iascuno di noi desidera essere felice
La sorgente delle scelte - Mc 10, 17-22 - Catechesi dell'Arcivescovo ai giovani
Autore: Carlo Caffarra
«Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre».
Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi». Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni.»
Marco 10,17-22
Non vi so dire quanto ho desiderato questo incontro e vi ringrazio di essere venuti così numerosi nonostante la partita Italia – Ucraina. Bravi! È importante anche la partita, ma questo è più importante. Ed è più importante perché qualche cosa di straordinario sta accadendo in mezzo a noi in questo momento.
Il Vangelo sta parlando di ciascuno di voi, anche se Marco nel suo Vangelo non dice che questa persona che incontra Gesù è un giovane. Gli altri due Vangeli sinottici dicono, più precisamente, che è «un giovane» che incontra Cristo. Dunque qui si parla di voi, ragazzi e ragazze. Allora io vorrei aiutarvi a vivere, questa sera, a rivivere dentro il vostro cuore, questa pagina del Vangelo. Sono qui per questo. E comincio con una constatazione molto semplice, e una domanda.
La constatazione. Tutta la nostra vita, ogni giorno, è fatta di tante scelte, molto diverse tra loro e con una diversa importanza. Voi potevate scegliere di guardare la partita o di venire in Cattedrale a sentire l’Arcivescovo. Due scelte possibili: una più importante, l’altra meno importante. Si può scegliere di sposarsi, e si può scegliere invece di non sposarsi. Dunque, vedete, tante scelte, tante decisioni… Questa è la constatazione.
La domanda. Benché le scelte che noi facciamo ogni giorno siano tante, così diverse tra loro, è possibile trovare una unità tra queste scelte? In altre parole, esiste una “sorgente” ultima e unica da cui tutte le scelte derivano? La scelta di guardare o non guardare la partita, come la scelta di sposarsi o di non sposarsi, la scelta di andare o non andare in discoteca, o la scelta di giocare a carte, e così via. Esiste una sorgente unica, da cui scaturiscono tutte le nostre decisioni?
S. Agostino – lasciamo da parte un attimo la domanda – racconta un episodio che gli capitò quando era giovane come voi, e non solo era giovane come voi, ma, più o meno come voi, aveva una grande passione: andare in discoteca. Allora non c’erano le discoteche, ma c’erano i teatri, e lui amava moltissimo andare a teatro, anzi dice che era la sua passione, era il divertimento dei giovani del tempo. Un giorno arrivò a Cartagine, dove Agostino stava facendo i suoi studi, una compagnia teatrale che però non riusciva ad avere successo: il teatro era sempre vuoto. Uno degli attori, una sera, di fronte al teatro quasi vuoto escogitò una trovata e disse: «Domani sera io riuscirò a dirvi quello che ciascuno di voi desidera, quello che ciascuno di voi vuole». Agostino, incuriosito, la sera dopo tornò, e non solo: quella sera il teatro si riempì. Si presentò l’attore, e disse: «Adesso vi dico quello che ciascuno di voi desidera». Un silenzio totale. «Ciascuno di voi desidera essere felice». Tutti i presenti scoppiarono in un grande applauso – continua il racconto di S. Agostino – per l’abilità che questo attore aveva dimostrato.
Ha dato lui la risposta alla nostra domanda. Alla radice di tutte le vostre scelte, di tutte le vostre decisioni, sta il desiderio di beatitudine, il desiderio di essere felice, il desiderio di vivere una vita piena, una vita non assurda. Così siamo entrati già nel mistero più profondo della nostra persona. Ma che cos’è la nostra persona se non un desiderio di felicità? Se non questa tensione verso una pienezza di gioia? Cos’è la nostra persona se non una povertà abitata da un grande desiderio di pienezza?
Entriamo nel mistero della nostra persona, che abbiamo visto essere il desiderio di una pienezza, il desiderio di una felicità piena, facendo attenzione un po’ alla nostra esperienza di ogni giorno, perché non stiamo facendo della filosofia o della teoria. Noi vediamo che questo nostro desiderio, da una parte, è insaziabile, cioè non si accontenta mai. Qualunque bene esso raggiunga, subito gli appare limitato, incapace di soddisfarlo. Infatti, provate a chiedere a voi stessi: «Vuoi un po’ di felicità e un po’ di dolore, o una pienezza di felicità?». Chiaro, voglio una pienezza di felicità! «Vuoi un po’ di libertà e un po’ di schiavitù, oppure vuoi una pienezza di libertà?». Nessuno desidera essere un po’ felice e un po’ infelice, un po’ libero e un po’ schiavo. No, questo nostro desiderio è un desiderio – attenzione, uso una grande parola – è un desiderio infinito, illimitato. Solo che tutti i beni che noi troviamo sono limitati. Ecco il perché della vostra, della nostra, inquietudine permanente.
Abbiamo una tale sete che non c’è acqua capace di spegnerla. Abbiamo una tale fame che non c’è pane capace di saziarla. Ecco la prima dimensione del mistero della nostra persona, che alla fine possiamo descrivere così: una sete infinita che però incontra solo beni limitati. Un essere limitato – come ciascuno di noi – che però tende ad una beatitudine infinita: ecco la prima dimensione del mistero della nostra persona. Chiamiamolo paradosso, il primo paradosso: c’è in te una sete infinita, ma tu trovi solo beni finiti per saziarla, e quindi non riesci mai ad estinguerla.
C’è, anche, una seconda dimensione del mistero della nostra persona, molto più profonda della prima. Per cogliere questo altro mistero, questa seconda dimensione, pensiamo tutti ad una esperienza che sicuramente abbiamo vissuto: è vero o non è vero che in certi momenti in cui abbiamo vissuto una certa esperienza di beatitudine, abbiamo pensato, o detto anche, «Come vorrei che questo non finisse mai!»? Il ragazzo si stanca di stare insieme alla sua ragazza? No! «Come vorrei che questo non finisse mai!».
Ma perché sentiamo l’esigenza che non finisca mai? Perché ci rendiamo conto che il tempo è vorace, il tempo mangia tutto, il tempo è invidioso, il tempo ci porta via quello che abbiamo. Ecco perché diciamo: «Oh, se questo non finisse mai!», che è come dire: «Oh, se il tempo si fermasse!». E sapete come si chiama un tempo che non passa mai, che resta fermo? Si chiama eternità. Questa è l’eternità. Quando allora tu dici alla tua ragazza o al tuo ragazzo «Come vorrei che il tempo non passasse mai, quando siamo insieme», tu dici «Come vorrei che il nostro stare insieme fosse eterno». Fosse eterno! Ma capite, ragazzi, come è profonda questa seconda dimensione del mistero della nostra persona? Dunque abita in noi un desiderio di eternità. Il tempo non ci soddisfa. La nostra patria è altrove. La nostra casa non è il tempo. Ecco perché quando viviamo con grande intensità le nostre cose più belle, diciamo «Come vorrei che il tempo non passasse mai».
Avete letto il Faust di Goethe? Il dottor Faust fa un patto con il diavolo, con Mefistofele, al fine di raggiungere un istante di felicità, un istante di felicità piena… Arriva quell’istante di felicità piena, e Faust dice «Fermati! Sei così bello, fermati!», ma l’istante non si ferma. Chiamiamolo il secondo paradosso della nostra persona: la nostra persona vive nel tempo, ma sente un bisogno profondo di eternità. Viviamo nel tempo ma desideriamo essere nell’eternità. Allora ritorna la domanda: «Il mio desiderio di beatitudine è possibile realizzarlo, se il tempo lo insidia in questo modo, se il tempo lo corrode?». Ecco perché dico, quando sono felice, come vorrei che non passasse mai questo momento di felicità, perché sento che il tempo è invidioso, me lo vuole prendere. Allora, è possibile raggiungere, per l’uomo che abita dentro allo scorrere inesorabile del tempo, una beatitudine che non passi mai, cioè che sia eterna? Cominciamo ad avvicinarci alla pagina del Vangelo. «Maestro, come devo fare per avere la vita eterna?», gli dice questo giovane.
Vi ricordate ancora il primo paradosso della nostra persona? Come è possibile una felicità illimitata, quando trovo solo beni finiti? La seconda domanda: come è possibile una beatitudine eterna, una vita eterna, quando io vivo dentro, continuamente, al passaggio del tempo?
Ma questo non è tutto, perché c’è anche un terzo e ultimo paradosso, nella nostra vita. È il più grande. Il nostro desiderio di felicità non spinge solamente e principalmente verso il possesso delle cose. Non sono le cose a donare la beatitudine, sono le persone, e qui sta la terza dimensione del mistero della nostra persona. Si possono possedere le cose per la propria beatitudine, ma si possono possedere le persone? Certo, si possono possedere, ma nel momento in cui tu possiedi una persona, in quel momento tu l’hai distrutta come persona. Più semplicemente, se tu dici a una persona «Io ti voglio perché ho bisogno di te!», in quel momento tu non vuoi più una persona, perché l’hai già ridotta a qualcosa di cui tu hai bisogno per la tua felicità. Chi ama una persona, non le dice «Come è utile che tu ci sia!». Questo non è amore, questo è uso. Ho bisogno, quindi come è utile che tu ci sia. Non si dice all’altro «Come mi piace che tu ci sia», ma si dice «Come è bello che tu ci sia, come è bene che tu ci sia», perché chi ama non può sopportare la morte della persona che ama, non la può ammettere. «Come è bene che tu ci sia», vuol dire, da una parte, che il nostro desiderio di felicità ci spinge a vedere nell’altro ciò di cui ho bisogno («Come mi è utile che tu ci sia, come mi piace che tu ci sia»), però, dall’altra parte, mi rendo conto che le persone non sono delle cose. Allora ecco il terzo grande paradosso della nostra persona: è possibile una realizzazione di sé nella comunione, nel rapporto con un’altra persona che sia un rapporto non di uso, non edonistico, di puro amore? È possibile il puro amore? Alla fine, tutti, hanno concluso che non è possibile, perché molti dicono che la vita alla fine non ha senso. Vedete come da quella esperienza così semplice – ricordate il racconto di S. Agostino: tutti desideriamo essere felici! – siamo arrivati a tre domande fondamentali. Le ripeto:
1. È possibile, per uno limitato e finito, raggiungere una felicità illimitata?
2. È possibile una beatitudine, una felicità eterna, per uno che vive dentro il tempo?
3. È possibile all’uomo una realizzazione di se stesso mediante il puro, disinteressato dono di sé all’altro?
Felicità illimitata, beatitudine eterna, pienezza di dono: queste tre cose, nel linguaggio della Sacra Scrittura, si dicono con una sola espressione: vita eterna! Questa è la vita eterna. E il giovane che cosa ha chiesto al Signore? Ha chiesto proprio questo: Cosa devo fare per avere la vita eterna? Guardate che il senso della domanda non è – attenzione bene a questo punto – il senso della domanda di questo giovane non è cosa devo fare «ora», cosicché dopo la mia morte io possa andare in Paradiso. Non è questo il senso.
La vita eterna non significa questo. Quel ragazzo chiede a Gesù «Cosa devo fare per avere la pienezza della vita adesso e sempre, per avere una beatitudine non distrutta, non insidiata dal passare del tempo?». Questo ha chiesto quel giovane! Che domanda, eh? Solo un giovane poteva fare una domanda di questo genere. Gli ha aperto il cuore. Ora guardiamo cosa risponde Gesù alla domanda «Cosa devo fare per avere la vita eterna?». Gesù risponde: «Tu conosci i comandamenti», come dire: «Lo sai: osserva la legge morale e avrai la vita eterna». E qui subito posso immaginare le vostre reazioni: «Ma lei non è fatto di carne e ossa come noi? Non è vero che l’osservanza della legge morale produce una beatitudine eterna, la nostra esperienza ce lo dice. Anzi, spesso, causa infelicità, o comunque non pienezza, per cui se questa è la risposta, il dialogo è finito». Vorrei spiegarvi un po’ – nei nostri incontri ci torneremo sopra più lungamente – che cosa vuol dire legge morale, quella legge a cui Gesù rimanda il giovane. Mi spiego ancora una volta con un esempio. Immaginiamo che un amico a voi molto caro, vi abbia dato piena fiducia, piena confidenza, abbia come messo la sua anima nelle vostre mani, come spesso si fa nell’amicizia vera. In una determinata occasione capita che se tu tradisci la fiducia che questo amico ti ha dato, potrai realizzare un ingente guadagno economico. Cosa fai? Puoi fare due cose: tradire la fiducia dell’amico oppure non tradire questa fiducia, perdendo l’ingente guadagno economico.
Cioè, davanti alla tua libertà si aprono due possibilità, o, che è lo stesso, puoi essere libero in due modi, esercitare la tua libertà in due modi: tradendo la fiducia dell’amico per guadagnare i soldi, oppure, mantenendo la fedeltà all’amicizia scambiata. Due possibilità. Però, se scegli di tradire il tuo amico per guadagnare denaro, senti che alla fine sei stato meschino, sei stato un vigliacco, cioè senti che hai tradito una esigenza, senti che hai sporcato qualcosa di bello, senti che hai deturpato qualcosa di grande. E, questo, te lo senti dentro. Vi ricordate la notte dell’Innominato? Bellissima quella pagina, quando Manzoni scrive con una profondità sconcertante, come sa fare lui, che questo uomo vide tutti i suoi atti compiuti, e vide che quegli atti erano lui stesso, e si odiò a morte, e allungò la mano per spararsi. Vi ricordate? Avete capito adesso cos’è la legge morale? La legge morale è l’esigenza di rispettare la dignità della persona.
La legge morale è l’infinita preziosità di ogni persona. Questa è la legge morale. È ciò che esige la tua persona, in quanto è persona, semplicemente. Gesù dice: «Tu mi chiedi come si raggiunge la pienezza della beatitudine, una beatitudine eterna, nella pienezza della comunione con le altre persone. Ce l’hai già scritto nel cuore questo “come”, ce l’hai già dentro di te. Ascolta questa esigenza di bellezza, di verità, di bontà, di pace, di rispetto, di venerazione, e avrai la vita eterna. Perché c’è un modo vero di essere liberi e c’è un modo falso; c’è una realtà di libertà e c’è un’apparenza di libertà». Nei prossimi incontri ritorneremo su queste cose, che sono di una importanza enorme per noi, perché qui si decide il senso della vita. Dunque Gesù dice «Leggi nel tuo cuore, lì senti queste esigenze, rispettale, osservale, e avrai la vita».
Sennonché i conti non tornano, e questo ragazzo, con una sincerità sconcertante, gli dice: «Caro Maestro, ma io questo l’ho sempre fatto, e non ho la vita eterna. Allora, che cosa mi manca?». Guardate che questo ragazzo ha avuto un grande coraggio, perché con Gesù non si scherzava, ti “spiattellava” tutto in piazza. Se ciò che diceva quel ragazzo non era vero, Gesù poteva dirgli: «Ehi, e quella volta là, cos’hai fatto?». Vi ricordate il fatto dell’adultera, quando Gesù disse: «Bene, è stata colta in flagrante adulterio, si deve lapidare. Va bene, lapidiamola. Scagli la prima pietra chi è senza peccato». E sta lì. Cosa fanno? Vanno via, perché sanno che con questo Rabbi non si scherza, questo ti “spiattella” tutto.
Questo giovane glielo dice: «Io questo l’ho sempre osservato», ma i conti non tornano. Ragazzi, è vero, l’osservanza della legge morale non ha mai creato uno completamente felice. Mai! Non è la legge morale che ci fa felici. Se ve lo dicono, non credeteci, non è vero! Qui manca qualcosa. Certo è necessaria anche la legge morale. È la prima cosa che gli dice Gesù stesso: «Fa’ questo…». E allora cosa mi manca, dice questo giovane. Il Vangelo dice a questo punto una cosa straordinaria: «Fissatolo, lo amò!». Era arrivato il momento della suprema rivelazione a questo giovane. Lo amò. Sta per fargli la suprema rivelazione della vita: «Tu mi chiedi se è possibile una beatitudine infinita per uno che è finito come te, mi chiedi se è possibile una beatitudine eterna per uno che è nel tempo come te. È possibile perché l’eterno è venuto ad abitare dentro al tempo, perché l’infinito è venuto ad abitare dentro al finito. Vieni e seguimi, perché io sono questa beatitudine che tu cerchi». Lo amò. Lo amò perché in quel momento Gesù si rese conto che doveva fargli la proposta decisiva, come se in quel momento gli avesse detto: «Mi hai chiesto cosa devi fare perché non ti manchi più nulla: seguimi». È la proposta suprema che Cristo fa a ciascuno di voi, sulla quale ritorneremo nelle catechesi seguenti.
A questo punto Gesù ha finito: il dialogo è terminato. Ed è l’istante decisivo: l’istante in cui il giovane deve fare la sua scelta. È un momento di sublime grandezza, perché il giovane è chiamato ad esercitare la sua libertà. E non c’è una “cosa” più preziosa della tua libertà!
Ma avviene una vera e propria tragedia: il giovane rifiuta di seguire Cristo, liberamente. Ma con quale risultato? «Se ne andò triste». Si rese che aveva perduto l’appuntamento con la libertà, forse per sempre. Ma il vangelo fa un’aggiunta, dice perché quel giovane decide di non seguire Cristo: «perché – dice – era ricco». Cristo gli aveva chiesto di rinunciare alle ricchezze. Quel giovane pensò che la sua felicità consistesse nel possesso delle cose e così, per conservare ciò che aveva, perse la più grande ricchezza, se stesso. Ma è “ragionevole” tutto questo? Su questo rifletteremo nella catechesi del mese di dicembre.