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La santificazione del lavoro agli inizi e alla fine della vita professionale

Lavorare bene, lavorare per amore: cap XVI

Autore: Javier López Díaz

San Josemaría ha scritto che il lavoro è «una malattia contagiosa, incurabile e progressiva» . Il desiderio di dar gloria a Dio è il motivo ultimo di questa laboriosità, di questo anelito di santificare il tempo, di voler offrire a Dio ogni minuto di ogni ora, ogni ora di ogni giornata…, ogni tappa della vita. «La persona laboriosa utilizza con profitto il tempo, che non è solo denaro, è gloria di Dio. Fa quello che deve e si impegna in quello che fa, non per abitudine o per riempire le ore, ma come frutto di riflessione attenta e ponderata».
L’uomo «accorto controlla i propri passi», dice il libro dei Proverbi. Controllare i passi nel compito professionale è quella riflessione attenta e ponderata della quale parla san Josemaría, eche ci fa riflettere dove siamo diretti con il nostro lavoro e ci permette di rettificare l’intenzione.
L’uomo prudente ha la capacità di discernere in ogni situazione il modo migliore di dirigersi verso il fine che aveva scelto. La nostra meta è il Signore. Quando cambiano le circostanze conviene tenere il cuore sveglio per percepire le chiamate di Dio nei e attraverso i cambiamenti, le nuove
situazioni.
Ora ci soffermeremo su due momenti precisi della vita professionale: quello iniziale e quello finale. Nell’ambito della loro specificità, aiutano a considerare alcuni aspetti della santificazione del lavoro. Tra gli altri: la disposizione vigilante, con la fortezza della fede, a conservare la rettitudine d’intenzione; il valore relativo della materialità di ciò che facciamo; la fugacità dei successi o degli insuccessi; la necessità di mantenere sempre un atteggiamento giovane e sportivo, disposti a ricominciare, per amore a Dio e agli altri, tutte le volte che sia necessario…
Una delle note essenziali dell’insegnamento di san Josemaría è l’unità di vita, che significa orientare ogni cosa verso un unico fine; cercare «solamente e in tutto la gloria di Dio». Coloro che dedicano la maggior parte della giornata a svolgere una professione, non possono fare a meno di imparare a coltivarla. L’inizio della vita professionale è uno dei momenti più importanti di questo apprendimento. È una situazione di cambiamento, di nuove sfide e di nuove possibilità…, ma anche di difficoltà che conviene conoscere.
In alcuni ambiti si richiede dai giovani professionisti una dedicazione senza limiti di orario e di impegno, come se il lavoro fosse l’unica dimensione della propria esistenza. Queste pratiche si ispirano, da una parte, a certe tecniche di motivazione; ma rispondono anche a una mentalità che assolutizza il successo professionale rispetto a ogni altra dimensione dell’esistenza. Si cerca di stimolare un atteggiamento nel quale l’impegno con l’impresa o con il gruppo di lavoro sta al
di sopra di ogni altro interesse. Ed è proprio in persone che vogliono far bene il loro lavoro che possono attecchire posizioni di questo tipo. San Josemaría, maestro della santificazione del lavoro, metteva in guardia dal pericolo di sconvolgere l’ordine delle aspirazioni. «È importante che ti dia da fare, che offra la spalla… In ogni modo, metti gli impegni professionali al loro posto: sono esclusivamente mezzi per arrivare al fine: non possono mai essere considerati addirittura come la
cosa fondamentale. Quante “professionaliti” impediscono l’unione con Dio!».
I mezzi che si usano per reclamare questa esclusività di solito non consistono in rigide imposizioni, ma piuttosto nel far capire che la stima, la considerazione e le possibilità future di una persona dipendono dalla sua disponibilità incondizionata. In questo modo si stimola la persona a passare un gran numero di ore in azienda, rinunciando anche al fine settimana o ai periodi di riposo – abitualmente dedicati alla famiglia, a coltivare le amicizie, ecc. –, anche quando non ce
ne sia una reale necessità. Queste e altri modi di dimostrare la massima disponibilità spesso sono incentivate con gratifiche o con altri vantaggi che permettono di muoversi in un certo status sociale: alberghi e ambienti esclusivi quando si viaggia per motivi di lavoro, regali… Al contrario, qualunque limitazione della disponibilità viene considerata una pericolosa deviazione dalla “mentalità di gruppo”. Il gruppo di lavoro o l’azienda pretendono così di assorbire la maggior parte delle energie e gli altri impegni esterni si debbono subordinare sempre a quelli di lavoro.
Queste situazioni possono deviare la rettitudine d’intenzione, pensando che tutto questo faccia parte del prestigio professionale conveniente per l’apostolato. Il pericolo e che «un’impaziente e disordinata preoccupazione di emergere professionalmente può mascherare l’amor proprio sotto il mantello del “servire le anime”. Con falsità – non tolgo una sillaba –, ci fabbrichiamo la giustificazione di non dover lasciar cadere certe occasioni, certe circostanze favorevoli…».
Quando si trascurano la fortezza e la temperanza indispensabili a mantenere le aspirazioni professionali in un ordine che permetta di orientarle all’amore a Dio, non è difficile immaginare le conseguenze. Basta pensare alle crisi che si producono nella vita familiare quando il padre o la madre non vogliono diminuire il lavoro, potendolo fare, e lesinano la necessaria dedicazione di tempo e di energie alla casa; o il raffreddamento del rapporto con Dio quando il piano di vita spirituale non occupa il primo posto; o la fiacchezza dell’apostolato di amicizia e di confidenza quando l’attenzione alle persone è considerata abitualmente un intralcio agli impegni professionali.
L’atteggiamento di chi si lascia sedurre dal successo umano – ben diverso dal prestigio professionale che è l’amo dell’apostolo –, rende impossibile l’unità di vita cristiana. La professione non è più inserita nell’insieme delle attività secondo l’ordine della carità, che comprende l’attenzione ad altri doveri spirituali, familiari e sociali. Quello che veramente deve interessare a un figlio di Dio è compiere la volontà di suo Padre, facendo in modo di lavorare alla sua amorosa presenza. Questo è ciò che dà senso a tutto, ciò che ci deve spingere a lavorare e a riposare, a fare questo o quello; ciò che ci dà pace e gioia. Per cristianizzare gli ambienti professionali si
richiede maturità umana e soprannaturale, un prestigio professionale cristiano che non si riducealla semplice produttività.
Noi figli di Dio siamo stati liberati da Cristo sulla Croce. Possiamo accogliere tale liberazione o rifiutarla. Se l’accogliamo con la nostra corrispondenza, vivremo liberi dalla schiavitù delle opinioni degli altri, dalla tirannia delle nostre passioni e da qualunque altra pressione che miri a piegare il nostro cuore e indurci a servire signori diversi da Dio nostro Padre.
Spesso sarà necessaria una buona dose di fortezza per dire di no a certe proposte professionali che sinceramente sappiamo che non si trovano nel nostro itinerario personale di santificazione e di apostolato, anche se potrebbero stare in quello di un altro. Su questo, però, non esistono ricette. Per agire con prudenza in una questione di tanta importanza occorre una vita interiore solida, un fermo desiderio di dare gloria a Dio e l’atteggiamento umile e aperto di lasciarsi consigliare.
Un’altra fase che ha le sue esigenze specifiche è il momento del pensionamento. Questo cambiamento della condizione di vita richiede un adattamento di molti aspetti pratici e, soprattutto, uno spirito giovane, disposto a cercare e realizzare ciò che Dio chiede in questa nuova tappa.
È un buon momento per meditare ancora una volta sul significato della santificazione del lavoro, cominciando dal primo requisito, quello di lavorare, proprio in una situazione nella quale le circostanze non obbligano a farlo come prima. Si mette in evidenza che il motivo per lavorare non è solo la necessità ma l’amore a Dio, che ci ha creato perché lavorassimo finché potremo.
È una splendida occasione per riflettere su come essere utili al Signore e agli altri, con un rinnovato spirito di servizio, più sereno e più retto, in tante cose piccole o in grandi iniziative.
Le possibilità sono assai diverse fra loro. Vi sono coloro che, per un certo tempo, continuano l’attività professionale precedente, preparando le persone che dovranno sostituirlo. Altri si orientano verso attività di carattere assistenziale, di grande valore: assistenza di malati, sostegno ai centri educativi e formativi che hanno bisogno di persone di esperienza, in condizioni da dedicare il loro tempo. Altri approfittano dell’occasione per mettere in gioco certe capacità che raramente prima avevano potuto sviluppare: collaborando ad alcune attività culturali che è possibile realizzare attraverso internet; intervenendo nella formazione dell’opinione pubblica; sostenendo le associazioni familiari e culturali; promuovendo la formazione di gruppi di telespettatori o di consumatori che migliorino la società… Attività realizzate con professionalità, con la mentalità professionale che si è avuta fino allora e che deve continuare a manifestarsi nella perfezione con cui
si compie il nuovo lavoro, nella preparazione che si cerca di acquisire per compierlo, nella serietà con cui si rispetta l’orario e tutti gli impegni che si sono assunti.
Gli orizzonti apostolici di questa tappa della vita sono molto vasti. Il passaggio a una situazione di maggior libertà nell’organizzare il proprio tempo, non deve lasciar posto a un imborghesimento.
Quando si è imbevuti di zelo apostolico, le occasioni di entrare in contatto con altre persone possono essere, in queste nuove circostanze, molto maggiori di prima. Si può presentare anche l’opportunità di compiere un’attività apostolica con persone giovani, non solo collaborando in qualche iniziativa ma creandola: un club, alcune attività di formazione che permettano di dare nuovi frutti al bagaglio di spirito cristiano che si ha dentro.
«Lo spirito umano, pur partecipando all’invecchiamento del corpo, rimane in un certo senso sempre giovane, se vive rivolto verso l’eterno» . San Josemaría, negli ultimi anni della sua vita sulla terra, quando le forze fisiche cominciavano a diminuire, non per questo ha evitato di intraprendere progetti pieni di audacia, come, per esempio, Cavabianca e il santuario di Torreciudad.
È stato ugualmente sorprendente l’esempio di san Giovanni Paolo II, che promosse numerose iniziative di evangelizzazione, una più audace dell’altra, con grande forza e vigore malgrado la malattia che l’ha accompagnato per anni, fino alla morte santa. A lui stesso si possono applicare queste sue parole, con le quali invitava a coltivare una grande stima dell’ultima tappa della vita: «Tutti conosciamo esempi eloquenti di anziani con una sorprendente giovinezza e vigoria dello spirito…».

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