La preghiera di ringraziamento e pentimento
La preghiera - parte VII
Autore: Autori Cristiani
LA PREGHIERA DI RINGRAZIAMENTO
Cristiano non è colui che chiede delle grazie, o riceve delle grazie.
È colui che rende grazie. Non per nulla l’Eucaristia, che rappresenta l’atto più sublime del culto cristiano, significa, letteralmente, “azione di grazie”.
Partiamo da una constatazione: se facciamo un inventario dei contenuti della nostra preghiera, ci accorgiamo che la domanda occupa un posto preponderante rispetto al ringraziamento.
Non soltanto troppo spesso ci scordiamo di ringraziare Dio dopo aver ottenuto quanto chiedevamo, no, la dimenticanza è ancor più radicale. Infatti riusciamo ad essere puntigliosi quando si tratta di constatare ciò che ci manca, per stilare la lista delle pressanti richieste. Ma ci dimostriamo sbadati quando dovremmo accorgerci di ciò che riceviamo quotidianamente. Avvertiamo la mancanza.
Non sappiamo prendere atto del dono, specialmente di quello che ci viene recapitato silenziosamente, con regolarità quotidiana. Il grande peccato, allora, diventa la distrazione. Occorre precisare: non sono tanto le “distrazioni nella preghiera”. Ma la distrazione è precedente alla preghiera, non ci porta alla preghiera, non fa nascere in noi l’esigenza della preghiera per “dire grazie”.
San Paolo, nella lettera ai Colossesi, dopo aver abbozzato un programma molto semplice, ma estremamente impegnativo, di vita comunitaria, in cui devono trovare posto la misericordia, la bontà, l’umiltà, la mansuetudine, la pazienza, la sopportazione, il perdono, la carità, conclude con un invito perentorio: “…E siate riconoscenti!..” (3,15) Subito dopo aggiunge: “…Cantate a Dio di cuore la vostra gratitudine con salmi, inni e cantici ispirati…’: E conclude: “…Tutto quello che fate in parole e opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di Lui grazie a Dio Padre…”
Il punto di partenza è dunque l’esperienza dell’amore gratuito di Dio (“amati e scelti’), che conferisce alla preghiera una tonalità di prorompente riconoscenza.
Il popolo di Dio che ha sperimentato la grazia, diventa capace di gratitudine. E questa riconoscenza non permea soltanto la preghiera, ma l’intera vita del cristiano in tutte le sue manifestazioni. La gratitudine è stata definita come “la memoria del cuore”, ma non si tratta soltanto di ricordare. Occorre rendersi conto, accorgersi di una realtà presente. Riconoscenza deriva da “conoscere”.
Qui, però, non è questione semplicemente di “apprendere con l’intelletto”, ma di far entrare in azione il cuore.
Per cui una certa realtà viene vista, accolta, interpretata, capita, ricevuta dal cuore. La grande nemica della riconoscenza è certamente l’abitudine; quando si da tutto per scontato, o addirittura dovuto, si diventa incapaci di dire grazie. Se invece riconosco che “tutto è grazia”, allora tutto diventa occasione per “rendere grazie”.
“…Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato?…” (Salmo 116,12)
Io devo qualcosa a Qualcuno. lo devo qualcosa a tutti.
Se uno non si sente debitore, nella vita accamperà sempre e soltanto dei diritti, delle pretese, non sarà mai amico del dovere.
Non sentirà il “dovere di contraccambiare”. Il dovere è l’altra faccia della gratitudine. Chi non ama il dovere, non possiede il senso della grandezza e della preziosità della vita. Non un dovere cupo, opprimente. Ma una dovere gioioso, che si esprime nel canto, oltre che nel lavoro.
La preghiera come racconto confidenziale
“Signore, ho qualcosa da raccontarti. Ma è un segreto tra me e Te”.
La preghiera confidenziale può iniziare più o meno così. E può snodarsi sotto forma di racconto. Piano, semplice, spontaneo, in una tonalità dimessa, senza amplificazioni.
Si tratta di riferire un episodio che ti ha visto protagonista nascosto; un’azione senza risalto, un gesto che è sfuggito all’attenzione generale. Nessuno si è accorto di nulla.
E allora ti apri a Lui, non per lamentarti, ma per offrirGli un “dono intatto”, esclusivo, sottratto alla curiosità altrui. Nessuna gratificazione, salvo quella di aver compiuto “una bella azione” per Colui che ami. L’equivalente del profumo costosissimo, raro, che la donna ha “sprecato” per Gesù, spezzando anche il flacone fabbricato con materiale prezioso. Stavolta il valore dell’azione dipende dal prezzo che hai pagato in termini di segretezza.
Convinciti che è molto importante questo tipo di preghiera confidenziale nella nostra società all’insegna dell’apparire, dell’ esibizione, della all’insegna dell’apparire, dell’ esibizione, della vanità. Ognuno, a dispetto delle professioni di umiltà, esige che dalla platea vengano gli applausi. Tutto deve diventare notizia. Non importa il prodotto. Bisogna allestire una grandiosa vetrina. Eppure l’amore ha bisogno soprattutto di umiltà, di pudore. L’amore non è più amore senza un contesto di segretezza, senza la dimensione di riservatezza. Ritrova dunque nella preghiera la gioia del nascondimento, della non-appariscenza.
LA PREGHIERA DI PENTIMENTO
Beati quelli che sanno di essere peccatori. C’è la preghiera penitenziale. Più completamente: la preghiera di chi sa di essere peccatore. Cioè dell’uomo che si presenta davanti a Dio riconoscendo le proprie colpe, miserie, inadempienze. E tutto ciò, non in rapporto ad un codice legale, ma al codice assai più esigente dell’amore. Se la preghiera è un dialogo d’amore, la preghiera penitenziale è propria di chi riconosce di aver commesso il peccato per eccellenza: il nonamore. Di colui che ammette di aver tradito l’amore, essere venuto meno ad un “patto reciproco”. La preghiera penitenziale e i salmi ci offrono esempi illuminanti in questo senso.
La preghiera penitenziale non riguarda i rapporti tra un suddito ed un Sovrano, ma un’ Alleanza, ossia una relazione di amicizia, un legame d’amore. Smarrire il senso dell’amore significa perdere anche il senso del peccato.
E recuperare il senso del peccato equivale a recuperare l’immagine di un Dio che è Amore. Insomma, soltanto se hai capito l’amore e le sue esigenze, puoi scoprire il tuo peccato.
In riferimento all’amore, la preghiera di pentimento mi fa prendere coscienza che sono un peccatore amato da Dio.
E che sono pentito nella misura in cui sono disposto ad amare (“…Mi vuoi bene?..” Gv.21,16).
Dio non è tanto interessato alle sciocchezze, di varie dimensioni, che posso aver commesso. Ciò che gli sta a cuore è accertare se sono consapevole della serietà dell’amore.
Per cui la preghiera penitenziale implica una triplice confessione:
– confesso che sono peccatore
– confesso che Dio mi ama e mi perdona – confesso che sono “chiamato” ad amare, che la mia vocazione è l’amore
Un esempio stupendo di preghiera di pentimento collettivo è quella di Azaria in mezzo al fuoco: “…Non ci abbandonare fino in fondo per amore del Tuo nome, non rompere la Tua alleanza, non ritirare da noi la Tua misericordia…” (Daniele 3,26-45).
Si invita Dio a prendere in considerazione, per regalarci il perdono, non i nostri meriti precedenti, ma unicamente le ricchezze inesauribili della Sua misericordia, “…per amore del Suo nome…” Dio non bada al nostro buon nome, ai nostri titoli o al posto che occupiamo. Tiene solo conto del Suo amore.
Quando ci presentiamo di fronte a Lui realmente pentiti, crollano ad una ad una le nostre sicurezze, perdiamo tutto, ma ci rimane la cosa più preziosa: “…essere accolti con cuore contrito e con lo spirito umiliato…” Abbiamo salvato il cuore; tutto può ricominciare.
Ci siamo illusi, come il figliol prodigo, di riempirlo di ghiande contese ai porci (Luca 15,16). Finalmente ci siamo accorti che possiamo riempirlo solo di Te. Abbiamo inseguito i miraggi. Ora, dopo aver inghiottito delusioni a ripetizione, vogliamo imboccare la strada giusta per non morire di sete: “…Ora Ti seguiamo con tutto il cuore, … cerchiamo il Tuo volto…” Quando si è perso tutto, rimane il cuore. E ha inizio la conversione.
Un esempio semplicissimo di preghiera penitenziale è quello offerto dal pubblicano (Luca 18,9-14), che fa il gesto semplicissimo di battersi il petto (cosa non sempre facile quando il bersaglio è il nostro petto e non quello degli altri) e usa parole semplici (“…O Dio, abbi pietà di me peccatore…”). Il fariseo ha portato davanti a Dio l’elenco delle proprie benemerenze, delle proprie prestazioni virtuose, e fa un discorso solenne (una solennità che, come spesso accade, sconfina nel ridicolo). Il pubblicano non ha neppure bisogno di presentare la lista dei propri peccati. Si limita a riconoscersi peccatore.
Non osa levare gli occhi al cielo, ma invita Dio a chinarsi su di lui (“..Abbi pietà di me…” si può tradurre con “Chinati su di me”). La preghiera del fariseo contiene un’espressione che ha dell’incredibile: “…O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini…”: Lui, il fariseo, non sarà mai capace di una preghiera penitenziale (al massimo, nella preghiera, confessa le colpe degli altri, oggetto del suo disprezzo: ladri, ingiusti, adulteri).
La preghiera di pentimento è possibile quando uno ammette umilmente di essere come gli altri, ossia peccatore bisognoso di perdono e disposto a perdonare.
Non si arriva a scoprire la bellezza della comunione dei Santi, se non si passa attraverso la comunione coi peccatori.
Il fariseo reca i propri meriti “esclusivi” davanti a Dio. Il pubblicano reca i peccati “comuni” (i propri, ma anche quelli del fariseo, ma senza aver bisogno di accusarlo). Il “mio” peccato è il peccato di tutti (o che ferisce tutti). E il peccato degli altri mi chiama in causa a livello di corresponsabilità. Quando dico: “…O Dio, abbi pietà di me peccatore… “; intendo implicitamente “…Perdona i nostri peccati… “: