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La vita di Maria: la nascita di Gesù e la presentazione di Gesù al tempio

Autore: José Antonio Loarte

● Vita di Maria (VII): La nascita di Gesù ●

A metà dell’anno mariano il testo sulla vita della Madonna si sofferma sulla scena della nascita di Gesù.
Cesare Ottaviano Augusto ha disposto il censimento degli abitanti dell’Impero Romano. L’ordinanza riguarda tutti, dal più ricco al più povero. In Palestina dev’essere fatto in base alle usanze giudaiche: ognuno nella sua città d’origine. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta (Lc 2, 4-5).

Così, con questa semplicità, l’evangelista comincia il racconto dell’avvenimento che avrebbe cambiato la storia dell’umanità. Il viaggio era lungo: circa centoventi chilometri. Quattro giorni di cammino – se tutto andava per il verso giusto – in una delle carovane che dalla Galilea si dirigevano verso sud. Maria non era obbligata a partire; il dovere era del capo-famiglia. Ma come lasciarla sola, se era sul punto di partorire? Ma soprattutto, come non accompagnare Giuseppe fino alla città dove – secondo le Scritture – doveva nascere il Messia? In quello strano capriccio del lontano imperatore, Giuseppe e Maria dovettero vedere la mano dell’Altissimo, che li guidava in tutti i loro movimenti.

Betlemme era un piccolo villaggio; però, in occasione del censimento, aveva acquistato un’insolita animazione. Giuseppe si diresse con Maria dal funzionario imperiale, per pagare il tributo e iscriversi con la sua sposa nel libro dei sudditi dell’imperatore. Poi cominciò a cercare un luogo dove passare la notte. La tradizione ce lo presenta mentre bussa inutilmente di porta in porta. Alla fine, si reca in un khan o locanda pubblica, dove si può sempre trovare uno spazio. Non è altro che un cortile chiuso da un muro. Al centro, una cisterna forniva l’acqua; attorno a essa si sistemavano le bestie da soma e, addossati alle pareti, a disposizione dei viaggiatori, c’erano alcune tettoie con una copertura rudimentale. Spesso c’erano anche dei tramezzi che formavano degli scompartimenti, dove ogni gruppo di ospiti poteva godere di una certa indipendenza.

Comunque, non era il luogo adatto dove la Madonna potesse partorire. Immaginiamo quanto soffrisse Giuseppe, che vedeva avvicinarsi il momento del parto, per non aver trovato un posto adeguato. Non c’era posto per loro nell’albergo (Lc 2, 7), scrive laconicamente san Luca. Qualcuno, forse lo stesso padrone del khan, dovette avvertirlo che, nei dintorni, c’erano alcune grotte che venivano utilizzate per riparare il bestiame nelle fredde notti; magari potevano stare più comodi in una di esse, almeno fino a quando la folla fosse ripartita e si liberasse un posto in città.

La Divina Provvidenza si servì di queste circostanze per mostrare la povertà e l’umiltà con cui il Figlio di Dio aveva deciso di venire sulla terra. Un grande esempio per quelli che sarebbero venuti dopo di lui nei secoli, come spiega san Paolo: Conoscete la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà (2 Cor 8, 9). Il Re d’Israele, il Desiderato da tutte le nazioni, il Figlio eterno di Dio, viene al mondo in un luogo riservato agli animali. E sua Madre si vede costretta a offrirgli, come prima culla, una angusta mangiatoia.
Ma l’Onnipotente non vuole che questo singolare avvenimento passi del tutto inosservato. C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge (Lc 2, 8). Essi, gli ultimi della terra, gente transumante con le greggi di cui si prendevano cura per conto di altri, saranno i primi a ricevere l’annunzio di questo grande portento: la nascita del Messia promesso.

D’improvviso un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l’angelo disse loro: “Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo…” (Lc 2, 9-10). Dopo aver comunicato loro la Buona Novella, diede loro un segno per poterlo riconoscere: Troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia (Lc 2, 12). Immediatamente, davanti ai loro occhi stupiti si materializzò una moltitudine di angeli che lodava Dio e diceva: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama (Lc 13- 14).
Si misero in cammino. Forse presero alcuni doni da regalare alla madre e al neonato. Per Maria e Giuseppe questo omaggio fu la prova che Dio vegliava su suo Figlio. Anch’essi furono pieni di gioia davanti al gaudio ingenuo di quella gente e riflettevano nel loro cuore come il Signore si compiace nei poveri e negli umili.

Quando i festeggiamenti finirono, i pastori ritornarono a prendersi cura delle greggi, lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto (Lc 2, 20). Duemila anni dopo, anche noi siamo invitati a proclamare le meraviglie di Dio. Un giorno santo è spuntato per noi: venite tutti ad adorare il Signore; oggi una splendida luce è discesa sulla terra (terza Messa di Natale, acclamazione prima del Vangelo).

Selezione di testi di letteratura religiosa che commentano la nascita di Cristo a Betlemme.

+ + + La voce del Magistero + + +

«Restando salve le qualità dell’una e dell’altra natura, e unendosi entrambe in una sola persona, l’umiltà fu accolta dalla maestà, la debolezza dalla forza, la mortalità dall’eternità e, per pagare il debito della nostra razza, la natura inviolabile si unì alla natura passibile. In tal modo – cosa che conveniva a nostro rimedio –, un solo e lo stesso mediatore di Dio e degli uomini, l’uomo Cristo Gesù (1 Tm 2, 5), per un verso sarebbe potuto morire e per l’altro no. E dunque, nella natura integra e perfetta di vero uomo, nacque Dio vero, intero nel suo, intero nel nostro.

Entra, dunque, nelle debolezze del mondo il Figlio di Dio, scendendo dal suo trono celeste, ma non allontanandosi dalla gloria del Padre, generato da un nuovo ordine, da una nuova nascita. Da un nuovo ordine: perché invisibile nel suo, si fece visibile nel nostro; incomprensibile, volle essere compreso; rimanendo prima del tempo, cominciò a essere nel tempo; Signore dell’universo, oscurata l’immensità della sua maestà, assunse la forma di servo; Dio impassibile, non disdegnò di essere uomo passibile; immortale, di sottomettersi alla legge della morte. E da una nuova nascita generato: perché la verginità inviolata ignorò la concupiscenza e provvide alla materia della carne. Della madre del Signore fu presa la natura, non la colpa; e nel Signore Gesù Cristo, generato dal seno della Vergine, non per essere la nascita meravigliosa, è la natura diversa da noi. Perché Colui che è vero Dio è anche vero uomo, e non c’è in questa unità menzogna alcuna, trovandosi insieme l’umiltà dell’uomo e l’eccellenza della divinità. Infatti, allo stesso modo che Dio non si muta a causa della misericordia, così neppure l’uomo resta annichilito dalla dignità. L’una e l’altra forma, infatti, operano quello che è proprio di ciascuno, in comunione con l’altra; ossia, il Verbo opera per ciò che compete al Verbo, la carne compie ciò che concerne la carne. L’uno risplende per i miracoli, l’altro soggiace agli oltraggi. E così come il Verbo non si separa dall’uguaglianza della gloria paterna, così neppure la carne abbandona la natura della nostra specie».

San Leone Magno (V secolo), lettera 28 dogmatica Lectis dilectionis tuae, a Flaviano, patriarca di Costantinopoli, letta durante il Concilio ecumenico di Calcedonia (anno 451).
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«Seguendo i Santi Padri, all’unanimità noi insegniamo a confessare un solo e medesimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero uomo, [composto] di anima razionale e di corpo, consustanziale al Padre per la divinità, e consustanziale a noi per l’umanità, simile in tutto a noi, fuorché nel peccato [cfr. Eb 4, 15], generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e in questi ultimi tempi per noi e per la nostra salvezza da Maria vergine e madre di Dio, secondo l’umanità,Uno e medesimo Cristo Signore unigenito, da riconoscersi in due nature, senza confusione, immutabili, indivise, inseparabili, non essendo venuta meno la differenza delle nature a causa della loro unione, ma essendo stata, anzi, salvaguardata la proprietà di ciascuna natura, e concorrendo a formare una sola persona e ipostasi; egli non è diviso o separato in due persone, ma è un unico e medesimo figlio, unigenito, Dio, Verbo e Signore Gesù Cristo, come un tempo hanno insegnato i profeti e poi lo stesso Gesù Cristo, e infine come ci ha trasmesso il Simbolo dei Padri».

Concilio Ecumenico di Calcedonia, sessione 5 (22-X-451), Definizione delle due nature di Cristo (Denz 301-302).

+ + + La voce dei Padri della Chiesa + + +
«Un grande sole si è ritirato e si è nascosto in una nuvola splendida. Un’adolescente è arrivata a essere la Madre di Colui che ha creato l’uomo e il mondo. Ella portava un bambino, lo accarezzava, lo abbracciava, lo coccolava con le più belle parole e lo adorava dicendogli: la mia mente è turbata dal timore, concedimi la forza di lodarti. Non so spiegare come puoi tacere, quando so che in te rombano i tuoni. Sei nato da me come uno piccolo, ma sei forte come un gigante; sei l’Ammirabile, come ti chiamò Isaia quando profetizzò su di te (cfr. Is 9, 5).
Ed ecco che Tu sei tutto con me, eppure sei interamente nascosto in tuo Padre. Le sommità del cielo sono piene della tua maestà, e tuttavia il mio seno non è stato troppo piccolo per te. La tua Casa è in me e nei cieli. Ti loderò con i cieli. Le creature celesti mi guardano con ammirazione e mi chiamano Benedetta.

Mi sostenga il cielo con il suo abbraccio, perché io sono stata onorata più di lui. Il cielo, infatti, non è stato tua madre; ma tu ne hai fatto il tuo trono. Quanto la Madre del Re è più venerata del suo trono! Ti benedirò, Signore, perché hai voluto che io fossi tua Madre; ti festeggerò con bei canti.
O gigante che sostieni la terra e hai voluto che essa ti sostenga, sii benedetto. Gloria a te, o Ricco, che ti sei fatto Figlio di una povera».
Sant’Efren di Siria (IV secolo), Inno 18.
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«Che significa che, quando deve nascere il Signore, si deve fare il censimento del mondo, anche se stava per comparire nella carne Colui che doveva compiere il censimento dei suoi eletti per l’eternità? Invece, dei reprobi afferma il profeta: Siano cancellati dal libro dei viventi e tra i giusti non siano iscritti (Sal 68 69/29).

Era conveniente anche che nascesse a Betlemme, perché Betlemme significa “casa del pane”; ed è proprio Lui che dice: Io sono il pane vivo disceso dal cielo (Gv 6, 51). Pertanto, il luogo dove nasce il Signore già in precedenza era stato chiamato ‘casa del pane’, perché, in effetti, doveva accadere che chi avrebbe saziato interiormente le anime comparisse lì nella sostanza della carne.
E non nasce nella casa dei suoi genitori, ma per la strada, per dimostrare che in realtà nasceva come in prestito nella sua umanità che aveva assunto. In prestito, dico, o in ciò che gli era estraneo, visto che non mi sto riferendo alla sua potestà, ma alla natura; infatti della sua potestà sta scritto: venne fra la sua gente (Gv 1, 11); e per ciò che si riferisce alla sua natura, nella sua nacque prima dei tempi, nella nostra venne nel tempo. Pertanto, Colui che, rimanendo eterno, si mostrò nel tempo, è estraneo al luogo in cui discese.

Come dal profeta si dice Ogni uomo è come l’erba (Is 40, 6), nel farsi uomo trasformò la nostra erba in grano Colui che dice di se stesso: Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo ( Gv 12, 24). Perciò appena nato viene adagiato nella mangiatoia, per alimentare con il grano della sua carne tutti i fedeli, ossia, i santi esseri viventi, in modo che non rimangano senza il nutrimento della sapienza eterna».
San Gregorio Magno (VI secolo), Omelia 8 sui Vangeli.

+ + + La voce dei Santi e degli Autori Spirituali + + +
«Uscite, dunque, figlie di Sion, dice la Sposa nel Cantico dei Cantici, e guardate il Re Salomone con la corona che gli pose sua Madre nel giorno delle nozze, nel giorno della gioia del suo cuore.
Anime devote e innamorate di Cristo, abbandonate ora tutti gli impegni e le faccende del mondo e, raccolti tutti i vostri pensieri e i vostri sensi, mettetevi a contemplare il vero Salomone, pacificatore del cielo e della terra, non con la corona con cui l’incoronò suo Padre quando lo generò eternamente e gli comunicò la gloria della sua divinità, ma con quella con cui l’incoronò sua Madre quando lo partorì temporalmente e lo rivestì della nostra umanità.

Venite a vedere il Figlio di Dio, non nel seno del Padre, ma fra le braccia della Madre; non tra i cori degli angeli, ma fra dei poveri animali; non assiso alla destra della Maestà nell’alto dei cieli, ma adagiato in una mangiatoia di bestie; non tuonando né lanciando lampi nel cielo, ma piangendo e tremando dal freddo in una stalla.
Venite a celebrare questo giorno dei suoi sponsali, nel quale esce dal talamo verginale unito alla natura umana con un vincolo matrimoniale talmente stretto, che né in vita né in morte si possa sciogliere.
Questo è il giorno della gioia segreta del suo cuore, quando, piangendo esternamente come bambino, si rallegrava interiormente come nostra risorsa e autentico Redentore».
Fra Luis de Granada (XVI secolo), Vita di Gesù Cristo, cap. 4.
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«Contemplo ora Gesù adagiato in una mangiatoia (Lc 2, 12), cioè in un posto adatto solo agli animali. Dove sono, Signore, la tua regalità, il diadema, la spada, lo scettro? Gli appartengono, ma non ne fa uso; regna avvolto in fasce. È un re che appare a noi inerme, indifeso; un piccolo bambino. Come non ricordare le parole dell’Apostolo: Spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo (Fil 2, 7)?
Il Signore nostro si è incarnato per manifestarci la volontà del Padre, e ci ammaestra fin dalla culla. Gesù ci cerca – con una vocazione che è vocazione alla santità – affinché assieme a Lui portiamo a compimento la Redenzione. Ascoltiamo il suo primo insegnamento: dobbiamo corredimere cercando non il trionfo sul nostro prossimo, ma su noi stessi. A imitazione di Cristo, dobbiamo annullarci e metterci al servizio degli altri, per condurli a Dio.
Dov’è il re? Dove cercarlo se non là dove vuole regnare, cioè nel cuore, nel tuo cuore? Per questo si fa bambino: chi non ama infatti una piccola creatura? Dov’è allora il re, il Cristo che lo Spirito Santo cerca di formare nella nostra anima? Non può essere di certo nella superbia che ci separa da Dio, non nella mancanza di carità che ci isola. Lì Cristo non c’è; lì l’uomo resta solo.
Ai piedi di Gesù Bambino, […] davanti a un Re che non porta segni esterni di regalità, noi diciamo: Signore, strappa la superbia dalla mia vita, distruggi il mio amor proprio, la mia smania di affermazione, di impormi sugli altri. Fa’ che l’identificazione con te sia il fondamento della mia personalità».
San Josemaría Escrivá (XX secolo), È Gesù che passa, n. 31.

● Vita di María (VIII): La Presentazione di Gesù al Tempio ●

Maria e Giuseppe presentarono il bambino al Tempio, introducendolo così nel Popolo di Israele. Questa è la scena che si contempla nell’ottavo testo di questa Vita della Vergine.

A Betlemme la folla di pellegrini si era diradata. Dopo la nascita di Gesù, Giuseppe trovò un posto più decente per alloggiare la Sacra Famiglia. Lì, otto giorni dopo, compì il rito della circoncisione, con il quale i maschi cominciavano a far parte del popolo di Israele, e il bambino ricevette ufficialmente il nome di Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima di essere concepito nel grembo della madre (Lc 2, 21). Quaranta giorni dopo Maria e Giuseppe presero il bambino e lo condussero a Gerusalemme, quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè […], per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore […] e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore (Lc 2, 22-24).

Né Gesù né Maria erano obbligati a seguire queste prescrizioni. Nessuna impurità legale aveva contratto Maria, perché aveva concepito e dato alla luce in modo verginale; neppure la legge di riscatto del primogenito riguardava Gesù, autentico Agnello di Dio che veniva a togliere i peccati del mondo. Eppure, per tre volte, in pochi versetti, si sottolinea che tutto era stato fatto in stretta osservanza della Legge di Dio.

La Chiesa scorge in questo episodio una ragione più profonda. In primo luogo, l’adempimento della profezia di Malachia: Entrerà nel suo tempio il Signore, che voi cercate; l’Angelo dell’Alleanza, che voi sospirate (Ml 3, 1). Inoltre, Maria capì che Gesù doveva essere condotto al Tempio, non certo per riscattarlo come gli altri primogeniti, ma per essere offerto a Dio in autentico sacrificio. Così si esprime la Lettera agli Ebrei: Entrando nel mondo Cristo dice: “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà” (Eb 10, 5-7). La Presentazione di Gesù al Tempio si potrebbe paragonare, in qualche modo, all’Offertorio del Sacrificio del Calvario, che la Messa avrebbe fatto presente in tutti i momenti e in tutti i luoghi. Nella preparazione di questo sacrificio e, dopo, durante la sua realizzazione in vetta al Golgota, un posto speciale era riservato alla Madre di Gesù. Sin dai primi momenti della sua vita terrena, Gesù associa Maria al sacrificio di redenzione che era venuto a compiere.

Questa partecipazione al mistero della Redenzione fu rivelata alla Vergine poco alla volta. L’angelo dell’Annunciazione non le aveva detto nulla a questo proposito, ma ora le sarà comunicato dalle parole di Simeone, un anziano giusto, timoroso di Dio, al quale lo Spirito Santo […] aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore (Lc 2, 26).

L’incontro tra la Madonna e l’anziano dovette accadere davanti la porta di Nicanore, attraverso la quale si accedeva nell’atrio degli israeliti. In quel luogo si metteva uno dei sacerdoti incaricati di assistere le donne che offrivano il sacrificio per sé o per i loro figli. Maria, accompagnata da Giuseppe, si mise nella fila. Mentre aspettava il suo turno, avvenne un episodio che riempì di stupore gli astanti. Un venerabile anziano si avvicinò alla fila; il suo viso splendeva di gioia. Mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, lo prese tra le braccia e benedisse Dio: “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele” (Lc 2, 27-32).

Nell’udire queste parole, un sentimento di stupore s’impadronì di Maria e di Giuseppe: l’anziano Simeone confermava quello che l’angelo aveva comunicato loro da parte di Dio; ma, subito dopo, quell’annuncio spense ogni gioia: il Messia avrebbe compiuto la sua missione mediante la sofferenza; e la Madre si trovava misteriosamente associata al dolore del Figlio. Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua Madre: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima” (Lc 2, 34-35). Anche Anna, un’anziana di oltre ottant’anni, si associò all’annunzio di Simeone, perché sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme (Lc 2, 38).

Dal Vangelo di San Luca si deduce che la Madonna presentò Gesù soltanto dopo avere ascoltato la profezia. Offrì per il suo riscatto un paio di tortore o due colombe, l’offerta dei poveri, invece dell’agnello prescritto dalla Legge di Mosè. Tuttavia, alla luce delle parole di Simeone, comprese – al di là di ogni apparenza – che Gesù era il vero Agnello venuto a redimere gli uomini dai loro peccati. E che Lei, come Madre, in un modo che non riusciva a comprendere, sarebbe rimasta strettamente unita alla sorte del Figlio.

Testi che riferiscono, con differenti stili, lo stesso avvenimento: la Presentazione di Gesù al Tempio.

+ + + La voce del Magistero + + +

«Maria è la Vergine offerente. Nell’episodio della Presentazione di Gesù al Tempio (cfr. Lc 2, 22-35), la Chiesa, guidata dallo Spirito, ha scorto, al di là dell’adempimento delle leggi riguardanti l’oblazione del primogenito (cfr. Es 13, 11-16) e la purificazione della madre (cfr. Lv 12, 6-8), un mistero salvifico, relativo appunto al mistero della salvezza: ha rilevato, cioè, la continuità dell’offerta fondamentale che il Verbo incarnato fece al Padre, entrando nel mondo (cfr. Eb 10, 5-7); ha visto proclamata l’universalità della salvezza poiché Simeone, salutando nel bambino la luce per illuminare le genti e la gloria di Israele (cfr. Lc 2, 32), riconosceva in Lui il Messia, il Salvatore di tutti; ha inteso il riferimento profetico alla passione di Cristo: ché le parole di Simeone, le quali congiungevano in un unico vaticinio il Figlio “segno di contraddizione” ( Lc 2, 34) e la Madre, a cui la spada avrebbe trafitto l’anima (cfr. Lc 2, 35), si avverarono sul Calvario.

Mistero di salvezza, dunque, che nei suoi vari aspetti orienta l’episodio della presentazione al Tempio verso l’evento salvifico della Croce. Ma la Chiesa stessa, soprattutto a partire dai secoli del Medioevo, ha intuito nel cuore della Vergine, che porta il Figlio a Gerusalemme per presentarlo al Signore (cfr. Lc 2, 22), una volontà oblativa, che superava il senso ordinario del rito. Di tale intuizione abbiamo testimonianza nell’affettuosa apostrofe di San Bernardo: “Offri il tuo Figlio, Vergine santa, e presenta al Signore il frutto benedetto del tuo seno. Offri per la riconciliazione di noi tutti la vittima santa, a Dio gradita” (San Bernardo, Sermone nella festa della Purificazione della Beata Maria, III, 2: PL 183, 370)».
Paolo VI (XX secolo) – Esort. apost. Marialis cultus, 2-II-1974, n. 20

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«La prima persona che si associa a Cristo sulla via dell’obbedienza, della fede provata e del dolore condiviso è sua madre Maria. Il testo evangelico ce la mostra nell’atto di offrire il Figlio: un’offerta incondizionata che la coinvolge in prima persona: Maria è Madre di Colui che è “gloria del suo popolo Israele” e “luce per illuminare le genti”, ma anche “segno di contraddizione” (cfr. Lc 2, 32.34). E lei stessa, nella sua anima immacolata, dovrà essere trafitta dalla spada del dolore, mostrando così che il suo ruolo nella storia della salvezza non si esaurisce nel mistero dell’Incarnazione, ma si completa nell’amorosa e dolorosa partecipazione alla morte e alla risurrezione del Figlio suo. Portando il Figlio a Gerusalemme, la Vergine Madre lo offre a Dio come vero Agnello che toglie i peccati del mondo; lo porge a Simeone e ad Anna quale annuncio di redenzione; lo presenta a tutti come luce per un cammino sicuro sulla via della verità e dell’amore.

Le parole che in quest’incontro affiorano sulle labbra del vecchio Simeone – i miei occhi hanno visto la tua salvezza (Lc 2, 30) – trovano eco nell’animo della profetessa Anna. Queste persone giuste e pie, avvolte dalla luce di Cristo, possono contemplare nel Bambino Gesù “il conforto d’Israele” (Lc 2, 25). La loro attesa si trasforma così in luce che rischiara la storia.
Simone è portatore di un’antica speranza e lo Spirito del Signore parla al suo cuore: per questo può contemplare Colui che molti profeti e re avevano desiderato vedere, Cristo, luce che illumina le genti. In quel Bambino riconosce il Salvatore, ma intuisce nello Spirito che intorno a Lui si giocheranno i destini dell’umanità, e che dovrà soffrire molto da parte di quanti lo rifiuteranno; ne proclama l’identità e la missione di Messia con le parole che formano uno degli inni della Chiesa nascente, dal quale si sprigiona tutta l’esultanza comunitaria ed escatologica dell’attesa salvifica realizzata. L’entusiasmo è così grande che vivere e morire sono la stessa cosa, e la “luce” e la “gloria” diventano una rivelazione universale».
Benedetto XVI (XXI secolo) – Omelia nella festa della Presentazione del Signore, 2-II-2006

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«Le parole del vecchio Simeone, annunziando a Maria la sua partecipazione alla missione salvifica del Messia, pongono in luce il ruolo della donna nel mistero della redenzione. Maria, infatti, non è solo una persona individuale, ma è anche la “figlia di Sion”, la donna nuova posta accanto al Redentore per condividerne la passione e generare nello Spirito i figli di Dio. Tale realtà è espressa dalla rappresentazione popolare delle “sette spade” che trapassano il cuore di Maria: la raffigurazione evidenzia il profondo legame tra la madre, che s’identifica con la figlia di Sion e con la Chiesa, e il destino di dolore del Verbo incarnato.
Restituendo il Figlio, appena ricevuto da Dio, per consacrarlo alla sua missione di salvezza, Maria consegna anche sé stessa a tale missione. Si tratta di un gesto di interiore condivisione che non è solo frutto del naturale affetto materno, ma esprime soprattutto il consenso della donna nuova all’opera redentrice di Cristo.

Nel suo intervento Simeone indica la finalità del sacrificio di Gesù e della sofferenza di Maria: questi avverranno “perché siano svelati i pensieri di molti cuori” (Lc 2, 35). Gesù, “segno di contraddizione” (Lc 2, 34), che coinvolge la madre nella sua sofferenza, condurrà gli uomini a prendere posizione nei suoi confronti, invitandoli ad una decisione fondamentale. Egli, infatti, “è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele” (Lc 2, 34).

Maria è dunque unita al suo divin Figlio nella “contraddizione”, in vista dell’opera della salvezza. Esiste sicuramente il rischio di rovina per chi rifiuta il Cristo, ma effetto meraviglioso della redenzione è la risurrezione di molti. Questo solo annunzio accende una grande speranza nei cuori ai quali già testimonia il frutto del sacrificio.

Ponendo sotto lo sguardo della Vergine queste prospettive della salvezza prima dell’offerta rituale, Simeone sembra suggerire a Maria di compiere quel gesto per contribuire al riscatto dell’umanità. Di fatto egli non parla con Giuseppe né di Giuseppe: il suo discorso è rivolto a Maria, che egli associa al destino del Figlio […]. La conclusione dell’episodio della presentazione di Gesù al tempio sembra confermare il significato e il valore della presenza femminile nell’economia della salvezza. L’incontro con una donna, Anna, conclude questi momenti singolari, in cui l’Antico Testamento quasi si consegna al Nuovo.
Giovanni Paolo II (XX secolo) – Discorso durante l’udienza generale, 8-I-1997

+ + + La voce dei Padri della Chiesa + + +

«Nello stesso modo con cui la Madre di Dio e Vergine intatta sostenne fra le sue braccia la Luce vera e la consegnò a quelli che giacevano fra le tenebre, ugualmente noi, illuminati dalla sua luce, e sostenendo fra le nostre mani la luce che illumina tutti, affrettiamoci ad andare incontro a Colui che è la vera Luce.
Infatti, veramente la luce è venuta nel mondo (Gv 3, 19) e ha illuminato questo mondo avvolto nelle tenebre; ed è venuto a visitarci dall’alto un sole che sorge per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre (cfr. Lc 1, 78-79). Questo è il nostro mistero. Per questo camminiamo sostenendo i ceri, per significare la Luce che ci ha illuminato e lo splendore futuro che speriamo di ricevere da Lui. Corriamo tutti insieme all’incontro con Dio.

È venuta la luce vera, quella che illumina ogni uomo (Gv 1, 9); pertanto, fratelli, lasciamoci illuminare. Tutti noi dobbiamo essere partecipi del suo splendore; nessuno, coprendo il suo splendore, rimanga nella notte, ma tutti, splendenti e illuminati, andiamogli incontro per ricevere, insieme con il vecchio Simeone, la Luce chiara e sempiterna. Allora, partecipando alla gioia del vecchio, intoniamo tutti quanti un cantico di ringraziamento al Padre della luce, che ci ha inviato la Luce vera, ha eliminato le tenebre e ci ha resi tutti risplendenti.

Anche noi abbiamo visto, attraverso di Lui, la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli (Lc 2, 30-31), da te manifestata a gloria del nuovo Israele, e siamo stati immediatamente liberati dall’antico peccato, così come Simeone, avendo visto Cristo, fu liberato dai legami della vita presente.
Anche noi abbiamo abbracciato con la fede Cristo che viene a noi da Betlemme; noi, che prima eravamo i gentili, siamo stati costituiti Popolo di Dio; abbiamo visto con i nostri occhi il Dio fatto carne e, accettata fra le braccia del nostro spirito la presenza visibile di Dio, siamo il nuovo Israele».
San Sofronio di Gerusalemme (VII secolo) Discorso III sulla Presentazione del Signore

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«Simone non era andato al tempio per caso, ma fu mosso dallo Spirito Santo: tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio (Rm 8, 14). Lo Spirito Santo lo portò al tempio. Anche tu, se vuoi abbracciare Gesù e tenerlo fra le tue mani, se desideri diventare degno di essere liberato dalla prigione, metti tutto il tuo impegno nel farti dirigere dallo Spirito e nel venire nel tempio di Dio. Ora ti trovi nel tempio del Signore Gesù, ossia, nella sua Chiesa; questo è il tempio costruito con pietre vive (1 Pt 2, 5). Ma tu puoi stare nel tempio del Signore se la tua vita e i tuoi costumi sono degni del nome che designa la Chiesa. Se vieni nel tempio mosso dallo Spirito, troverai Gesù Bambino, lo accoglierai fra le tue braccia e dirai: Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola (Lc 2, 29)».
Origene (III secolo) – Trattato sul Vangelo di San Luca 15, 1-5

+ + + La voce dei Santi + + +

«Due precetti imponeva la Legge antica, riguardo alla nascita dei figli primogeniti: l’uno obbligava la madre, per il fatto di essere diventata immonda, a rimanere ritirata in casa per quaranta giorni, trascorsi i quali doveva andare a purificarsi al tempio; l’altro imponeva ai genitori l’obbligo di portare il primogenito al tempio per offrirlo al Signore. La Vergine Santissima volle in quel giorno adempiere entrambi i precetti.
È vero che Maria non era obbligata alla legge della purificazione, essendo rimasta sempre una vergine purissima; però amava con un amore così profondo l’umiltà e l’obbedienza che, come le altre madri, volle presentarsi nel tempio per purificarsi. Adempì anche il secondo precetto della legge presentando suo Figlio e offrendolo all’eterno Padre, come dice San Luca: Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore (Lc 2, 22). Però la Vergine Maria lo offrì in un modo molto diverso da ciò che erano solite fare le altre madri nell’offrire i loro figli.
Le altre madri offrivano i loro figli, ma sapevano molto bene che questa oblazione non era che una semplice cerimonia legale; infatti, dopo averli riscattati, riacquistavano su di essi il diritto che avevano, senza il timore di doverli offrire, in un secondo tempo, alla morte. Maria, invece, offrì realmente suo Figlio alla morte e sapeva benissimo che il sacrificio che allora faceva della vita di Gesù Cristo si sarebbe consumato un giorno sull’altare della Croce; in tal modo, offrendo la vita di suo Figlio con l’immenso amore che pure aveva per Lui, Maria fece a Dio un perfetto olocausto di sé stessa».
Sant’Alfonso Maria de’ Liguori (XVIII secolo) – Le glorie di Maria

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