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La chiamata universale all'apostolato

Tratto da "La Chiesa nostra Madre" II - Josemaría Escrivá testimone dell'amore alla Chiesa

Autore: San Josemaría Escrivá

Anima sacerdotale: chiamata universale all’apostolato

Se si volesse mettere in risalto il punto centrale del pensiero e degli insegnamenti del Concilio Vaticano II, si dovrebbe evidenziare in primo luogo la concezione della Chiesa come «un popolo adunato nella unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» [Lumen gentium, 4], secondo un’espressione di san Cipriano raccolta dalla costituzione Lumen gentium. Questo popolo unito, il Corpo Mistico di Cristo, prolunga sulla terra, fino alla fine dei tempi, l’azione redentrice e santificatrice del Capo attraverso tutti i fedeli cristiani, perché tutti sono chiamati, ciascuno nelle sue circostanze specifiche, a realizzare il grande compito di avvicinare gli uomini a Dio: «Nostro Signore Gesù, “che il Padre santificò e inviò nel mondo” (Gv 10, 36), ha reso partecipe tutto il suo Corpo Mistico di quella unzione con la quale è stato unto: in esso, infatti, tutti i fedeli formano un sacerdozio santo e regale» [Concilio Vaticano II, decr. Presbyterorum ordinis, 2].

Monsignor Escrivá, esponendo dagli inizi dell’Opus Dei questa dottrina sul sacerdozio comune dei fedeli, ricordava ai membri dell’Opera — laici dediti professionalmente alle più diverse attività e occupazioni secolari — che, in un modo perfettamente compatibile con la loro mentalità laicale, possedevano anche un’anima sacerdotale: «Se il Figlio di Dio si fece uomo e morì su una croce, fu perché tutti gli uomini fossero una sola cosa con Lui e con il Padre (cfr Gv 17, 22). Tutti, pertanto, siamo chiamati a far parte di questa divina unità. Con anima sacerdotale, facendo della santa Messa il centro della nostra vita interiore, cerchiamo di stare con Gesù, fra Dio e gli uomini» [Lettera, 11 marzo 1940]. «Noi tutti, con il battesimo, siamo stati costituiti sacerdoti della nostra stessa esistenza, “per offrire vittime spirituali”, ben accette a Dio, “per mezzo di Cristo” (1 Pt 2, 5), per compiere ciascuna delle nostre azioni in spirito di obbedienza alla volontà di Dio, perpetuando così la missione dell’Uomo-Dio» [È Gesù che passa, 96]. Qui trova fondamento la responsabilità apostolica dell’anima sacerdotale, che sente l’urgenza divina, battesimale, di corredimere con Cristo.

Il Concilio ha ricordato: «Tutta l’attività del Corpo Mistico ordinata a questo fine si chiama “apostolato”, che la Chiesa esercita mediante tutti i suoi membri, naturalmente in modi diversi; la vocazione cristiana infatti è per sua natura anche vocazione all’apostolato» [Concilio Vaticano II, decr. Apostolicam actuositatem, 2]. La missione di Cristo che la Chiesa continua è — all’interno dell’ordine gerarchico che il sacerdozio ministeriale stabilisce e garantisce — una missione che, ratione Baptismi [Cfr Lumen gentium, 33; Apostolicam actuositatem, 3; IDEM, decr. Ad gentes, 15], compete a tutti i fedeli, membra attive di un corpo vivo: «A ogni discepolo di Cristo incombe il dovere di spargere, quanto gli è possibile, la fede» [Lumen gentium, 17].

Questa vocazione universale all’apostolato, che nell’anima sacerdotale è inseparabilmente unita all’invito universale alla santità, fu anch’essa un’urgenza costante negli insegnamenti di monsignor Escrivá. Intese sempre la responsabilità apostolica dei laici come un mandato divino — dinamismo della grazia sacramentale — perché lo stesso Cristo ha affidato ai battezzati il dovere e il diritto di dedicarsi all’apostolato, soprattutto e principalmente dentro e attraverso le stesse circostanze e strutture secolari — non ecclesiastiche — nelle quali si svolge la loro vita quotidiana e normale di cittadini e di comuni cristiani: «Nel 1932, commentando ai miei figli dell’Opus Dei alcuni degli aspetti e delle conseguenze della peculiare dignità e della responsabilità che il battesimo conferisce alle persone, scrivevo loro in un documento: “Va respinto il pregiudizio secondo cui i comuni fedeli non possono far altro che prestare il proprio aiuto al clero, in attività ecclesiastiche. Non si comprende perché l’apostolato dei laici debba sempre limitarsi a una semplice partecipazione all’apostolato gerarchico. Essi stessi hanno il dovere di esercitare l’apostolato. E non perché ricevano una missione canonica, ma perché sono parte della Chiesa; la loro missione […] la assolvono attraverso la professione, il mestiere, la famiglia, fra i colleghi, gli amici”» [Colloqui con monsignor Escrivá, Edizioni Ares, Milano 1987, 21].

Anima sacerdotale — anima desiderosa di far fruttare in opere il sacerdozio spirituale ricevuto — vuol dire spirito apostolico, ansia di servizio, impegno nel trasformare le azioni più normali di ogni giorno, le relazioni familiari e sociali, il lavoro professionale ordinario, in occasioni efficaci di incontro filiale e continuo con Dio. «Perché Cristo», ripeteva nuovamente il fondatore dell’Opus Dei durante la sua predicazione per tutta l’America Latina, «passa sempre accanto a noi; passa, con l’intenzione di fermarsi». Noi cristiani abbiamo l’obbligo di comunicare a tutte le genti che Cristo sta passando continuamente al nostro fianco, per percorrere assieme a ciascuno di noi il nostro stesso cammino; e — se lo ascoltiamo — desidera fermarsi con noi, come quella sera meravigliosa di Emmaus.

Penso ora a una delle ultime delicatezze del Signore verso il suo servo Josemaría Escrivá: le ultime parole che pronunciò in pubblico, due ore prima del suo transito al Cielo, si riferirono, come una conferma della sua continua predicazione, a quest’anima sacerdotale comune a tutti i cristiani. Fu in un centro universitario che la sezione femminile dell’Opus Dei dirige a Castel Gandolfo. Alle alunne di ventuno Paesi — dall’Australia alla Polonia, dalle Filippine al Kenia — il Padre disse: «Voi, per il fatto di essere cristiane, avete anima sacerdotale: ve lo ripeto ancora, come faccio sempre, ogni volta che vengo qui. I vostri fratelli laici hanno anch’essi anima sacerdotale. Potete e dovete lavorare con quest’anima sacerdotale; e con la grazia del Signore e con il ministero sacerdotale di quanti, come me, nell’Opera sono sacerdoti, faremo tutti insieme un lavoro efficace».