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La Chiesa nostra Madre VII

Josemaría Escrivá testimone dell'amore alla Chiesa: Ecumenismo

Autore: San Josemaría Escrivá

Ecumenismo

Già ho detto all’inizio di queste righe che monsignor Escrivá fece oggetto della sua illimitata capacità di amicizia e della sua attività sacerdotale — due aspetti che erano sempre assolutamente inseparabili nella sua condotta — anche molte persone non cattoliche, e pure non cristiane, che desideravano essere ricevute privatamente o che, in pubblico, gli facevano domande o gli chiedevano consigli, durante i suoi numerosi incontri di catechesi con gruppi di uomini e donne di tutte le età, condizioni sociali e confessioni religiose. In tutte queste occasioni la sua lealtà all’unica Chiesa di Gesù Cristo, insieme col suo delicato rispetto per la «libertà delle coscienze» (che sempre distingueva dalla inammissibile «libertà di coscienza»), lo portarono a realizzare un immediato ed efficacissimo lavoro ecumenico, di apostolato ad plenitudinem fidei con migliaia di anime; e questo molto prima che il termine «ecumenismo» fosse entrato nel normale vocabolario ecclesiastico.
A un giornalista che, nel 1967, gli domandò: «Come si inserisce l’Opus Dei nell’ecumenismo?», monsignor Escrivá rispose, con il suo abituale buon umore: «Già l’anno scorso ebbi a raccontare a un giornalista francese — e so che l’aneddoto ha avuto una certa eco, anche in pubblicazioni dei nostri fratelli separati — quello che dissi una volta al Santo Padre Giovanni XXIII, incoraggiato dal fascino affabile e paterno della sua persona: “Padre Santo, nella nostra Opera tutti gli uomini, siano o no cattolici, hanno trovato sempre accoglienza: non ho imparato l’ecumenismo da Vostra Santità”. Egli rise commosso, perché sapeva che, fin dal 1950, la Santa Sede aveva autorizzato l’Opus Dei ad accogliere come associati cooperatori i non cattolici e perfino i non cristiani» [Colloqui con monsignor Escrivá, 22]. E poi continuava descrivendo le ripercussioni, anch’esse ecumeniche, della spiritualità caratteristica dell’Istituzione della quale era fondatore: «E in effetti sono parecchi — né mancano fra di loro dei pastori e addirittura dei vescovi delle rispettive confessioni — i fratelli separati che si sentono attratti dallo spirito dell’Opus Dei e collaborano ai nostri apostolati. E sono ogni giorno più frequenti — man mano che si intensificano i contatti — le manifestazioni di simpatia e di intesa cordiale che nascono dal fatto che i membri dell’Opus Dei hanno come cardine della loro spiritualità il semplice proposito di dare responsabile attuazione agli impegni e alle esigenze battesimali del cristiano. Il desiderio di tendere alla santità cristiana e di praticare l’apostolato, procurando la santificazione del proprio lavoro professionale; il vivere immersi nelle realtà secolari rispettando la loro autonomia, ma trattandole con lo spirito e con l’amore delle anime contemplative; il primato che nell’organizzazione delle nostre attività diamo alla persona, all’azione dello Spirito nelle anime, al rispetto della dignità e della libertà che nascono dalla filiazione divina del cristiano; la difesa — contro la concezione monolitica e istituzionalistica dell’apostolato dei laici — della legittima capacità di iniziativa, nel necessario rispetto del bene comune: questi e altri aspetti del nostro modo di essere e di lavorare sono punti di facile incontro, dove i fratelli separati scoprono — in forma vissuta e con la conferma degli anni — gran parte dei presupposti dottrinali sui quali sia loro che noi cattolici abbiamo posto tante fondate speranze ecumeniche» [Colloqui con monsignor Escrivá, 22].