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La Vita di Maria: ai piedi della Croce di Gesù e sepoltura di Cristo

Parte VIII: capitoli XV e XVI

Autore: José Antonio Loarte

● Vita di Maria (XV): Ai piedi della Croce di Gesù ●

“Stavano presso la Croce di Gesù sua Madre, la sorella di sua Madre, Maria di Clèofa, e Maria di Magdala “.
Sono passati quasi tre anni dal primo miracolo di Gesù in Cana di Galilea. Il Vangelo, in questo periodo di tempo, praticamente non parla più della Santissima Vergine. Forse qualche volta avrà fatto parte del gruppo di donne che accompagnavano il Signore nei suoi spostamenti (cfr. Lc 8, 1-3); però gli evangelisti segnalano la sua presenza fisica soltanto una volta: quando, in compagnia di altri parenti che vogliono vedere Gesù, non riuscendo costoro a entrare nella casa dove egli alloggiava a causa della folla, mandarono a chiamarlo. La risposta del Signore fu eloquente: Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la Volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre (Mc 3, 33-35). Era il più grande elogio della Madonna, la creatura che meglio di tutti seppe compiere la Volontà del Padre celeste.
Il silenzio degli evangelisti fa supporre – lo afferma Giovanni Paolo II in una delle sue catechesi mariane – che di solito la Madonna non accompagnava Cristo nei suoi viaggi per la Palestina: lo seguiva da lontano, sia pure spiritualmente unita a Lui in ogni momento, con una prossimità assai maggiore di quella dei discepoli e delle sante donne. Comunque, Giovanni sostiene che si trovava a Gerusalemme durante l’ultima Pasqua del Signore. Forse era stata nella Città Santa in altre feste simili, ma soltanto ora l’evangelista ne parla esplicitamente e lo fa nel contesto del Sacrificio redentore. Stavano presso la Croce di Gesù sua Madre – scrive – , la sorella di sua Madre, Maria di Clèofa, e Maria di Magdala ( Gv 19, 25). E subito ci trasmette le parole che il Signore rivolge alla Madre e a lui stesso, lì presente; parole dal profondo significato.
Sarebbe molto riduttivo intendere queste parole di Cristo, nel momento supremo della Redenzione, come una semplice preoccupazione, per così dire, familiare: quella di un figlio che incarica qualcuno di occuparsi della madre. Ci troviamo davanti a uno dei fatti più importanti per capire il ruolo della Madonna nell’opera della salvezza. Già a Cana Gesù aveva lasciato intendere chiaramente che la missione materna di Maria a Nazaret, durante gli anni della vita nascosta, si sarebbe prolungata nella nuova famiglia della Chiesa. I recenti studi mariologici mettono in evidenza – e il Magistero ordinario della Chiesa l’ha fatto proprio – che ci troviamo di fronte a una “scena di rivelazione” tipica del quarto Vangelo, il Vangelo dei segni per antonomasia. Gesù guarda Maria, si rivolge a Lei con l’appellativo di Donna, come a Cana, e, indicando il discepolo amato, dice: Donna, ecco il tuo figlio! ( Gv 19, 26). Poi, guardando Giovanni, aggiunge: Ecco la tua Madre! ( Gv 19, 27).
Non chiama per nome né la Madonna né Giovanni. Maria è la nuova Eva che, in unione con il nuovo Adamo e subordinata a Lui, è chiamata a dare la sua mediazione materna nell’opera della redenzione. L’evangelista, invece, si trova lì in qualità di discepolo fedele, come rappresentante di tutti quelli che crederanno in Cristo sino alla fine dei secoli. Le parole del Signore – parole di Dio e dunque parole di creazione come quelle del principio del mondo – realizzano ciò che significano. Da quel momento Maria è costituita Madre di tutti coloro che verranno nella Chiesa: Mater Ecclesiæ, come la chiamò Paolo VI nel chiudere il Concilio Vaticano II. Le sue viscere produssero una nuova maternità: spirituale, ma autentica; e dolorosa, perché in quei momenti si compiva alla lettera la profezia del vecchio Simeone: a te una spada trafiggerà l’anima (Lc 2, 35).
Anche nel cuore del discepolo si fece strada in quello stesso momento la coscienza di una filiazione vera e reale, che lo faceva diventare fratello di Gesù e figlio della sua stessa Madre. Per questo aggiunge: e da quel momento il discepolo la prese nella sua casa (Gv 19, 27); vale a dire, la introdusse nello spazio della sua vita interiore, l’accolse, come vera Madre, tra i suoi beni più preziosi. Da quell’istante, e fino al momento della Dormizione della Vergine Santissima, Giovanni non si separò mai da Lei.
Soltanto dopo aver donato il discepolo alla Madre e la Madre al discepolo, Gesù poteva dire che tutto era consumato, come esplicitamente riferisce san Giovanni. Poi, dopo aver dichiarato di avere sete – sete di anime -, affinché si adempisse la Scrittura, Gesù esclamò a gran voce: consummatum est!, tutto è compiuto. E, chinato il capo, spirò (Gv 19, 30).

La crocifissione del Signore e la presenza di sua Madre, negli scritti più rilevanti del Magistero della Chiesa, dei Padri, dei santi…

+ + + La voce del Magistero + + +
«Nella vita pubblica di Gesù, la Madre sua appare in modo caratteristico, fin dal principio, quando alle nozze di Cana di Galilea, mossa a compassione, con la sua intercessione diede inizio ai segni di Gesù Messia (cfr. Gv 2, 1-11). Durante la predicazione del Figlio raccolse le parole con le quali Egli, esaltando il regno al di sopra delle condizioni e dei vincoli della carne, proclamò beati quelli che ascoltano e custodiscono la parola di Dio (cfr. Mc 3, 35; Lc 11, 27-28), come Ella stessa fedelmente faceva (cfr. Lc 2, 19 e 51). Così anche la Beata Vergine avanzò nel campo della fede e serbò fedelmente la sua unione con il Figlio sino alla Croce, dove, non senza un disegno divino, se ne stette ritta (cfr. Gv 19, 25), soffrì profondamente con il suo Figlio unigenito e si associò con animo materno al sacrificio di Lui, amorosamente consenziente all’immolazione della vittima da Lei generata; e finalmente, dallo stesso Cristo Gesù morente in croce fu data come madre al discepolo con queste parole: Donna, ecco il tuo figlio (cfr. Gv 19, 26-27)».
Concilio Vaticano II (XX secolo) Costituzione dogmatica Lumen gentium, 58.
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«Lo “stare ritta” della Vergine presso la Croce ne ricorda l’incrollabile fermezza e lo straordinario coraggio nell’affrontare i patimenti. Nel dramma del Calvario Maria è sostenuta dalla fede, rafforzatasi nel corso degli eventi della sua esistenza e, soprattutto, durante la vita pubblica di Gesù. Il Concilio ricorda che “la Beata Vergine avanzò nel cammino della fede e serbò fedelmente la sua unione con il Figlio sino alla Croce” (Lumen gentium , 58).
Ai tracotanti insulti diretti al Messia crocifisso, Ella, condividendo le intime disposizioni di Lui, oppone l’indulgenza e il perdono, associandosi alla supplica al Padre: “Perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23, 34). Partecipe del sentimento di abbandono alla volontà del Padre, espresso dalle ultime parole di Gesù in Croce: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23, 46), Ella offre in tal modo, come osserva il Concilio, un consenso d’amore “all’immolazione della vittima da Lei generata” (Lumen gentium , 58)».
[…] «Qual è il significato di questa singolare cooperazione di Maria al piano della salvezza? Esso va cercato in una particolare intenzione di Dio nei confronti della Madre del Redentore, che in due occasioni solenni, cioè a Cana e sotto la Croce, Gesù chiama col titolo di “Donna” (cfr. Gv 2, 4; 19, 26). Maria è associata in quanto donna all’opera salvifica. Avendo creato l’uomo “maschio e femmina” (cfr. Gn 1, 27), il Signore vuole affiancare, anche nella Redenzione, al Nuovo Adamo la nuova Eva. La coppia dei progenitori aveva intrapreso la via del peccato; la nuova coppia, il Figlio di Dio con la collaborazione della Madre, avrebbe ristabilito il genere umano nella sua dignità originaria.
Maria, Nuova Eva, diviene così icona perfetta della Chiesa. Essa, nel disegno divino, rappresenta sotto la Croce l’umanità redenta che, bisognosa di salvezza, è resa capace di offrire un contributo allo sviluppo dell’opera salvifica».
[…] «Dopo aver ricordato la presenza di Maria e delle altre donne presso la Croce del Signore, San Giovanni riferisce: “Gesù, vedendo la Madre e lì accanto a Lei il discepolo che Egli amava, disse alla Madre: ‘Donna, ecco il tuo figlio!’ (Gv 19, 26-27).
Queste parole, particolarmente commoventi, costituiscono una “scena di rivelazione”: rivelano i profondi sentimenti del Cristo morente e racchiudono una grande ricchezza di significati per la fede e la spiritualità cristiana. Infatti, volgendosi, alla fine della sua vita terrena, alla Madre e al discepolo che amava, il Messia crocifisso stabilisce relazioni nuove di amore tra Maria e i cristiani.
Interpretate talora unicamente come manifestazione della pietà filiale di Gesù verso la Madre, affidata per il futuro al discepolo prediletto, tali espressioni vanno molto al di là della necessità contingente di risolvere un problema familiare. Infatti, la considerazione attenta del testo, confermata dall’interpretazione di molti Padri e dal comune sentire ecclesiale, ci pone dinanzi, nella duplice consegna di Gesù, a uno dei fatti più rilevanti per comprendere il ruolo della Vergine nell’economia della salvezza.
Le parole di Gesù morente, in realtà, rivelano che il suo primario intento non è quello di affidare la Madre a Giovanni, ma di consegnare il discepolo a Maria, assegnandole una nuova missione materna. L’appellativo “donna”, inoltre, usato da Gesù anche nelle nozze di Cana per condurre Maria ad una nuova dimensione del suo essere Madre, mostra quanto le parole del Salvatore non siano frutto di un semplice sentimento di affetto filiale, ma intendano porsi su un piano più alto. […] Assumono il loro più autentico significato all’interno della sua missione salvifica. Pronunciate al momento del sacrificio redentore, esse attingono proprio da questa sublime circostanza il loro valore più alto. L’evangelista, infatti, dopo le espressioni di Gesù alla Madre, riporta un inciso significativo: “Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta” (Gv 19, 28), quasi a voler sottolineare che Egli ha portato a termine il suo sacrificio con l’affidare la Madre a Giovanni e, in lui, a tutti gli uomini, dei quali Ella diventa Madre nell’opera di salvezza».
Giovanni Paolo II (XX secolo) – Discorsi nelle udienze generali del 2, 9 e 23 aprile 1997
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«Essendo totalmente con Dio, questa Donna è vicinissima a noi e ci aiuta come Madre e come sorella. Anche il posto unico e irripetibile che Maria ha nella comunità dei credenti deriva da questa sua fondamentale vocazione ad essere la Madre del Redentore. Proprio in quanto tale, Maria è anche la Madre del Corpo Mistico di Cristo, che è la Chiesa. Giustamente, pertanto, durante il Concilio Vaticano II, il 21 novembre 1964, Paolo VI attribuì solennemente a Maria il titolo di “Madre della Chiesa”.
Proprio perché Madre della Chiesa, la Vergine è anche Madre di ciascuno di noi, che siamo membra del Corpo mistico di Cristo. Dalla Croce Gesù ha affidato la Madre ad ogni suo discepolo e, allo stesso tempo, ha affidato ogni suo discepolo all’amore della Madre sua. L’evangelista Giovanni conclude il breve e suggestivo racconto con le parole: “E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa” (Gv 19, 27) […]. Egli l’accolse nella realtà propria, nel suo proprio essere. Così che fa parte della sua vita e le due vite si compenetrano; e questo accettarla nella propria vita è il testamento del Signore. Dunque, al momento supremo del compimento della missione messianica, Gesù lascia a ciascuno dei suoi discepoli, come eredità preziosa, la sua stessa Madre, la Vergine Maria».
Benedetto XVI (XXI secolo) – Discorso nell’udienza generale, 2-I-2008.

+ + + La voce dei Padri della Chiesa e degli scrittori antichi + + +
«Bisogna avere il coraggio di dire che, fra tutte le Scritture, le primizie sono i Vangeli, e che tra i Vangeli il primo posto compete a quello di Giovanni. Nessuno può capirne il profondo significato se non si è reclinato sul petto di Gesù e da Gesù non ha ricevuto Maria per madre. Così deve essere chi vorrà essere un altro Giovanni, in modo che, come di Giovanni, Gesù stesso possa dichiarare di lui che è Gesù. Infatti, se, d’accordo con quelli che parlarono santamente di Lei, Maria ha avuto per figlio solo Gesù, e Gesù dice alla Madre: “Ecco tuo figlio”, è come se dicesse: “Guarda, questo è Gesù che tu hai generato”. In realtà, tutto ciò che è perfetto non vive per sé, ma Cristo vive in lui; e se Cristo vive in lui, di lui Gesù può dire a Maria: “Ecco tuo figlio, Cristo”».
Origene (III secolo) – Commento al Vangelo di San Giovanni, 1, 4 (SC 120, 70-72)
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«Gesù allora, vedendo la Madre e lì accanto a Lei il discepolo che Egli amava, disse alla Madre: “Donna, ecco il tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre!”. E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa. È questa l’ora di cui parlò a sua Madre quando stava per trasformare l’acqua in vino: Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora ( Gv 2, 4). Aveva predetto questa ora, che allora non era ancora giunta: l’ora nella quale, essendo sul punto di morire, avrebbe riconosciuto Colei dalla quale Egli era nato alla vita mortale. Quando ancora operava meraviglie, respingeva la madre come sconosciuta, non alla sua divinità, ma alla sua debolezza; ma ora, in mezzo alle sofferenze umane, con affetto filiale riconosce colei che gli aveva dato la carne umana. Allora Colui che aveva creato Maria splendeva per il suo potere; ora stava appeso alla croce Colui che Maria aveva dato alla luce».
Sant’Agostino (IV-V secolo) – Esposizioni sui Salmi, 119, 1.

+ + + La voce dei Santi e degli autori spirituali + + +
«Tre cose concorrono al sacrificio del Salvatore e ne costituiscono la perfezione. Al primo posto vi sono le sofferenze, dalle quali la sua umanità restò letteralmente distrutta; in secondo luogo, la rassegnazione, con cui umilmente sottostò alla Volontà del Padre, offrendosi a Lui; in terzo luogo, la fecondità, grazie alla quale ci genera alla grazia e ci dà la vita morendo. Soffre come la vittima che dev’essere schiacciata e distrutta; si sottomette come il sacerdote che deve sacrificare volontariamente: voluntarie sacrificabo tibi (Sal 53/54, 8); infine, ci genera mediante la sofferenza, come Padre di un nuovo popolo che dà alla luce per mezzo delle sue ferite: ecco le tre cose sublimi che il Figlio di Dio compie sulla Croce.
Maria è presso la Croce; con quali occhi guarda quel suo Figlio insanguinato, coperto di ferite, tanto da non sembrare più un uomo. Questa visione le causa la morte; se si avvicina all’altare, è perché vuole essere immolata, e in effetti lì sente il colpo della spada che, secondo la profezia di Simeone, avrebbe aperto il suo cuore di madre con ferite tanto crudeli.
Fu distrutta dal dolore, prostrata a terra esanime? Al contrario: stabat iuxta crucem (Gv 19, 25): stava in piedi presso la Croce. No: la spada che trafisse il suo cuore non riuscì a ridurre la sua forza; la costanza e l’afflizione vanno di pari passo, e la sua costanza testimonia la sua fermezza, che non era meno sottomessa che afflitta.
Che cosa rimane, dunque, o cristiano, se non che il suo amato Figlio, che le fece provare le proprie sofferenze e imitare la propria rassegnazione, le comunichi anche la sua fecondità? Con questa intenzione le dà per figlio san Giovanni: Mulier, ecce filius tuus (Gv 19, 26). Donna – disse –, ecco il tuo figlio. O donna, che soffri con me, con me sii pure efficace, sii la Madre dei miei figli, te li dono senza riserve nella persona di quest’unico discepolo. Io li genero con i miei dolori; e dato che Voi gustate l’amarezza, abbiate anche la sua efficacia e la vostra afflizione vi renderà feconda».
J.A. Bossuet (XVII secolo) – Sermone sulla compassione della Vergine.
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«Veramente, beata Madre, una spada ha trafitto la tua anima: non poteva penetrare nel corpo di tuo Figlio senza trafiggerla. Dopo che è spirato il tuo Gesù (indubbiamente di tutti, ma tuo in modo speciale), la crudele lancia che aprì il suo costato non toccò la sua anima, ma trapassò sicuramente la tua. La sua anima non era più lì, ma la tua da lì non si poteva allontanare. La tua anima, dunque, fu attraversata dalla forza del dolore, affinché non senza ragione ti predichiamo più che martire, essendo stato in te l’effetto della compassione assai maggiore di ciò che sarebbe potuto essere il senso della passione.
Forse non fu per te più che una spada quella parola che davvero trafisse la tua anima e arrivò fin dove l’anima confina con lo spirito? Donna, ecco il tuo figlio! (Gv 19, 26). Che scambio! Ti danno Giovanni al posto di Gesù, il servo al posto del Signore, il discepolo al posto del Maestro, il figlio di Zebedeo al posto del Figlio di Dio, un semplice uomo al posto del Dio vero. Come poteva la tua anima piena d’amore non rimanere trafitta all’udire queste parole, quando la sua sola memoria spezza i nostri cuori, che pure sono di pietra e di ferro?
Non meravigliatevi, fratelli, se Maria è chiamata martire nell’anima. Meravigliatevi se qualcuno non ricorda che san Paolo annovera tra i maggiori crimini dei gentili l’essere vissuti senza affetto (cfr. Rm 1, 31). Ben lungi fu questo dalle viscere di Maria, lungi è anche dai suoi umili servi.
Può darsi che qualcuno mi chieda: ma non aveva saputo in anticipo che suo Figlio doveva morire? Indubbiamente. E non si aspettava che sarebbe risuscitato subito dopo? Con la più grande certezza. E malgrado questo, si angosciava nel vederlo crocifisso? Si angosciò, sì, e grandemente. Del resto, chi sei tu, fratello, o che sapienza è la tua, che ti meravigli di più di Maria addolorata che del Figlio di Maria paziente? Egli poté morire in quanto al corpo, e Maria non poté morire nello stesso momento con il cuore? Quello realizzò una carità superiore a ogni altra carità; anche questa realizzò una carità che, dopo di allora, non ebbe un’altra simile».
San Bernardo (XII secolo) – Sermone nell’ottava dell’Assunzione, 14-15.
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«Poiché Maria è Madre, la sua devozione ci insegna a essere figli: ad amare sul serio, senza misura; a essere semplici, senza tutte le complicazioni che nascono dall’egoismo di pensare solamente a sé stessi; a essere allegri, sapendo che nulla può distruggere la nostra speranza. L’inizio del cammino che ha per termine l’amore folle per Gesù, è un fiducioso amore alla Madonna. Ho già scritto queste parole, molti anni fa, nel prologo di un commento del Santo Rosario, e da allora ho costatato molte volte quanto sono vere. Non mi dilungherò su questo concetto; vi invito piuttosto a farne esperienza, a scoprirlo personalmente mediante il colloquio amoroso con Maria, aprendole il vostro cuore, confidandole le vostre gioie e le vostre pene, chiedendole di aiutarvi a conoscere e a seguire Gesù».
San Josemaría (XX secolo) – È Gesù che passa, n. 143.

● Vita di Maria (XVI): Sepoltura di Cristo ●
La scena della Pietà ci mostra ancora una volta Gesù tra le braccia di Maria. La Madre accoglie di nuovo il Figlio disprezzato dagli uomini. Sedicesimo articolo della “Vita di Maria”.
Gesù era morto verso le tre del pomeriggio, l’ora in cui nel Tempio si sacrificavano gli agnelli per la cena pasquale ormai imminente. Il quarto Vangelo sottolinea questo simbolismo sin dai primi capitoli, quando mette sulle labbra del Battista, che indicava Gesù a un gruppo di discepoli, queste parole: Ecco l’Agnello di Dio, ecco Colui che toglie il peccato del mondo (Gv 1, 29). Maria era rimasta ai piedi della Croce, con Giovanni e le sante donne. Lo sguardo fisso su suo Figlio, non riusciva ad allontanarsi da quel luogo. Doveva ancora inghiottire tanti bocconi amari prima di poter deporre il suo corpo nel sepolcro.
Al tramonto del sole, verso le sei del pomeriggio, iniziava già il sabato, che quell’anno era molto solenne perché coincideva con la Pasqua degli ebrei. Non era conveniente che in una festa così grande i corpi dei condannati continuassero a pendere dalle croci. Perciò un gruppo di notabili si rivolse a Pilato chiedendogli che fossero loro spezzate le gambe e fossero portati via (Gv 19, 31). Il Procuratore romano inviò alcuni soldati a compiere quel penoso incarico. Possiamo immaginare il sobbalzo di Maria quando comparve sul Calvario quel plotone armato di mazze e di lance. San Giovanni descrive la scena: Spezzarono le gambe al primo e poi all’altro che era stato crocifisso insieme a lui. Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua (Gv 19, 32-34).
La lancia attraversò il cuore di Gesù ormai morto e ferì profondamente l’anima di Maria, compiendosi così la profezia di Simeone: Anche a te una spada trafiggerà l’anima (Lc 2, 35). San Giovanni, testimone oculare, vide in questo episodio il compimento di altre profezie; specialmente quella che si riferisce all’agnello pasquale: Non gli sarà spezzato alcun osso (Gv 19, 36; cfr. Es 12, 46). E un altro passo della Scrittura dice ancora: “Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto” (Gv 19, 37; cfr. Zc 12, 10).
Il tempo stringeva. Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, uomini timorati di Dio e membri del Sinedrio, discepoli del Signore ma di nascosto, si presentarono da Pilato chiedendo con audacia che fosse loro concesso il corpo del Signore. Una volta accertata la morte, Pilato accolse la richiesta. Là Giuseppe si presentò con una squadra di servitori che portavano le scale per far discendere il corpo dalla croce, le bende e un grande lenzuolo. Vi andò anche Nicodemo […] e portò una mistura di mirra e di aloe di circa cento libbre (Gv 19, 39): una quantità enorme di profumi, degna della sepoltura di un re. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero in bende insieme con oli aromatici, com’è usanza seppellire per i Giudei (Gv 19, 40).
La pietà cristiana si è soffermata su questo passo evangelico per contemplare con emozione e raccoglimento l’immagine di Maria con il Figlio morto fra le sue braccia. È la celeberrima scena della Pietà, immortalata nell’arte da innumerevoli pittori e scultori. Forse fu in quel momento, guardando il corpo di Cristo martoriato e lavato in modo superficiale, che la Vergine e le donne intonarono le loro lamentazioni, come era abituale negli antichi popoli del Medio Oriente e come accade spesso ancora oggi in alcuni luoghi. Il Vangelo è parco di dettagli; però in antichi documenti della tradizione questa scena è descritta in ogni particolare, e vengono messe sulle labbra di Maria – come fa, per esempio, sant’Efrem nel V secolo – alcune lamentazioni nelle quali la Madonna dà sfogo al suo dolore, ma al tempo stesso aderisce completamente alla Volontà divina.
Alla fine, posero il corpo di Gesù in una proprietà di Giuseppe a pochi passi dal Calvario. Vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto. Là dunque deposero Gesù, a motivo della Parasceve dei Giudei, poiché quel sepolcro era vicino (Gv 19, 41-42). Giuseppe d’Arimatea, rotolata poi una gran pietra sulla porta del sepolcro, se ne andò (Mt 27, 60). Stava per cominciare il sabato grande e solenne. Il giorno dopo, malgrado la festa, una rappresentanza dei principi dei sacerdoti e dei farisei chiese a Pilato di mettere un drappello di soldati a vigilare quel luogo. Pilato glielo concesse. Ed essi andarono e assicurarono il sepolcro, sigillando la pietra e mettendovi la guardia (Mt 27, 66).
La fede in Cristo Gesù, il Messia e Figlio di Dio, sembrava ormai spenta sulla terra. Però splendeva con forza nel cuore di sua Madre, che non aveva dimenticato la promessa di suo Figlio: dopo tre giorni risorgerò (Mt 27, 63).

Testi del Magistero, dei santi, di altri scrittori spirituali e di Padri della Chiesa, su una scena della vita della Madonna: la Pietà.

+ + + La voce del Magistero + + +
«Hanno restituito nelle mani della Madre il corpo senza vita del Figlio. I Vangeli non parlano di ciò che ella ha provato in quell’istante.
È come se gli Evangelisti, con il silenzio, volessero rispettare il suo dolore, i suoi sentimenti e i suoi ricordi. O, semplicemente, è come se ritenessero di non essere capaci di esprimerli.
È stata soltanto la devozione plurisecolare a conservare l’immagine della “Pietà”, fissando così nella memoria del popolo cristiano l’espressione più dolorosa di quell’ineffabile legame d’amore sbocciato nel cuore della Madre il giorno dell’annunciazione e maturato nell’attesa della nascita del divin Figlio.
Quell’amore si è rivelato nella grotta di Betlemme, è stato sottoposto alla prova già durante la presentazione al tempio, si è approfondito insieme con gli eventi conservati e meditati nel suo cuore (cfr. Lc 2, 51). Adesso quest’intimo legame d’amore deve trasformarsi in un’unione che supera i confini della vita e della morte.
E così sarà lungo tutto l’arco dei secoli: gli uomini si fermano presso la statua della Pietà di Michelangelo; si inginocchiano davanti all’immagine della Mesta Benefattrice (Smetna Dobrodziejka) nella Chiesa dei Francescani a Cracovia; dinanzi alla Madre dei Sette Dolori, Patrona della Slovacchia; venerano l’Addolorata in tanti santuari in ogni parte del mondo. Essi apprendono così il difficile amore che non fugge di fronte alla sofferenza, ma si abbandona fiduciosamente alla tenerezza di Dio, a cui nulla è impossibile (cfr. Lc 1, 37)».
«Il corpo senza vita di Cristo è stato posto nel sepolcro. La pietra sepolcrale non è tuttavia il suggello definitivo della sua opera.
L’ultima parola non appartiene alla falsità, all’odio e alla sopraffazione.
L’ultima parola verrà pronunciata dall’Amore, che è più forte della morte.
“Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12, 24).
Il sepolcro è l’ultima tappa del morire di Cristo nel corso dell’intera vita terrena; è segno del suo supremo sacrificio per noi e per la nostra salvezza.
Ben presto, ormai, questo sepolcro diverrà il primo annuncio di lode e di esaltazione del Figlio di Dio nella gloria del Padre.
“Fu crocifisso, morì e fu sepolto, […] il terzo giorno risuscitò da morte”.
Con la deposizione del corpo senza vita di Gesù nel sepolcro, ai piedi del Golgota, la Chiesa inizia la veglia del Sabato Santo.
Maria conserva nel profondo del cuore e medita la passione del Figlio;
le donne si danno appuntamento per il mattino del giorno dopo il sabato, per ungere con aromi il corpo di Cristo;
i discepoli si raccolgono, nel nascondiglio del Cenacolo, finché non sia passato il sabato.
Questa veglia terminerà con l’incontro presso il sepolcro, il sepolcro vuoto del Salvatore».
Beato Giovanni Paolo II (XX-XXI secolo) – Via Crucis al Colosseo nella Settimana Santa del 2000, XIII e XIV stazione.
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«Gesù è morto, dal suo cuore trafitto dalla lancia del soldato romano sgorga sangue e acqua: misteriosa immagine del tesoro dei sacramenti, del Battesimo e dell’Eucaristia, dai quali, in virtù del cuore trafitto del Signore, la Chiesa sempre rinasce. A lui non spezzarono le gambe come agli altri due crocifissi; si manifesta così come il vero agnello pasquale, al quale non si deve spezzare alcun osso (cfr. Es 12, 46). E ora che ha sopportato tutto, si nota che, malgrado tutto il turbamento del cuore, malgrado il potere dell’odio e della vigliaccheria, Egli non è solo. Vi sono i fedeli. Ai piedi della croce stavano Maria, sua Madre, la sorella di sua Madre, Maria di Cleofa, Maria Maddalena e il discepolo che Egli amava. Arriva anche un uomo ricco, Giuseppe d’Arimatea: il ricco riesce a passare per la cruna dell’ago, perché Dio gli dà la grazia. Seppellisce Gesù nella sua tomba non ancora adoperata, in un orto: dove Gesù è seppellito, il cimitero si trasforma in un giardino, quel giardino dal quale era stato estromesso Adamo quando si allontanò dalla pienezza della vita, dal suo Creatore. Il sepolcro nel giardino rivela che la signoria della morte sta per terminare. Arriva anche un membro del Sinedrio, Nicodemo, al quale Gesù aveva annunciato il mistero della rinascita dall’acqua e dallo Spirito. Anche nel Sinedrio, che aveva deciso la sua morte, c’è qualcuno che crede, che conosce e riconosce Gesù dopo la sua morte. Nell’ora del grande lutto, della grande oscurità e della disperazione, sorge misteriosamente la luce della speranza. Il Dio nascosto rimane sempre come Dio vivo e vicino. Anche nella notte della morte, il Signore morto continua ad essere nostro Signore e Salvatore. La Chiesa di Cristo Gesù, la sua nuova famiglia, comincia a formarsi».
«Nicodemo porta una mistura di mirra e aloe di cento libbre per diffondere un fragrante profumo. Ora, nella donazione del Figlio, come è accaduto nell’unzione di Betania, si palesa chiaramente una esagerazione che ci ricorda l’amore generoso di Dio, la “sovrabbondanza” del suo amore. Dio si offre generosamente a sé stesso. Se la misura di Dio è la sovrabbondanza, anche per noi niente dev’essere troppo per Dio. È ciò che Gesù ci ha insegnato nel Sermone della Montagna (Mt 5, 20).
[…] Con il dissolversi delle ideologie, la nostra fede dovrebbe essere ancora una volta il profumo che ci accompagna nei sentieri della vita. Nel momento della sua sepoltura, comincia a compiersi la parola di Gesù: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12, 24). Gesù è il chicco di grano che muore. Dal chicco di grano sepolto comincia la grande moltiplicazione del pane che durerà fino alla fine dei tempi: Egli è il pane di vita capace di saziare in modo sovrabbondante tutta l’umanità e di darle il sostentamento vitale: il Verbo di Dio per noi è carne, e anche pane, attraverso la croce e la risurrezione. Sul sepolcro di Gesù risplende il mistero dell’Eucaristia».
Joseph Ratzinger – Benedetto XVI (XX-XXI secolo) – Via Crucis al Colosseo nella Settimana Santa del 2005, XIII e XIV stazione.

+ + + La voce dei Padri della Chiesa e degli scrittori antichi + + +
«Dolcissimo, amatissimo Figlio mio! Com’è stato possibile che tu dovessi prendere su di te il tormento della Croce?
Figlio mio e Dio mio! Come hai potuto tollerare gli sputi, i chiodi e la lancia, gli schiaffi, lo scherno e le beffe, la corona di spine e il manto di porpora, la spugna, la canna, il fiele e l’aceto?
Com’è possibile che pendi dalla Croce nudo, tu, Figlio mio, che copri il cielo con le nubi? Hai sete pur essendo il Creatore, che creò il mare e tutte le sorgenti!
Sei l’innocente e muori in mezzo a due malvagi!
Che male hai fatto? Figlio mio! In che cosa hai offeso i giudei?
Perché, dunque, ti hanno inchiodato alla Croce gli uomini ingiusti e ingrati?
Tu hai guarito i loro paralitici e i loro malati; tu hai risuscitato i loro morti!
Dov’è ora la tua forza, Figlio mio dolcissimo e Dio magnanimo?
Ah, io muoio di dolore vedendoti sospeso a un legno, fissato dai chiodi e coperto di ferite!
Dov’è ora la tua bellezza, dove la tua grazia?
Il sole ha nascosto il suo splendore e non vuole illuminare più!
È scomparsa la luce della luna, che si è nascosta nell’oscurità!
Le rocce si sono spezzate, i sepolcri si sono aperti, il velo del Tempio si è squarciato in due parti!
O Simeone, veggente degno di ammirazione, ora sento realmente che la spada da te annunciata mi ha trafitto l’anima!
Vedo le tue orribili sofferenze, Figlio mio e Dio mio!
Vedo la morte immeritata che ti viene inflitta, e non ti posso aiutare!
Lamentatevi con me, discepoli del Signore, voi che vedete il mio cuore e la profondità della sua ferita!».
«Figlio mio amatissimo, io venero la tua afflizione, lodo e adoro la tua misericordia e la tua magnanimità!
La vergogna, che hai preso su di te, Figlio mio, ha portato onore a tutti!
La tua morte è stata la vita per l’Universo!».
Sant’Efrem di Siria (IV secolo) (attribuito a) – Lamento di Maria, in Franz M. William, Vita di Maria .
* * *
«Maria si recò accanto a Gesù e appoggiò il suo capo alla croce. Cominciò a mormorare lamenti, frasi di dolore in lingua ebraica: Chi mi potrà trasformare in aquila, Figlio mio, perché possa volare ai quattro angoli del mondo e riunire e invitare tutte le nazioni al grande festino della tua morte?».
Il tuo sepolcro è simile a una camera nuziale, nella quale Tu, Figlio mio, assomigli allo sposo. I morti sembrano gli invitati alle nozze e sono portati alla presenza degli angeli. Piangete, creature, piangete il vostro Signore innalzato sulla croce. O sole, nascondi i tuoi raggi per celare l’obbrobrio del tuo Signore; discendi, mostrati in mezzo alle tenebre, lì dove si è manifestato il tuo Creatore perché lo vedano i morti dello sheol ed esclamino: Ecco Colui che risusciterà».
O morti! Andate incontro al mio unico Figlio: Egli risusciterà i vostri corpi. Gloria a te, Creatore di ogni essere, che le mute creature hanno glorificato! Gloria a te, Signore del cielo, che hai accettato di essere

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