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La Quaresima: un cammino verso la Pasqua

Rivolgere i nostri passi verso il Signore. 

Autore: Alfonso Berlanga

«Ti preghiamo, Signore, che la nostra vita sia conforme alle offerte che ti presentiamo e che inaugurano il cammino verso la Pasqua» [1]: fin dalla prima domenica di Quaresima la liturgia traccia con decisione le caratteristiche dei quaranta giorni che iniziano con il mercoledì delle ceneri. La Quaresima è un compendio della nostra vita, che è tutta «un continuo ritorno alla casa del Padre» [2]. È un cammino verso la Pasqua, verso la morte e risurrezione del Signore, centro di gravità della storia del mondo, di ogni donna, di ogni uomo: un ritorno all’Amore eterno.

Nel tempo di Quaresima la Chiesa ci richiama ancora una volta alla necessità di rinnovare il nostro cuore e le nostre opere, in modo da scoprire sempre meglio la centralità del mistero pasquale: metterci nelle mani di Dio per «crescere nella conoscenza del mistero di Cristo e testimoniarlo con una degna condotta di vita» [3].

LA QUARESIMA È UN CAMMINO VERSO LA PASQUA, VERSO LA MORTE E RISURREZIONE DEL SIGNORE: UN RITORNO ALL’AMORE ETERNO
«Che strana capacità ha l’uomo di dimenticare le cose più meravigliose, di abituarsi al mistero! Ricordiamo ancora una volta, in questa Quaresima, che il cristiano non può essere superficiale. Pienamente inserito nel suo lavoro ordinario, […] deve, nello stesso tempo, essere pienamente in Dio, perché ne è figlio» [4]. Perciò è logico che durante questi giorni riflettiamo nella nostra orazione sulla necessità della conversione, di rivolgere i nostri passi verso il Signore e di purificare il nostro cuore, facendo nostri i sentimenti del salmista: « Cor mundum crea in me, Deus, et spiritum firmum innova in visceribus meis – Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo» [5]. Sono parole tratte dal salmo Miserere, che la Chiesa ci propone spesso in questo tempo liturgico, e che san Josemaría recitò tante volte. Il cammino di Israele attraverso il deserto

La Quaresima ha radici profonde in diversi episodi chiave della storia della salvezza, che è anche la nostra storia. Uno di essi riguarda la traversata del deserto da parte del popolo eletto. Quei quarant’anni furono per gli israeliti un tempo di prova e di tentazioni. Yahveh li accompagnava passo passo e faceva loro capire che si dovevano appoggiare soltanto su di Lui: cercava di ammorbidire il loro duro cuore di pietra [6]. Ma fu anche un tempo di grazie continue: anche se il popolo soffriva, Dio lo consolava e lo orientava con la parola di Mosè, lo alimentava con la manna e le quaglie, lo riforniva dell’acqua sgorgata dalla roccia di Meriba [7].

Come ci sembrano vicine le parole, piene di tenerezza, con le quali Dio fa riflettere gli israeliti sul significato della loro lunga traversata! «Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandi. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che neppure i tuoi padri avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore» [8].

“CHE STRANA CAPACITÀ HA L’UOMO DI DIMENTICARE LE COSE PIÙ MERAVIGLIOSE, DI ABITUARSI AL MISTERO!
Oggi il Signore rivolge anche a noi queste parole; a noi che, nel deserto della nostra vita, sicuramente sperimentiamo la fatica e i problemi di ogni giorno, anche se non ci mancano le attenzioni paterne di Dio, a volte attraverso l’aiuto disinteressato dei nostri familiari, degli amici o anche di persone di buona volontà che rimangono anonime. Con la sua ineffabile pedagogia, il Signore ci introduce nel suo cuore, che è la vera terra promessa: «Praebe, fili mi, cor tuum mihi… Fa’ bene attenzione a me, figlio mio, e tieni fisso lo sguardo ai miei consigli» [9].

CON LA SUA INEFFABILE PEDAGOGIA, IL SIGNORE CI INTRODUCE NEL SUO CUORE, CHE È LA VERA TERRA PROMESSA
Molti episodi dell’Esodo erano figura di realtà future. In realtà non tutti coloro che parteciparono a quella prima peregrinazione riuscirono a entrare nella terra promessa [10]. Per questo, la lettera agli Ebrei, citando il salmo 94, si duole della ribellione del popolo e, nello stesso tempo, celebra l’arrivo di un nuovo esodo: «Quelli che per primi ricevettero la buona novella non entrarono a causa della loro disobbedienza», e Dio «fissa di nuovo un giorno, un oggi, dicendo per mezzo di Davide dopo tanto tempo […]: Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori» [11]. È l’ oggi inaugurato da Cristo. Con la sua Incarnazione, la sua vita e la sua glorificazione, il Signore ci conduce verso l’esodo definitivo, nel quale le promesse trovano perfetto adempimento: ci fa posto in cielo, ottiene «un riposo sabbatico per il popolo di Dio. Chi è entrato nel suo riposo, riposa egli pure dalle sue opere» [12].

Il cammino di Cristo nel deserto

Il Vangelo della prima domenica di Quaresima ci presenta Gesù che, solidale con noi, volle essere tentato alla fine dei quaranta giorni passati nel deserto. Constatare la sua vittoria su Satana ci riempie di speranza e ci rende coscienti che con Lui potremo uscire vincitori anche nelle battaglie della vita interiore. Le nostre tentazioni, allora, non ci preoccupano più, ma diventano un’occasione per conoscerci meglio e per confidare di più in Dio. Scopriamo così che l’ideale di una vita conveniente è specchio dell’autentica felicità e ci rendiamo conto, con san Josemaría, che «c’è indubbiamente bisogno di un nuovo cambiamento, di una lealtà più piena, di un’umiltà più profonda, affinché diminuisca il nostro egoismo e Cristo cresca in noi; infatti, illum oportet crescere, me autem minui – Egli deve crescere e io invece diminuire (Gv 3, 30)»[13].

L’ESPERIENZA DELLA NOSTRA FRAGILITÀ NON SBOCCIA NEL TIMORE, MA NELL’UMILE RICHIESTA CHE IMPEGNA LA NOSTRA FEDE, LA NOSTRA SPERANZA E L’AMORE
L’esperienza della nostra fragilità personale non sboccia nel timore, ma nell’umile richiesta che impegna la nostra fede, la nostra speranza e l’amore: «Allontana da me, Signore, tutto ciò che mi allontana da te», potremmo dire, con una frase che san Josemaría ripeteva spesso [14]. Con Gesù troviamo la forza per respingere con decisione la tentazione, senza cedere al dialogo: «Notate bene come risponde Gesù. Lui non dialoga con Satana, come aveva fatto Eva nel paradiso terrestre. Gesù […] sceglie di rifugiarsi nella Parola di Dio e risponde con la forza di questa Parola. Ricordiamoci di questo: nel momento della tentazione, delle nostre tentazioni, niente argomenti con Satana, ma sempre difesi dalla Parola di Dio! E questo ci salverà» [15].

Il racconto della Trasfigurazione del Signore, proclamato nella seconda domenica di Quaresima, ci conferma nella convinzione della certezza della vittoria, malgrado ogni nostro limite.

ANCHE NOI PRENDEREMO PARTE ALLA SUA GLORIA, SE CI SAPPIAMO UNIRE ALLA SUA CROCE NELLA NOSTRA VITA QUOTIDIANA.
Anche noi prenderemo parte alla sua gloria, se ci sappiamo unire alla sua Croce nella nostra vita quotidiana. Perciò dobbiamo alimentare la nostra fede, come i personaggi del Vangelo che ogni tre anni la liturgia ci presenta nelle ultime domeniche di Quaresima: la samaritana, che supera il peccato riconoscendo in Gesù il Messia che spegne, con l’acqua viva dello Spirito Santo, la sua sete d’amore [16]; il cieco dalla nascita, che, vincendo l’ignoranza, vede Cristo come luce del mondo, mentre i vedenti del mondo rimangono ciechi [17]; Lazzaro, la cui risurrezione ci ricorda che Gesù è venuto a portarci una nuova vita [18]. Se contempliamo questi racconti sentendoci un personaggio fra gli altri, con l’aiuto dei santi troveremo materia per la nostra orazione personale e si fortificherà una presenza di Dio più intensa che cercheremo di mantenere in questi giorni. Il nostro cammino penitenziale come figli

La preghiera colletta della terza domenica di Quaresima presenta il significato penitenziale di questo tempo: «Dio misericordioso, fonte di ogni bene, tu ci hai proposto a rimedio del peccato il digiuno, la preghiera e le opere di carità fraterna: guarda a noi che riconosciamo la nostra miseria e, poiché ci opprime il peso delle nostre colpe, ci sollevi la tua misericordia». Con l’umiltà di chi si riconosce peccatore, chiediamo con tutta la Chiesa l’atteso intervento della misericordia di Dio Padre: uno sguardo d’amore sulla nostra vita e il suo perdono riparatore.

“PENITENZA È OSSERVARE ESATTAMENTE L’ORARIO. SEI PENITENTE QUANDO SEGUI AMOROSAMENTE IL TUO PIANO DI ORAZIONE, ANCHE SE SEI STANCO” (SAN JOSEMARÍA)
La liturgia ci spinge a fare la nostra parte nel processo di conversione, invitandoci a praticare le tradizionali opere penitenziali. Esse dimostrano un cambiamento di atteggiamento nella nostra relazione con Dio (orazione), con gli altri (elemosina) e con noi stessi (digiuno) [19]. È lo «spirito di penitenza», del quale parlava san Josemaría e del quale proponeva tanti esempi pratici: «Penitenza è osservare esattamente l’orario […]. Sei penitente quando segui amorosamente il tuo piano di orazione, anche se sei stanco, svogliato o freddo. Penitenza è trattare sempre con la massima carità il prossimo […], sopportare con buonumore le mille piccole contrarietà della giornata […]; mangiare volentieri ciò che viene servito, senza importunare con capricci» [20].

APPOGGIATI SU DI LUI, FACCIAMO IN MODO DI COMPIERE QUESTE OPERE «NEL SEGRETO», DOVE VEDE SOLTANTO DIO
Sappiamo comunque che non servono a niente gli atti semplicemente esterni senza la grazia di Dio; non è possibile identificarci con Cristo senza il suo aiuto: « quia tibi sine te placere non possumus – poiché senza di te non possiamo piacere a te»[21]. Appoggiati su di Lui, facciamo in modo di compiere queste opere «nel segreto», dove vede soltanto Dio nostro Padre [22], purificando spesso l’intenzione e cercando nel modo più chiaro la gloria di Dio e la salvezza di tutti. Scrive l’apostolo Giovanni: «Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» [23]. Sono parole che invitano a un esame profondo, perché non è possibile separare i due aspetti della carità. Se sappiamo che Lui ci contempla, il senso della nostra filiazione divina pian piano impregnerà la vita interiore e l’apostolato, con una contrizione più fiduciosa e filiale, e con una donazione sincera a coloro che stanno attorno a noi: familiari, colleghi di lavoro, amici.

Il cammino penitenziale attraverso i sacramenti

Nella nostra lotta quotidiana contro il disordine del peccato, anche i sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia sono momenti privilegiati. È logico che la nostra penitenza interiore si perfezioni grazie alla celebrazione del sacramento della Confessione. Molto dipende dalle disposizioni del penitente, anche se il protagonista è sempre Dio, che ci spinge alla conversione. Attraverso questo sacramento – vera opera maestra del Signore [24] – percepiamo il suo bene operare con la nostra libertà decaduta. San Josemaría presentava così il ruolo di nostra competenza: «Consiglio a tutti di adottare la devozione […] di fare molti atti di contrizione. Una manifestazione esteriore, pratica, di questa devozione è coltivare un particolare affetto al Santo Sacramento della Penitenza» [25], nel quale «ci rivestiamo di Gesù Cristo e dei suoi meriti» [26].

“PENITENZA È SOPPORTARE CON BUONUMORE LE MILLE PICCOLE CONTRARIETÀ DELLA GIORNATA; MANGIARE VOLENTIERI CIÒ CHE VIENE SERVITO” (SAN JOSEMARÍA)
La Quaresima è un momento stupendo per stimolare questo «particolare affetto» per la Confessione, praticandola noi in primo luogo e facendola conoscere a molte persone.

Dopo l’assoluzione che il sacerdote dà nel nome di Dio, il Rituale propone, fra le tante possibili, una bella preghiera di congedo del penitente: «La passione di Gesù Cristo nostro Signore, l’intercessione della beata Vergine Maria e di tutti i santi, il bene che farai e il male che dovrai sopportare ti giovino per il perdono dei peccati, l’aumento della grazia e il premio della vita eterna. Va’ in pace» [27]. È un’antica preghiera nella quale il sacerdote chiede a Dio di estendere il frutto del sacramento a tutta la vita del penitente, ricordando da quale fonte emana la sua efficacia: i meriti della Vittima innocente e di tutti i Santi.

Come accadde al figlio minore della parabola, dopo l’abbraccio di Dio nostro Padre siamo ammessi al banchetto [28]. Che gioia partecipare all’Eucaristia perfettamente puliti! «Ama molto il Signore. Custodisci e alimenta, nella tua anima, questa urgenza di volergli bene. Ama Dio, proprio ora, quando forse parecchi di quelli che lo tengono fra le mani non lo amano, lo maltrattano e lo trascurano. Trattami molto bene il Signore, nella Santa Messa e durante tutta la giornata!» [29].

AMA MOLTO IL SIGNORE. CUSTODISCI E ALIMENTA NELLA TUA ANIMA QUESTA URGENZA DI VOLERGLI BENE. (SAN JOSEMARÍA)
Attraverso la liturgia, la Chiesa ci invita a percorrere con garbo il cammino della Quaresima. La celebrazione frequente dei sacramenti, la meditazione assidua della Parola di Dio e le opere penitenziali, senza che venga meno la gioia – Laetare Ierusalem! – che sottolinea in modo particolare la quarta domenica[30], sono pratiche che affinano la nostra anima e ci preparano a partecipare intensamente alla Settimana Santa, quando rivivremo i momenti culminanti dell’esistenza di Gesù sulla terra. «Dobbiamo far diventare vita nostra la vita e la morte di Cristo. Morire per mezzo della mortificazione e della penitenza, perché Cristo viva in noi per mezzo dell’Amore. E dunque seguire le orme di Cristo, con l’anelito di corredimere tutte le anime» [31]. Contemplando il Signore che dà la vita per noi, perfettamente purificati dai nostri peccati, riscopriremo la gioia della salvezza che Dio ci porta: «Redde mihi laetitiam salutaris tui – Rendimi la gioia di essere salvato» [32].

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