La soddisfazione (penitenza)
«Fate dunque frutti degni della conversione» - Omelia
Autore: Santo Curato d'Ars
Questo è, fratelli miei, il discorso che il santo Precursore del Salvatore teneva a tutti coloro che venivano a trovarlo nel suo deserto per apprendere da lui ciò che bisognava fare per avere la vita eterna.
Fate, egli diceva, frutti degni di penitenza, affinchè i vostri peccati vi siano rimessi.
E cioè, fratelli miei, chiunque di voi ha peccato non ha altro rimedio se non la penitenza, anche coloro che sono stati già perdonati.
Infatti, i nostri peccati, rimessi nel tribunale della penitenza, ci lasciano ancora le pene da scontare, o in questo mondo, cioè le pene e tutte le miserie di questa vita, oppure nelle fiamme del Purgatorio (allude alla dottrina cattolica della remissione della colpa ma non della pena corrispondente, che dovrà essere scontata con le sofferenze di questa vita o dell’altra; le “indulgenze”, potrebbero rimettere anche la pena, se ci sono tutte le condizioni richieste, sempre secondo la dottrina cattolica, non condivisa dalle chiese protestanti, anzi fu una delle cause dello scisma; n.d.a.).
C’è questa differenza, fratelli miei, tra il sacramento del Battesimo e quello della Penitenza, che nel sacramento del Battesimo, Dio ascolta solo la Sua Misericordia, e cioè ci perdona senza esigere nulla da parte nostra, mentre nel sacramento della Penitenza, Dio non ci rimette i peccati e non ci ridona la Grazia se non a condizione che noi subiamo una pena temporale, o in questo mondo o nelle fiamme del Puragatorio; e questo, al fine di punire il peccatore per il disprezzo e l’abuso delle Sue grazie.
Se Dio vuole che noi facciamo penitenza affinchè i nostri peccati ci siano perdonati, è anche per preservarci dal ricadere nei medesimi peccati, in modo che, ricordandoci di ciò che abbiamo sopportato per quelli che abbiamo già confessati, non abbiamo il coraggio di ritornarvi (si narra che il santo curato spesso chiedeva a Dio di fare scontare a lui la penitenza dei peccati di coloro che si sarebbero da lui, specie dei più peccatori; qualche volta Dio gliela inviava ancora prima che questi andassero a confessarsi da lui, e da questo segno il curato prevedeva l’arrivo di qualche grosso peccatore; n.d.a.).
Dio vuole che noi uniamo le nostre penitenze alle sue, e che consideriamo quanto Egli abbia sofferto per rendere le nostre meritorie.
Ahimè! fratelli miei, stiamo attenti a non sbagliarci; senza le sofferenze di Gesù Cristo, tutto ciò che noi avremmo potuto fare non avrebbe mai potuto soddisfare neppure al minimo dei nostri peccati.
Ah! mio Dio, quanto ti siamo debitori per questo grande atto di Misericordia verso dei miserabili ingrati!
Vi mostrerò dunque, fratelli miei:
1) Che sebbene i nostri peccati ci siano perdonati, non siamo esonerati dal fare penitenza;
2) Quali sono le opere mediante le quali possiamo soddisfare alla Giustizia di Dio, o, per parlarvi più chiaramente, vi mostrerò che cos’è la soddisfazione (o “espiazione”; n.d.a.), che è la quarta dispozizione che dobbiamo avere per ricevere degnamente il sacramento della penitenza (allude ai cosiddetti “atti del penitente”: esame di coscienza, contrizione, confessione, proposito e soddisfazione o espiazione; n.d.a.).
Voi tutti sapete, fratelli miei, che il sacramento della penitenza è un sacramento che è stato isituito da Nostro Signore Gesù Cristo per rimettere i peccati commessi dopo il battesimo.
E’ principalmente in questo sacramento che il Salvatore del mondo ci mostra la grandezza della Sua Misericordia, perchè non c’è peccato che questo sacramento non cancelli, per quanto grande ne sia il numero e per quanto orribile ne sia la nefandezza; di modo che ogni peccatore è certo del suo perdono e di riguadagnare l’amicizia del suo Dio, se, da parte sua, possiede le disposizioni che questo sacramento richiede.
La prima disposizione è quella di conoscere i propri peccati, il loro numero e le loro circostanze che possono o accrescerli o cambiarne la specie: e questa conoscenza non ci sarà data se non dopo averla richiesta allo Spirito Santo.
Ogni persona che, nel suo esame, non domanda la luce dello Spirito Santo, non potrà fare che una confessione sacrilega.
Se ciò vi è già successo, ritornate sui vostri passi, perchè siate ben certi che le vostre confessioni non sono state che delle cattive confessioni.
La seconda condizione è quella di dichiarare nel modo giusto i propri peccati, come dice il vostro catechismo, senza artificio e senza travisamento, e cioè così come li conoscete voi stessi.
Questa accusa non sarà fatta come si deve, fino a che non ne avrete chiesto la forza al buon Dio: senza di ciò vi sarà impossibile dichiararli come si deve, per riceverne il perdono.
Voi dovete dunque esaminare davanti al buon Dio se, tutte le volte che avete voluto confessarvi, gli avete domandato questa forza; se vi avete mancato, ritornate sulle vostre confessioni, perchè siate certi che esse non valgono nulla (naturalmente le anime portate allo scrupolo, dovrebbero soprassedere a queste raccomandazioni del curato, che egli rivolgeva piuttosto ad anime un po’ superficiali e poco sensibili, altrimenti non avrebbero mai pace; n.d.a.)
La terza condizione che questo sacramento richiede perchè otteniate il perdono dei vostri peccati, è la contrizione, cioè il dispiacere di averli commessi, insieme alla sincera risoluzione di non commetterli più, e un sincero desiderio di fuggire tutto ciò che vi ci può far ricadere.
Questa contrizione viene dal cielo e non ci è data che con la preghiera e le lacrime; preghiamo dunque e piangiamo, pensando che questo difetto di contrizione è quello che danna la maggior parte.
Si accusano per bene i propri peccati, ma spesso il cuore vi è assente.
Si raccontano i propri peccati, come si racconterebbe una storia indifferente: non abbiamo questa contrizione perchè non cambiamo vita.
Abbiamo ogni anno, ogni sei mesi, ogni mese o ogni tre settimane, o ogni otto giorni, se volete, lo stesso peccato e lo stesso difetto; camminiamo sempre sulla stessa strada: nessun cambiamento nel nostro modo di vivere.
Da dove possono venire tutte queste disgrazie che precipitano tante anime all’inferno, se non dal difetto di contrizione? E come poter sperare di averla, poichè spesso non non la chiediamo semplicemente a Dio, o la chiediamo quasi senza desiderio di riceverla?
Se non vedete alcun cambiamento nella vostra condotta, e cioè, se non siete affatto migliori dopo tante confessioni e comunioni, ritornate sui vostri passi, per riconoscere il vostro danno prima che non vi sia più rimedio.
Bisogna, fratelli miei, per dare a noi stessi la speranza che le nostre confessioni siano fatte con le buone disposizioni, bisogna che quando ci confessiamo , ci convertiamo: senza di ciò, non facciamo altro che prepararci ogni sorta di disgrazie nell’altra vita.
Ma dopo avere ben conosciuto i nostri peccati, con la Grazia dello Spirito Santo; dopo averli dichiarati come si deve, dopo aver provato il dolore per i nostri peccati, ci resta ancora una quarta condizione, affinchè le altre tre portino i frutti che ce ne dobbiamo aspettare, essa è la soddisfazione che dobbiamo a Dio e al prossimo.
Dico “a Dio”, per riparare le ingiurie che il peccato gli ha fatto, e “al prossimo”, per riparare il torto che gli abbiamo fatto o nell’anima o nel corpo.
Per prima cosa vi dirò che dall’inizio del mondo, vediamo ovunque che Dio, perdonando il peccato, ha sempre voluto una soddisfazione temporale, che è un diritto che la Sua Giustizia reclama.
La Sua Misericordia ci perdona, ma la Sua Giustizia vuole essere soddisfatta in piccola parte, di modo che dopo aver peccato, dopo essere stati perdonati, noi dobbiamo rivalerci su noi stessi, facendo soffrire il nostro corpo che ha peccato.
Ma ditemi, fratelli miei, quali sono le penitenze che facciamo, in confronto a quelle che i nostri peccati ci hanno meritato, e cioè un’eternità di tormenti?
O mio Dio, quanto sei buono, che ti accontenti di una così piccola cosa.
Se le penitenze che vi si danno vi sembrano dure e penose da compiere, per il grande numero dei vostri peccati mortali, percorrete la vita dei santi, e vedrete le penitenze che essi hanno fatto, sebbene molti fossero certi del loro perdono (quest’ultimo pensiero non è molto chiaro; n.d.a.).
Vedete Adamo, al quale il Signore stesso disse che il suo peccato gli era perdonato, e che, malgrado ciò, fece penitenza durante più di novecento anni, penitenza che fa tremare.
Vedete Davide, al quale il profeta Natan va a dire da parte di Dio che il suo peccato gli è rimesso, e che fa una penitenza così rigorosa, che i suoi piedi non lo reggevano più; egli faceva rimbombare il suo palazzo di grida e di singhiozzi, affranto dal dolore per i propri peccati.
Dice lui stesso che sarebbe disceso nella tomba piangendo; che il suo dolore non lo abbandonerà se non quando finirà la sua vita; le sue lacrime colano con tale abbondanza, che ci dice egli stesso che bagna il suo pane con le lacrime e inonda di pianto il suo letto.
Vedete ancora san Pietro, per un peccato che la paura gli ha fatto commettere; il Signore lo perdona e tuttavia egli piange il suo peccato per tutta la vita con tale abbondanza, che le lacrime scavano il suo volto.
Cosa fa santa Maddalena dopo la morte del Salvatore? Ella va a seppellirsi in un deserto, dove piange e fa penitenza per tutta la vita: tuttavia Dio l’aveva perdonata, poichè dice al fariseo che molti peccati le erano stati rimessi perchè aveva molto amato (il curato confonde la peccatrice di cui parla il cap.7 di Luca, con Maria Maddalena, secondo un’antica tradizione poco probabile; il resto lo prende da altre tradizioni leggendarie; n.d.a.).
Ma, senza andare tanto lontano, fratelli miei, vedete le penitenze che si davano nei primi tempi della Chiesa.
Vedete se quelle di adesso hanno qualche proporzione con quelle di quei tempi.
Per avere bestemmiato il santo nome di Dio, senza pensarci, ahimè! cosa oggi tanto comune, perfino ai fanciulli che forse non conoscono neppure una delle loro preghiere, li si condannava a digiunare per sette giorni a pane e acqua.
Per avere consultato gli indovini, sette anni di penitenza.
Per aver lavorato un piccolo istante di domenica, bisognava fare penitenza per tre giorni.
Per aver parlato durante la santa Messa, bisognava digiunare dieci giorni a pane e acqua.
Se durante la quaresima si fosse mancato di digiunare un solo giorno, bisognava digiunare sette giorni.
Per aver danzato davanti a una chiesa in giorno di domenica o di festa, si era condannati a sette anni di penitenza.
Per aver violato il digiuno delle “quattro tempora”, bisognava digiunare quaranta giorni a pane e acqua (antica usanza che consisteva in quattro serie di tre giorni di digiuno e astinenza, all’inizio delle quattro stagioni dell’anno; n.d.a.).
Per aver deriso un vescovo o il proprio pastore, gettando nel ridicolo le loro istruzioni, bisognava fare penitenza per quaranta giorni.
Per aver lasciato morire un bambino senza battesimo, tre anni di penitenza.
Per essersi travestiti a carnevale, tre anni di penitenza.
Per una persona giovane, ragazzo o ragazza, che avesse danzato, tre anni di penitenza, e se vi ricadevano, si minacciava di scomunicarli.
Coloro che compivano dei viaggi la domenica o le feste, senza necessità, sette giorni di penitenza.
Una ragazza che avesse commesso un peccato contro la purezza con un uomo sposato, dieci anni di penitenza.
Ebbene, ditemi, fratelli miei, cosa sono le penitenze che vengono imposte a noi, se le paragoniamo a quelle di cui abbiamo parlato?
Tuttavia, la Giustizia di Dio è la stessa; i nostri peccati non sono affatto meno detestabili agli occhi di Dio, e non meritano certo di essere meno puniti.
Non dovremmo essere coperti di confusione, per fare quel poco che facciamo, mentre i primi cristiani facevano delle penitenze così difficili e tanto lunghe?
Ma, mi direte voi, quali sono dunque le opere per mezzo delle quali possiamo soddisfare la Giustizia di Dio per i nostri peccati?
Se desiderate fare qualcosa, non c’è niente di più facile, come vedrete.
La prima cosa da fare è la penitenza che il confessore vi impone, che è parte costitutiva del sacramento della Penitenza.
Se non si avesse l’intenzione di compierla con tutto il cuore, nel miglior modo possibile, la confessione sarebbe solo un sacrilegio.
La seconda cosa è la preghiera; la terza il digiuno; la quarta l’elemosina; e la quinta le indulgenze, che sono le opere più facili da compiere e le più efficaci (per eliminare la “pena” conseguente alla “colpa”, già rimessa dal sacramento, secondo la dottrina cattolica; n.d.a.).
Io dico che la penitenza che il confessore ci impone prima di darci l’assoluzione, dobbiamo riceverla con gioia e con riconoscenza, e compierla come meglio ci è possibile; senza di ciò dobbiamo temere grandemente di fare una confessione sacrilega.
Se pensassimo, perciò, di non poterla fare, dovremmo umilmente presentare al confessore le nostre ragioni: se egli le ritiene valide, ce la cambierà.
Ma ci sono alcune penitenze che il sacerdote non può e non deve cambiare.
Si tratta delle penitenze che si riferiscono alla correzione del peccatore, come, per esempio, impedire a un ubriaco di frequentare il cabaret, a delle ragazze di andare a danzare, oppure a un ragazzo la compagnia di una persona che lo porta verso il male; obbligare a riparare qualche ingiustizia che si sia fatta, a confessarsi spesso perchè si è vissuti troppo tempo nella negligenza per la propria salvezza.
Converrete con me che un sacerdote non può e non deve cambiare queste penitenze.
Ma, se si avesse qualche motivo per fare cambiare la penitenza, occorrerebbe che fosse lo stesso sacerdote di prima a cambiarla, a meno che non sia del tutto impossibile, perchè un altro confessore non sa per quali ragioni quella vi è stata data.
Trovate forse le vostre penitenze lunghe e difficili, fratelli miei?
Ma non pensateci nemmeno!
Paragonatele allora alle pene dell’inferno che avete meritato per i vostri peccati.
Ah! con quale gioia un povero dannato accoglierebbe, fino alla fine del mondo, le penitenze che vi si danno, e anche di più rigorose, se con tale prezzo, potesse porre termine al suo supplizio!
Quale gioia sarebbe per lui! ma che non gli sarà mai data.
Ebbene! fratelli miei, ricevendo con gioia le nostra penitenza, con un sincero desiderio di compierla nel miglior modo possibile, noi ci liberiamo dell’inferno, come se il buon Dio accordasse ai dannati ciò che vi ho appena detto.
Oh! mio Dio, quanto poco il peccatore conosce la fortuna che ha!
Aggiungo anche che dobbiamo compiere la penitenza che il confessore ci dà, e che non farlo sarebbe un peccato grave.
E’ solo a questa condizione che Dio ridona la Sua Grazia al peccatore, e che il sacerdote, nel Suo Nome, gli rimette i peccati.
Ditemi, fratelli miei, non sarebbe forse una empietà non fare la penitenza e sperare ancora il perdono?
Sarebbe andare contro la ragione; sarebbe come volere la ricompensa senza pagarne il prezzo.
Cosa pensare, fratelli miei, di coloro che non fanno la loro penitenza?
Per me, ecco cosa ne penso.
Se ancora non hanno ricevuto l’assoluzione, si tratta di persone che non hanno nessun desiderio di convertirsi, giacchè rifiutano i mezzi che occorre usare a tale scopo, e quando tornano a confessarsi, il sacerdote deve rifiutare loro l’assoluzione per una seconda volta (non è chiaro cosa il santo curato intenda dire; n.d.a.).
Ma se il penitente ha ricevuto l’assoluzione ma ha trascurato la penitenza, si tratta di un peccato mortale, se i peccati che aveva confessato fossero stati mortali, e la penitenza imposta fosse in sè considerevole; egli deve temere a ragione che la sua confessione sia stata sacrilega, per la mancanza della sincera volontà di soddisfare a Dio per i suoi peccati.
Ma qui parlo solo di coloro che abbiano omesso la loro penitenza per intero, o una parte considerevole di essa, e non di quelli che l’abbiano dimenticata o che non avessero potuto compierla nel momento prescritto.
Inoltre dico che bisogna compiere la propria penitenza per intero, nel tempo stabilito e devotamente.
Dico, per intero. Non bisogna trascurare nulla di tutto quello che ci è stato assegnato; al contrario, dobbiamo aggiungere qualcosa a ciò che il confessore ci ha imposto.
San Cipriano ci dice che la penitenza deve uguagliare la colpa, che il rimedio non deve essere inferiore al male.
Ma ditemi, fratelli miei, quali sono le penitenze che ci vengono date?
Ahimè! qualche rosario, qualche litania, qualche elemosina, qualche piccola mortificazione.
Ditemi: tutte queste cose hanno qualche proporzione con i nostri peccati, che meritano dei tormenti che non finiranno mai?
Ci sono alcuni che fanno la loro penitenza camminando o stando seduti, ma questo non si deve fare.
La vostra penitenza dovete farla in ginocchio, a meno che il sacerdote non vi dica che potete farla camminando o seduti.
Se ciò vi è successo, dovete confessarvene e non ricaderci mai più (non si tratta di pignoleria, ma siamo sempre in linea con la “serietà” del rapporto con Dio, che il santo non vuole che si prenda troppo alla leggera, come a volte si fa; n.d.a.).
In secondo luogo dico che la penitenza occorre farla nel tempo stabilito, senza di ciò voi peccate, a meno che non possiate fare altrimenti, in tal caso lo direte al vostro confessore quando tornerete a confessarvi.
Se, per esempio, egli vi ordina di fare una visita al Santo Sacramento dopo l’ufficio liturgico, poichè sa che andrete in mezzo a compagnie che non vi condurranno al buon Dio; se egli vi comanda di mortificarvi in qualcosa nel vostro cibo, poichè siete soggetti all’ingordigia; o di fare un atto di contrizione, se doveste avere la disgrazia di ricadere nel peccato che avete già confessato; oppure se altre volte aspettate, per compiere la vostra penitenza, il momento prima di andarvi a confessare nuovamente, voi comprendete bene quanto me che, in tutti questi casi, siete colpevoli, e che non dovete omettere di accusarvene e non ricaderci mai più.
In terzo luogo, dico che dovete fare la vostra penitenza devotamente, cioè con tutta pietà, in una sincera disposizione a lasciare il peccato.
Farla con pietà, fratelli miei, significa farla con attenzione da parte dello spirito, e con devozione del cuore.
Se faceste la vostra penitenza con delle distrazioni volontarie, è come se non l’aveste fatta, e sareste obbligati a rifarla.
Adempierla con pietà, significa farla con una grande confidenza che il buon Dio ci perdonerà i nostri peccati per i meriti di Gesù Cristo, che ha soddisfatto per noi con le Sue sofferenze e con la Sua morte sulla croce.
Dobbiamo compierla con gioia, rapiti dalla possibilità di poter soddisfare a Dio, che abbiamo offeso, e di trovare mezzi così facili per poter cancellare i nostri peccati che meriterebbero di farci soffrire per tutta l’eternità.
Una cosa che non dovete mai dimenticare, è che, tutte le volte che fate la vostra penitenza, dovete dire a Dio: Mio Dio, io unisco questa leggera penitenza a quella che Gesù Cristo, mio Salvatore ti ha offerto per i miei peccati; ecco che cosa renderà la vostra penitenza meritoria e gradita a Dio.
Io dico ancora che dobbiamo compiere la nostra penitenza con un vero desiderio di abbandonare del tutto il peccato, costi quello che costi, anche se bisognasse soffrire la morte.
Se non siamo in queste disposizioni, ben lungi dal soddisfare alla Giustizia di Dio, noi l’oltraggeremmo nuovamente, e questo ci renderebbe ancora più colpevoli
(il santo ci sta dicendo in ogni modo possibile, che non sarà mai la “grazia a buon mercato” ma soltanto la “grazia a caro prezzo”, quella che ci farà santi, proprio come è stato per lui; n.d.a.).
Aggiungo anche che non dobbiamo accontentarci della penitenza che il confessore ci impone, perchè quella è niente, o quasi niente, se la paragoniamo a ciò che meritano i nostri peccati.
Se il confessore ci risparmia a tal punto, lo fa nel timore che egli nutre, di farci perdere il gusto di lavorare per la nostra salvezza.
Se voi avete veramente a cuore la vostra salvezza, dovete imporvi da soli delle penitenze.
Ecco ciò che vi conviene meglio.
Se avete avuto la disgrazia di dare scandalo, dovete farvi così vigilanti che il vostro prossimo non debba vedere in voi nulla che non lo conduca verso il bene; bisogna che mostriate con la vostra condotta, che la vostra vita è divenuta veramente cristiana.
E se avete avuto la disgrazia di peccare contro la santa virtù della purezza, bisogna mortificare questo miserabile corpo per mezzo di digiuni, non concedendogli altro se non ciò che è strettamente necessario per non togliergli la vita e perchè possa adempiere ai suoi doveri; e ogni tanto farlo dormire sul duro giaciglio.
Se vi trovate a mangiare qualcosa che accarezza la vostra golosità, bisogna rifiutarla al vostro corpo, e disprezzarla tanto quanto l’avete amata; quello (il corpo) voleva far perdere la vostra anima e occorre che voi lo puniate (il santo, per tutta la vita non si nutriva di altro che di patate lesse, a volte andate a male, perchè non le cucinava ogni giorno; n.d.a.).
Occorre che spesso il vostro cuore, che ha pensato a cose impure, pensi anche all’inferno, che è il posto riservato agli impudichi (una razza che si sta estinguendo, a causa dell’eccessiva tolleranza; n.d.a.).
Se siete attaccati alla terra, dovete fare delle elemosine tanto quanto potete, per punire la vostra avarizia, privandovi di tutto ciò che non vi è assolutamente necessario per la vita.
Siamo stati negligenti nel servizio di Dio?
Imponiamoci, per fare penitenza, di assistere a tutti gli esercizi di pietà che si fanno nella nostra parrocchia.
Voglio dire, alla Messa, ai Vespri, al catechismo, alla preghiera, al rosario, in modo che Dio, vedendo la nostra premura, voglia perdonarci tutte le nostre negligenze.
Se ci resta qualche momento tra un ufficio e l’altro, facciamo qualche lettura di pietà, che nutrirà la nostra anima; soprattutto leggiamo qualche vita dei santi, dove vedremo quello che hanno fatto per santificarsi; questo ci incoraggerà.
Facciamo qualche breve visita al Santo Sacramento, per chiedergli perdono dei peccati che abbiamo commesso durante la settimana.
Se ci sentiamo colpevoli di qualche sbaglio, andiamo a liberarcene, affinchè le nostre preghiere e tutte le nostre buone opere siano più gradite a Dio e più vantaggiose per la nostra anima.
Abbiamo forse l’abitudine di giurare o di agitarci?
Mettiamoci in ginocchio per recitare questa santa preghiera: Mio Dio, che il Tuo santo Nome sia benedetto per tutti i secoli dei secoli; mio Dio, purifica il mio cuore, purifica le mie labbra, affinchè esse non pronuncino mai parole che ti oltraggino e mi separino da Te.
Tutte le volte che ricadrete in questo peccato, bisogna, sul momento, o fare un atto di contrizione, o donare qualche soldo ai poveri.
Avete lavorato di domenica?
Avete venduto o comprato in questo santo giorno senza necessità?
Fate ai poveri un’elemosina che superi il profitto che ne avete fatto.
Avete mangiato o bevuto con eccesso?
Bisogna che in tutti i vostri pasti, vi priviate di qualcosa.
Ecco, fratelli miei, delle penitenze che non soltanto possono soddisfare alla Giustizia di Dio, se sono unite a quelle di Gesù Cristo, ma che possono anche preservarvi dal ricadere nei vostri peccati.
Se vorrete comportarvi in questo modo, sarete sicuri di correggervi, con la Grazia del buon Dio.
Si, fratelli miei, dobbiamo castigarci e punirci per mezzo di ciò con cui abbiamo fatto il male; sarà questo il vero mezzo per evitare le penitenze e i castighi dell’altra vita.
E’ vero che ci costa, ma non possiamo esimercene, finchè siamo ancora in vita e finchè Dio si accontenta di sì poca cosa.
Se aspettiamo dopo la morte, non ci sarà più tempo, fratelli miei, tutto sarà finito; non ci resterà altro che il rimpianto per non averlo fatto.
Sentiamo forse, fratelli miei, qualche ripugnanza per la penitenza?
Gettiamo lo sguardo sul nostro amabile Salvatore: vediamo quello che ha fatto, quello che ha sofferto al fine di soddisfare a Suo Padre per i nostri peccati.
Animiamoci con l’esempio di tanti illustri martiri, che hanno consegnato i loro corpi ai carnefici con tanta gioia.
Animiamoci ancora, fratelli miei, col pensiero delle fiamme divoranti del purgatorio, che soffrono le povere anime condannate per dei peccati forse minori dei nostri.
Se vi costa, fratelli miei, fare penitenza, pensate che poi riceverete la ricompensa eterna che queste penitenze vi meriteranno.
Abbiamo detto che possiamo soddisfare alla Giustizia di Dio per mezzo della preghiera, non soltanto la preghiera vocale o mentale, ma anche con l’offerta di tutte le nostre azioni, elevando di quando in quando il nostro cuore al buon Dio, durante la giornata, dicendo:
Mio Dio, Tu sai che è per Te che io lavoro; Tu mi ci hai condannato per soddisfare alla tua Giustizia per i miei peccati (nessuna meraviglia o scandalo, se il curato considera il lavoro anche come una “condanna”. Egli è in linea perfettamente con la dottrina biblica: cfr. Genesi 3,17-19).
Mio Dio, abbi pietà di me che non sono che un peccatore così miserabile, che mi sono tante volte rivoltato contro di Te, Salvatore mio e mio Dio.
Desidero che tutti i miei pensieri, tutti i miei desideri, abbiano un solo oggetto, e che tutte le mie azioni siano compiute soltanto in vista di piacere a Te.
Ciò che può essere gradito a Dio è pensare spesso al nostro fine ultimo, cioè alla morte, al giudizio, all’inferno che è stato creato per la dimora dei peccatori.
Io dico anche che noi possiamo soddisfare alla Giustizia di Dio per mezzo del digiuno.
Si comprende sotto il nome di digiuno, tutto ciò che può mortificare il corpo e lo spirito, come rinunciare alla propria volontà, cosa che è tanto gradita a Dio che essa ci merita più che trenta giorni di penitenza; soffrire per amore di Dio le ripugnanze, le ingiurie, i disprezzi, le confusioni che noi pensiamo di non meritare; privarci di qualche visita, come sarebbe andare a vedere i nostri parenti, i nostri amici, le nostre terre e altre cose del genere, che ci farebbero piacere; di restare in ginocchio un po’ più di tempo, affinchè il corpo che ha peccato soffra in qualche maniera (è ovvio che non si tratta di “masochismo spirituale”, ma è la legge fondamentale della fede cristiana fondata sulla Parola di Dio che, a più riprese ci ricorda che, se non siamo disposti a essere crocifissi con Cristo, non potremo nemmeno risorgere con Lui; cfr. come esempio Romani 6,6-13; Galati 2,19; 5,24, e tanti altri passi del NT; n.d.a.).
Io dico anche che possiamo soddisfare alla Giustizia di Dio per mezzo dell’elemosina, come dice il profeta a Nabucodonosor: “Riscattate i vostri peccati con l’elemosina” (Daniele 4,24).
Ci sono diverse specie di elemosine: quelle che riguardano il corpo, come dare da mangiare a quelli che non hanno pane; vestire quelli che non hanno di che coprirsi; andare a visitare gli ammalati; donare loro del denaro; rifare il loro letto; tenergli compagnia; preparare loro le medicine: ecco quelle che riguardano il corpo.
Ma ecco quelle che riguardano l’anima, che sono ancora molto più preziose di quelle che hanno rapporto solo col corpo: le si chiama elemosine spirituali.
Ma, mi chiederete, come faremo l’elemosina spirituale?
Ecco come.
La fate, quando andate a consolare una persona che ha qualche dispiacere, che ha subito una qualche perdita: la consolate con le vostre parole piene di bontà e di carità, facendola ricordare della grande ricompensa che il buon Dio ha promesso a coloro che soffrono per amor Suo; che le pene di questo mondo non durano che un momento, mentre la ricompensa sarà eterna.
Elemosina spirituale è istruire gli ignoranti, che sono quelle povere persone che saranno perdute se qualcuno non ha compassione di loro (è interessante come il santo curato metta sotto il nome di “elemosine” quelle che in genere sono chiamate “opere di misericordia” materiali e spirituali. Il santo ha colto nel segno, perchè il termine greco per “elemosina” = “eleèmosune”, deriva dalla stessa radice del verbo “eleèo”, che significa appunto “avere misericordia”).
Ahimè! quante di queste persone che non sanno che cosa sia necessario per essere salvati; che ignorano i misteri principali della nostra santa religione; che, malgrado tutte le loro pene e le altre buone opere, saranno dannate (se non si è in stato di grazia, le opere non sono meritorie, secondo la dottrina tradizionale cattolica, oggi, giustamente, riconsiderata; n.d.a.).
Padri e madri, padroni e padrone, quali sono i vostri doveri?
Li conoscete almeno un po’?
No, non lo credo proprio.
Se li conosceste un po’, quale non sarebbe la vostra premura nel vedere se i vostri figli possiedono tutto quello che serve, della religione, per non essere perduti!
Come cerchereste tutti i mezzi possibili per insegnare loro ciò a cui vi obbliga il vostro dovere di padre e di madre!
Mio Dio! quanti figli che si perdono per ignoranza! e ciò per colpa dei loro genitori i quali, forse, non potendoli istruire essi stessi, non hanno avuto semplicemente il coraggio di affidarli a coloro che potevano farlo, lasciandoli vivere in questo stato e perire per l’eternità.
(Si ricordi che siamo nell’epoca in cui, secondo la dottrina cattolica, anche i bambini che morivano senza battesimo non ottenevano la salvezza “integrale”, ma venivano confinati nel “Limbo”, dove al massimo potevano godere di una felicità “parziale”, solo “naturale” e non soprannaturale.
Oggi si mette in rilievo la necessità di una piena consapevolezza e di una totale libertà, per poter essere esclusi dalla salvezza; n.d.a.).
Padroni e padrone, quale elemosina fate voi a questi poveri domestici, la maggior parte dei quali non sanno nulla della loro religione?
Mio Dio! quante anime che si perdono, delle quali i padroni e le padrone renderanno conto nel grande giorno!
“Io gli pago il salario , – mi direte voi -, spetta a lui farsi istruire; io non l’ho preso che per lavorare; egli non guadagna solo quello che gli dò io”.
Vi sbagliate, il buon Dio vi ha affidato questo povero ragazzo, non soltanto perchè vi aiuti a lavorare, ma anche perchè gli insegniaste a salvare la sua anima.
Ahimè! un padrone o una padrona possono mai vivere tranquilli vedendo i loro domestici in uno stato di dannazione certa?
Mio Dio! quanto poco hanno a cuore la perdita di un’anima!
Ahimè! quante volte le padrone saranno testimoni che i loro domestici non fanno la preghiera nè al mattino nè alla sera, forse non prendono neppure l’acqua benedetta, e non gli diranno nulla, o si accontenteranno di pensare: Ecco un domestico che non ha una grande religiosità! ma senza andare oltre: purchè facciano bene le vostre incombenze, siete contente.
O mio Dio! quale accecamento! chi mai potrà comprenderlo?
Io dico che un padrone o una padrona dovrebbero avere tanta cura e prendere tante precauzioni per istruire o fare istruire i loro domestici, quante ne hanno per i loro figli, per tutto il tempo che sono al loro servizio.
Dio ve ne chiederà conto, tanto quanto dei vostri figli, e nulla di meno.
Voi per essi tenete il posto del padre e della madre; è con voi che Dio se la prenderà.
Ahimè! se tanti tra i poveri domestici non hanno alcuna religiosità, questa disgrazia deriva in gran parte dal fatto che non sono istruiti.
Se voi aveste la carità di istruirli, facendo loro conoscere quello che devono fare per salvarsi, i doveri che devono adempiere verso Dio, verso il prossimo e verso se stessi, le verità della nostra santa religione che bisogna assolutamente conoscere, voi gli fareste aprire gli occhi sulla loro disgrazia.
Oh! quanti ringraziamenti vi farebbero per tutta l’eternità, dicendovi che dopo Dio, è a voi che sono debitori della loro eterna felicità! (quanto è incoraggiante e benefico l’effetto della fede convinta e “granitica” del santo curato, sull’esistenza del Paradiso e dell’Inferno, in tempi in cui nemmeno coloro che dovrebbero farlo per “professione di fede”, ne parlano quasi più, dai massimi vertici alla base, sperando che si tratti di semplice dimenticanza…; n.d.a.).
Mio Dio! si possono lasciare perire delle anime tanto preziose, che sono costate tanto a Gesù Cristo per riscattarle?
Ma, mi direte voi, si fa presto a dirlo: se si cerca di parlare loro di religione, ci sono di quelli che non solo non vi ascoltano, ma si prendono gioco di voi.
Questo è fin troppo vero.
Ve ne sono alcuni che sono tanto disgraziati da non voler aprire gli occhi sulla loro disgrazia; ma non è tutto: ci sono anche quelli che sono ben contenti di lasciarsi istruire.
Bisogna prenderli con dolcezza, ricordandovi che, quand’anche credeste che non servirebbe a niente, voi ne sarete comunque ricompensati come se ne aveste fatto dei santi.
Ma non cadete in errore: presto o tardi si ricorderanno ciò che voi gli