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La preghiera - VI

Preghiera di lode e benedizione

Autore: Autori Cristiani

LA PREGHIERA DI LODE
La meraviglia, ossia saper vedere

La preghiera non è conquista dell’uomo. È dono. La preghiera non nasce allorché “voglio” pregare. Ma quando mi è “dato” di pregare. È lo Spirito che ci dona e rende possibile la preghiera (Rm 8,26; 1 Cor 12,3). La preghiera non è iniziativa umana.
Può essere soltanto risposta. Dio mi precede sempre. Con le Sue parole. Con le Sue azioni. Senza le “imprese” di Dio, i Suoi prodigi, le Sue gesta, non nascerebbe la preghiera. Sia il culto come l’orazione personale sono possibili soltanto perché Dio “ha compiuto meraviglie”, è intervenuto nella storia del Suo popolo e nelle vicende di una Sua creatura.
Maria di Nazareth ha la possibilità di cantare, “magnificare il Signore”, unicamente perché Dio “ha fatto cose grandi” (Lc 1,49). Il materiale per la preghiera viene fornito dal Destinatario. Non ci fosse la Sua parola rivolta all’uomo, la Sua misericordia, l’iniziativa del Suo amore, la bellezza dell’universo uscito dalle Sue mani, la creatura rimarrebbe muta. Il dialogo della preghiera si accende quando Dio interpella l’uomo con dei fatti “che mette sotto i suoi occhi”.
Ogni capolavoro ha bisogno di apprezzamento. Nell’opera della creazione è l’Artefice Divino stesso che si compiace della propria opera: “…Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona…” (Genesi 1,31) Dio gode di quanto ha fatto, perché si tratta di una cosa molto buona, molto bella. È soddisfatto, oserei dire “sorpreso”. L’opera è perfettamente riuscita. E Dio si lascia sfuggire un “oh!” di meraviglia. Ma Dio aspetta che il riconoscimento nello stupore e nella gratitudine avvenga anche da parte dell’uomo.
La lode non è altro che l’apprezzamento della creatura per ciò che ha fatto il Creatore. “…Lodate il Signore: è bello cantare al nostro Dio, dolce è lodarLo come a Lui conviene…” (Salmo 147,1)
La lode è possibile soltanto se ci si lascia “sorprendere” da Dio.
La meraviglia è possibile esclusivamente se si intuisce, se si scopre l’azione di Qualcuno in ciò che sta davanti ai nostri occhi.
La meraviglia implica la necessità di fermarsi, ammirare, scoprire il segno dell’amore, l’impronta della tenerezza, la bellezza nascosta sotto la superficie.
“. Ti lodo perché mi hai fatto come un prodigio; sono stupende le Tue opere…” (Sal 139,14)
La lode va sottratta alla cornice solenne del Tempio e riportata anche nell’ambito modesto della quotidianità domestica, là dove il cuore fa l’esperienza dell’intervento e della presenza di Dio nelle umili vicende dell’esistenza. La lode diventa così una specie di “festa dei giorni feriali”, canto che riscatta la monotonia, sorpresa che annulla la ripetitività, poesia che sconfigge la banalità.
Bisogna che il “fare”sfoci nel “vedere”, la corsa s’interrompa per lasciar posto alla contemplazione, la fretta lasci il posto alla sosta estatica. Lodare significa celebrare Dio nella liturgia dei gesti ordinari. Complimentarsi con Lui che continua a fare “una cosa buona e bella”, in quella creazione stupefacente ed inedita che è la nostra vita di ogni giorno.
È bello lodare Dio senza preoccuparsi di stabilire i motivi.
La lode è un fatto di intuizioni e di spontaneità, che precede ogni ragionamento. Nasce da un impulso interiore ed ubbidisce ad un dinamismo di gratuità che esclude ogni calcolo, ogni considerazione utilitaristica. Non posso non godere per ciò che Dio è in se stesso, per la Sua gloria, per il Suo amore, indipendentemente dall’inventario delle “grazie” che mi concede.
La lode rappresenta una forma particolare di annuncio missionario. Più che spiegare Dio, più che presentarlo come oggetto dei miei pensieri e ragionamenti, manifesto e racconto la mia esperienza della Sua azione. Nella lode non parlo di un Dio che mi convince, ma di un Dio che mi sorprende. Non si tratta di meravigliarsi per eventi eccezionali, ma di saper cogliere lo straordinario nelle realtà più comuni. Le cose più difficili da vedere sono proprio quelle che abbiamo sempre sotto gli occhi!
I Salmi: massimo esempio di preghiera di lode:
“…Hai mutato il mio lamento in danza, la mia veste di sacco in abito di gioia, perché io possa cantare senza posa. Signore, mio Dio, ti loderò per sempre…” (Salmo 30) “….Esultate, giusti, nel Signore; ai retti si addice la lode. Lodate il Signore con al cetra, con l’arpa a dieci corde a Lui cantate. Cantate al Signore un canto nuovo, suonate la cetra con arte e acclamate…” (Salmo 33)
“…Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la mia lode. Io mi glorio nel Signore, ascoltino gli umili e si rallegrino. Celebrate con me il ascoltino gli umili e si rallegrino. Celebrate con me il Signore, esaltiamo insieme il Suo nome….” (Salmo 34)
“…Perchè ti rattristi, anima mia, perché su di me gemi? Spera in Dio: ancora potrò lodarLo, Lui, salvezza del mio volto e mio Dio…” (Salmo 42)
“…Voglio cantare, a Te voglio inneggiare: svegliati, mio cuore, svegliati arpa, cetra, voglio svegliare l’aurora. Ti loderò tra i popoli Signore, a Te canterò inni tra le genti, perché la Tua bontà è grande fino ai cieli, la Tua fedeltà fino alle nubi…” (Salmo 56)
“…O Dio, Tu sei il mio Dio, all’aurora Ti cerco, di Te ha sete l’anima mia… poichè la Tua grazia vale più della vita, le mie labbra diranno la Tua lode…” (Salmo 63)
“…Lodate, servi del Signore, lodate il nome del Signore. Sia benedetto il nome del Signore, ora e sempre. Dal sorgere del sole al suo tramonto, sia lodato il nome del Signore…. (Salmo 113)
“…Lodate il Signore nel Suo santuario, lodatelo nel firmamento della Sua potenza. Lodatelo per i Suoi prodigi, lodatelo per la Sua immensa grandezza. Lodatelo con squilli di tromba, lodatelo con arpa e cetra; lodatelo con timpani e danze, lodatelo sulle corde e sui flauti, lodatelo con cembali sonori, lodatelo con cembali squillanti; ogni vivente dia lode al Signore. Alleluia!… (Salmo 150)
LA PREGHIERA DI BENEDIZIONE

“… Benedite, poiché siete stati chiamati per ereditare la benedizione…” (1 Pietro 3,9)
La preghiera risulta impossibile se non si ha il senso della lode, che implica la capacità di stupirsi. La benedizione (= ber’ ha) occupa un posto di spicco nell’ Antico Testamento. Essa è come “una comunicazione di vita da parte di Jahweh”. Tutto il racconto della creazione è punteggiato dalle benedizioni del Creatore. La creazione è vista come una grandiosa “opera di vita”: qualcosa di buono e di bello insieme.
La benedizione non è un atto sporadico, ma un’azione incessante di Dio. È, per così dire, il segno del favore di Dio impresso nella creatura. Oltre che un’azione che fluisce in maniera continuata, inarrestabile, la benedizione è efficace. Non rappresenta un vago augurio, ma produce ciò che esprime. Ecco perché la benedizione (come il suo opposto, la maledizione) viene sempre considerata nella Bibbia irreversibile: non si può ritrattare né annullare. Raggiunge infallibilmente lo scopo.
La benedizione è principalmente “discendente”. È Dio soltanto che ha il potere di benedire perché è Lui la sorgente della vita.
L’uomo, quando benedice, lo fa a nome di Dio, come suo rappresentante. Tipica, a questo riguardo, la stupenda benedizione contenuta nel libro dei numeri ( 6,22-27):
“…Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia brillare il Suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il Suo volto e ti conceda pace…” Ma esiste pure una benedizione “ascendente”.
L’uomo, così, può benedire Dio nella preghiera. Ed è questo un altro aspetto interessante.
La benedizione, in sostanza, vuol dire questo: tutto viene da Dio e tutto deve tornare a Lui nell’azione di grazie, nella lode; ma, soprattutto, ogni cosa va usata secondo il piano di Dio, che è un progetto di salvezza.
Fissiamo l’atteggiamento di Gesù nell’episodio della moltiplicazione dei pani: “…Prese i pani e dopo aver reso grazie, li distribuì…” (Gv. 6,11) Rendere grazie significa ammettere che ciò che si possiede è dono e va riconosciuto come tale. In fondo la benedizione, come azione di grazie, comporta una duplice restituzione: a Dio (riconosciuto come Donatore) e ai fratelli (riconosciuti come destinatari, partecipi insieme a noi del dono). Con la benedizione nasce l’uomo nuovo.
E l’uomo di benedizione, che è in armonia con tutto il creato.
La terra appartiene ai “miti”, ossia a coloro che non rivendicano nulla. La benedizione, dunque, rappresenta una linea di confine che divide l’uomo economico dall’uomo liturgico: il primo tiene per sé, l’altro si dona. L’uomo economico dispone delle ricchezze, quello liturgico, ossia l’uomo eucaristico, è padrone di se stesso. Allorchè un uomo benedice non è mai solo: il cosmo intero si unisce alla sua minuscola parola di benedizione (Cantico di Daniele 3,51 – Salmo 148).
La benedizione ci impegna ad usare la lingua in un unico senso. L’Apostolo Giacomo, con frasi roventi, denuncia un abuso purtroppo molto frequente: “…Con la lingua benediciamo il Signore e Padre, e con essa malediciamo gli uomini fatti a somiglianza di Dio. È dalla stessa bocca che esce benedizione e maledizione. Non dev’essere così, fratelli miei. Forse la sorgente può far sgorgare dallo stesso getto acqua dolce ed amara? Può forse, miei fratelli, un fico produrre olive o una vite produrre fichi? Neppure una sorgente salata può produrre acqua dolce… ” (Gc. 3,9-12)
La lingua viene dunque “consacrata” attraverso la benedizione. E noi purtroppo ci permettiamo di “sconsacrarla” con la maldicenza, il pettegolezzo, al menzogna, le mormorazioni.
Adoperiamo la bocca per due operazioni di segno opposto e pensiamo sia tutto regolare. Non ci rendiamo conto che le due cose si escludono a vicenda. Che non si può, al tempo stesso, “dire bene” di Dio e “dire male” del prossimo. La lingua non può esprimere benedizione, che è vita, e insieme gettare veleno che minaccia e addirittura spegne la vita.
Il Dio che incontro quando “salgo fino al Lui” nella preghiera, è il Dio che mi obbliga a “ridiscendere”, a cercare il prossimo, a trasmettere un messaggio di benedizione, ossia di vita.

L’esempio di Maria

È provvidenziale che sia rimasta una preghiera della Madonna: il Magnificat. Così la madre del Signore ci fa da maestra nella preghiera di lode e di ringraziamento.
È bello avere Maria come guida, perché fu lei a insegnare a Gesù a pregare; fu lei che gli insegnò le prime “berakòth”, le preghiere di ringraziamento ebraiche. Fu lei che fece scandire a Gesù le prime formule di benedizione, come facevano ogni mamma ed ogni papà in Israele. Nazareth dovette diventare presto la prima scuola del ringraziamento. Come in ogni famiglia Ebraica si ringraziava dal “levar del sole fino al suo tramonto”. La preghiera di ringraziamento è la più bella scuola di vita, perché ci guarisce dalla nostra superficialità, ci fa crescere nel rapporto con Dio, nella gratitudine e nell’amore, ci educa profondamente alla fede.

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