La tiepidezza
Autore: Santo Curato d'Ars
Possiamo noi ascoltare, senza fremere, una tale sentenza dalla bocca di Dio stesso, contro un vescovo (il testo biblico parla di “angelo della chiesa di Laodicea”, che il curato interpreta come “vescovo”; n.d.a.) che sembrava adempiere perfettamente a tutti i doveri di un degno ministro della Chiesa?
La sua vita era regolata, i suoi beni non erano spesi a sproposito. Ben lungi dall’autorizzare il vizio, egli, al contrario, vi si opponeva fortemente; non dava cattivi esempi, e la sua vita sembrava veramente degna di essere imitata.
Tuttavia, malgrado tutto ciò, vediamo che il Signore gli fa dire, per bocca di san Giovanni (l’autore dell’Apocalisse), che se avesse continuato a vivere in quella maniera, lo avrebbe rigettato, e cioè lo avrebbe punito e condannato ( il curato, con una operazione degna di lui, porta all’estremo il tono già severissimo del testo biblico, sottolineando che il destinatario, che lui considera il vescovo di quella chiesa, in fondo, era un ottimo cristiano, almeno in apparenza; n.d.a.).
Sì, fratelli miei,quest’esempio è tanto più terrificante, se si considera che molti seguono la sua stessa strada, vivono nello stesso modo, e si illudono di avere assicurata la loro salvezza.
Ahimè! fratelli miei, com’è grande (il testo dice “piccolo”, ma è incongruente col contesto; n.d.a) il numero di coloro che non sono nè dalla parte dei peccatori, gia riprovati agli occhi del mondo, nè dalla parte degli eletti!
E noi, su quale strada camminiamo?
Stiamo seguendo il retto cammino?
Ciò che ci deve far tremare, è il fatto che non ne sappiamo nulla. Incertezza spaventosa!…
Cerchiamo quindi di capire se voi siete così disgraziati da appartenere al numero dei tiepidi.
Io vi mostrerò:
1°- i segni per mezzo dei quali lo potrete conoscere;
2°- nel caso che apparteniate a questo numero, vi indicherò il modo di uscirne.
Parlandovi oggi, fratelli miei, dello stato spaventoso di un’anima tiepida, il mio intento non è quello di delinearvi il quadro spaventoso e disperato, di un’anima che viva nel peccato mortale, senza neppure avere il desiderio di uscirne; questa povera disgraziata, non è altro che una vittima della collera di Dio, nell’altra vita.
Ahimè! questi peccatori mi stanno ascoltando, e sanno bene di cosa sto parlando in questo momento…(si riferisce ai parrocchiani presenti; n.d.a.).
Non procediamo oltre, perchè tutto quello che potrei dire, non servirebbe ad altro che a indurirli maggiormente.
Parlandovi, fratelli miei, di un anima tiepida, non voglio nemmeno parlarvi di coloro che non fanno nè pasque nè confessioni; essi sanno molto bene che, malgrado tutte le loro preghiere e le loro altre buone opere, saranno dannati.
Lasciamoli nel loro accecamento, visto che vogliono restarvi.
«Ma, mi direte voi, tutti coloro che si confessano, che fanno il loro precetto pasquale, e che si comunicano spesso, non saranno dunque senz’altro salvati?».
Certamente, amico mio, non lo saranno tutti; poichè, se il maggior numero di coloro che frequentano i sacramenti fossero salvati, bisognerebbe convenire che il numero degli eletti non dovrebbe essere così piccolo, come invece è (in linea con Matteo 22,14: “Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti”; n.d.a.).
Pur tuttavia, dobbiamo riconoscere che tutti coloro che avranno la grande felicità di andare in Cielo, saranno scelti tra coloro che frequentano i sacramenti, e mai fra quelli che non fanno nè pasque nè confessioni.
«Ah! mi direte voi, se tutti quelli che non fanno nè pasque nè confessioni, sono dannati, il numero dei riprovati sarà molto grande!».
Sì, senza alcun dubbio, sarà grande.
Checchè ne possiate dire, se vivete da peccatori, voi condividerete la loro sorte. Ma, forse che questo pensiero non vi tocca affatto?…
Se non siete induriti all’ultimo grado, esso vi dovrebbe far fremere e perfino disperare ( a titolo di battuta, e col massimo rispetto, verrebbe da chiedersi, specie dopo aver letto l’intera omelia, a parte tutte le altre, se il papa Francesco potrebbe condividere i riconoscimenti attribuiti da tre suoi predecessori al santo curato, e cioè da Pio XI, Giovanni XXIII, e Benedetto XVI, e se potrebbe mai citarlo.
Dichiarare solennemente il curato d’Ars “celeste patrono e modello di tutti i sacerdoti dell’universo”, o lo si è fatto perchè non si erano lette le sue omelie, oppure c’è qualcosa che non torna…; la scusa banale e grottesca che “i tempi sono cambiati”, fa acqua da tutte le parti; n.d.a.).
Ahimè! mio Dio! com’è disgraziata una persona che abbia perduto la fede!
Ben lungi dall’approfittare di queste verità, questi poveri ciechi, al contrario, se ne infischiano; e tuttavia, malgrado tutto ciò che se ne possa dire, le cose stanno esttamente come ho detto: niente pasque, nè confessioni? Niente Cielo, nè felicità eterna!
O mio Dio, com’è spaventoso l’accecamento del peccatore!
Con l’espressione “anima tiepida”, fratelli miei, io non intendo nemmeno uno che vorrebbe appartenere al mondo, senza cessare di appartenere a Dio: voi lo vedrete, in un momento, prostrarsi davanti a Dio, suo Salvatore e suo maestro, e, in un altro momento, lo vedrete prostrarsi davanti al mondo, che è il suo idolo.
Povero cieco, che tende una mano al buon Dio, e l’altra al mondo; che chiama entrambi in suo aiuto, promettendo a entrambi il suo cuore!
Egli ama il buon Dio, o almeno vorrebbe amarlo, ma vorrebbe, allo stesso tempo, piacere al mondo.
Stanco di doversi donare a entrambi, finisce poi per donarsi esclusivamente al mondo.
E’ questa una vita straordinaria, che offre uno spettacolo così singolare, che non ci si riesce a persuadere che si tratti della vita di una medesima persona.
Ve lo mostrerò in una maniera così chiara, che forse parecchi di voi ne resteranno offesi; ma poco importa, io vi dirò sempre quello che vi devo dire, e voi ne farete ciò che vorrete.
Io affermo, fratelli miei, che colui che voglia appartenere al mondo, senza cessare di appartenere a Dio, conduce una vita così strana, che non è possibile conciliarne tutti i diversi aspetti.
Ditemi, osereste pensare che questa ragazza, che ora vedete in queste feste del piacere, in queste assemblee mondane dove si non si fa altro che il male, e mai il bene, lasciandosi andare a tutto ciò che un cuore corrotto e pervertito possa desiderare, è la stessa ragazza che avevate visto, appena quindici giorni fa o un mese, ai piedi del tribunale della Penitenza, mentre faceva la confessione delle sue colpe, dichiarando davanti a Dio che sarebbe stata pronta a morire, piuttosto che ricadere nel peccato?
E’ proprio lei quella persona che avete visto salire alla Tavola santa, con gli occhi bassi, e con la preghiera sulle labbra?
O mio Dio! quale orrore!
Ci si può mai pensare, senza morire di compassione?
Avreste mai creduto, fratelli miei, che questa madre, la quale tre settimane fa mandava sua figlia a confessarsi, raccomandandole giustamente, di pensare seriamente a quello che faceva, e dandole in mano un rosario o un libro, oggi poi, quella stessa madre, le permette di andare a una danza, a un matrimonio o a qualche festa di fidanzamento (i campagnoli di Ars, approfittavano di certe occasioni per scatenarsi in maniera incontrollata; n.d.a.).
Quelle stesse mani che le hanno messo in mano alla figlia un libro, ora sono impiegate ad abbigliarla con tante vanità, in modo da piacere al mondo.
Ditemi, fratelli miei, è questa la persona che questa mattina era in chiesa, cantava le lodi di Dio, mentre adesso impiega quella stessa lingua a cantare delle pessime canzoni e a tenere i più infami discorsi?
E’ forse questo quel padre di famiglia o quel padrone il quale, poco fa era alla santa Messa con grande rispetto, che sembrava volesse trascorrere tanto santamente la domenica, e che ora vedete lavorare e far lavorare (di domenica) tutti i suoi?
O mio Dio| quale orrore! come il buon Dio potrà valutare tutto ciò, nel giorno del Giudizio?
Ahimè! quanti cristiani dannati!
Dirò di più, fratelli miei: colui che vuole piacere al mondo e al buon Dio, conduce una vita tra le più infelici. E ora lo vedrete.
Ecco una persona che frequenta i luoghi di piacere, o che ha contratto qualche cattiva abitudine; qual è mai il suo timore quando adempie i suoi doveri religiosi, ossia quando prega il buon Dio, quando si confessa, o quando voglia comunicarsi?
Ella non vorrebbe essere vista da coloro con i quali ha danzato, o ha trascorso le notti nei cabarets, o con i quali si è lasciata andare a ogni sorta di disordini morali.
E’ giunta alla conclusione di dover ingannare il confessore, nascondendo tutto quello che ha fatto di peggio, ottenendo così il permesso di comunicarsi, o, piuttosto, di compiere un sacrilegio; ella vorrebbe comunicarsi prima o dopo la santa Messa, e cioè nel momento in cui non ci sia nessuno; mentre è contenta di essere vista da persone per bene, che ignorino la sua cattiva vita, e alle quali spera di ispirare una buona opinione di se stessa (tutti questi ragionamenti contorti, che il curato riesce a snidare con il suo acume soprannaturale, sono effettivamente i meccanismi perversi di difesa, che scattano in ognuno di noi, in determinate cirsostanze, ma che difficilmente ammettiamo con noi stessi; n.d.a.).
Con le persone di pietà, ella parla di religione; con le persone senza religione, ella non parlerà che dei piaceri del mondo.
Arrossirà nell’adempiere le sue pratiche religiose davanti ai suoi compagni o alle sue compagne di scostumatezze.
Ciò che dico è talmente vero, che un giorno una persona mi ha chiesto di farla comunicare in sacrestia, affinchè non la vedesse nessuno.
Quale orrore! fratelli miei.
Ci si potrebbe mai pensare senza fremere per una tale condotta?
Ma procediamo oltre, e vedrete l’imbarazzo di queste povere persone che vorrebbero seguire il mondo, senza abbandonare il buon Dio, almeno in apparenza.
Ecco la Pasqua che si avvicina. Bisogna andare a confessarsi; ma non perchè lo si desideri, o perchè se ne senta il bisogno: dipendesse da loro, quelle persone vorrebbero che la Pasqua arrivasse solo dopo trent’anni.
Ma i loro genitori ci tengono ancora alla pratica esteriore della religione; essi sono contenti che i loro figli si presentino alla santa Tavola, e li spronano anche ad andare a confessarsi: in ciò si comportano malissimo.
Piuttosto preghino per loro, e non li tormentino per far loro compiere dei sacrilegi! Ahimè! di sacrilegi ne faranno parecchi!
Per liberarsi della pressione importuna dei loro genitori, e per salvare le apparenze, quelle persone si riuniranno per consultarsi su quale confessore bisognerà orientarsi, per essere assolti alla prima o alla seconda volta (quando l’assoluzione bisognava sudarsela, e non era un atto formale, quasi obbligatorio e dato per scontato; n.d.a.).
«Sono già molte volte, dice uno di loro, che i miei genitori mi tormentano per il fatto che non vado a confessarmi. Dove dobbiamo andare?».
«E’ meglio non andare dal nostro curato, aggiunge un altro, perchè è troppo scrupoloso; non vi permetterà di fare il precetto pasquale. Dobbiamo andare a trovare quel tale. Egli ha assolto questo o quel tizio che ne aveva combinate quanto noi. Noi non abbiamo fatto più di lui».
Un altro dirà: «Ti assicuro che se non fosse per i miei genitori, non farei nessun precetto pasquale; infatti il nostro catechismo ci dice che per fare una buona confessione, bisogna abbandonare il peccato e l’occasione del peccato; ma noi non vogliamo fare nè una cosa nè l’altra. Te lo devo dire sinceramente: sono molto imbarazzato tutte le volte che arriva la Pasqua. Non vedo l’ora di sistemarmi, senza dovere più correre. Allora farò una confessione generale di tutta la mia vita, per riparare a quelle che sto facendo ora, e così potrò morire in pace».
«Ebbene! gli dirà un altro, ti conviene ritornare da quello che ti ha confessato finora; lui ti conoscerà meglio».
«Ah! certo che no. Dovrei tornare da quello che non mi ha voluto assolvere, per paura che mi dannassi?».
«Ah! quanto sei scemo! non fa niente, hanno tutti lo stesso potere».
«Questo è bello da dire quando si sta bene; ma se si è malati, la si pensa diversamente.
Un giorno andai a trovare un tale che era molto malata; ella mi disse che non sarebbe mai tornata a confessarsi da quei preti che sono troppo facili ad assolvere, e che, facendo finta di volervi salvare, vi gettano nell’inferno».
Ecco come si comportano molti di questi poveri ciechi.
«Padre mio, dicono al sacerdote, vengo a confessarmi da lei, perchè il nostro curato è troppo scrupoloso. Egli ci vuole far promettere delle cose che non potremo fare; vorrebbe che fossimo dei santi, ma questo non è possibile, vivendo nel mondo.
Vorrebbe che non mettessimo mai piede nelle danze, che non frequentassimo mai i cabarets, nè i giochi.
Se qualcuno ha qualche cattiva abitudine, egli non accorda più l’assoluzione, finchè non la si abbia abbandonata del tutto.
Se dovessimo fare tutto ciò, non faremmo mai il precetto pasquale.
I miei genitori, che sono molto religiosi, mi stanno sempre appresso, perchè non faccio il mio precetto.
Io sarei disposto a fare tutto quello che posso, ma non si può essere certi che non si ritornerà più a quei divertimenti, perchè non si sa mai le occasioni che si possono incontrare».
«Ah! gli dirà il confessore, ingannato da questo bel discorso, vedo anch’io che il vostro curato è un po’ troppo scrupoloso.
Fai il tuo atto di contrizione, e ti darò l’assoluzione, e cerca di essere più saggio».
Sarebbe come dire: china la testa, e dopo vai a calpestare il Sangue adorabile di Gesù Cristo, vai a vendere il tuo Dio, come Giuda lo ha venduto ai suoi carnefici, e domani fai la Comunione, o piuttosto, vai a crocifiggere il tuo Dio!
O orrore! o abominazione! Vai, infame Giuda, vai alla tavola santa; vai a mettere a morte il tuo Dio e il tuo Salvatore!
Lascia pure che la tua coscienza urli, tu cerca soltanto di soffocare i tuoi rimorsi, meglio che puoi…
Ma, fratelli miei, sto andando troppo lontano, lasciamo questi poveri ciechi nelle loro tenebre.
Penso che voi, fratelli miei, ora vogliate sapere qual è lo stato di un’anima tiepida.
Ebbene! eccolo.
Un’anima tiepida, non è ancora del tutto morta agli occhi di Dio, poichè la fede, la speranza e la carità, che costituiscono la sua vita spirituale, non sono del tutto estinte.
Ma, si tratta di una fede senza zelo, di una speranza senza fermezza, di una carità senza ardore.
Ora vi farò il ritratto di un cristiano fervente, e cioè di un cristiano che desidera veramente salvare la sua anima, e nello steso tempo, quello di una persona che conduce una vita tiepida, nel servizio di Dio.
Mettiamoli a fianco l’uno e l’altro, e potrete vedere a quali dei due voi assomigliate.
Un buon cristiano, non si accontenta di credere tutte le verità della nostra santa religione, ma le ama, le medita, e cerca ogni mezzo per impararle; egli ama ascoltare la Parola di Dio; più l’ascolta, più desidera ascoltarla, perchè desidera profittarne, cioè evitare tutto ciò che Dio gli proibisce di fare, e fare tutto ciò che Egli comanda.
Le istruzioni non gli sembreranno mai troppo lunghe; al contrario, questi momenti sono i più felici per lui, poichè apprende la maniera in cui deve comportarsi per andare in Cielo e salvare la sua anima.
Non soltanto, ma egli crede anche che Dio lo vede in tutte le sue azioni, e che lo giudicherà subito dopo la morte; egli, inoltre, trema, tutte le volte che pensa che un giorno dovrà andare a rendere conto di tutta la sua vita, davanti a un Dio che sarà senza misericordia verso il peccato.
Ma egli non si accontenta solo di pensarci e di tremare; ma fatica per correggersi ogni giorno; non cessa di inventarsi ogni giorno dei nuovi mezzi per fare penitenza; egli considera un nonnulla ciò che ha fatto finora, e geme per aver perso tanto tempo, durante il quale avrebbe potuto ammassare tanti tesori per il Cielo (da queste parole del curato, emerge chiaramente che tutti gli impostori, a qualunque livello, che incoraggiano a sperare nella bontà e misericordia infinite di Dio, un Dio fantoccio, senza, allo stesso tempo e con lo stesso “accanimento”, avvertire sulla necessità di cambiare radicalmente vita, non fanno altro che finanziare l’industria dei cristiani tiepidi, che provocano il “vomito” a Dio, Apocalisse 3,16! E’ come se stiano giocando in borsa, la borsa dell’inferno; n.d.a.).
Com’è diverso il cristiano che vive nella tiepidezza! Egli non smette di credere a tutte le verità che la Chiesa crede e insegna, ma lo fa in una maniera così debole, che il suo cuore ne è quasi del tutto assente.
Egli non dubita, è vero, che il buon Dio lo veda, che egli sia sempre alla sua santa Presenza, ma, per questa certezza, non diventa nè più saggio, nè meno peccatore; cade nel peccato con la stessa facilità di chi non crede a nulla; egli è convinto che, finchè vive in questo stato, diventa nemico di Dio, ma non per questo cerca di uscirne.
Egli sa benissimo che Gesù Cristo ha dato al sacramento della Penitenza il potere di rimettere i nostri peccati, e di farci crescere nella virtù. Egli sa che questo sacramento ci accorda delle grazie proporzionate alle disposizioni che vi apportiamo; ma non gli importa: stessa negligenza e stessa tiepidezza, all’atto pratico.
Egli sa che Gesù Cristo è veramente presente nel sacramento dell’Eucaristia, che è un nutrimento assolutamente necessario per la sua povera anima; tuttavia, noterete in lui uno scarso desiderio!
Le sue confessioni e le sue comunioni, sono troppo distanziate le une delle altre; non si deciderà che in occasione di una grande festa, di un giubileo o di una missione, oppure, perchè ci andrà perchè ci vanno gli altri, ma non perchè percepisca il bisogno della sua povera anima.
Non soltanto non lavora per meritarsi questa felicità, ma non invidia nemmeno coloro che lo gustano con maggiore frequenza (si tratta di “santa invidia”, in questo caso; n.d.a.).
Se gli parlate delle cose del buon Dio, vi risponde con un’indifferenza che vi dimostra come il suo cuore sia poco sensibile ai beni che possiamo scoprire nella nostra santa religione.
Niente lo coinvolge: ascolta la Parola di Dio, questo è vero, ma spesso si annoia; ascolta con una certa pena, per abitudine, come una persona che pensi di saperne abbastanza.
Le preghiere un po’ lunghe lo disgustano.
Il suo spirito è completamente occupato dalle azioni che ha appena compiuto, o da quelle che dovrà compiere; la sua noia è così grande, che la sua povera anima è come nell’agonia: egli è ancora vivo (spiritualmente), ma non è capace di fare nulla per il Cielo.
La speranza di un buon cristiano è ferma; la sua fiducia in Dio è incrollabile.
Non perde mai di vista i beni e i mali dell’altra vita.
La memoria delle soffernze di Gesù Cristo gli è continuamente presente nello spirito; il suo cuore ne è sempre occupato.
Ora porta il suo pensiero sull’inferno, per concepire quanto sia grande la punizione del peccato, e quanto sia grande la disgrazia di colui che lo commette, e ciò lo dispone a preferire perfino la morte al peccato; ora, per esercitarsi nell’amore di Dio, e per sentire quanto sia felice colui che preferisce il buon Dio a tutto il resto, egli porta il suo pensiero intorno al Cielo.
Egli si rappresenta quanto sia grande la ricompensa di colui che lascia tutto per il buon Dio.
Allora non desidera che Dio e non vuole altro che Dio solo: i beni di questo mondo, per lui non sono nulla; ama nel vederli disprezzati, e nel disprezzarli egli stesso: i piaceri del mondo gli fanno orrore.
Egli pensa che essendo discepolo di un Dio crocifisso, la sua vita non debba essere altro che una vita di lacrime e di sofferenze (non masochismo ma serietà e coerenza cristiana; n.d.a.).
La morte non lo spaventa affatto, perchè sa molto bene che essa sola può liberarlo dai mali della vita, e riunirlo al suo Dio, per sempre.
Ma un’anima tiepida è molto lontana da questi sentimenti.
I beni e i mali dell’altra vita per lei non sono quasi nulla: ella pensa al Cielo, è vero, ma sensa desiderare veramente di andarci.
Ella sa che il peccato gliene sbarra le porte, ma, malgrado ciò, non cerca di correggersi, almeno in maniera efficace; e così si trova ad essere sempre la stessa.
Il demonio la inganna, facendole prendere molte risoluzioni di convertirsi, di comportarsi meglio, di essere più mortificata, più controllata nelle sue parole, più paziente nelle sue pene, più caritatevole verso il prossimo.
Ma tutto questo non cambia minimamente la sua vita: è da vent’anni che è piena di desideri, senza aver modificato in nulla le sue abitudini.
Ella assomiglia a una persona che invidia colui che siede sul carro del trionfo, ma non si degna nemmeno di alzare un piede per salirvi.
Ella non vorrebbe rinunciare ai beni eterni, per quelli della terra; ma non desidera nè uscire dal mondo, nè andare in Cielo, e se potesse trascorrere il suo tempo senza croce e senza dispiaceri, non chiederebbe mai di uscire da questo mondo.
Se le sentite dire che la vita è molto lunga e molto miserabile, lo dice solo quando tutto non va secondo i suoi desideri.
Se il buon Dio, per costringerla, in qualche modo, a distaccarsi dalla vita, le invia delle croci o delle miserie, eccola che si tormenta, si affligge, si abbandona al pianto, alla mormorazione, e, spesso, a una specie di disperazione.
Ella sembra non voler più riconoscere che sia il buon Dio a inviarle queste prove, per il suo bene, per distaccarla dalla vita e attirarla a Lui.
Che cosa ha potuto fare per meritarle? pensa in se stessa; tanti altri, più colpevoli di lei non subiscono tutto ciò.
Nella prosperità, l’anima tiepida non arriva a dimenticarsi del buon Dio, ma non si dimentica nemmeno di se stessa. Ella sa raccontare molto bene tutti i mezzi che ha impiegato per avere successo (si tratta del raggiungimento della suddetta prosperità); crede che tanti altri non avrebbero avuto il medesimo esito; ama ripeterlo e sentirselo ripetere; ogni volta che se lo sente dire, è per lei sempre una nuova gioia.
Nei confronti di coloro che la adulano, ella assume un aria graziosa; ma verso tutti coloro che non le abbiano portato tutto il rispetto che crede di meritare, o che non siano stati riconoscenti per i suoi benefici, conserva un’aria fredda, indifferente, e sembra dire loro che sono degli ingrati, che non meritano di ricevere il bene che ha fatto loro.
Ma un buon cristiano, fratelli miei, ben lungi dal credersi degno di qualcosa, e capace di compiere il minimo bene, ha soltanto la sua propria miseria davanti agli occhi.
Diffida da coloro che la adulano, come di altrettante trappole che il demonio gli tende; i suoi migliori amici sono coloro che gli fanno conoscere i suoi difetti, poichè sa molto bene che bisogna assolutamente conoscerli per potersene correggere.
Fugge l’occasione del peccato più che può, ricordandosi come basti una piccola cosa per farlo cadere; non fa più affidamento su tutte le sue risoluzioni, nè sulle sue forze, e nemmeno sulla sua virtù.
Conosce per propria esperienza di non essre capace che di peccare; mette tutta la sua fiducia e tutta la sua speranza, in Dio solo.
Egli sa che il demonio non teme niente, quanto un’anima che ami la preghiera, e ciò la porta a fare della sua vita una preghiera continua, per mezzo di un intimo intrattenimento con il buon Dio.
Il pensiero di Dio gli è così familiare, quanto il suo stesso respiro; le elevazioni del suo cuore verso di Lui sono frequenti: si compiace di pensare a Lui, come a suo padre, a un suo amico e al suo Dio che lo ama, e che desidera tanto ardentemente renderlo felice in questo mondo, e ancora di più nell’altro.
Un buon cristiano, fratelli miei, si occupa raramente delle cose della terra; se gliene parlate, mostra tanta indifferenza, quanta la gente del mondo ne dimostra, quando le si parla dei beni dell’altra vita.
Infine, egli fa consistere la sua felicità nelle croci, nelle afflizioni, nella preghiera, nel digiuno, e nel pensiero della Presenza di Dio.
Un’anima tiepida, invece, non perde mai, se vogliamo, la fiducia in Dio; ma non diffida abbastanza di se stessa.
Sebbene si esponga molto spesso all’occasione di peccare, crede sempre che non vi cadrà mai.
Se vi cade, attribuisce la sua caduta al prossimo, e afferma che un’altra volta sarà più risoluta.
Colui che ama veramente il buon Dio, fratelli miei, e che ha a cuore la salvezza della sua anima, prende tutte le precauzioni possibili per evitare l’occasione di peccare.
Non si accontenta di evitare le grosse cadute; ma sta attento a distruggere le minime colpe che scorge in sè.
Considera sempre come un grande male tutto ciò che possa dispiacere anche solo un po’ a Dio; o, per meglio dire, tutto ciò che dispiace a Dio dispiace anche a lui.
Si considera sempre come ai piedi di una scala in cima alla quale deve salire; vede che per riuscirci, non ha tempo da perdere; e così sale ogni giorno di virtù in virtù, fino al giorno dell’eternità.
E’ come un’aquila che fende l’aria, o come un fulmine che non perde nulla della sua rapidità, dal momento in cui appare a quello in cui scompare (esempio poco chiaro; n.d.a.).
Sì, fratelli miei, ecco che cosa fa un’anima che si affatica per Dio e che desidera vederlo.
Come il fulmine, ella non trova nè limiti nè ritardi, prima di essere seppellita nel seno del suo Creatore.
Perchè il nostro spirito è capace di trasferirsi con tanta rapidità da un punto del mondo all’altro?
E’ per mostrarci con quale rapidità dobbiamo trasferirci in Dio con i nostri pensieri e con i nostri desideri (il curato filosofo e mistico…; n.d.a.).
Ma non agisce così l’amore di Dio in un’anima tiepida.
Non si scorgono in lei questi desideri ardenti e queste fiamme divoranti, che le facciano superare tutti gli ostacoli che si oppongono alla salvezza.
Se volessi, fratelli miei, dipingervi esattamente lo stato di un’anima che vive nella tiepidezza, vi direi che ella è simile a una tartaruga o a una lumaca: essa non cammina se non trascinandosi sulla terra, e la si scorge appena mentre cambia posto.
L’amore di Dio che sente nel suo cuore, è simile a una piccola scintilla di fuoco, nascosta in un ammasso di cenere; quest’amore è avviluppato da tanti pensieri e desideri terreni, che se non lo soffocano del tutto, ne impediscono però il progresso, e lo spengono a poco a poco.
L’anima tiepida arriva al punto di essere completamente indifferente alla sua perdita.
Non le è rimasto più che un amore senza tenerezza, senza attività e senza forza, che la sostiene appena, in tutto ciò che è essenzialmente necessario per essere salvati; ma per tutto il resto, ella lo considera come un nulla, o come piccola cosa.
Ahimè! fratelli miei, questa povera anima sta nella sua tiepidezza, come tra due sonni.
Ella vorrebbe agire, ma la sua volontà è talmente molle, che non ha nè la forza nè il coraggio di compiere i suoi desideri.
E’ vero che un cristiano che vive nella tiepidezza, adempie ancora abbastanza regolarmente i sui doveri, almeno in apparenza.
Farà tutte le mattine la sua preghiera in ginocchio; frequenterà i sacramenti, tutti gli anni a Pasqua e perfino più volte l’anno; ma in tutto ciò prova un tale disgusto, tanta fiacchezza e tanta indifferenza, insieme a una così scarsa preparazione, e con così scarso cambiamento nella sua maniera di vivere, che si vede chiaramente che egli “salda” i suoi doveri solo per abitudine e per “routine”, come accade quando arriva una festa in cui è abituato a fare certe cose.
Le sue confessioni e le sue comunioni non sono sacrileghe, se vogliamo, ma si tratta di confessioni e di comunioni senza frutto, le quali, ben lungi dal renderlo più perfetto e più gradito a Dio, lo rendono solo più colpevole.
Quanto alle sue preghiere, Dio solo sa come siano fatte: ahimè! senza preparazione.
Al mattino, non è affatto del buon Dio che si occupa, nè della salvezza della sua povera anima, ma non pensa ad altro che a organizzare bene il suo lavoro.
Il suo spirito è talmente avviluppato dalle cose della terra, che il pensiero di Dio non vi trova posto.
Egli pensa a ciò che farà durante la giornata, dove manderà i suoi figli o i suoi domestici, e in che modo dovrà distribuire il suo lavoro.
Per fare la sua preghiera, si mette in ginocchio, è vero, ma non sa nè che cosa voglia domandare al buon Dio, nè ciò che gli è necessario, e neppure davanti a chi si trova; le sue maniere, così poco rispettose, lo fanno intendere molto bene.
E’ come un povero che, sebbene sia miserabile, non vuole niente e ama la sua povertà (di spirito).
E’ come un malato quasi disperato, che disprezza le medicine e i rimedi, e ama le sue infermità.
Vedrete quest’anima tiepida non fare alcuna difficoltà a chiacchierare, durante le sue preghiere, col minimo pretesto; basta un nonnulla per fargliele abbandonare, almeno in parte, pensando di poterle fare in un altro momento.
Vuole offrire la sua giornata a Dio, dire il suo “benedicite” e le sua azioni di grazie? Fa tutto ciò, è vero, ma spesso senza pensare a chi si stia rivolgendo. E, nel frattempo, non interromperà il suo lavoro.
Si tratta di un uomo? Rigirerà tra le mani il suo berretto o il suo cappello, quasi voglia esaminare se è in buone condizioni, e come se avesse in progetto di venderlo (ironia esilarante del curato; n.d.a.).
Si tratta di una donna? Ella reciterà le sue preghiere mentre taglia il pane per la zuppa, o mentre sistema la legna sul fuoco, oppure gridando dietro ai figli o ai domestici.
Le distrazioni nella preghera non sono volontarie, se volete, perchè si preferirebbe non averle, ma siccome occorre farsi qualche violenza per scacciarle, le si lascia andare e venire a loro piacimento (secondo il curato, il tiepido non è il cristiano del “sì”, e neppure del “no”, bensì il cristiano del “ma”).
Un’anima tiepida non lavora, forse, nel santo giorno di domenica, ad opere che sembrano proibite a persone che abbiano un minimo di religiosità; ma, mettere qualche punto d’ago, sistemare qualche cosetta nella casa, mandare i pastori ai campi, durante gli uffici sacri, sotto il pretesto di non avere nulla da dare alle bestie, di tutto questo, non se ne fanno alcuno scrupolo, e così preferiscono meglio lasciar perire la loro anima e quella dei loro operai, piuttosto che lasciar perire le bestie.
Se si tratta di un uomo, di domenica sistemerà i suoi attrezzi e i suoi carretti, per l’indomani; andrà a visitare le sue terre, riempirà un buco, taglierà qualche corda, prenderà dei secchielli e li aggiusterà.
Che ne pensate, fratelli miei? non è così? ahimè! è la pura verità!… (per i facili obiettori della serie “il sabato è per l’uomo, ecc.”, si ricordi che il curato sta sottolineando il fatto che, normalmente, la domenica è un giorno sacrosanto da dedicare principalmente a Dio e alle cose di Dio, tranne i casi di assoluta necessità; n.d.a.).
Un’anima tiepida, si confesserà anche ogni mese, e perfino più spesso, ma, ahimè! di quali confessioni si tratterà?
Nessuna preparazione, nessun desiderio di correggersi; o almeno tali desideri sono così deboli e così piccoli, che il primo colpo di vento li rovescia.
Tutte le sue confessioni non sono altro che una ripetizione delle precedenti, e, fortunati, se non vi si sia aggiunta qualche altra cosa.
Vent’anni fa accusavano le stesse cose che accusano oggi; tra vent’anni, se si confesseranno ancora, ci sarà la stessa ripetizione.
Un’anima tiepida non commetterà, se volete, grossi peccati, ma una piccola maldicenza, una menzogna, un sentimento di odio, di avversione, di gelosia, o una piccola dissimulazione, non le costano nulla.
Se non le portate tutto il rispetto che crede di meritare, ve lo farà capire fin troppo bene, col pretesto che state offendendo il buon Dio, mentre si dovrebbe dire piutosto, perchè si sente offesa lei stessa (a scanso di facili femminismi, si ricordi che tutti i soggeti al femminile, che ricorrono nell’omelia, si riferiscono quasi sempre all’“l’anima” o alla
“persona”; n.d.a.).
E’ vero che ella non smetterà di frequentare i sacramenti, ma le sue disposizioni sono degne di compassione.
Il giorno in cui vorrà ricevere il suo Dio, trascorrerà una parte della mattinata, a pensare ai suoi affari temporali.
Se è un uomo, penserà ai suoi mercati o alle sue vendite; se è una donna, penserà alla casa e ai suoi figli; se è una ragazza, al modo in cui dovrà vestirsi; se è un ragazzo, fantasticherà su qualche piacere frivolo, e tutto il resto.
L’anima tiepida, rinchiude il suo Dio in una specie di prigione oscura e sudicia.
Ella non lo mette a morte, ma lo fa dimorare in un cuore senza gioia e senza consolazione; tutte le sue disposizioni manifestano che alla sua povera anima non è rimasto che un soffio di vita.
Dopo aver ricevuto la santa Comunione, questa persona pensa a Dio, non più degli altri giorni.
Il suo modo di vivere ci dimostra che non ha conosciuto affatto la grandezza della sua fortuna.
Una persona tiepida, riflette poc
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