto gran male sia il peccato, perchè ci fa vedere sensibilmente quanto Iddio lo abbomini, e lo detesti. Siccome se noi vedessimo un cortigiano molto caro e favorito dal re, ovvero anche il fìgliuolo stesso del re, essere trascinato senza misericordia al patibolo, argomenteremmo subito che il delitto da lui commesso sarebbe grave così nel caso nostro dobbiam concepire un odio grande verso il peccato, poichè lo vediamo punito, e punito in una maniera tanto tremenda nella persona del Figliuolo stesso di Dio.
Fate attenzione a queste ultime parole, perchè sono veramente capaci di farci intendere che gran male sia il peccato. Il caso supposto di un cortigiano, o anche del figlio del re condannato alla morte poco spiega, perchè in fine l’uno e l’altro potrebbero in spiega, perchè in fine l’uno e l’altro potrebbero in realtà essere rei di altre colpe. Ma qui come immaginarsi soltanto che Gesù Cristo sia difatti reo del peccato, se Egli è l’innocenza stessa, la santità per essenza? Oh! questa si è la ragione, che deve riempirci di orrore verso un tal mostro; mentre ad un tanto castigo è stato sottoposto il Figliuolo medesimo di Dio, non già per il peccato, che Egli nè avea commesso, nè poteva commettere, bensì per le sole apparenze di peccatore che aveva prese, spinto dall’amore che portava a noi. Quella carne di cui Egli volle ricoprirsi, era la livrea di noi peccatori, e tanto bastò per tirargli addosso una pena sì enorme; e notate, non già da un tiranno, ma dal medesimo suo Padre, da cui in pari tempo era infinitamente amato. Per certo che colui il quale in Gesù Crocifisso non vede e non riconosce la malizia quasi infinita del peccato, e non concepisce verso di esso odio ed orrore, bisogna che egli guardi il Crocifisso solo materialmente, e superficialmente, e non lo consideri cogli occhi della Fede.
Ma ho detto che oltre al sentir odio contro il peccato, questo affetto deve abbracciare ancora il dolore dei peccati da noi commessi. Ed invero poco o niente ci gioverebbe lo starcene molto tempo ai piedi del Crocifisso esercitandoci in atti di sdegno, e di odio contro il peccato in genere, se poi ciascuno in particolare non si mettese la mano al petto, e non avvertisse che egli appunto è il reo di questo peccato, da cui ne venne la morte al Figliuolo di Dio. Ah! purtroppo, miei cari, se vogliamo ascoltare la nostra coscienza, nel rimirare Gesù Crocifisso, ci conviene gittarci a’ suoi piedi, ed a somigilanza del figliuol prodigo ripetergli: Pater, peccavi in coelum, et coram te! Iam non sum dignus vocari filius tuus. Padre mio, ecco quell’empio che ha avuto ardire di alzare la mano contro di voi sono io appunto, perchè io ho peccato. Sono io quel giudice che vi condannai, quel crudele che pronunziai il cruci ftgatur, quel carnefice che vi trapassai coi chiodi queste mani, e questi piedi. Un tale avvertimento è di grande importanza, come già vi feci notare altra volta, e tolto il caso di qualche straordinario impulso ad effetto diverso, conviene praticarlo ogni qual volta si medita la Passione santissima di Gesù Cristo. E Dio volesse che in tutto il tempo dell’orazione non si facesse altro che riconoscere la malizia dei propri peccati, e piangerli amaramente, per essere stati la cagione di tante pene, e della morte dell’unigenito divin Figliuolo. E notate come ciò si può fare in qualunque passo voi fermate la vostra attenzione: come per esempio se lo rimirate quando prega nell’orto, facilmente riconoscerete che egli prega il suo divin Padre, affinchè accetti il suo sacrifizio in soddisfazione de’ peccati vostri; se lo rimirate quando suda sangue, riconoscerete che ciò egli fà per mostrarvi quanta violenza gli costi il determinarsi a patire, e morire per un ingrato come siete voi. Così quando lo meditate alla colonna, avete a ravvisare in quelle piaghe l’effetto de’ vostri particolari peccati, e nei carnefici, e nei flagelli altrettanti istromenti della vostra malizia. Similmente quando lo considerate abbandonato da’ suoi discepoli, schiaffeggiato vilipeso, condannato a morte, caricato della croce, e crocifisso, avrete sempre motivo di ravvisarvi l’opera del vostro peccato, e riconoscervi come causa. di quei tormenti, e di quegli strazi sofferti dall’amabilissimo Redentore.
Nè questi sono pensieri divoti, o immaginazioni. Già vel dimostrai che in realtà la cosa è passata in questa guisa. Il peccato è stato la cagione della Passione di Gesù Cristo, e chiunque per conseguenza ha, peccato ha concorso a questa Passione; siccome prosegue a fare altrettanto ogni volta ch’egli pecca, facendo dal canto suo e per parte della sua volontà, tutte quelle cose che fecero allora i giudei, e con tanto maggiore malizia quanto sono più grandi i lumi e le grazie che egli ha ricevuto a preferenza del popolo ebreo; giaccè di questo si potè dire in qualche senso che non sapeva ciò che si facesse, mentre non si può dire altrettanto del cristiano. Quindi appariste chiaro come un’anima può facilmente prorompere in atti di confusione e di dolore nel riconoscere questa verità, come dopo aver meditato le pene ineffabili sofferte da Gesù Cristo, può e deve conchiudere così: Ecco quel che ho io fatto! e non a caso, ma a ragion veduta. Mio Dio, padre mio, sposo mio amantïssimo, e che altro resta adesso se non gittarmi ai vostri piedi, e piangere e dimandarvi perdono e misericordia?
Passando ora ad un altro affetto che si ritrae da questa meditazione, diciamo qualche cosa di quello che dicesi di gratitudine. E’ questo un sentimento naturalissimo all’uomo di risentirsi dei benefizi che si ricevono, e di dimostrarsi grati a chi ce li procura. Ma e dove cercare un benefattore più cortese, più generoso, e magnifico del nostro amabilissimo Gesù? E chi potrebbe numerare e valutare i benefizi che sono a noi derivati dalla sua Passione e morte? Per averne un’idea, discorriamo così: Noi tutti per il peccato dei nostri progenitori eravamo caduti nel profondo della miseria: ed avessimo pure tutti insieme pianto per migliaia e milioni di secoli, e con noi avessero pure pianto gli angeli del cielo, e le creature tutte dell’universo; tutto sarebbe stato inutile; perchè il peccato essendo un’ingiuria che si fa a Dio, non può essere nè soddisfatto, nè compensato da qualsiasi penitenza delle creature. Vedete, miei cari, a quale stato deplorevole, e direi quasi di disperazione dovevamo soggiacere.
Però ecco appunto ciò che deve stimolarci ad un vivo sentimento di gratitudine verso Dio: il rimedio alla nostra disgrazia che non potevamo mai ritrovare in tutto l’universo, l’abbiamo trovato nel cuore amorosissimo del nostro Creatore e Signore medesimo.Malgrado l’indegnità nostra, a lui piacque di riguardarci con occhio di misericordia, e di somministrarci egli stesso l’àiuto ed il mezzo valevole, a fine di scansare i terribili effetti della sua irritata giustizia. E, quale fu questo rimedio? Sic Deus dilexit mundum, ut Fitium suum unigenitu n daret. La misericordia di Dio verso di noi fu sì grande, che senza che noi vi pensassimo, o lo potessimo per anco immaginare, anzi mentre da noi riceveva nuovi insulti e nuove offese; la misericordia sua, dico, fu si grande, che ci fece meritevoli dell’amor suo e di tale amore che giunse a darci il suo medesimo Figliuolo; onde mediante i meriti di lui, ed il sacrifizio che egli avrebbe fatto della sua vita, noi conseguissimo il perdono dei nostri peccati; ed ottenessimo di essere liberati, se volevamo, dalla morte eterna. E come un’anima al considerare queste cose non si sente presa dal più vivo affetto di riconoscenza verso un tanto benefattore?
Sebbene v’ha ancora di più che stimola il nostro cuore ad accendersi alla riconoscenza. Imperocchè se avremo ben ponderate le magnifiche intenzioni che ebbe Iddio nel donarci il suo Figliuolo, ci saremo facilmente accorti che esse non si limitarono soltanto a questo fine di liberarci dall’inesorabile condanna del fuoco eterno, ma si estesero ancora a restituirci i beni perduti, e restituirceli con misura tanto colma e soprabbondante, che mai ce ne saremmo potuti ripromettere nello stato primiero. Ed è perciò che la S. Chiesa si compiace di far ripetere ai suoi figli quelle parole di S. Agostino: « O felice colpa di Adamo, che meritò di essere soddisfatta e cancellata da un tale e tanto Redentore! ». Difatti sono sì copiose ed eccellenti le grazie soprannaturali che a copiose ed eccellenti le grazie soprannaturali che a noi sono derivate dalla Passione e morte di Gesù Cristo, che ora abbiamo non solamente la fiducia di salvarci, ma di giungere a tanta santità e perfezione da non invidiare i più alti serafini del cielo.
Nè ciò basta. Si suol dire e con verità, che vale più l’affetto con cui si benefica, che il beneficio stesso. Or bene diamo un’occhiata alle intenzioni che ebbe il buon Gesù in quest’opera della nostra redenzione, alle azioni che egli fece, ai patimenti a cui si assoggettò, e vi riconosceremo sempre ed ovunque un amore per noi eccellente, sopraffino, eccessivo, infinito; un amore di tal grado e misura che esso solo, se anco non vi fossero stati nè carnefici, nè tormenti, sarebbe bastato a cagionargli la morte, come glie la cagionò di fatto; poichè un sì gran patire ed una morte così crudele non derivarono da altro che dalla sua volontà spinta dall’amore: Ego pono animam meam…. pono eam a meipso, così sta scritto nell’Evaìngelo. Oh! dov’è un cuore che si pregia del sentimento di gratitudine, e che per amare ricerca di essere amato, venga ai piedi del Crocifisso, e miri come questa vittima adorabile. sta ivi appunto consumandosi fra le fiamme del sua amore. Ascolti, e sentirà che questo amante divino spira appunto su quell’albero della croce, dicendo: Nuntiettis dilecto meo: quia amore langueo. O anima fedele, io mi muoio, ma sappi che muoio solo di amore per te: io mi muoio, ma desidero che tu ti ricordi, che non sarei io morto giammai, se non ti avessi amato più della vita mia. Figliuoli miei, ad un tale spettacolo non sarà dunque ragionevole che noi insieme cogli apostoli ripetiamo Eamus et nos, ut moriamur cum eo, che ce ne andiamo con lui, e moriamo di amore per lui, come egli è morto di amore per noi? Certamente che il nostro cuore se non è di pietra, deve cedere, e rimaner conquistato dall’amore di Gesù.
E qui come ben si vede, si può discendere ad altri affetti particolari, e ricavarne specialmente risoluzioni pratiche, essendo che la vera riconoscenza non si contenta di buoni desiderii, massime quando si conoscono i sacrifizi grandi fatti dal benefattore e la sua intenzione di avere corrispondenza colle opere. Quindi ne potremo ricavare buoni proponimenti di guardarci dal più disgustare un Signore così buono, e di preferire l’amore di Gesù Cristo a qualsiasi altra cosa. Ne potremo ricavare buoni desiderii ed efficaci risoluzioni di procurare che ancora gli altri corrispondano a quell’amore, e si approfittino di un tanto benefizio, che nell’istesso modo è stato elargito ed a tutti in genere, ed a ciascuno in particolare. Insomma ne potremo ritrarre un potentissimo sentimento che ci stimoli al bene ed alla virtù per noi e per il nostro prossimo, come succedeva all’apostolo S. Paolo, il quale struggevasi nel cuore per l’affetto di gratitudine che provava verso Gesù Cristo, e non finiva mai d’insinuarlo ai suoi discepoli, ripetendo sotto mille forme quella frase: Charitas Christi urget nos, l’amore portatoci da Gesù Cristo ci spinge, ci pressa, ci fa violenza a riamarlo, e ad essergli fedeli. O voi felici, dilettissimi, se ne sentirete la forza, e ne seconderete gli impulsi.
Coll’amore riconoscente verso l’Appassionato Redentore viene assai bene un altro affetto, che possiamo chiamare di speranza, o meglio di confidenza, mediante il quale il nostro cuore si anima, si fortifica, e si rende quasi invincibile per superare quegli ostacoli che pur troppo sogliono incontrarsi nella via dello spirito e della perfezione. Ora ben s’intende che un tale affetto conviene a maraviglia a chi medita la Passione santissima di Gesù Cristo, siccome quella che per causa e per fine ha avuto appunto il nostro bene, la nostra salute, la nostra santificazione. Ed invero come potremo dubitare che Iddio dopo averci donato il suo medesimo unigenito Figliuolo, perchè collo sborso del suo sangue, e colla sua morte ci ottenesse misericordia, non voglia adesso metterci a parte dei frutti di questa Passione e di questa morte? Come vorremo dubitare che questo unigenito Figliuolo dopo aver tollerato con tanta pazienza e costanza tormenti si grandi, sino a lasciar la sua vita sopra un patibolo per amor nostro, ora dimentico di tutto, voglia abbandonarci, quasi che più non ci riconoscesse per fratelli suoi, per figli riscattati da lui a prezzo sì caro? Oh no! che il solo dubbio da parte nostra sarebbe la più grande ingiuria che fare si potesse a quel cuore divino, che è tutto misericordia, tutto amore e carità.
Quindi essendo come ho detto, cosa assai facile il trovare nella vita spirituale degli ostacoli, per cui si passi pericolo di dare indietro, o se non altro di rattiepidirsi nel fervore per causa di avvilimento, vedete, miei dilettissimi quanto giovi, ed anzi sia necessario che ci armiamo di questa confidenza verso Gesù Cristo; procurando cioè che il nostro cuore s’imbeva dei motivi per cui l’amabilissimo Gesù ha patito, ed è morto, ed in essi trovi quella consolazione quel coraggio, e quella forza della quale ha di bisogno. E per vero qual conforto e qual fiducia maggiore può ricevere la nostra miseria e debolezza che appoggiarsi alla virtù ed ai meriti di Gesù crocifisso? cioè a dire di un Dio che per amor nostro, per nostro bene e per la nostra salute ha versato tutto il suo sangue, ha sagrificato la sua vita, e ci ha regalato ogni bene che provenne da questo sagrifizio? Se in questo mondo si fa tanto caso della mediazione e protezione di un cortigiano, il quale non sagrifiza a pro del suo cliente se non buone parole presso il comune padrone. qual conto non dovremo fare noi della mediazione e protezione di Gesù Cristo, Figliuolo di Dio, e Dio stesso? Di Gesù Cristo che si è fatto nostro fratello, e che s’interpone a nostro vantaggio, sagrificando non parole, ma e sangue e vita, e cedendone a noi tutto il merito, che è infinito?
Eh! no, diceva S. Bernardo a’ suoi religiosi, credetemi, fratelli miei, che non vi ha per un’anima motivo di maggior conforto e di più valevole sostegno per reggere negli incontri difficili, e superare le difficoltà della vita spirituale. Ed io, aggiungeva il santo, vel posso confessare per propria esperienza, dappoichè fin da quando cominciai a dedicarmi di proposito al divin servizio, vedendo che quasi nulla potea contare sulle mie forze e sui meriti miei, e per conseguenza di non potermi ripromettere alcuna cosa di buono, mi determinai di formare come un fascetto di tutte le pene ed amarezze sofferte dal mio Gesù, e mel posi sul cuore; e queste, dissi fra, me, devono essere tutta la mia sapienza, tutte le mie ricchezze, tutti i miei meriti. E di fatti non m’ingannai; poichè qui ho trovato il conforto nelle cose avverse, il ritegno nelle prospere, la guida e la norma sicura per mantenermi sempre fermo e costante nella pratica del santo fervore ».
Finalmente un altro affetto da eccitarsi nel meditare la Passione del Signore è quello dell’imitazione, mediante il quale l’anima si accende a desiderio di conformare la propria vita a quella di Gesù Cristo. Parlando della circostanza, del modo che tenne il Redentore nel soffrire la sua Passione acerbissima, vi feci già notare quanto importi il fondarsi bene sopra tal punto, siccome quello a cui in ultima analisi s’indirizza l’esercizio dell’orazione rnentale. Laonde affinchè la vostra volontà vi si presti con vero trasporto, basti qui ricordare che Gesù Cristo Signor nostro venne in questo mondo non solamente per soddisfare colle sue pene i nostri peccati, ma ancora per insegnare a noi la via della salute, e ciò colle parole e coll’esempio; ed è perciò che l’Apostolo pronunzia quella sentenza: Quos praescivit et praedestinavit, conformes fieri imaginis Filii sui, ut sit ipse primogenitus in multis fratribus. Quelli cioè che vogliono godere i beni della predestinazione, debbono uniformarsi al Figliuol di Dio, perchè egli è il modello ed il tipo dei predestinati come un primogenito di molti fratelli. Invano dunque spera di santificarsi, anzi solamente salvarsi chi non prende a guida di sua condotta la vita e la dottrina di Gesù Cristo Signor nostro.
Devotio, dice il dottore S. Bonaventura, est imitatio. La divozione che non è accompagnata dall’imitazione, è una divozione falsa, illusoria. E così il pontefice S. Gregorio scrive che: amor qui non operatur, non est verus amor. Infine lo stesso Gesù dice nel Vangelo: Qui diligit me, sermonem meum servabit, chi mi ama osserva ciò che io predico. E chi non vuol venire appresso a me, non può essere mio discepolo: Qui non… venit post me, non potest meus esse discipulus.
E per discendere al particolare, quando considerate che Gesù Cristo, il quale essendo signore dell’unïverso, viene su questa terra per insegnarci la via della salute, e sceglie di nascere tra mille disagi, di vivere sconosciuto e disprezzato, e di morire come un uomo vilissimo ed indegno pur anco di stare sulla terra, avete ad imparare il disprezzo in cui si debbon tenere e la stima, e gli onori, ed i beni tutti del mondo; giacchè tanto siamo, quanto siamo dinnanzi a Dio, e qualsiasi felicità terrena non è che vanità, per nulla giovévole alla vita eterna, a cui solo dobbiamo aspirare. Cosi quando considerate le fatiche ed i sudori sparsi da Gesù Cristo per istruire e beneficare tutti, e poi i mali trattamenti che ne ricevè in contraccambio, cercate di trattenervi a ponderare la mansuetudine e la pazienza di lui in tante sofferenze, e come non disse mai una parola in sua discolpa, non fece mai udire un lamento, non diè mai un segno di fastidio o di dispiacere; e quindi procurate che il vostro cuore si riscaldi di affetto per queste virtù e faccia buone risoluzioni di imitarle, come p. es.. nel sopportare volentieri le molestie che vi saran date, di pigliare in buona parte gli sgarbi e le offese che vi sembrerà di ricevere, di sbandire dal vostro animo ogni idea di controgenio, di dispetto, di rancore. Il medesimo discorso vale quando meditate l’umile contegno che mantenne sempre Gesù Cristo nell’essere avvilito, vilipeso, accusato e condannato ingiustamente, sino a diventare l’obbrobrio della plebe. Date allora un sincero sguardo a voi stessi per confondervi della vostra superbiola, e per imparare ad esser umili di cuore, ed amare la vostra abiezione, il vostro abbassamento e disprezzo. Che diremo poi nel considerare la mortificazione dell’amabilissimo Gesù? Oh! qual vasto campo ci presenta questa virtù da meditare e da apprendere, perchè tutta la vita di lui non fu che una serie di patimenti, di croci e di sagrifizi! O quanto vi è da imparare per morire a noi stessi ed a tutte le nostre inclinazioni e soddisfazioni! Quanto vi è da studiare per ottenere la vittoria delle nostre passioni, e giungere a quella mistica crocifissione e morte che forma i veri discepoli del Crocifisso! Così diciamo rapporto all’ubbidienza di cui Gesù Cristo ci ha lasciato esempi tanto luminosi, e nei quali un’anima può imparare ad affezionarsi ad ubbidire, ad operare contro il proprio giudizio e la propria volontà, e prendere l’abitudine di non ricercare tante ragioni, tanti pretesti, e tante scuse. Così diciamo pure rapporto alla carità, nel vedere il nostro amabile Redentore sacrificare tutto se stesso per la gloria del suo divin Padre, e per vantaggio delle anime nostre.

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