La speranza
«Amerai il Signore Dio tuo» - Omelia
Autore: Santo Curato d'Ars
E’ vero, fratelli miei, che sant’Agostino ci dice che, anche se non ci fosse un Cielo da sperare, nessun inferno da temere, egli non smetterebbe di amare il buon Dio, perchè è infinitamente amabile, e merita di essere amato.
Tuttavia il buon Dio, per incoraggiarci ad attaccarci a Lui e ad amarlo al di sopra di tutte le cose, ci promette una ricompensa eterna.
Se noi esercitiamo degnamente questa funzione così bella, che costituisce tutta la fortuna dell’uomo sulla terra, noi prepariamo la nostra felicità e la nostra gloria nel cielo.
Se la fede ci insegna che Dio vede tutto, e che Egli è testimone di tutto ciò che facciamo o che soffriamo, la virtù della speranza ci fa sopportare le nostre pene con una completa sottomissione alla sua santa Volontà, col pensiero che ne saremo ricompensati per tutta l’eternità.
Noi vediamo che fu proprio questa bella virtù che sostenne i martiri, in mezzo ai loro tormenti, i solitari, in mezzo ai rigori delle loro penitenze, e i santi infermi e malati, nelle loro malattie.
Sì, fratelli miei, se la fede scopre ai nostri occhi Dio presente dappertutto, la speranza ci fa fare tutto quello che facciamo, nell’unica intenzione di piacere al buon Dio, col pensiero felice di una ricompensa eterna.
Poichè, fratelli miei, questa virtù addolcisce tanto i nostri mali, vediamo insieme in cosa consista questa bella e preziosa virtù della speranza.
Se, fratelli miei, noi abbiamo la fortuna di conoscere per mezzo della fede, che c’è un Dio che è il nostro Creatore, il nostro Salvatore, e il nostro supremo Bene, che ci ha creati esclusivamente per conoscerlo e amarlo, per servirlo e possederlo, la speranza ci insegna che, sebbene siamo indegni di questa felicità, noi possiamo sperarla per i meriti di Gesù Cristo.
Per rendere, fratelli miei, le nostre azioni degne di essere ricompensate, occorrono tre cose: la fede, che ci fa vedere Dio presente in esse, la speranza, che ce le fa compiere nell’unica intenzione di piacere a Lui, e l’amore, che ci unisce a lui come al nostro Bene supremo.
Sì, fratelli miei, noi non riusciremo mai a conoscere il grado di gloria che ciascuna azione ci procurerà in Cielo, se la facciamo puramente per il buon Dio; i santi stessi, che sono in Cielo, non lo comprendono. Eccovene un esempio molto incisivo.
Leggiamo nella vita di sant’Agostino, che, scrivendo a san Girolamo, per chiedergli di quale espressione occorresse servirsi per meglio far percepire la grandezza della felicità di cui i santi gioiscono in Cielo, proprio nel momento in cui egli poneva, secondo il solito, all’inizio della lettera: «Salute, in Gesù Cristo Nostro Signore», la sua camera fu illuminata da una luce del tutto straordinaria, che era più bella del sole a mezzogiorno, e accompagnata da un forte profumo.
Egli ne fu così affascinato che per poco non morì di piacere.
Nello stesso istante, sentì uscire da quella luce una voce che gli disse: «Ah! mio caro amico Agostino, tu mi credi ancora sulla terra, ma, grazie a Dio, sono in Cielo.
Tu vuoi chiedermi di quale termine ci si potrebbe servire per meglio far sentire la felicità di cui gioiscono i santi; sappi, mio caro amico, che questa felicità è così grande, e così al di sopra di tutto ciò che una creatura possa pensare, che ti sarebbe più facile contare tutte le stelle che sono nel firmamento, o mettere in una fialetta l’acqua di tutti gli oceani, o tenere in una mano tutta la terra, piuttosto che poter comprendere la felicità del più piccolo dei beati, nel Cielo.
Mi è successo ciò che accadde alla regina di Saba: ella aveva concepito una grande idea del re Salomone, dalla fama della sua reputazione; ma, dopo aver visto con i suoi occhi il bell’ordine che regnava nel suo palazzo, la magnificenza senza uguali, la scienza e la conoscenza di quel re, ella ne rimase così stupita e così rapita, che se ne ritornò a casa, dicendo che tutto quello che le era stato riferito era niente in confronto con ciò che aveva visto con i suoi occhi.
La stessa cosa è accaduta a me riguardo alla bellezza del Cielo e alla felicità di cui gioiscono i santi; io pensavo di aver compreso qualcosa di quelle bellezze che sono racchiuse nel Cielo, e della felicità di cui gioiscono i santi, ma, malgrado tutti i pensieri più sublimi che io abbia potuto produrre, tutto ciò non è nulla, in confronto a questa felicità, che è la sorte dei beati».
Leggiamo nella vita di santa Caterina da Siena, che il buon Dio le fece intravedere qualcosa della bellazza del Cielo e della felicità che vi si gode.
Ella ne fu così rapita, che cadde in estasi. Ritornata in sè, il suo confessore le chiese che cosa il buon Dio le avesse mostrato.
Ella rispose che il buon Dio le aveva fatto intravedere qualcosa della bellezza del Cielo, e della felicità di cui i santi gioiscono, ma che era impossibile dirne una minima cosa, tanto ciò sorpassava tutto quello che potremmo pensare.
Ebbene, fratelli miei, ecco dove ci conducono le nostre buone azioni, se le compiamo nell’unica intenzione di piacere a Dio; ecco i beni che la virtù della speranza ci fa desiderare e attendere.
Abbiamo detto che la virtù della speranza ci consola e ci sostiene nelle prove che il buon Dio ci invia.
Ne abbiamo un bell’esempio nella persona del santo Giobbe, coricato sul suo letamaio, coperto di ulcere dai piedi alla testa.
Egli aveva perduto tutti i suoi figli, che erano rimasti schiacciati sotto le rovine della sua casa.
Lui stesso si era visto trascinare dal suo letto, sopra un letamaio, in un angolo della strada, abbandonato da tutti; il suo povero corpo era tutto coperto di putredine; i vermi se lo mangiavano vivo; era obbligato a scacciarli con dei cocci di un vaso rotto; insultato perfino da sua moglie che, invece di consolarlo, lo ricopriva di ingiurie, dicendogli: «Lo vedi, quel Dio che tu servi con tanta fedeltà? Vedi come ti ricompensa? Chiedigli di morire, almeno sarai liberato dai tuoi mali».
I suoi migliori amici sembrava che venissero a trovarlo solo per discutere sui suoi dolori.
Tuttavia, malgrado questo stato così pietoso in cui era ridotto, egli non smette di sperare sempre in Dio: «No, mio Dio, diceva, io non cesserò mai di sperare in Te; anche se tu mi togliessi la vita, non smetterò di sperare in Te, e di avere una grande fiducia nella tua carità. Perchè, mio Dio, dovrei scoraggiarmi e abbandonarmi alla disperazione?
Piuttosto accuserò davanti a Te i miei peccati, che sono la causa dei miei mali, ma spero che sarai Tu stesso il mio Salvatore.
La mia speranza è che Tu mi ricompenserai, un giorno, dei mali che sopporto per amor tuo».
Ecco, fratelli miei, ciò che possiamo definire un’autentica speranza, poichè, malgrado sembrasse che tutta la collera di Dio si fosse abbattuta su di lui, egli non cessava di sperare in Dio.
Senza esaminare perchè egli stesse soffrendo tanti mali, egli si accontenta soltando di dire che sono i suoi peccati che ne sono la causa.
Vedete, fratelli miei, i grandi beni che la virtù della speranza ci procura? Tutti lo considerano infelice, e lui invece, sul suo letamaio, abbandonato dagli uni e disprezzato dagli altri, si ritiene felice, perchè pone tutta la sua fiducia in Dio.
Ah! se nelle nostre pene, nei nostri dispiaceri, nelle nostre malattie, avessimo questa grande speranza in Dio, quanti beni ammasseremmo per il Cielo!
Ahimè! come siamo ciechi, fratelli miei! Se invece di disperarci nelle nostre miserie, avessimo questa ferma speranza che il buon Dio ci invia tutto questo, come un mezzo per farci meritare il cielo, con quale gioia non lo soffriremmo?
«Ma. mi direte voi, che significa questa parola: sperare?».
Ecco, fratelli miei.
Significa sospirare dietro qualcosa che ci dovrà rendere felici, nell’altra vita; significa desiderare ardentemente la liberazione dai mali di questa vita, e desiderare il possesso di ogni sorta di beni, capaci di accontentarci pienamente.
Allorchè Adamo ebbe peccato e si vide schiacciato da tante miserie, tutta la sua consolazione era riposta nel fatto che, non soltanto le sue sofferenze gli avrebbero meritato il perdono dei suoi peccati, ma anche, che gli avrebbero procurato i beni del Cielo.
Quale bontà quella di Dio, fratelli miei, che ricompensa con tanti beni la minima delle nostre azioni, e ciò, per tutta l’eternità!
Ma per farci meritare questa felicità, il buon Dio vuole che abbiamo una grande fiducia in Lui, come dei figli verso un buon Padre.
E’ per questo che lo vediamo, in molti punti della Sacra Scrittura, assumere il nome di Padre, per ispirarci una maggiore fiducia. Egli vuole che facciamo ricorso a Lui in tutte le nostre pene, sia dell’anima, sia del corpo. Egli promette di soccorrerci, tutte le volte che ricorreremo a Lui. Se prende il nome di Padre, è per ispirarci una più grande confidenza in Lui.
Vedete come ci ama: Egli ci dice, per mezzo del suo profeta Isaia, che ci porta tutti nel suo seno.
«Una madre, ci dice, che porta il suo bambino nel suo seno, non può dimenticarsi di lui e, anche se fosse così barbara da farlo, Io però, non dimenticherò mai colui che pone in me la sua fiducia».
Egli si lamenta perfino, che non abbiamo abbastanza fiducia in Lui; Egli ci avverte di «non porre più la nostra fiducia nei re e nei principi, perchè, in tal caso, la nostra speranza sarà delusa».
Egli va oltre, perchè minaccia la sua maledizione, se non avremo una grande fiducia in Lui; Egli ci dice, per mezzo del suo profeta Geremia: «Sia maledetto colui che non pone la sua fiducia nel suo Dio!»; e, più in là, ci dice: «Benedetto sia colui che ha fiducia nel Signore!».
Vedete la parabola del figliol prodigo, che Egli cita con tanto piacere, per ispirarci una grande fiducia in Lui: «Un padre, ci dice, aveva un figlio che gli domandò la sua parte di eredità. Questo buon padre, gli donò la sua parte. Questo figlio abbandona quel buon padre, parte per un paese straniero, e là, si dedica a ogni sorta di disordine morale.
Ma, qualche tempo dopo, i suoi bagordi lo avevano ridotto nella più grande miseria; senza denaro e senza nessuna risorsa, avrebbe voluto nutrirsi dei resti dei porci, ma nessuno gliene dava.
Vedendosi sommerso da tanti mali, si ricordò che aveva abbandonato un buon padre, che non aveva mai smesso di ricolmarlo di ogni sorta di benefici, per tutto il tempo che era stato con lui.
Allora si disse in se stesso: “Mi alzerò, e andrò, con le lacrime agli occhi, per gettarmi ai piedi di mio padre; egli è così buono, e io spero che avrà ancora pietà di me. Gli dirò: “Mio tenero padre, ho peccato contro di te e contro il Cielo, e non oso più guardare nè te, nè il Cielo; non merito più di essere inserito nel numero dei tuoi figli, ma sarò ben lieto se mi vorrai mettere nel numero dei tuoi schiavi».
Ma cosa fa questo buon padre?
Gesù Cristo ci dice che è Lui stesso questo tenero padre; ben lungi dall’attendere che quello venga a gettarsi ai suoi piedi, appena lo vede da lontano, corre per abbracciarlo.
Il figlio vuole confessare i suoi peccati, ma il padre non vuole che gliene parli più (a questo punto, qualche furbastro potrebbe chiedersi quale sia la necessità della confessione sacramentale…; n.d.a.).
«No, no, figlio mio, dice il padre, non è più questione di peccati, pensiamo solo a rallegrarci».
Questo buon padre invita tutta la corte celeste a ringraziare il buon Dio perchè il suo figlio, che era morto, è risuscitato, e colui che si riteneva perduto, è stato ritrovato.
Per testimoniargli quanto lo ami, gli restituisce tutti i suoi beni e la sua amicizia (ma quali beni, se la sua parte se l’era già sperperata?; e, inoltre, dov’è che Gesù dice di essere lui il padre della parabola, che, fra l’altro è un “errore trinitario”? Le incongruenze, spesse volte, fanno parte dello stile del santo, che non aveva molto tempo per pensare, nè per rivedere le sue omelie, dovendosi alzare ogni notte all’una, dopo essere andato a letto alle nove, per smaltire le lunghe file di penitenti che lo attendevano fuori della chiesa per confessarsi, cosa che non capita mai ai moderni esegeti e teologi “da scrivania”; n.d.a.).
Ebbene, fratelli miei, ecco il modo in cui Gesù Cristo riceve il peccatore ogni volta che ritorna a Lui: Lo perdona e gli ridona tutti i beni che il peccato gli aveva rapiti.
Di conseguenza, fratelli miei, chi di noi non avrà una grande confidenza nella carità del buon Dio?
Ma Egli va ancora oltre, perchè ci dice che quando avremo la fortuna di abbandonare il peccato per amare Lui, tutto il Cielo si rallegrerà.
Se leggete più avanti, vedrete con quale premura cerca la sua pecorella smarrita! Una volta che l’ha trovata, ne prova tanta gioia, che vuole prenderla perfino sulle sue spalle, per evitarle la pena del viaggio.
Guardate con quale bontà accoglie la Maddalena ai suoi piedi; guardate con quale tenerezza la consola; non solamente la consola, ma la difende anche contro gli insulti dei farisei.
Guardate con quale carità e con quale piacere, perdona la donna adultera; ella lo ha offeso, e tuttavia è Lui stesso che vuole essere il suo protettore e il suo Salvatore.
Guardate la sua premura nel correre dietro alla samaritana: per salvare la sua anima, va egli stesso ad attenderla presso il pozzo di Giacobbe; Egli vuole rivolgerle la prima parola, per farle vedere in anticipo quanto sia buono; fa finta di chiederle dell’acqua, per donarle la sua grazia e il Cielo.
Ditemi, fratelli miei, quali scuse avremo noi da presentare, allorchè ci farà vedere come sia stato buono nei nostri confronti, e come ci avrebbe accolti, se avessimo voluto ritornare?
Non dovrà dirci: «Ah! disgraziato! se sei vissuto e se sei morto nel peccato, è perchè non hai voluto uscirne; Io desideravo tanto perdonarti!».
Vedete, fratelli miei, come il buon Dio vuole che noi ritorniamo a Lui con fiducia, nei nostri mali spirituali. Egli ci dice, per mezzo del suo profeta Michea, che, anche se i nostri peccati fossero così numerosi come le stelle del firmamento o le gocce d’acqua del mare, come le foglie delle foreste, o come i granelli di sabbia ai bordi dell’oceano, se noi ci convertiremo sinceramente, Egli ci promette di dimenticarli tutti; e ci dice che, se i nostri poeccati avessero reso la nostra anima nera come il carbone, o rossi come lo scarlatto, Egli li renderà bianchi come la neve.
Egli dice che getta i nostri peccati negli abissi del mare, affinchè non ricompaiano mai più.
Quale carità, fratelli miei, da parte di Dio! Con quanta fiducia potremo dirigerci verso di Lui!
Ma quale disperazione per un cristiano dannato, sapere che il buon Dio avrebbe desiderato perdonargli, se solo avesse voluto chiedergli perdono!
Ditemi, fratelli miei, se saremo dannati, non sarà forse perchè lo avremo voluto, dal momemto che il buon Dio ci ha detto tante volte che voleva perdonarci?
Ahimè! fratelli miei, quanti rimorsi di coscienza, quanti buoni pensieri, quanti desideri, questa voce ha fatto nascere in noi!
O mio Dio! com’è disgraziato l’uomo che si danna, dal momento che potrebbe salvarsi così facilmente!
Ahimè! fratelli miei, per confermarci in tutto ciò, non dobbiamo fare altro che esaminare ciò che ha fatto per noi, durante i trent’anni che è vissuto sulla terra.
In secondo luogo io dico che dobbiamo avere una grande fiducia in Dio, anche riguardo ai nostri bisogni temporali.
Per stimolarci a rivolgerci a Lui con grande fiducia riguardo al corpo, Egli ci assicura che si prenderà cura di noi, e possiamo vedere da noi stessi quanti miracoli abbia fatti, per non farci mancare il necessario.
Vediamo nella Sacra Scrittura, che Egli ha nutrito il suo popolo per quarant’anni nel deserto, con la manna che cadeva ogni giorno, prima del sorgere del sole.
Durante i quarant’anni che rimasero nel deserto, i loro vestiti non gli si consumarono addosso.
Egli ci dice nel Vangelo, di non stare in pena riguardo al cibo e al vestito: «Guardate, ci dice, gli uccelli del cielo; essi non seminano e non mietono, e non conservano nulla nei granai; guardate con quanta cura il vostro Padre celeste li nutre; non valete voi forse più di loro? voi siete i figli di Dio. Gente di poca fede, non state dunque in pena per ciò che mangerete e per come vi vestirete. Guardate i gigli del campo, come crescono; e tuttavia non lavorano affatto, nè filano; guardate come sono vestiti; Io vi dico che Salomone, in tutta la sua gloria, non si è mai vestito come uno di loro.
Se dunque, conclude questo divin Salvatore, il Signore si prende tanta cura per vestire un’erba che, oggi c’è, e che domani si getta nel forno, con quanta maggior ragione si prenderà cura di voi , che siete i suoi figli?
Cercate dunque prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato in abbondanza».
Guardate ancora come vuole che abbiamo fiducia: «Quando mi pregherete, ci dice, non dite “mio Dio”, ma “Padre nostro”, perchè sappiamo che un figlio ha una fiducia senza limiti verso suo padre».
Allorchè fu risuscitato, Egli apparve a santa Maddalena, e le disse: «Va’ a trovare i miei fratelli, e di’ loro che Io ascendo al Padre mio, che è anche vostro Padre».
Ditemi, fratelli miei, non converrete con me che, se siamo così infelici sulla terra, questo non dipende da altro che dal fatto che non abbiamo abbastanza fiducia in Dio?
In terzo luogo, diciamo che dobbiamo avere una grande fiducia in Dio nelle nostre pene, nei nostri dispiaceri e nelle nostre malattie.
Bisogna, fratelli miei, che questa grande speranza del Cielo, ci sostenga e ci consoli; ecco che cosa hanno fatto tutti i santi.
Leggiamo nella vita di san Sinforiano, che essendo condotto al martirio, sua madre, che lo amava sinceramente, in Dio, salì su un muro per vederlo passare, e alzando la voce più che potesse: «Figlio mio, figlio mio, gli gridò guarda il cielo; figlio mio, coraggio! che la speranza del Cielo ti sostenga! figlio mio, coraggio! Se il cammino verso il Cielo è difficile, però è molto corto».
Quel figlio, animato dal discorso della madre, sopportò i tormenti e la morte con grande intrepidezza.
San Francesco di Sales aveva una così grande fiducia in Dio, che sembrava essere insensibile alle persecuzioni che gli venivano fatte; diceva a se stesso: «Siccome nulla accade, senza il permesso di Dio, le persecuzioni, sono solo per il nostro bene».
Leggiamo nella sua vita, che una volta fu orribilmente calunniato; malgrado ciò, egli non perse nulla della sua tranquillità ordinaria.
Scrisse a uno dei suoi amici che qualcuno lo aveva avvertito che lo stavano bellamente bistrattando; ma che egli sperava che il buon Dio avrebbe rivolto tutto ciò a sua gloria, e per la salvezza della sua anima.
Si accontentò di pregare per coloro che lo calunniavano.
Ecco, fratelli miei, la fiducia che dobbiamo avere in Dio.
Allorchè siamo perseguitati, o disprezzati, sono proprio questi i segni che siamo veramente cristiani, cioè veri figli di Dio, disprezzati e perseguitati.
In quarto luogo, fratelli miei, vi dicevo che, se dobbiamo avere una fiducia cieca verso Gesù Cristo, perchè siamo sicuri che giammai Egli mancherà di venire in nostro soccorso, in tutte le nostre pene, e se dobbiamo andare a lui come figli dal loro padre, aggiungo anche che dobbiamo avere una grande fiducia nella sua santa Madre, che è tanto buona, che desidera tanto aiutarci in tutti i nostri bisogni spirituali e temporali, ma, soprattutto, quando decidiamo di ritornare al buon Dio.
Se abbiamo qualche peccato che ci ispira vergogna ad accusarlo, andiamo a gettarci ai suoi piedi, e siamo certi che Ella ci otterrà la grazia di confessarli bene, e, nello stesso tempo, non mancherà di intercedere per il nostro perdono.
Per dimostrarvelo, eccovi un esempio ammirevole.
Si racconta nella storia che un uomo, per lungo tempo, aveva condotto una vita abbastanza cristiana, tale da poter sperare il Cielo.
Ma il demonio, che lavora sempre per la nostra perdizione, lo tentò così spesso e così a lungo, che lo fece cadere in un peccato grave.
Rientrato in seguito in se stesso, comprese tutta l’enormità del suo peccato, e il suo primo pensiero fu di ricorrere al rimedio salutare della Penitenza.
Ma concepiva tanta vergogna per il suo peccato, che non riuscì mai a decidersi di confessarlo.
Tormentato dai rimorsi della coscienza, che non gli lasciava un attimo di tregua, prese la risoluzione insensata, di andare ad annegarsi, sperando con ciò di mettere fine alle sue pene.
Ma, quando fu arrivato sul bordo della riviera, fremette al pensiero dell’infelicità eterna in cui stava per precipitare, e se ne ritornò, piangendo calde lacrime, e pregando il Signore di perdonargli, senza che fosse obbligato a confessarsi.
Egli credette di riacquistare la pace dell’anima, visitando diverse chiese, facendo preghiere e penitenze; ma, malgrado tutte le sue preghiere e penitenze, i suoi rimorsi lo perseguitavano continuamente. Il buon Dio non voleva accordargli il suo perdono se non per intercessione della sua santa Madre.
Una notte che era prostrato in una grande tristezza, si sentì fortemente ispirato ad andare a confessarsi, e perciò si alzò di buon mattino e si recò in chiesa.
Ma, quando era prossimo a confessarsi, si sentì tormentare più che mai per la vergogna del suo peccato, e non ebbe ancora la forza di fare ciò che la grazia del buon Dio gli aveva ispirato.
Qualche tempo dopo gli successe la stessa cosa; si recò nella stessa chiesa, ma fu fermato ancora dalla vergogna, e in quel momento di disperazione, prese la decisione di morire, piuttosto che confessare mai il suo peccato a un confessore.
Tuttavia gli venne in mente di raccomandarsi alla santa Vergine.
Prima di rientrare a casa, andò a prostrarsi ai piedi dell’altare della Madre di Dio; le presentò il grande bisogno che aveva del suo aiuto, e la scongiurò, con lacrime, di non abbandonarlo mai.
Quale bontà da parte della Madre di Dio, quale premura nel soccorrerlo! Si era messo appena in ginocchio, che tutte le sue pene scomparvero, il suo cuore fu completamente trasformato; egli si alzò, pieno di coraggio e di fiducia, andò a trovare il suo confessore, e gli dichiarò tutti i suoi peccati, versando torrenti di lacrime.
Nella misura in cui dichiarava i suoi peccati, gli sembrava che si togliesse un peso enorme dalla coscienza.
In seguito confessò che, quando ricevette l’assoluzione, provò maggiore contentezza, che se gli avessero presentato tutto l’oro dell’universo.
Ahimè! fratelli miei, quale disgrazia per quest’uomo, se non fosse ricorso alla santa Vergine.
Egli, ora, brucerebbe nell’inferno! (il santo curato sta esagerando: ma non aveva, lui stesso fatto intendere, tante altre volte, che il sincero pentimento, da solo, ristabilisce nello stato di grazia? Un Dio così burocratico non è il Dio di Gesù di Nazaret. Meglio fidarsi sempre e soltanto della Parola di Dio e della dottrina universale della Chiesa; i santi, tutti, vanno letti con discernimento; n.d.a.).
Sì, fratelli miei, dopo il buon Dio, in tutte le nostre pene, sia dell’anima e sia del corpo, ci occorre una grande fiducia verso la santa Vergine. Eccovene un altro esempio, che ci deve ispirare una tenera confidenza verso la santa Vergine, soprattutto se vogliamo nutrire un grande orrore del peccato.
Il beato Liguori (sant’Alfonso Maria de’: n.d.a.)ci racconta che una grande peccatrice, di nome Elena, essendo entrata in una chiesa, il caso, o piuttosto la Provvidenza, che dispone tutto per il bene dei suoi eletti, volle che ascoltasse un sermone sulla devozione al santo Rosario.
Ella rimase così colpita da tutto quello che il predicatore disse sull’eccellenza e i mirabili effetti di questa santa pratica, che ebbe voglia di possedere una corona del rosario.
Subito dopo il sermone, corse ad acquistarla, ma, per qualche tempo si preoccupò di nasconderla, per timore che gli altri la vedessero e la prendessero in giro.
Poi cominciò a recitarlo, ma senza alcuna devozione nè piacere.
Qualche tempo dopo, la santa Vergine le fece provare tanta devozione e piacere, che ella non smetteva più di recitarlo, e per questa pratica di pietà, che è così gradita alla santa Vergine, ella meritò uno sguardo di compassione, che le fece concepire un tale orrore della sua vita passata, che la sua coscienza divenne per lei un inferno, che non gli dava tregua nè di giorno nè di notte.
Straziata continuamente dai suoi rimorsi cocenti, non poteva più resistere alla voce interiore che le suggeriva che il sacramento della Penitenza era l’unico rimedio per ottenere quella pace che tanto desiderava, che cercava dappertutto, ma che non riusciva a trovare; il sacramento della Penitenza, era l’unico rimedio per i mali della sua anima.
Invitata da questa voce, guidata e pressata dalla grazia, ella va a gettarsi ai piedi del ministro del Signore, e gli fa la confessione di tutte le miserie della sua anima, cioè di tutti i peccati; e ciò fece con tanta contrizione, e con tanta abbondanza di lacrime, che il confessore rimase in uno stupore ammirato, non sapendo a cosa attribuire questo miracolo della grazia.
Finita la confessione, Elena andò a prostrarsi ai piedi dell’altare della santa Vergine e là, penetrata da sentimenti della più viva riconoscenza: «Ah! santissima Vergine, disse, è vero che sono stata un mostro fin qui; ma tu, il cui potere è così grande presso Dio, aiutami, per favore, a correggermi; io voglio impiegare il resto dei miei giorni a fare penitenza».
Da quel momento ella rientrò in se stessa, spezzò per sempre i legami delle funeste compagnie che l’avevano trattenuta nei suoi disordini; donò tutti i suoi beni ai poveri, e si dedicò a tutti i rigori della penitenza, che il suo amore per Dio e il dispiacere dei suoi peccati poterono ispirarle.
Il buon Dio, per sottolineare la sua riconoscenza per la grande fiducia che questa figlia aveva nutrito verso la sua santa Madre, nella sua ultima malattia le apparvero entrambi (altro “anacoluto”, frequente nello stle del curato; n.d.a.), cioè il buon Dio con la santa Vergine, ed ella potè rimettere nelle loro mani la sua bella anima, che ella aveva purificato così bene con la penitenza e con le lacrime.
Perciò, dopo il buon Dio, fu alla protezione della santissima Vergine che questa grande penitente dovette la sua salvezza.
Eccovi un altro esempio di fiducia verso la santa Vergine, che non è meno ammirevole, e che ci mostra quanto la devozione alla santa Vergine ci sia vantaggiosa, per aiutarci a uscire dal peccato.
Si racconta nella storia che un giovane, che era stato ben istruito dai suoi genitori, ebbe la disgrazia di contrarre un’abitudine criminale, che divenne per lui la fonte di una infinità di peccati.
Poichè aveva ancora il timore di Dio, e desiderava rinunciare ai suoi disordini, faceva di tanto in tanto qualche sforzo per uscirne; ma il peso delle sue cattive abitudini, lo trascinava continuamente.
Egli detestava il suo peccato, e, malgrado ciò, vi ricadeva ad ogni istante.
Vedendo che non riusciva a correggersi, si abbandonò allo scoraggiamento e prese la risoluzione di non confessarsi più.
Il suo confessore, che non lo vedeva più venire nel tempo stabilito, volle fare un altro sforzo per riportare questa povera anima al buon Dio.
Lo va a trovare in un momento in cui quello era solo a lavorare. Quel povero giovane, vedendo venire il sacerdote, emise dei sospiri e delle grida di lamento.
«Che cos’hai, amico mio? gli disse il prete».
«Oh! non riuscirò mai a correggermi, e perciò ho deciso di lasciare tutto».
«Ma che dici, amico mio? io so, al contrario, che se tu volessi fare ciò che sto per dirti, ti correggeresti e otterresti il perdono.
Va’, da questo momento, a gettarti ai piedi della santa Vergine, per chiederle la tua conversione, e poi vieni subito a trovarmi».
Il giovane va’ in quello stesso momento a gettarsi, cioè a prostrarsi ai piedi di un altare della santa Vergine, e, bagnando il pavimento di lacrime, la supplicò di avere pietà di un’anima che è costata tutto il Sangue di Gesù Cristo, suo divin Figlio, e che il demonio vorrebbe trascinare all’inferno.
In quel momento sentì nascere in sè una così grande fiducia, che si alzò, e andò a confessarsi.
Egli si convertì sinceramente; tutte le sue cattive abitudini furono interamente distrutte, e servì il buon Dio per tutta la vita.
Conveniamo tutti insieme che, se restiamo nel peccato, è perchè non vogliamo sercirci di quei mezzi che la religione ci presenta, nè fare ricorso, con fiducia, a questa buona Madre, che avrebbe pietà di noi, esattamente come l’ha avuta per tutti coloro che l’hanno pregata prima di noi.
In quinto luogo diciamo che la virtù della Speranza, ci fa compiere tutte le nostre azioni nell’unica intenzione di piacere a Dio, e non al mondo.
Dobbiamo, fratelli miei, cominciare a praticare questa bella virtù, svegliandoci, donando il nostro cuore al buon Dio, con amore, con fervore, pensando a quanto sarà grande la ricompensa della nostra giornata, se faremo bene tutto ciò che facciamo, nel solo intento di piacere al buon Dio.
Ditemi, fratelli miei, se in tutto ciò che facciamo, avessimo la fortuna di pensare alla grande ricompensa che il buon Dio annette a ciascuna delle nostre azioni, da quali sentimenti di rispetto e d’amore per il buon Dio, non saremmo penetrati?
Allora sì che avremmo intenzioni pure, nel fare le nostre elemosine.
«Ma, mi direte voi, quando faccio qualche elemosina, è per il buon Dio che la faccio, non per il mondo».
Tuttavia, fratelli miei, noi siamo molto contenti quando ci vedono, quando ci lodano per quello, anzi, proviamo piacere a raccontarlo agli altri.
Amiamo ripensarci nel nostro cuore, ci applaudiamo da soli, dentro di noi; ma se avessimo nell’anima quella bella virtù, noi non cercheremmo che Dio solo, il mondo non ci entrerebbe per nulla, e neppure noi stessi.
Non stupiamoci, fratelli miei, per il fatto che compiamo così male le nostre azioni.
E’ perchè non pensiamo sinceramente alla ricompensa che il buon Dio vi annette, se le compiamo per piacere a Lui solo (si noti che, per alcuni santi e maestri di spirito, anche il fatto di compiere buone azioni, in vista di una ricompensa, sia pure spirituale, è un’imperfezione: l’ideale sarebbe non aspettarsi nulla, agendo solo per amore: “Amo perchè amo, amo per amare”, esclamava san Bernardo; n.d.a.).
Allorchè rendiamo un servizio a qualcuno che, ben lungi dall’essercene riconoscenti, ci ripaga con ingratitudine, se noi avessimo questa bella virtù della Speranza, noi ne restremmo contenti lo stesso, pensando che la nostra ricompensa sarà molto più grande presso il buon Dio.
San Francesco di Sales ci dice che, se due persone si presentassero a lui per ricevere qualche beneficio, e se egli potesse rendere quel servizio solo a una di esse, egli sceglierebbe quella che gli sembrasse meno riconoscente, perchè così il merito sarebbe più grande presso il buon Dio.
Il santo re Davide diceva che quando faceva qualcosa, la faceva sempre alla Presenza di Dio, come se dovesse essere giudicato subito dopo, per riceverne la ricompensa; e questo lo portava a fare bene tutto ciò che faceva, per piacere a Dio solo (siamo sempre nell’ambito di una “venalità spirituale”; si legga, invece ciò che dice san Paolo: «Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne; Romani 9,3; n.d.a.).
Infatti, coloro che non possiedono questa virtù della Speranza, fanno tutto ciò che fanno, per il mondo, o per farsi amare e stimare, e, perciò, perdono tutta la loro ricompensa.
Noi diciamo che dobbiamo avere una grande fiducia in Dio, nelle nostre malattie e nei nostri dispiaceri; è precisamente là che il buon Dio ci attende, per vedere se gli dimostreremo una grande fiducia.
Leggiamo nella vita di sant’Eleazaro, che la gente del mondo derideva pubblicamente la sua devozione, e i libertini si prendevano gioco di lui.
Santa Delfina gli disse un giorno che il disprezzo verso la sua persona rifioriva sulla sua virtù.
«Ahimè! le disse piangendo, quando penso a tutto quelo che Gesù Cristo ha sofferto per me, ne sono così toccato che, anche se mi si cavassero gli occhi, non avrei parole per lamentarmi, pensando alla grande ricompensa di coloro che soffrono per amore di Dio: è lì tutta la mia speranza, ed è ciò che mi sostiene in tutte le mie pene». Cosa molto facile da comprendere.
Che cos’è, poi che possa consolare nei suoi mali una persona malata, se non la grandezza della ricompensa che il buon Dio le promette nell’altra vita?
Leggiamo nella storia che essendo andato un predicatore a predicare in un ospedale, il suo sermone trattò della sofferenza. Egli mostrò come le sofferenze ci acquistino grandi meriti per il Cielo, e come una persona che soffre con pazienza, è gradita al buon Dio.
In quello stesso ospedale, vi era un povero malato che, da tanti anni, soffriva molto, ma, disgraziatamente, se ne lamentava ogni giorno; egli comprese da questo sermone come avesse p
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