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Sacerdote per l'eternità: Sacerdote per la Santa Messa

Tratto da "La Chiesa nostra Madre" XXVII

Autore: San Josemaría Escrivá

Sacerdote per la santa Messa

44. È opportuno ricordare, con caparbia insistenza, che tutti i sacerdoti — sia noi peccatori che quelli che sono santi — quando celebrano la santa Messa non sono più sé stessi. Sono Cristo che rinnova sull’Altare il suo divino Sacrificio del Calvario. «Nel mistero del Sacrificio Eucaristico, in cui i sacerdoti svolgono la loro funzione principale, viene esercitata ininterrottamente l’opera della nostra Redenzione, e quindi se ne raccomanda caldamente la celebrazione quotidiana, la quale è sempre un atto di Cristo e della sua Chiesa, anche quando non è possibile che vi assistano i fedeli» [Presbyterorum ordinis, 13].
Il Concilio di Trento insegna che «nel divino Sacrificio che si realizza nella Messa, è contenuto e incruentemente immolato quello stesso Cristo che una sola volta ha offerto sé stesso cruentemente sull’altare della Croce… Una sola e la stessa è infatti la vittima; colui che ora viene offerto per mezzo del ministero dei sacerdoti è lo stesso che allora si offrì sulla Croce, essendo diverso soltanto il modo di offrirsi» [De ss. Missae sacr., cap. 2].

La presenza o l’assenza dei fedeli alla santa Messa non modifica in nulla questa verità di fede. Quando celebro circondato dal popolo, ne provo piacere, ma non ho bisogno di considerarmi presidente di un’assemblea. Da un lato, sono un fedele come gli altri; ma, dall’altro, sono anche e soprattutto Cristo sull’Altare. Rinnovo incruentemente il divino Sacrificio del Calvario e consacro in persona Christi, perché rappresento realmente Gesù Cristo, gli do in prestito il mio corpo, la mia voce, le mie mani, il mio povero cuore tanto spesso macchiato e bisognoso di essere da Lui purificato.
Quando celebro la santa Messa con la sola partecipazione di colui che mi aiuta, anche allora il popolo è presente. Sento accanto a me tutti i cattolici, tutti i credenti e anche quelli che non credono. Sono presenti tutte le creature di Dio — la terra, il cielo, il mare, gli animali e le piante —: è la Creazione intera che dà gloria al Signore.

45. Ma più ancora mi unisco in sommo grado — dirò con le parole del Concilio Vaticano II — al culto della Chiesa celeste, comunicando con essa e venerando la memoria soprattutto della gloriosa sempre Vergine Maria, del beato Giuseppe e dei beati apostoli e martiri, e di tutti i santi [Cfr Lumen gentium, 50].

Chiedo a tutti i fedeli che preghino molto per noi sacerdoti perché sappiamo compiere santamente il santo Sacrificio. Chiedo loro di dimostrare un amore così delicato alla santa Messa, da spingerci a celebrarla con dignità — con eleganza — umana e soprannaturale; con decoro nei paramenti e negli oggetti destinati al culto, con devozione, senza fretta.
Perché questa fretta? Gli innamorati hanno forse fretta di salutarsi dopo un incontro? Sembra che si lascino, ma non se ne vanno; ritornano una volta e un’altra, e si dicono parole comuni come se le scoprissero solo allora… Non abbiate timore di riferire alle cose di Dio gli esempi suggeriti dall’amore nobile e puro degli uomini. Se amiamo il Signore con il nostro cuore di carne — non abbiamo che questo — non avremo fretta di terminare questo incontro, questo appuntamento d’amore con Lui.

Alcuni procedono con calma, né gli importa di prolungare fino alla stanchezza letture, monizioni e avvisi. Ma quando giungono al momento principale della santa Messa, al Sacrificio propriamente detto, diventano precipitosi e contribuiscono a far sì che i fedeli non adorino con devozione Cristo Sacerdote e Vittima, né imparino a rendergli grazie — con calma, senza precipitazione — per essere voluto venire ancora una volta in mezzo a noi.

Tutti gli affetti e i bisogni di un cuore cristiano trovano nella santa Messa il loro vero alveo: quello che, per mezzo di Cristo, conduce al Padre nello Spirito Santo. Il sacerdote deve porre ogni cura perché tutti lo sappiano e lo vivano. Non c’è, ordinariamente, nessuna attività che possa essere anteposta a quella di far conoscere, amare e venerare la Sacra Eucaristia.

46. «Il sacerdote compie due funzioni: una, principale, sul Corpo vero di Cristo; un’altra, secondaria, sul Corpo Mistico di Cristo. La seconda funzione o ministero dipende dalla prima, e non viceversa» [SAN TOMMASO, Summa theologiae, Suppl., q. 36, a. 2, ad 1]. Pertanto, non c’è di meglio nel ministero sacerdotale che procurare che tutti i fedeli cattolici si avvicinino al santo Sacrificio con maggior purezza, maggiore umiltà, maggiore venerazione. Se il sacerdote impegna le sue energie in questo compito, non rimarrà deluso né deluderà le coscienze dei suoi fratelli cristiani.
Nella santa Messa noi adoriamo, compiendo con amore il primo dovere della creatura verso il Creatore: «Adorerai il Signore Dio tuo, e Lui solo servirai» [Dt 6, 13; Mt 4, 10]. Non si tratta di adorazione fredda, esteriore, servile; ma di intima consapevolezza, di dedizione, di tenero amore filiale.

Nella santa Messa troviamo l’occasione perfetta per espiare i nostri peccati e quelli di tutti gli uomini; l’occasione di poter dire, come san Paolo, che stiamo completando nelle nostre membra quello che resta da patire a Cristo [Cfr Col 1, 24]. Nel mondo nessuno è un viandante solitario, nessuno può considerarsi libero da una parte di colpa per il male che si commette sulla terra come conseguenza del peccato originale e di tutta la somma di tanti peccati personali. Amiamo dunque il sacrificio e cerchiamo l’espiazione. In che modo? Unendoci nella santa Messa a Cristo Sacerdote e Vittima: sarà sempre Lui a prendere su di sé il peso ingente delle infedeltà delle creature, le tue e le mie.

47. Il Sacrificio del Calvario è la prova suprema della generosità di Gesù. Noi — tutti e singoli — siamo sempre molto interessati; ma a Dio nostro Signore non importa se, nella santa Messa, deponiamo davanti a Lui tutte le nostre necessità. Chi non ha delle cose da chiedere? Signore, quella malattia…; Signore, quella pena…; Signore, quell’umiliazione che non so sopportare per tuo amore… Vogliamo il bene, la felicità e la gioia dei nostri familiari; ci opprime il cuore la condizione di coloro che soffrono fame e sete di pane e di giustizia, di coloro che patiscono l’amarezza della solitudine, di coloro che, giunti alla fine dei loro giorni, non ricevono uno sguardo d’affetto né un gesto d’aiuto.

Ma la grande miseria che ci fa soffrire, il bisogno grande a cui vogliamo porre rimedio, è il peccato, l’allontanamento da Dio, il pericolo che le anime si perdano per tutta l’eternità. Condurre gli uomini alla gloria eterna nell’amore di Dio: ecco la nostra aspirazione fondamentale quando celebriamo la Messa; la stessa che ebbe Gesù Cristo quando donò la sua vita sul Calvario.

Abituiamoci a parlare con questa sincerità al Signore quando scende, vittima innocente, nelle mani del sacerdote. La fiducia nell’aiuto del Signore ci darà quella delicatezza d’animo che non manca mai di effondersi in opere buone, in carità, in comprensione, in amabile tenerezza per coloro che soffrono e per coloro che artificiosamente fingono una sazietà vuota e falsa, che ben presto si trasforma in tristezza.
48. Siamo, infine, grati a Dio nostro Signore per tutto quello che ci concede, per il fatto meraviglioso che Lui stesso si dà a noi in dono. Si degna di dimorare dentro di noi il Verbo incarnato!… Si degna di rinchiudersi nella nostra piccolezza Colui che ha creato i cieli e la terra!… La Vergine Maria fu concepita immacolata perché potesse albergare Gesù Cristo nel suo seno. Se il rendimento di grazie deve essere proporzionato alla differenza che corre tra il dono e i meriti, non dovremmo trasformare tutta la nostra giornata in una incessante Eucaristia? Non allontanatevi dal tempio appena ricevuto il santo Sacramento. È tanto importante quello che vi attende da non poter dedicare al Signore dieci minuti per dirgli «grazie»? Non comportiamoci in modo meschino. Amore con amor si paga.