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La natura di Dio e il suo operare

Davanti alla parola di Dio che si rivela c’è posto solo per l’adorazione ed il ringraziamento

Autore: Don Giulio Maspero

1. Chi è Dio?
Nel corso della storia ogni cultura si è posta questa domanda; tanto è vero che i primi indizi di civiltà si riscontrano in genere nell’ambito religioso e culturale. Credere in Dio è stata la cosa più importante per l’uomo di ogni tempo [1 ] . La differenza essenziale è in quale Dio si crede. In realtà, in alcune religioni pagane l’uomo adorava le forze della natura in quanto manifestazioni concrete del sacro e si avvaleva di una pluralità di divinità, gerarchicamente ordinata. Nell’antica Grecia, per esempio, anche la divinità suprema nella molteplicità di dei era a sua volta guidata da una necessità assoluta, che coinvolgeva il mondo e gli stessi dei [2] . Secondo molti studiosi di storia delle religioni, in molti popoli si è avuto un progressivo impoverimento a partire da una “rivelazione primigenia” del Dio unico. In ogni caso, anche nei culti più degradati si possono riscontrare sprazzi o indizi della religiosità autentica: l’adorazione, il sacrificio, il sacerdozio, l’offerta, l’orazione, il ringraziamento, ecc.
Sia in Grecia che altrove, la ragione ha cercato di purificare la religione, indicando che la divinità suprema doveva essere identificata col Bene, la Bellezza e l’Essere stesso, in quanto fonte di tutto ciò che è buono, di tutto ciò che è bello e di tutto ciò che esiste. Però questo ha fatto nascere dei problemi, come considerare Dio lontano dall’uomo, perché la divinità suprema veniva vista come isolata, in una perfetta autarchia, in quanto la possibilità di stabilire relazioni con altri era considerato segno di debolezza della divinità stessa. Un altro problema irrisolto è la presenza del male, che appariva necessario, in quanto il principio supremo sarebbe unito al mondo attraverso una catena di esseri intermedi senza soluzione di continuità.
La rivelazione giudaico-cristiana ha cambiato radicalmente questo quadro: Dio è presentato nella Scrittura come creatore di tutto quello che esiste ed origine di ogni forza naturale. L’esistenza divina precede assolutamente l’esistenza del mondo, che è radicalmente dipendente da Dio. Qui è contenuto il concetto di trascendenza: fra Dio e il mondo la distanza è infinita e non esiste fra loro alcun nesso necessario. L’uomo e tutto il creato potrebbero non essere, e in ciò che sono dipendono sempre dall’altro; mentre Dio è ed è per se stesso. Questa distanza infinita, questa assoluta piccolezza dell’uomo davanti a Dio dimostra che tutto ciò che esiste è voluto da Dio con la sua volontà e la sua libertà: tutto ciò che esiste è buono e frutto dell’amore (cfr. Gn 1). Il potere di Dio non è limitato né nello spazio né nel tempo, e perciò la sua azione creativa è un dono assoluto: è amore. Il suo potere è così grande da voler mantenere la relazione con le creature; e vuole salvarle anche se, nell’uso della loro libertà, esse si allontanassero dal Creatore. Pertanto, l’origine del male deve essere individuato in un eventuale uso errato della libertà da parte dell’uomo – cosa che in realtà è accaduto, come narra la Genesi (cfr. Gn 3) – e non in qualcosa collegata alla sua materialità.
Allo stesso tempo bisogna riconoscere che, come conseguenza di ciò che si è appena detto, Dio è una persona che agisce con libertà ed amore. Le religioni e la filosofia si domandavano che cosa è Dio; invece, grazie alla rivelazione, l’uomo è spinto a domandarsi chi è Dio (cfr. Compendio , 37); un Dio che gli va incontro e cerca l’uomo per parlargli come a un amico (cfr. Es 33, 11). Ciò è tanto vero che Dio rivela a Mosè il suo nome, «Io sono colui che sono» ( Es 3, 14), come prova della sua fedeltà all’alleanza e del fatto che lo accompagnerà nel deserto, simbolo delle tentazioni della vita. È un nome misterioso [3] che, in ogni caso, ci fa conoscere le ricchezze contenute nel suo mistero ineffabile: «Egli solo è, da sempre e per sempre, Colui che trascende il mondo e la storia, ma anche che si preoccupa del mondo e guida la storia. È Lui che ha fatto il cielo e la terra, e li conserva. È il Dio fedele e provvidente, sempre vicino al suo popolo per salvarlo. È il Santo per eccellenza, “ricco di misericordia” ( Ef 2, 4), sempre pronto a perdonare. È l’essere spirituale, trascendente, onnipotente, eterno, personale e perfetto. È verità e amore» ( Compendio , 40).
Perciò la rivelazione si presenta come un’assoluta novità, un dono che l’uomo riceve dall’alto e che deve accettare con grata riconoscenza e religioso rispetto. La rivelazione, dunque, non può essere ridotta a semplici aspettative umane, ma va molto oltre: davanti alla Parola di Dio che si rivela c’è posto solo per l’adorazione ed il ringraziamento: l’uomo cade in ginocchio davanti alla meraviglia di un Dio che, pur essendo trascendente, si fa interior intimo meo [4] , più intimo a me di me stesso, e cerca l’uomo in tutte le situazioni della sua esistenza: «Il creatore del cielo e della terra, l’unico Dio che è la sorgente di ogni essere, questo unico Logos creatore, questa Ragione creatrice, sa amare personalmente l’uomo, anzi lo ama appassionatamente e vuole essere a sua volta amato. Questa Ragione creatrice, che è nello stesso tempo amore, dà vita a una storia d’amore […], un amore [che] si mostra ricco di inesauribile fedeltà e misericordia, è l’amore che perdona al di là di ogni limite» [5] .

2. Come è Dio?
Il Dio della Sacra Scrittura non è una proiezione dell’uomo, perché la sua assoluta trascendenza può essere scoperta solo dal di fuori del mondo, e perciò come frutto di una rivelazione; vale a dire, non esiste propriamente una rivelazione intramondana. O, in altre parole, la natura, come luogo della rivelazione di Dio [6] , rimanda sempre a un Dio trascendente. Senza una simile prospettiva non sarebbe stato possibile per l’uomo arrivare a queste verità. Dio è allo stesso tempo esigente [7] e amante, molto più di ciò che l’uomo oserebbe sperare. In realtà possiamo immaginare facilmente un Dio onnipotente, ma facciamo fatica a riconoscere che una tale onnipotenza ci possa amare [8] . Tra la concezione umana e l’immagine rivelata di Dio c’è, allo stesso tempo, continuità e discontinuità, perché Dio è il Bene, la Bellezza, l’Essere, come diceva la filosofia, ma contemporaneamente questo Dio ama me, che sono nulla a paragone di Lui. Ciò che è eterno cerca ciò che è temporale, e questo cambia radicalmente le nostre aspettative e la nostra prospettiva di Dio.
In primo luogo, Dio è Uno, ma non nel senso matematico, come un punto, ma è Uno nel senso assoluto di Bene, di Bellezza e dell’Essere da cui tutto procede. Si può dire che è Uno perché non c’è un altro dio e perché non ha parti: ma allo stesso tempo c’è da dire che è Uno in quanto è sorgente di ogni unità. Infatti senza di Lui tutto si decompone e ritorna al non essere: la sua unità è l’unità di un Amore che è anche Vita e dà la vita. Ecco perché tale unità è infinitamente più che una semplice negazione della molteplicità.
L’unità induce a riconoscere Dio come unico e vero. Non solo, ma Egli è la Verità, misura e sorgente di tutto ciò che è vero (cfr. Compendio , 41); e questo proprio perché Egli è l’Essere. Alcune volte si ha paura di questa identificazione, perché sembra che, dicendo che la verità è una, ogni dialogo diventi impossibile. Perciò è tanto necessario considerare che Dio è vero non nel senso umano del termine, che è sempre parziale; la realtà è che in Lui la Verità si identifica con l’Essere, con il Bene e con la Bellezza. Non si tratta di una verità semplicemente logica e formale, ma di una verità che si identifica con l’Amore che è Comunicazione, in senso pieno: effusione creativa, esclusiva e universale allo stesso tempo, vita intima divina condivisa e partecipata dall’uomo. Non stiamo parlando della verità delle formule o delle idee, che sono sempre insufficienti, ma della verità del reale, che nel caso di Dio coincide con l’Amore. Inoltre, dire che Dio è la Verità vuol dire che la Verità è l’Amore. Questo non provoca nessun timore e non limita la libertà. Sicché, l’immutabilità di Dio e la sua unicità coincidono con la sua Verità, in quanto è la verità di un Amore che non può svanire.
Così si vede che, per comprendere il significato propriamente cristiano degli attributi divini, è necessario unire l’affermazione di onnipotenza con quella di bontà e misericordia. Solo dopo aver capito che Dio è onnipotente ed eterno, ci si può aprire alla stupefacente verità che questo stesso Dio è Amore, volontà di Bene, sorgente di ogni Bellezza e di ogni dono [9] . Pertanto i dati che scaturiscono dalla riflessione filosofica sono essenziali anche se in certo qual modo insufficienti. Seguendo questo percorso dalle caratteristiche che si percepiscono come prime, fino a quelle che si possono comprendere soltanto mediante l’incontro personale con Dio che si rivela, si arriva a intravedere come questi attributi siano espressi con termini che sono distinti soltanto nel nostro linguaggio, mentre nella realtà di Dio coincidono e si identificano. L’Uno è il Vero, e il Vero si identifica con il Bene e con l’Amore. Con un’altra immagine si può dire che la nostra ragione limitata si comporta come un prisma che scompone la luce nei diversi colori, ognuno dei quali è un attributo di Dio; però in Dio coincidono col suo stesso Essere, che è Vita e sorgente di ogni vita.

3. Come conosciamo Dio?
Per quel che si è detto, possiamo conoscere come Dio è a partire dalle sue opere: solo l’incontro con il Dio che crea e che salva l’uomo può rivelarci che l’Unico è allo stesso tempo l’Amore e l’origine di ogni Bene. Così Dio è riconosciuto non solo come intelletto – Logos , secondo i greci – che conferisce razionalità al mondo (fino al punto che alcuni lo hanno confuso con il mondo, come succedeva nella filosofia greca e come succede nuovamente in alcune filosofie moderne), ma è anche riconosciuto come volontà personale che crea e che ama. Si tratta, dunque, di un Dio vivo; addirittura, di un Dio che è la Vita stessa. Così, in quanto Essere vivo dotato di volontà, vita e libertà, nella sua infinita perfezione, Dio continua ad essere incomprensibile; ossia, irriducibile ai concetti umani.
Partendo da ciò che esiste, dal movimento, dalle perfezioni, ecc., si può arrivare a dimostrare l’esistenza di un Essere supremo sorgente del movimento, delle perfezioni, ecc. Però, per conoscere il Dio personale che è Amore, bisogna cercarlo nel suo operato nella storia a favore degli uomini e perciò occorre la rivelazione. Contemplando il suo operato salvifico si scopre il suo Essere, allo stesso modo che una persona si conosce poco a poco, frequentandola.
In tal senso, conoscere Dio consiste sempre e solo nel riconoscerlo, perché Egli è infinitamente più grande di noi. Ogni conoscenza intorno a Lui procede da Lui ed è un dono suo, frutto del suo aprirsi, di una sua iniziativa. La disposizione per avvicinarsi a tale conoscenza, deve essere, pertanto di profonda umiltà. Nessuna intelligenza finita può abbracciare Colui che è infinito, nessuna potenza può sottomettere l’Onnipotente. Possiamo conoscerlo soltanto attraverso ciò che Egli ci dà, vale a dire, attraverso la partecipazione ai suoi beni che ci è concessa, e che è fondata nei suoi atti di amore verso ciascuno.
Pertanto la nostra conoscenza di Lui è sempre analogica: mentre affermiamo qualcosa di Lui, allo stesso tempo dobbiamo negare che questa perfezione sia presente in Lui con le limitazioni che riscontriamo nel creato. La tradizione si avvaleva di una triplice via: di affermazione, di negazione e di eminenza, dove l’ultimo movimento della ragione consiste nell’affermare la perfezione di Dio al di là di ciò che l’uomo può pensare, e che è origine di tutte le realizzazioni di questa perfezione che si vedono nel mondo. Per esempio, è facile riconoscere che Dio è grande, più difficile è rendersi conto che Egli è anche piccolo, perché nel creato il grande e il piccolo si contraddicono. Ciò nonostante, se pensiamo che essere piccolo può essere una perfezione, come si osserva oggi nel fenomeno della nanotecnologia, allora Dio deve essere sorgente anche di questa perfezione e, in Lui, questa perfezione deve identificarsi con la grandezza. Perciò dobbiamo negare che è piccolo (o grande) nel senso limitato che si osserva nel mondo creato, se vogliamo purificare questa attribuzione passando all’eminenza. Un aspetto particolarmente rilevante è la virtù dell’umiltà, che i greci non consideravano tale. Essendo una perfezione, la virtù dell’umiltà non solo è posseduta da Dio, ma Dio si identifica con essa. Arriviamo così alla sorprendente conclusione che Dio è l’Umiltà; a tal punto che lo si può conoscere solo stando in una disposizione di umiltà, che altro non è che la partecipazione al dono di Se stesso.
Tutto ciò sottintende che si può conoscere il Dio cristiano mediante i sacramenti e attraverso la preghiera della Chiesa, che rende presente il suo operare salvifico a favore degli uomini di tutti i tempi.

[1] L’ateismo è un fenomeno moderno che ha radici religiose, in quanto nega la verità assoluta di Dio proponendo una verità che è ugualmente assoluta, vale a dire, la negazione della sua esistenza. Proprio per questo, l’ateismo è un fenomeno secondario rispetto alla religione e lo si può intendere anche come una “fede” di segno negativo. Lo stesso si può dire del relativismo contemporaneo. Senza la rivelazione, questi fenomeni di negazione assoluta sarebbero inconcepibili.
[2] Gli dei erano soggetti al Fato, che tutto dirigeva con una necessità spesso priva di senso: da qui la sensazione tragica dell’esistenza che caratterizza il pensiero e la letteratura greca.
[3] «A Mosè Dio si rivela come Dio vivente, “il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe” ( Es 3, 6). Allo stesso Mosè Dio rivela il suo nome misterioso: “Io sono colui che sono (YHWH)” ( Es 3, 14). Il nome ineffabile di Dio già ai tempi dell’Antico Testamento fu sostituito dalla parola Signore. Così nel Nuovo Testamento, Gesù, chiamato Signore, appare come vero Dio» ( Compendio , 38). Il nome di Dio ammette tre possibili interpretazioni: 1) Dio rivela che non è possibile conoscerlo, allontanando dall’uomo la tentazione di abusare dell’amicizia con Lui come si faceva con le divinità pagane mediante le pratiche magiche, e riaffermando la propria trascendenza; 2) secondo l’espressione ebraica utilizzata, Dio afferma che starà sempre con Mosè, perché è fedele e sta accanto a chi confida in Lui; 3) secondo la traduzione greca della Bibbia, Dio si manifesta come l’Essere stesso (cfr. Compendio , 39), in armonia con le intuizioni della filosofia.
[4] Sant’Agostino, Le Confessioni , 3, 6, 11.
[5] Benedetto XVI, Discorso al IV Convegno Ecclesiale Nazionale Italiano, Verona, 19-X-2006.
[6] Giovanni Paolo II, Enc. Fides et ratio , 14-IX-1998, 19.
[7] Dio chiede all’uomo – ad Abramo – di uscire dalla terra promessa, di abbandonare le sue certezze, si fida dei piccoli, chiede cose in base a una logica diversa da quella umana, come nel caso di Osea. Appare chiaro, dunque, che non può trattarsi di una proiezione delle aspirazioni o dei desideri dell’uomo.
[8] «Com’è possibile renderci conto di ciò, capire che Dio ci ama, e non divenire a nostra volta pazzi d’amore? È necessario far sì che queste verità della nostra fede penetrino nella nostra anima fino a cambiare tutta la nostra vita. Dio ci ama! Sì, l’Onnipotente, Colui che può tutto, Colui che ha fatto il cielo e la terra» (San Josemaría, È Gesù che passa , 144).
[9] «Dio si rivela a Israele come colui che ha un amore più forte di quello di un padre o di una madre per i suoi figli o di uno sposo per la sua sposa. Egli in se stesso “è Amore” (1 Gv 4, 8.16), che si dona completamente e gratuitamente e che “ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché il mondo si salvi per mezzo di lui” ( Gv 3, 16-17). Mandando il suo Figlio e lo Spirito Santo, Dio rivela che Egli stesso è eterno scambio d’amore» ( Compendio , 42).

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