La buona confessione
«Mi alzerò, e andrò a gettarmi ai piedi di mio padre, dicendogli: Padre mio, ho peccato contro il cielo e contro di Te»
Autore: Santo Curato d'Ars
Tali sono, fratelli miei, il dolore e il rammarico che il pensiero dei nostri peccati deve produrre nei nostri cuori, e tale fu la condotta che ebbe il figliol prodigo, allorchè, rientrando in se stesso, riconobbe la sua profonda miseria e i beni che aveva perduti, separandosi da un padre così buono.
Sì, egli grida, mi alzerò e andrò a trovare questo buon padre; gettandomi ai suoi piedi, li bagnerò con le mie lacrime.
«Padre mio, coperto dai peccati e dalla vergogna che mi prostra, non oso più guardare il cielo, nè te che sei mio padre, poichè ti ho così orribilmente disprezzato; ma sarei fin troppo felice, se tu volessi annoverarmi nel numero dei tuoi servi».
Bel modello, fratelli miei, per un peccatore che, essendo toccato dalla grazia, sperimenta la profondità della sua miseria e il peso dei suoi peccati e dei suoi rimorsi che lo divorano: felice, e mille volte felice il peccatore che si avvicina al suo Dio con gli stessi sentimenti di dolore e di fiducia, di questo grande penitente.
Sì, fratelli miei, com’è sicuro di trovare in Dio un Padre pieno di bontà e di tenerezza, che gli rimetterà volentieri i suoi peccati e gli renderà tutti i beni che il peccato gli ha rapiti!
Ma di che cosa voglio parlarvi, dunque?
Ah! consolatevi, vengo ad annunciarvi la più grande di tutte le felicità.
Ah! che dico? vengo ad esporre ai vostri occhi la grandezza delle misericordie di Dio.
Ah! povera anima, consolati!
Mi sembra di sentirti gridare come il cieco di Gerico: «Ah! Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!» (Luca 18,38).
Sì, povera anima, tu troverari…(testo mancante; n.d.a.).
Qual è il mio progetto, fratelli miei? Eccolo: è quello di mostrarvi, nella maniera più semplice e più familiare, le disposizioni che dovete apportare accostandovi al sacramento della Penitenza.
Ce ne sono cinque, ed eccole: la nostra confessione, per essere buona e meritarci il perdono dei nostri peccati, deve essere:
1°- umile;
2°- semplice;
3°- prudente;
4°- completa;
5°- sincera.
Se le vostre confessioni sono accompagnate da queste condizioni, siate sicuri del vostro perdono.
In seguito vedremo in quale maniera l’assenza di queste condizioni possa rendere le nostre confessioni sacrileghe.
Parlando, fratelli miei, a dei cristiani che non cercano altro che i mezzi per salvare le loro povere anime, non è necessario dimostrarvi il carattere divino della confessione, ma è sufficiente dirvi che è stato Gesù Cristo stesso ad istituirla, dicendo agli apostoli, come ai loro successori: «Ricevete lo Spirito Santo: i peccati saranno rimessi a coloro ai quali voi li rimetterete, e resteranno non rimessi, a coloro ai quali voi non li rimetterete» (Giovanni 20,22-23);
oppure anche, se volete, quando dice: «Tutto ciò che scioglierete sulla terra, sarà sciolto in cielo, e tutto ciò che legherete sulla terra, sarà legato anche in cielo» (Matteo 18,18).
Queste parole ci mostrano veramente la divinità della confessione e la necessità della stessa confessione.
Infatti, come poter rimettere o non rimettere i peccati, se non li si facesse conoscere a coloro che hanno questo potere sublime e ammirevole?
Non sarà nemmeno necessario mostrarvi i vantaggi della confessione; una sola parola è sufficiente, poichè, dopo un solo peccato mortale, senza la confessione, giammai vedremo Dio, e, per tutta l’eternità, saremo condannati a sperimentare tutti i rigori della sua collera e ad essere maledetti (Matteo 25,41!).
Non vi dirò neppure che la confessione ci fa riguadagnare l’amicizia del nostro Dio, e ridona alla nostra anima la vita e tutte le nostre opere, che il peccato aveva fatto morire (cioè si recupera il merito delle opere buone precedenti; n.d.a.).
Se voi non sentite tutta questa felicità, tutti i vantaggi della confessione, andate a interrogare i demoni che bruciano all’inferno, ed essi vi insegneranno a stimarla e ad approfittarne.
Sì, fratelli miei, se interroghiamo tutti i cristiani dannati, sul perchè essi bruciano, tutti ci diranno che la causa della loro infelicità deriva, o dal fatto di aver disprezzato il sacramento della Penitenza, che è la confessione, oppure dal non avere avuto le disposizioni necessarie, quando le si sono accostati.
Se da questo luogo di orrore salite in cielo, se domandaste a tutti quei vecchi peccatori che hanno trascorso venti o trent’anni nel disordine morale, che cosa procuri loro tanta gioia e tanti piaceri, tutti vi direbbero che solo questo sacramento della Penitenza è valso loro questi beni infiniti.
No, fratelli miei, nessuno dubiti di una verità così consolante per un peccatore che abbia perduto il suo Dio a causa del peccato, e cioè poter trovare un mezzo così facile e così efficace per riguadagnare ciò che il peccato aveva rapito loro.
Se chiedessi a un bambino: «che cos’è la confessione?, egli mi risponderebbe semplicemente che è l’accusa dei propri peccati, fatta a un sacerdote approvato, per riceverne l’assoluzione, e cioè il perdono».
Ma perchè, mi direte voi, Gesù Cristo ci assoggetta a un’accusa così umiliante, che costa tanto al nostro amor proprio?
Amico mio, ti risponderò che è precisamente per umiliarci, che Gesù Cristo ce lo ha imposto.
Non vi è dubbio che è penoso, per un orgoglioso, andare a dire a un confessore tutto il male che ha fatto, tutto quello che ha progettato di fare, tanti cattivi pensieri, tanti desideri corrotti, tante azioni ingiuste e vergognose che vorrebbe poter nascondere perfino a se stesso.
Ma voi non fate attenzione al fatto che l’orgoglio è la sorgente di tutti i peccati, e che ogni peccato è un’orgogliosa rivolta della creatura contro il Creatore; è giusto, dunque che Dio ci abbia condannati a quest’accusa così umiliante per un orgoglioso.
Ma guardiamo questa umiliazione con gli occhi della fede, e ditemi: è forse una cosa penosa scambiare una confusione pubblica ed eterna (il Giudizio e l’inferno; n.d.a), con una confusione di cinque minuti, tanto ci vuole per riferire i nostri peccati a un ministro del Signore, onde riguadagnare il cielo e l’amicizia del nostro Dio?
«Ma perchè, mi direte voi, ci sono di quelli che nutrono tanta ripugnanza verso la confessione, e la maggior parte vi si accostano male?».
Ahimè! fratelli miei, è perchè, gli uni hanno perso la fede, gli altri sono orgogliosi, e altri non sentono le piaghe della loro povera anima, nè le consolazioni che la confessione procura a un cristiano che vi si accosti degnamente.
Chi è colui, fratelli miei, che ci comanda di confessarci di tutti i nostri peccati, sotto pena di dannazione eterna?
Ahimè! fratelli miei, lo sapete bene quanto me: è Gesù Cristo stesso; e tutti vi sono obbligati, dal santo Padre fino all’ultimo artigiano.
Mio Dio, quale accecamento, disprezzare e non fare caso di un mezzo così facile e così efficace per guadagnarci una felicità infinita, libarandoci dalla più grande di tutte le disgrazie, che è la collera eterna.
Ma tutto ciò, fratelli miei, non è ancora ciò che mi sembra più necessario che sappiate, poichè voi sapete già che la confessione è il solo mezo che ci resti per uscire dal peccato: o confesseremo i nostri peccati, o andremo a bruciare nelle fiamme dell’inferno; noi sappiamo che, per quanto grandi, enormi e numerosi possano essere i nostri peccati, siamo sicuri del nostro perdono, se li confessiamo.
Ma ecco ciò che dovete assolutamente sapere; ascoltatemi bene.
In primo luogo, dico che la confessione deve essere umile, cioè che dobbiamo considerarci, nel tribunale della penitenza, come un criminale davanti al suo giudice, che è Dio stesso; dobbiamo accusare noi stessi, i nostri peccati, senza aspettare che il prete ci interroghi, sull’esempio di Davide che diceva:«Sì, mio Dio, accuserò io stesso i miei peccati al Signore», e non fare come fa la maggior parte dei peccatori, che raccontano i loro peccati, come se fossero una storia indifferente, che non mostrano nè dolore nè rammarico, per aver offeso Dio, che sembrano confessarsi solo per commettere dei sacrilegi.
O mio Dio! ci si può pensare senza morire di orrore?
Se il confessore si vede costretto a farvi qualche rimostranza che ferisca un po’ il vostro amor proprio, se vi impone qualche penitenza che vi ripugna, o se, perfino, vi rifiuta l’assoluzione, state attenti a non mormorare e ancor meno a discutere con lui, rispondendogli con arroganza, come fanno alcuni peccatori induriti e venduti all’empietà; che usciranno dalla chiesa perfino incolleriti, senza mettersi in ginocchio.
Non dimenticate mai che il tribunale della penitenza, sul quale siede il sacerdote, è veramente il tribunale di Gesù Cristo; che è Lui che ascolta la vostra accusa, che vi interroga, che vi parla e che pronuncia la sentenza di assoluzione.
Io dico che bisogna accusarsi con umiltà, cioè, senza mai gettare le proprie colpe sugli altri, come fa la maggior parte di quelli che si confessano, simili ad Adamo che scaricò la colpa su Eva, ed Eva sul serpente, invece di riconoscersi umilmente colpevoli, ammettendo che non fu che per colpa propria che peccarono; invece fanno tutto il contrario.
Un uomo soggetto alla collera, darà la colpa a sua moglie e ai suoi figli; un ubriaco, alla compagnia che lo ha incitato a bere; un vendicativo, a un’ingiuria che gli sia stata fatta; un maldicente, al fatto che, in fondo, non ha detto altro che la verità; un uomo che lavora di domenica, ai suoi affari che lo pressano o che vanno male.
Una madre che faccia mancare la preghiera ai suoi figli, si scuserà col fatto che non abbia tempo.
Ditemi, fratelli miei, è questa una confessione umile?
Vedete chiaramante che no.
«Mio Dio, diceva il santo re Davide, metti, per favore, una custodia alla mia bocca, affinchè la malizia del mio cuore non trovi nessuna scusa per i miei peccati» (Salmo 141 3-4).
Affermo dunque che dobbiamo farci conoscere così come siamo, affinchè la nostra confessione sia buona e capace di riguadagnarci l’amicizia di Dio.
Ho detto anche che la confessione deve essere semplice, cioè bisogna evitare tutte quelle accuse inutili, tutti quegli scrupoli che fanno ripetere cento volte la stessa cosa, che fanno perdere tempo al confessore, stancano quelli che aspettano per confessarsi, e spengono la devozione.
Bisogna mostrarsi così come si è, con una dichiarazione sincera; bisogna accusare ciò che è dubbio, come dubbio, ciò che è certo, come certo. Per esempio: se pensaste che non vi siete fermati su dei cattivi pensieri, e dubitate di averne provato piacere, sarebbe mancare di sincerità dire che ne avete avuto solo il pensiero; oppure, dire che ciò che avete rubato non vale poi tanto, dubitando che forse valga di più; oppure dire: «Padre mio, mi accuso di avere dimenticato un peccato in una delle mie confessioni», mentre è stato per una cattiva vergogna o per negligenza.
Queste maniere di accusarvi sarebbero la causa per cui commettereste un orribile sacrilegio.
Aggiungo anche che sarebbe mancare di sincerità, attendere che il confessore vi interroghi su certi peccati; se avete avuto la volontà celata di non dirli, non sarebbe sufficiente dichiararli solo perchè il confessore ve lo ha chiesto, ma bisognerebbe aggiungere: «Padre mio, se tu non mi avessi interrogato su questo peccato, io non te lo avrei detto».
Se voi mancaste di questa sincerità, la vostra confessione sarebbe nulla e sacrilega (posono sembrare sottigliezzema non lo sono, perchè in realtà smascheranouna grave insincerità di fondo, laddove la sincerità verso il confessore, e quindi verso Dio, è essenziale; n.d.a.).
Evitate, fratelli miei, evitate questi mascheramenti: che il vostro cuore sia sulle vostre labbra.
Voi potreste anche imbrogliare il vostro confessore, ma ricordatevi bene che non potrete ingannare il buon Dio, che vede e conosce i vostri peccati meglio di voi.
Se talvolta il demonio, quel maledetto satana, vi tentasse per farvi nascondere o mascherare qualche peccato, fate subito questa riflessione: «Ma io mi renderò ancora più colpevole di quello che sono; commetterei un peccato molto più orribile di quello che vorrei nascondere, poichè sarebbe un sacrilegio; io posso benissimo nasconderlo al prete, ma Dio lo conosce meglio di me; presto o tardi, bisognerà pure che lo dichiari, oppure dovrò decidere di andare a bruciare eternamente all’inferno.
Avrò una piccola umiliazione dicendolo, è vero, ma che cos’è questo in confronto a quell’altra umiliazione pubblica ed eterna?
Un malato, dovete dire a voi stessi, che desidera la guarigione, non teme di scoprire le malattie più vergognose e più segrete, per potervi applicare i rimedi; e io dovrei temere di scoprire le piaghe della mia povera anima al mio medico spirituale, affinchè mi guarisca?
Potrei mai rimanere in uno stato di dannazione per il resto della mia vita?».
Se non vi sentite il coraggio di dichiarare certi peccati, dite al sacerdote: «Padre mio, ho un peccato che non oso dirti, aiutami, per favore».
Sebbene questa disposizione sia imperfetta, tuttavia ciò ve la farà accusare: cosa assolutamente necessaria.
In terzo luogo, dico che la confessione deve essere prudente: ciò significa che bisogna accusare i propri peccati con termini onesti; e inoltre, che non bisogna far conoscere i peccati degli altri, senza necessità.
Dico “senza necessità”, perchè può essere qualche volta che ciò sia necessario, allorchè non si possa fare altrimenti, se non far conoscere le colpe altrui, come per esempio: avete avuto la disgrazia di commettere un peccato contro la santa virtù della purezza, e ciò, insieme a uno o una dei vostri parenti; bisognerà dire questa circostanza, altrimenti fareste un sacrilegio (in quanto cambia la specie del peccato; n.d.a).
Ammettiamo che vi troviate in una casa dove ci sia una persona che vi induce al male: voi siete obbligati a dirlo, poichè vi trovate nell’occasione prossima del peccato.
Ma dicendo ciò, dovete avere l’intenzione di accusare i vostri peccati, e non quelli degli altri.
In quarto luogo, ho detto che la confessione deve essere intera, e cioè che bisogna dichiarare tutti i peccati mortali, secondo la specie, il numero, e le circostanze necessarie.
Ho detto per prima cosa la specie: non basta dire in generale che si è molto peccato, ma bisogna dire anche quali sono queste specie di peccati che si sta accusando: se si tratta di furto, di menzogna, d’impurità, e tutto il resto.
Ma non basta neppure dire la specie, bisogna anche dire il numero.
Ad esempio, se diceste: «Padre mio, mi accuso di essere mancato alla Messa, di aver rubato, di aver parlato male, di aver fatto delle cose disoneste»: tutto questo non sarebbe abbastanza; bisogna dire quante volte lo avete fatto; dovete anche entrare nei dettagli, specificare certe circostanze.
Ma può darsi che non comprendiate che cosa sia una circostanza: vuol dire le particolarità che accompagnano i nostri peccati, che li rendono più o meno colpevoli, o più o meno scusabili; e queste circostanze riguardano soprattutto la persona con la quale si pecca, se è una parente, e di quale grado, padre, madre, fratello, sorella, una figlioccia col suo padrino, un figlioccio con la sua madrina, un cognato con una cognata.
In secondo luogo riguardano la qualità o quantità dell’oggetto che è materia del peccato; in terzo luogo, il motivo che vi induce a peccare; in quarto luogo, il tempo in cui avete peccato, se era di domenica, se è stato durante gli uffici sacri; in quinto luogo riguardano il posto in cui avete peccato, se si tratta di un luogo consacrato alla preghiera, e cioè una chiesa; in sesto luogo la maniera in cui avete commesso il peccato, e infine, quali sono state le conseguenze di quel peccato.
Vi sono anche delle circostanze che cambiano la specie del peccato, e cioè che generano un peccato di un’altra natura.
Per esempio, commettere atti impuri con una persona sposata è adulterio; con una parente, è incesto; fermarsi su un cattivo pensiero, acconsentire a un cattivo desiderio, a uno sguardo cattivo, è un peccato contro la castità, ma se lo si fa dentro una chiesa, diventa una profanazione di un luogo santo, è una specie di sacrilegio.
Ecco le circostanze che cambiano la specie del peccato.
Ci sono delle circostanze che, senza cambiarla, la aggravano molto, per esempio: colui che compie qualche peccato alla presenza di molte persone, o davanti ai figli; colui che bestemmia il santo Nome di Dio, che nutre propositi disonesti, che diffonde una maldicenza davanti a molte persone, ha fatto un peccato più grande di colui che lo abbia fatto davanti a poche persone; colui che ha detto delle parole disoneste, per ore intere, ha compiuto un peccato più grande che se le avesse dette solo per un po’ di tempo.
Parlare male per odio, per invidia, per risentimento, è un peccato molto più grave che se lo fosse fatto solo per leggerezza.
Ubriacarsi, andare alla danza, al ballo, al cabaret, di domenica, è un peccato più grave che andarci in un giorno lavorativo, perchè quel giorno è consacrato a Dio in una maniera particolare.
Ecco, fratelli miei, le circostanze che bisogna dichiarare, senza le quali, tremate per le vostre confessioni.
Ahimè! dove sono quelli che prendono queste precauzioni?
Che equivale a dire: dove sono quelli che fanno delle buone confessioni?
Lo si vede bene, dal loro modo di vivere.
Bisogna accusare anche se si tratta di un peccato abitudinario, e da quanto tempo dura quest’abitudine; se i peccati che si sono commessi, li si è compiuti per malizia o con riflessione, e le conseguenze di questi peccati, perchè solo in questa maniera possiamo farci conoscere dal confessore.
Guardate un malato nei confronti del suo medico; come si comporta?
Egli gli scopre non solo il suo male, ma anche gli inizi e lo sviluppo; e lo fa con i termini più chiari possibile.
Se il medico non lo comprende, egli lo ripete, non nasconde e non maschera nulla di tutto ciò che creda essere necessario per far conoscere la sua malattia e procurargli la guarigione.
Ecco, fratelli miei, come dobbiamo comportarci verso il nostro medico spirituale, per metterlo nella condizione di conoscere bene le piaghe della nostra anima, e cioè così come noi stessi ci conosciamo davanti a Dio.
Ho detto anche che bisogna specificare il numero.
Ricordatevi bene che se non dite anche il numero dei vostri peccati mortali, le vostre confessioni non valgono nulla; dovete dire quante volte si sia caduti nello stesso peccato, poichè ogni volta è un nuovo peccato.
Se avete commesso tre volte un peccato, ma diceste solo due volte, quello che avete trascurato sarebbe la causa per cui la vostra confessione sarebbe un sacrilegio, se si tratta di un peccato mortale, come si suppone.
Ahimè! fratelli miei, quanti tra coloro che sono caduti in questa colpa, gli uni bruciano nell’inferno, e gli altri forse non ripareranno mai questa catena di confessioni e di comunuoni sacrileghe!
Essi si accontenteranno di dire: «Padre mio, mi accuso di aver parlato male, di avere giurato»;
«Ma quante volte?», chiederà loro il sacerdote.
«Non molto spesso, qualche volta».
E’ forse questa, fratelli miei, una confessione completa?
Ahimè! quanti dannati! quante anime riprovate!.
Lo sapete, fratelli miei, quando è permesso dire «molte volte, all’incirca»?; è quando fate una confessione lunga (che abbraccia un lungo tempo), allorchè vi sia impossibile dire esattamente quante volte avete fatto un certo peccato; allora, ecco cosa dovete fare: dite quanto tempo è durata quell’abitudine, quante volte, pressappoco vi siete caduti, se per settimane, per mesi o per anni; se l’abitudine è stata interrotta per qualche tempo, e in questo modo vi avvicinerete al numero preciso, per quanto possibile.
Se malgrado tutta la cura che vi siete presa nel vostro esame di coscienza, è rimasto fuori qualche peccato, la vostra confessione non smetterà di essere valida; vi basterà dire, nella prossima confessione: «Padre mio, mi accuso di avere dimenticato involontariamente un peccato nella mia ultima confessione», e così verrà compreso tra quelli che avete già accusati.
E’ per questo che, quando vi accusate, voi dite: «Padre mio, mi accuso di questi peccati e di quelli che non mi ricordo» (la meticolosa e quasi pignola analisi dei peccati mortali, che il curato richiede dal penitente, come già abbiamo notato, non è affatto da attribuire a lui, ma alla prassi obbligatoria della Chiesa di quel tempo; in ogni caso, occorre dire che oggi si esagera nel senso opposto, e che nella Bibbia è scritto: «Non ti impigliare due volte nel peccato, perchè neppure di uno solo resterai impunito»: Siracide 7,8!; n.d.a).
Quanto poi ai peccati veniali, in cui si cade così spesso, non si è obbligati a confessarsene, perchè questi peccati non ci fanno perdere la grazia e l’amicizia del buon Dio, e si può ottenerne il perdono con altri mezzi, e cioè con la semplice contrizione del cuore, con la preghiera, il digiuno, l’elemosina e il santo sacrificio della Messa.
Tuttavia il Concilio di Trento insegna che è molto utile confessarsene (sess.14, cap.5).
Eccovene le ragioni:
1°- perchè spesso un peccato che noi crediamo veniale, davanti a Dio può essere mortale;
2°- perchè ne riceviamo più facilmente il perdono per mezzo del sacramento della Penitenza;
3°- perchè la confessione dei nostri peccati veniali ci rende più vigilanti su noi stessi;
4°- perchè i consigli del confessore possono aiutarci a correggerci;
5°- perchè l’assoluzione che riceviamo, ci dona le forze per farceli evitare.
Ma se li confessiamo, dobbiamo farlo con rammarico e col desiderio di correggercene: altrimenti ci esporremo a commettere un sacrilegio.
E’ per questo che, secondo il consiglio di san Francesco di Sales, allorchè non avete da rimproverarvi altro che dei peccati veniali, bisogna, alla fine della vostra confessione, accusarvi di un grosso peccato della vostra vita passata, dicendo: «Padre mio, mi accuso di avere in altri tempi commesso un certo peccato», dicendo, come se non l’avessimo mai confessato, le circostanze e il numero delle volte che lo abbiamo commesso (ci sembra che quest’ultimo consiglio sia un po’ artificioso: tanto varrebbe allora, evitare del tutto le confesioni cosiddette “devozionali”, fatte cioè solo per i peccati veniali; n.d.a).
Ecco, pressappoco, fratelli miei, le qualità che deve avere una confessione, per essere valida.
Adesso sta a voi esaminare se le vostre confessioni passate siano state accompagnate da tutte le qualità di cui abbiamo appena parlato.
Se vi ritrovate colpevoli, non perdete tempo: può darsi che nel momento in cui vi riprometterete di ritornare sui vostri passi, voi non siate più al mondo, che voi già bruciate nell’inferno, col rimpiato per non avere compiuto ciò che potevate fare così facilmente mentre eravate sulla terra, avendo avuto tutti i mezzi necessari per questo.
Vediamo ora, in poche parole, in quante maniere possiamo venir meno a queste disposizioni.
Voi sapete, fratelli miei, perchè lo avete appreso fin dall’infanzia, che l’integrità e la sincerità sono le qualità assolutamente necessarie per fare una buona confessione, e cioè per avere la felicità di ricevere il perdono dei vostri peccati.
Il mezzo più sicuri per fare una buona confessione è dichiarare i vostri peccati con semplicità, dopo esservi ben esaminati; poichè un peccato trascurato per mancanza di esame, sebbene se l’aveste conosciuto lo avreste detto, non cesserà, comunque, di rendere la vostra confessione sacrilega.
Tuttavia, fratelli miei, si trova un gran numero di cristiani che vanno a confessarsi spesso, senza neppure pensare alle loro colpe, o, almeno, ci pensano in una maniera così leggera che, quando si confessano, essi non hanno niente da dire se il prete non li esamina lui stesso.
Succede soprattutto tra quelli che si confessano raramente, che spesso non temono di mentire a Dio stesso, nascondendo volontariamente dei peccati che la loro coscienza rimprovera loro, e che, dopo una simile confessione, hanno l’ardire di andarsi a presentare alla Tavola santa per mangiare, come dice san Paolo, la loro stessa condanna (1 Corinzi 11,29!).
Ma ecco, fratelli miei, quelli che sono più soggetti a fare delle cattive confessioni: sono coloro che, per qualche tempo, hanno adempiuto fedelmente i loro doveri religiosi.
Il demonio, che non risparmia nulla pur di farli perdere, li tenta orribilmente.
Se essi giungono a soccombere, spaventati per la vergogna di farsi riconoscere così colpevoli, sono condotti a una fine molto sciagurata.
Essi hanno l’abitudine di andare a confessarsi in una certa festa, tuttavia temono che se non vanno a confessarsi vengano notati; ma non vorrebbero confessarsi colpevoli, e allora cosa fanno? non dicono il loro peccato, e cominciano una catena di sacrilegi che forse durerà fino alla morte, senza avere la forza di spezzare una buona volta quella catena.
Sarà il caso di un uomo che non voglia restituire una cosa che ha rubato, o riparare un’ingiustizia che ha compiuto, o non più incassare gli interessi usurai dal suo denaro; o, se volete ancora, una moglie o una giovane che abbia qualche frequentazione cattiva e che non vorrebbe interromperla.
E che partito prendono queste persone? Ecco: è quello di non dire nulla, e di indirizzarsi volontariamente sulla strada dell’inferno.
Amici miei, vi dirò: voi vi accecate terribilmente; chi pensate di ingannare, e a chi volete nascondere il vostro peccato? non è a un uomo, ma a Dio stesso, che lo conosce molto meglio di voi, che vi aspetta nell’altra vita per punirvi non per un momento, ma per una eternità (purtroppo ai nostri giorni, con tanti impostori, imbonitori delle folle, la moralità ha perso questosuo mordente fondamentale; n.d.a.).
E quanti ce ne sono in questo numero! Persone che fanno professione di pietà e che si lasciano ingannare con queste miserabili considerazioni: «Che penseranno di me, se non mi vedono fare la Comunione, come al solito?».
Questa considerazione li blocca e li getta nel sacrilegio.
O mio Dio! si può mai vivere tranquilli dopo ciò?
Ma, grazie a Dio, queste anime nere e votate all’iniquità non sono la maggioranza.
Ma ecco la catena con la quale il demonio ne trascina la maggior parte all’inferno: sono coloro che, dichiarando i loro peccati, li nascondono con il modo in cui li accusano; non li si conosce meglio dopo la confessione, di quanto non li si conoscesse prima!
Chi potrebbe narrare, poi, tutti i mascheramenti, tutti gli artifici che il demonio ispira loro per farli perdere e per ingannare il confessore? Ve li mostrerò.
In primo luogo dico: il mascheramento nel modo di accusarli; questi tali si serviranno dei termini più capaci di diminuirne la vergogna.
Qual è la preparazione di alcuni?
Non è quella di domandare a Dio la grazia di riconoscere bene i loro peccati, ma di tormentarsi su come riuscire a dirli, provandone meno vergogna.
Senza quasi accorgersene, essi li affievoliscono notevolmente; gli scatti di collera diventeranno solo delle impazienze, i discorsi più indecenti non saranno altro che delle parole un po’ troppo libere; i desideri più vergognosi, le azioni più infami, non saranno altro che delle familiarità poco decenti; le ingiustizie più enormi, diventeranno solo dei piccoli torti; gli eccessi dell’avarizia diventeranno solo un attaccamento un po’ troppo grande ai beni della terra.
Di modo che, quando la morte arriverà, e Dio farà vedere loro i peccati così come sono, allora riconosceranno che hanno detto i loro peccati solo a metà, in quasi tutte le loro confessioni.
E che cosa ne seguirà, se non una catena di sacrilegi?
O mio Dio! ci si può mai pensare e non imparare a essere più sinceri nelle proprie confessioni, per avere la felicità di ricevere il perdono?
In secondo luogo, dico che si mascherano i propri peccati riguardo alle circostanze che non si ha cura adeguata di dichiarare, e che spesso sono più criminali delle stesse azioni: per esempio, una persona la cui unica occupazione è quella di parlare male, di censurare, o forse anche di calunniare, si accuserà di avere detto delle parole “svantaggiose” verso il prossimo; ma non dice che fu per orgoglio, per invidia, per odio e per risentimento; nè dice quale perdita abbia prodotto alla reputazione del suo prossimo.
Al contrario, se le si domanda se quelle parole abbiano nociuto al prossimo, questa persona risponde tranquillamente di no, senza avere esaminato bene se sì oppure no.
Voi dite che avete parlato male, ma non dite se lo avete fatto contro il vostro pastore o un’altra persona consacrata a Dio, la cui reputazione è assolutamente necessaria per il bene della religione; non dite se quello che avete detto è falso, e cioè se si tratta di una calunnia; vi accusate di aver detto delle parole contro la religione e contro la modestia, ma non dite che la vostra intenzione era quella di far vacillare la fede di quel giovane, per persuaderlo ad acconsentire ai vostri cattivi desideri, dicendogli che non vi era nessun male in quella cosa, e che non bisognava confessarsene.
Una giovane dirà che si è abbigliata col desiderio di piacere agli altri; ma non dirà che la sua vera intenzione era quella di dar luogo a dei cattivi pensieri.
O mio Dio! non si dovrebbe relegare tali persone nel fondo delle foreste, dove i raggi del sole non abbiano potuto mai penetrare?
Un padre si accuserà di essere andato al cabaret, e di essersi ubriacato; ma non dirà che è servito di scandalo a tutta la sua famiglia.
Una madre dirà sì, che ha detto parole cattive contro il suo prossimo e che è montata in collera; ma non dirà che i suoi figli e i suoi vicini ne sono stati testimoni.
Un altro si accuserà sì, di aver avuto o permesso delle familiarità poco decenti, ma non dirà che la sua intenzione era quella di peccare con quella persona, se avesse potuto sedurla, o se non avesse avuto paura degli altri.
Costui dirà sì, che è mancato alla santa Messa di domenica, ma non dirà che ha fatto mancare anche altri, oppure che molte persone lo hanno visto, cosa che le ha scandalizzate, e forse anche i suoi figli o i suoi domestici.
Voi vi accusate sì, di essere andati al cabaret, ma non dite che è stato di domenica, e durante la Messa o i Vespri; che la vostra intenzione era di portarne altri con voi, se lo aveste potuto.
Voi non dite che siete usciti dalla chiesa per andare al cabaret, e che è stato durante l’istruzione, infischiandovene di quello che diceva il vostro pastore.
Voi vi accusate sì, di aver mangiato carne nei giorni proibiti; ma non dite che lo avete fatto per prendervi gioco della vostra religione e per disprezzare le sue sante leggi.
Voi dite sì, che avete pronunciato parole sporche, ma non dite che è stato perchè avevate davanti agli occhi una persona di pietà, con lo scopo quindi di screditare la religione e distruggerla nel suo cuore.
Voi dire ancora che lavorate di Domenica, ma non dite che è per avarizia, disprezzando i divieti della Chiesa.
Vi accusate di avere dei cattivi pensieri, ma non dite che vi siete offerta voi stessi l’occasione, andando volontariamente con persone che sapevate molto bene che non avevano altro che cattivi propositi da sfornare.
Voi dite sì, che non avete ascoltato la santa Messa, come si deve, ma dimenticate di dire che ne avete dato occasione arrivando fino alla porta della chiesa senza prepararvi; forse vi siete entrati senza fare un atto di contrizione, ma non dite nulla di tutto ciò, e tuttavia una buona parte di circostanze mancanti, possono rendere sacrileghe le vostre confessioni.
O quanti cristiani dannati, perchè non hanno saputo confessarsi!
Voi, forse, vi siete accusati di non essere bene istruiti, ma avete mancato di dire che non conoscevate i principali misteri della fede, che bisogna assolutamente conoscere per essere salvati.
Avete dimenticato di dire che non osate domandare al vostro confessore di interrogarvi, per sapere se siete sufficientemente istruiti per non dovervi dannare, e per ricevere i sacramenti degnamente; forse non ci avete mai neppure pensato!
O mio Dio! quanti cristiani perduti!
In terzo luogo, chiamo mascheramento anche il tono della voce che si impiega nel dichiarare certi peccati più umilianti, cercando di esporli in maniera tale che il confessore possa ascoltarli, senza porvi molta attenzione.
Si comincerà con l’accusare tanti piccoli peccati, come: «Padre mio, mi accuso di aver mancato di prendere l’acqua benedetta la mattina e la sera, di aver avuto delle distrazioni durante la preghiera, e altre cose simili»; poi, dopo aver “addormentato”, meglio che possono, l’attenzione del confessore, con una voce un po’ più bassa e nella maniera più rapida, si “glissa” sulle abominazioni e sugli orrori.
Insensati! si potrebbe dire loro, qual è quel demonio che vi ha così sedotti da indurvi a tradire miserevolmente la verità?
Ditemi, fratelli miei, qual è il motivo che vi può portare a mentire in questo modo, durante la confessione?
E’ forse la paura che il confessore si faccia una cattiva opinione di voi?
Vi