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La Vita di Maria: ritorno a Nazaret e Gesù tra i dottori

Parte VI: capitoli XI e XII

Autore: José Antonio Loarte

● Vita di Maria (XI): Ritorno a Nazaret ●

I primi anni della Sacra Famiglia a Nazaret, al ritorno dall’Egitto, quando Gesù cresceva e si fortificava come uomo, grazie alle attenzioni di Maria e di Giuseppe.
Non si sa con certezza per quanto tempo la Sacra Famiglia sia stata costretta a fermarsi in Egitto. La maggior parte degli studiosi pensa che sia rimasta lontana da Israele per uno o due anni. San Matteo, l’evangelista che ci racconta questa vicenda, è molto laconico, come in altre occasioni. Morto Erode – scrive – un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, e va’ nel paese d’Israele; perché sono morti coloro che volevano la vita del bambino” (Mt 2, 19-20).
La risposta del Patriarca fu immediata, come in altre occasioni: Egli, alzatosi, prese con sé il bambino e sua madre, ed entrò nel paese d’Israele (Mt 2, 21). Non un dubbio, né una titubanza. Soltanto il tempo necessario per mettere insieme gli attrezzi del suo lavoro, i pochi beni di cui disponeva. Avrà salutato le persone in compagnia delle quali era vissuto in quei mesi e avrà fatto le pratiche indispensabili per prendere la via del ritorno.
Le tradizioni copte indicano che la Sacra Famiglia fece il viaggio di ritorno via mare e non per la via dei deserti. L’ipotesi è probabile. Una volta cessato ogni pericolo, questo era il percorso più economico e con meno privazioni di quello seguito dalle carovane terrestri. Probabilmente partirono su una delle numerose imbarcazioni che solcavano il Nilo da Menfi (l’attuale Il Cairo) fino ad Alessandria, dove avranno preso una delle piccole navi che, in quattro o cinque giorni, costeggiando il Mediterraneo, attraccavano ad Ascalona, Giaffa o Jamnia.
Una volta sbarcato, Giuseppe si informò sul nuovo re della Giudea. Era Archelao, figlio di Erode, crudele quasi quanto il padre, perché aveva appena decapitato alcune migliaia di sudditi all’interno del Tempio. In un primo momento, lo sposo di Maria aveva pensato di stabilirsi a Betlemme, luogo di nascita del Messia; ma siccome l’angelo non aveva indicato nulla di preciso, ma soltanto di ritornare nel paese d’Israele, esaminò la possibilità di andare in un luogo che non fosse soggetto alla giurisdizione del re. Il Signore lo confermò nei suoi propositi per mezzo di un angelo: Avendo però saputo che era re della Giudea Archelao […], ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nelle regioni della Galilea (Mt 2, 22). Se la profezia di Michea aveva annunciato la nascita di Gesù a Betlemme, altri oracoli – come fa notare san Matteo – indicavano Nazaret come il luogo dove il Messia doveva crescere e arrivare all’età adulta. E […] andò ad abitare in una città chiamata Nazaret, perché si adempisse ciò che era stato detto dai profeti: “Sarà chiamato nazareno” (Mt 2, 23).
Il viaggio di ritorno fu tranquillo, calmo, con tappe brevi. Possiamo immaginare l’emozione della Madonna e del suo Sposo quando, mentre attraversavano la pianura di Esdrelon, ormai in Galilea, andavano riscoprendo i paesaggi familiari nei quali avevano trascorso gli anni della fanciullezza e l’adolescenza. A Nazaret avranno incontrato parenti e amici, meravigliati di vederli ritornare dopo tanti mesi senza loro notizie. Non saranno mancate le domande imbarazzanti, motivate dall’affetto e da una sana curiosità, alle quali avranno risposto con discrezione per non rivelare quelle verità su Gesù, che soltanto essi custodivano nel cuore.
Si stabilirono in una piccola casa, una povera costruzione addossata a una delle caverne tanto frequenti a Nazaret. Forse la trovarono in cattivo stato, dopo tanto tempo in cui era rimasta disabitata; ma non si lamentarono e immediatamente si misero all’opera. Giuseppe la sistemò nel modo migliore possibile, Maria la ripulì accuratamente, magari aiutata da Maria di Cleofa, sua cugina, madre di Giacomo e di Giuseppe, da Simone e Giuda, e da altre persone della parentela.
La vita e l’attività della Sacra Famiglia riprese il normale ritmo quotidiano, senza nessun avvenimento speciale che meriti di essere riferito. San Luca, che da questo momento riprende la narrazione, riferisce concisamente che il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di Lui (Lc 2, 40). La Vergine Santissima, come tutte le madri, seguiva con occhi amorevoli la crescita umana di suo Figlio e Signore, piena di meraviglia per la naturalezza del modo di operare di Dio. Giuseppe lavorava con impegno, grato di servire con il proprio lavoro il mistero della Redenzione. Era una famiglia nella quale l’amore per Dio e per gli altri si identificava con le attenzioni che dispensavano a Gesù, Verbo eterno del Padre, che imparava a parlare con parole umane e ad amare con un cuore di uomo.

Il ritorno dall’Egitto a Nazaret è stato contemplato da molti artisti e santi. Ecco una scelta di testi su questa scena evangelica.

+ + + La voce del Magistero + + +
«Dopo la morte di Erode, quando la Sacra Famiglia fa ritorno a Nazaret, inizia il lungo periodo della vita nascosta. Colei che “ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore” (Lc 1, 45) vive ogni giorno il contenuto di queste parole. Quotidianamente accanto a Lei è il Figlio, a cui ha dato nome Gesù; dunque, certamente nel contatto con Lui Ella usa questo nome, che del resto non poteva destare meraviglia in nessuno, essendo in uso da molto tempo in Israele. Tuttavia, Maria sa che colui che porta il nome Gesù è stato chiamato dall’angelo “Figlio dell’Altissimo” (cfr. Lc 1, 32). Maria sa di averlo concepito e dato alla luce “non conoscendo uomo”, per opera dello Spirito Santo, con la potenza dell’Altissimo che ha steso la sua ombra su di Lei (cfr. Lc 1, 35), così come ai tempi di Mosè e dei padri la nube velava la presenza di Dio (cfr. Es 24, 16; 40, 34-35; 1 Re 8, 10-12). Dunque, Maria sa che il Figlio, da lei dato alla luce verginalmente, è proprio quel “Santo”, il “Figlio di Dio”, di cui le ha parlato l’angelo.
Durante gli anni della vita nascosta di Gesù nella casa di Nazareth, anche la vita di Maria è “nascosta con Cristo in Dio” (cfr. Col 3, 3) mediante la fede. La fede, infatti, è un contatto col mistero di Dio. Maria costantemente, quotidianamente è in contatto con l’ineffabile mistero di Dio che si è fatto uomo, mistero che supera tutto ciò che è stato rivelato nell’Antica Alleanza. Sin dal momento dell’Annunciazione, la mente della Vergine-Madre è stata introdotta nella radicale “novità” dell’autorivelazione di Dio e resa consapevole del mistero. Ella è la prima di quei “piccoli”, dei quali Gesù dirà un giorno: “Padre,… hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11, 25). Infatti, “nessuno conosce il Figlio se non il Padre” (Mt 11, 27).
Come può dunque “conoscere il Figlio” Maria? Certamente, non lo conosce come il Padre; eppure, è la prima tra coloro ai quali il Padre “l’ha voluto rivelare” (cfr. Mt 11, 26-27; 1 Cor 2,11). Se però sin dal momento dell’Annunciazione le è stato rivelato il Figlio, che solo il Padre conosce completamente, come Colui che lo genera nell’eterno “oggi” (cfr. Sal 2, 7), Maria, la Madre, è in contatto con la verità del suo Figlio solo nella fede e mediante la fede! È dunque beata, perché “ha creduto”, e crede ogni giorno fra tutte le prove e contrarietà del periodo dell’infanzia di Gesù e poi durante gli anni della vita nascosta a Nazaret, dove Egli “stava loro sottomesso” (Lc 2, 51): sottomesso a Maria e anche a Giuseppe, perché questi faceva le veci del padre davanti agli uomini; onde lo stesso Figlio di Maria era ritenuto dalla gente “il figlio del carpentiere” (Mt 13, 55).
La Madre di quel Figlio, dunque, memore di quanto le è stato detto nell’Annunciazione e negli avvenimenti successivi, porta in sé la radicale “novità” della fede: l’inizio della Nuova Alleanza. È questo l’inizio del Vangelo, ossia della buona, lieta novella. Non è difficile, però, notare in questo inizio una particolare fatica del cuore, unita a una sorta di “notte della fede” – per usare le parole di San Giovanni della Croce -, quasi un “velo” attraverso il quale bisogna accostarsi all’Invisibile e vivere nell’intimità col mistero (cfr. Salita del Monte Carmelo, II, cap. 3, 4-6). È infatti in questo modo che Maria, per molti anni, rimase nell’intimità col mistero del suo Figlio, e avanzava nel suo itinerario di fede, man mano che Gesù “cresceva in sapienza… e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2, 52). Sempre di più si manifestava agli occhi degli uomini la predilezione che Dio aveva per Lui. La prima tra queste creature umane ammesse alla scoperta di Cristo era Maria, che con Giuseppe viveva nella stessa casa a Nazaret».
Giovanni Paolo II (XX secolo), Lettera enciclica Redemptoris Mater, 25-III-1987, n. 17.
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«Nazaret è la scuola dove si comincia a capire la vita di Gesù, è la scuola dove ha inizio la conoscenza del suo Vangelo. Qui impariamo a osservare, ad ascoltare, a meditare, a penetrare il profondo e misterioso significato di questa semplice, umile e incantevole manifestazione del Figlio di Dio tra gli uomini. Qui si impara anche, forse in una maniera quasi insensibile, a imitare questa vita.
Qui ci viene rivelato il metodo che ci permetterà di scoprire chi è Cristo. Qui comprendiamo l’importanza che ha l’ambiente in cui visse la sua vita durante la sua permanenza fra noi, e quanto sia necessaria la conoscenza dei luoghi, dei tempi, delle consuetudini, del linguaggio, delle pratiche religiose, in una parola, di tutto quello di cui Gesù si servì per rivelarsi al mondo. Qui tutto parla, tutto ha un senso.
Qui, in questa scuola, comprendiamo la necessità di una disciplina spirituale se vogliamo seguire gli insegnamenti del Vangelo ed essere discepoli di Cristo. Come vorremmo essere di nuovo bambini e ritornare in questa umile ma sublime scuola di Nazareth! Come vorremmo ricominciare, accanto a Maria, la nostra iniziazione all’autentica scienza della vita e alla più alta sapienza della verità divina! […].
La sua prima lezione è il silenzio. Come vorremmo che si rinnovasse e si fortificasse in noi l’amore per il silenzio, questo mirabile e indispensabile abito dello spirito, tanto necessario per noi, storditi da tanto rumore, da tanto frastuono, da tante voci della nostra rumorosa ed estremamente agitata vita moderna. Silenzio di Nazareth, insegnaci il raccoglimento e la interiorità, insegnaci a essere sempre disposti ad ascoltare le buone ispirazioni e la dottrina dei veri maestri. Insegnaci la necessità e il valore di una conveniente formazione di studio, della meditazione, di una vita interiore intensa, dell’orazione personale che soltanto Dio vede.
Ci viene offerta inoltre una lezione di vita familiare. Ci insegni, Nazaret, il significato della famiglia, la sua comunione d’amore, la sua semplice e austera bellezza, il suo carattere sacro e inviolabile, la sua dolce e insostituibile pedagogia, la sua fondamentale e incomparabile funzione sul piano sociale.
Infine, qui apprendiamo anche la lezione del lavoro. Nazaret, la casa del figlio del carpentiere: come vorremmo capire meglio in questo luogo l’austera ma redentiva legge del lavoro umano ed esaltarla debitamente; ristabilire la coscienza della sua dignità, in modo che fosse a tutti evidente; ricordare qui, sotto questo tetto, che il lavoro non può essere fine a sé stesso, e che la sua dignità e la libertà di esercitarlo non provengono soltanto da motivi economici, ma anche da quegli altri valori che lo incanalano verso un fine più nobile».
Paolo VI (XX secolo), Allocuzione a Nazaret, 5-I-1964.

+ + + La voce dei Padri della Chiesa + + +
«Conviene meditare il versetto che segue: “Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di Lui” (Lc 2, 40). Crescere in sapienza e grazia non fa parte della natura divina: sin dal principio Egli era pieno e non gli mancava nulla. Però neppure si può pensare che, in base alla natura umana, [Gesù] si sia fortificato di più o sia stato più pieno di quello Spirito Santo che abitava in Lui, perché sin dal primo momento ha avuto il più alto grado di inabitazione della grazia. Infatti, mediante l’unione delle due nature, direttamente “in Cristo abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2, 9), come afferma il santo Apostolo Paolo.
Così, dunque, il citato versetto di Luca sta a indicare che sin dal primo momento dell’inabitazione dell’umanità nella divinità, la pienezza di grazia e di sapienza si manifestava e risplendeva sempre di più in armonia con lo sviluppo e la crescita fisica; non riceveva una grazia nuova o una sapienza sovrabbondante, ma la pienezza di grazia e di sapienza si mostrava mediante le sue azioni gloriose […]. Tuttavia, non era conveniente che la sua sapienza si manifestasse senza tener conto dell’età. Siccome, seguendo l’ordine della natura, occorre aspettare i dodici anni per raggiungere la pienezza della ragione, Egli considerò cosa buona raggiungerla al compimento dei dodici anni».
San Massimo il Confessore (VII secolo), Vita di Maria, n. 60.
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«Il Bambino Gesù, che oggi è nato per noi, cresce in sapienza, età e grazia in quelli che lo accolgono, ma in misura diversa. Non è identico in tutti, ma si adatta alla disponibilità e alla capacità di ciascuno e, in base a come è accolto, si mostra come bambino, come adolescente o come adulto. È come un grappolo nella vite: non appare sempre allo stesso modo, ma cambia col trascorrere delle stagioni: germina, fiorisce, fruttifica e poi diventa vino.
La vite racchiude la promessa già nel frutto non ancora pronto per il vino, ma attende la stagione propizia. Tuttavia, non si può dire che il grappolo è privo di attrattiva. Invece di procurare piacere al gusto, procura piacere all’olfatto; e nell’attesa della vendemmia, fortifica il cuore con la speranza. La fede ferma e sicura della grazia che si aspetta è già un gaudio per chi aspetta con pazienza. Così succede con l’uva di Cipro: promette il vino anche se ancora non lo è; con il suo fiore (il fiore è la speranza) garantisce la grazia futura. Chi aderisce pienamente mediante la propria volontà alla legge del Signore, e medita su di essa giorno e notte, cresce come un albero rigoglioso percorso da venature di acqua viva che produce frutto a tempo debito».
San Gregorio di Nissa (IV secolo), Omelia II sul Cantico dei Cantici (PG 44, 802-804).

+ + + La voce dei Santi + + +
«Narrandoci queste scene, Matteo mette costantemente in risalto la fedeltà di Giuseppe, che ubbidiva ai comandi di Dio senza tentennamenti, anche se a volte il senso di quei comandi gli doveva sembrare oscuro, oppure non riusciva a coglierne il nesso con il resto dei piani divini […].
La fede di Giuseppe non vacilla, la sua obbedienza è sempre precisa e immediata. Per comprendere meglio la lezione del santo Patriarca, è opportuno considerare che la sua fede è attiva e che la sua docilità non ha nulla dell’obbedienza di chi si lascia trascinare dagli eventi. La fede cristiana, infatti, è quanto di più opposto ci sia al conformismo, all’inerzia interiore.
Giuseppe si abbandonò senza riserve all’azione di Dio, ma non rifiutò mai di riflettere sui fatti, e in tal modo ottenne dal Signore quel grado di intelligenza delle opere di Dio che costituisce la vera sapienza. E così apprese a poco a poco che i disegni soprannaturali hanno una coerenza divina, sovente in contraddizione con i piani umani.
Nelle diverse circostanze della sua vita, il Patriarca non rinuncia a pensare, né a far uso della sua responsabilità. Anzi, colloca al servizio della fede tutta la sua esperienza umana. Di ritorno dall’Egitto, avendo saputo che era re della Giudea Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi (Mt 2, 22). Ha imparato a muoversi nell’ambito del piano divino e, a conferma che il suo presentimento corrisponde effettivamente alla volontà di Dio, riceve l’indicazione di riparare in Galilea.
Tale fu la fede di Giuseppe: piena, fiduciosa, integra; una fede che si manifesta con la dedizione efficace alla volontà di Dio, con l’obbedienza intelligente. E, assieme alla fede, ecco la carità, l’amore. La sua fede si fonde con l’amore: l’amore per Dio che compiva le promesse fatte ad Abramo, a Giacobbe, a Mosé; l’affetto coniugale per Maria; l’affetto paterno per Gesù. Fede e amore si fondono nella speranza della grande missione che Dio, servendosi proprio di lui – un falegname della Galilea – cominciava a realizzare nel mondo: la redenzione degli uomini».
San Josemaría (XX secolo), È Gesù che passa, n. 42

● Vita di Maria (XII): Gesù tra i dottori ●

Che pena quella di Maria, quando si rese conto di aver perduto il Bambino! Lo trovò poi a Gerusalemme come si contempla in queste scene della vita della Madonna.
La Legge di Mosè obbligava gli israeliti maschi a presentarsi davanti al Signore tre volte l’anno: a Pasqua, a Pentecoste e nella festa dei Tabernacoli. Questo dovere non riguardava le donne né i bambini che ancora non avevano compiuto 13 anni, età nella quale erano pienamente soggetti alle prescrizioni della Legge. Tuttavia, tra gli israeliti devoti accadeva spesso che anche le donne salissero a Gerusalemme per adorare Dio, a volte in compagnia dei figli.
Al tempo di Gesù era consuetudine che soltanto chi risiedeva a meno di una giornata di viaggio facesse questo pellegrinaggio, in genere comunque limitato alla festa di Pasqua. Siccome Nazaret distava da Gerusalemme parecchi giorni di cammino, neppure Giuseppe era strettamente vincolato dal precetto. Eppure, sia lui che Maria si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua (Lc 2, 41). L’evangelista non dice se in questi casi Gesù li accompagnava, come accadeva spesso nelle famiglie devote; soltanto ora parla esplicitamente di questo viaggio, forse per fissare cronologicamente l’episodio che sta per raccontare, forse perché il Bambino, già entrato nel tredicesimo anno di vita, poteva essere considerato obbligato al precetto. E così, quando Egli ebbe dodici anni, vi salirono (Lc 2, 42).
Gerusalemme era tutto un brulichio di pellegrini e commercianti. Erano arrivate carovane dalle regioni più remote: i deserti d’Arabia, le sponde del Nilo, le montagne della Siria, le colte città della Grecia… La confusione regnava ovunque: asini, cammelli e bagagli riempivano le strade e i dintorni della città. Nel Tempio, poi, i fedeli si accalcavano per offrire i loro sacrifici e fare le loro preghiere.
Con non minore confusione, uomini e donne separatamente, si preparavano a ritornare al paese di provenienza; i bambini, in base all’età, potevano aggregarsi all’uno o all’altro gruppo. Non c’era un’organizzazione rigida: bastava sapere il luogo e l’ora approssimativa della partenza. Non c’è da meravigliarsi che, trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero (Lc 2, 43).
Maria e Giuseppe se ne accorsero soltanto quando, al tramonto del primo giorno di cammino, le carovane della Galilea si fermarono per trascorrere la notte. Che angoscia la loro, quando scoprirono che Gesù non c’era! Nelle ore che restavano della giornata si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti (Lc 2, 44). In tutta fretta, forse quella sera stessa, ritornarono a Gerusalemme per cercarlo. Andarono nel luogo dove avevano mangiato l’agnello pasquale e anche nel Tempio, domandarono agli amici e ai conoscenti che incontravano per la strada. Invano: nessuno aveva visto Gesù. Possiamo immaginare la preoccupazione della Madonna: sarebbe questa la spada di dolore predetta da Simeone, che le avrebbe trapassato il cuore?
Passarono così il secondo giorno, in agitazione e dolore. Ripercorsero parecchie volte i luoghi che avevano frequentato, finché il terzo giorno lo trovarono nel Tempio, sicuramente in una delle sale accanto agli atri, che lo scriba utilizzavano per impartire le loro lezioni. Era una scena frequente nei giorni di festa: il maestro, da uno scranno elevato per essere ben visto e udito, con un rotolo del libro sacro in mano, spiegava un passo della Scrittura ai presenti, che ascoltavano seduti per terra. Ogni tanto lo scriba faceva una domanda all’uditorio, alla quale rispondevano gli alunni più preparati. Così Giuseppe e Maria trovarono Gesù: Seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte (Lc 2, 46- 47).
Anche la Madonna e il suo Sposo, al vederlo restarono stupiti (Lc 2, 48). Però il loro stupore non era dovuto alla sapienza delle risposte, ma al fatto per la prima volta succedeva qualcosa di simile: Gesù, il figlio ubbidientissimo, era rimasto a Gerusalemme senza avvisarli. Non si era perduto; li aveva abbandonati volontariamente.
– Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo. Ed Egli rispose: Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio? Ma essi non compresero le sue parole (Lc 2, 48-50).
Nel ricevere questa risposta, che non compresero, Maria e Giuseppe accettarono i piani di Dio con piena umiltà e docilità. Per tutti noi cristiani è una lezione, che ci invita ad accettare con amore le manifestazioni della Provvidenza divina anche tutte le volte che non le comprendiamo.

La scena dell’incontro tra Gesù e i suoi genitori nel Tempio di Gerusalemme, riportata in testi del Magistero, di Padri della Chiesa, di santi…

+ + + La voce del Magistero + + +
«Attraverso questo episodio, Gesù prepara sua Madre al mistero della Redenzione. Maria, insieme con Giuseppe, vive, nei tre drammatici giorni in cui il Figlio si sottrae loro per rimanere nel Tempio, l’anticipazione del triduo della sua Passione, Morte e Risurrezione.
Lasciando partire sua Madre e Giuseppe per la Galilea, senza accennare loro all’intenzione di rimanere a Gerusalemme, Gesù li introduce nel mistero di quella sofferenza che porta alla gioia, anticipando quanto avrebbe compiuto in seguito con i discepoli mediante l’annunzio della sua Pasqua […].
Densa di significato è la risposta di Gesù in forma interrogativa: Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio? Con tale espressione Egli, in modo inatteso ed imprevisto, schiude a Maria e Giuseppe il mistero della sua Persona, invitandoli a oltrepassare le apparenze ed aprendo loro prospettive nuove sul suo futuro […].
Questo riferimento alla totale dedizione al progetto di Dio è evidenziato nel testo evangelico dall’espressione verbale “è necessario”, che apparirà, poi, nell’annunzio della Passione (cfr. Mc 8, 31). Ai suoi genitori, dunque, è chiesto di lasciarlo andare per compiere la sua missione là dove lo conduce la volontà del Padre celeste.
L’evangelista commenta: ma essi non compresero le sue parole (Lc 2, 50). Maria e Giuseppe non percepiscono il contenuto della sua risposta, né il modo, che sembra avere l’apparenza di un rifiuto, con cui Egli reagisce alla loro preoccupazione di genitori. Con questo atteggiamento Gesù intende rivelare gli aspetti misteriosi della sua intimità con il Padre, aspetti che Maria intuisce, senza saperli però collegare con la prova che stava attraversando.
Le parole di Luca ci permettono di conoscere come Maria viva nel suo essere profondo questo episodio davvero singolare: Ella serbava tutte queste cose nel suo cuore (Lc 2, 51). La Madre di Gesù collega gli eventi al mistero del Figlio, rivelatole nell’Annunciazione, e li approfondisce nel silenzio della contemplazione, offrendo la sua collaborazione nello spirito di un rinnovato “fiat”.
Inizia così il primo anello di una catena di eventi che porterà Maria a superare progressivamente il ruolo naturale, che le deriva dalla maternità, per porsi al servizio della missione del suo divin Figlio».
Giovanni Paolo II (XX secolo) – Discorso all’Udienza generale, 15-I-1997.

+ + + La voce dei Padri della Chiesa + + +
«Compiuti i dodici anni, [Gesù] rimane a Gerusalemme. I suoi genitori, non sapendo dove fosse, lo cercano preoccupati e non lo trovano. Lo cercano fra i parenti, lo cercano fra i compagni di viaggio, lo cercano tra i conoscenti, ma non lo trovano con nessuna di queste persone. Sono i genitori che cercano Gesù, è il padre adottivo, quello stesso che lo aveva accompagnato e protetto in Egitto; eppure, malgrado tante ricerche, non lo trovano subito.
Gesù, infatti, non lo si trova fra i parenti e gli amici secondo la carne, non lo si trova tra quelli che si uniscono a Lui fisicamente. Il mio Gesù non può essere trovato nella folla.
Apprendi dove lo trovano coloro che lo cercano, in modo che anche tu – cercandolo insieme a Giuseppe e Maria – possa trovarlo. Avendolo cercato, dice l’evangelista, lo trovarono nel tempio (Lc 2, 46). Non lo trovarono in un posto qualsiasi, ma nel tempio; e neppure semplicemente nel tempio, ma in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava (i bid.). Cerca anche tu Gesù nel tempio di Dio, cercalo nella Chiesa, cercalo nei maestri che stanno dentro il tempio e non escono da lì. Se lo cerchi così, lo troverai.
D’altra parte, se qualcuno afferma di essere un maestro e non possiede Gesù, è maestro solo di nome; e Gesù, Verbo e Sapienza di Dio, non si fa trovare accanto a lui. Lo trovano mentre è seduto in mezzo ai dottori; e non solo è seduto, ma li interroga e li ascolta. Anche ora Gesù è in mezzo a noi, ci interroga e ci ascolta. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore (Lc 2, 47). Perché? Non certamente per le sue domande, anche se erano straordinarie, ma per le sue risposte. Interrogava i dottori, e quando essi non riuscivano a dare risposta a qualche sua domanda, Egli stesso dava la risposta. Ma le sue risposte non erano basate sull’abilità nel discutere, ma sulla sapienza della Sacra Scrittura. Anche tu, dunque, lasciati istruire dalla Legge divina».
Origene (III secolo) – Omelie sul Vangelo di san Luca 18, 2-4.
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«Non si può ignorare la modestia della Vergine Maria. Aveva dato alla luce Cristo; un angelo le si era avvicinato e le aveva comunicato: Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo (Lc 1, 31-32). Pur avendo meritato di partorire il Figlio dell’Altissimo, era molto umile; neppure si antepose al marito nel modo di parlare. Non dice: “io e tuo padre”, ma: tuo padre e io. Non tenne conto della dignità del suo seno, ma della gerarchia coniugale.
La risposta del Signore Gesù – conveniva che io mi occupassi delle cose del Padre mio (cfr. Lc 2, 49) – non vuol dire che la paternità di Dio escluda quella di Giuseppe. Che prove abbiamo? La stessa Scrittura afferma testualmente: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Ma essi non compresero le sue parole. Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso (Lc 2, 49-51). Non dice: “Stava sottomesso a sua Madre” o “Le stava sottomesso”, ma stava loro sottomesso. A chi? Non lo era ai genitori? L’uno e l’altro erano genitori, e a questi Egli era sottomesso, nello stesso modo in cui si era degnato di essere Figlio dell’uomo. Però essi erano genitori nel tempo, Dio lo era fin dall’eternità. Essi erano genitori del Figlio dell’uomo, il Padre lo era del suo Verbo e della sua Sapienza, era Padre del suo Potere, attraverso il quale fece tutte le cose».
Sant’Agostino (IV-V secolo) – Sermone 51, 18-20.

+ + + La voce dei Santi + + +
«Figuriamoci che angoscia e che pena dovette provare l’afflitta Madre durante i tre giorni in cui cercò da tutte le parti il Figlio adorato. Avete visto l’amato del mio cuore? (Ct 3, 3), avrà esclamato con la Sposa dei Cantici. Però nessuno sapeva darle una risposta. Stanca e affaticata, Maria, che non riusciva a trovare la guida del suo cuore, poteva dire con più tenerezza di Ruben quando non trovava suo fratello Giuseppe: il ragazzo non c’è più, dove andrò io? (Gn 37, 30). Il mio Gesù non appare da nessuna parte; non so che cos’altro devo fare per trovarlo; ma dove andrò senza il mio tesoro? Durante quei tre giorni visse immersa nel pianto, e poteva ben a ragione ripetere le parole di Davide: Le lacrime sono mio pane giorno e notte, mentre mi dicono sempre: dov’è il tuo Dio? (Sal 41 (42), 4).
Era così grande l’afflizione di Maria, che quelle tre notti non poté dormire e pregava con brucianti lacrime l’Eterno Padre perché le restituisse il Figlio. Spesso, come osserva san Bernardo, si rivolgeva al suo amato Gesù, ripetendo le parole della Sposa dei Cantici: Dimmi […] dove vai a pascolare il gregge, dove lo fai riposare al meriggio (Ct 1, 7). Figlio mio, dimmi dove sei, affinché non ti vada cercando invano e alla ventura».
Sant’Alfonso Maria de’ Liguori (XVIII secolo) – Le glorie di Maria
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«Cristo è un bambino. Quale dolore per sua Madre e per san Giuseppe, quando – di ritorno da Gerusalemme – non lo ritrovano tra i parenti e gli amici! E che gioia quando lo scorgono, già da lontano, mentre istruisce i maestri d’Israele! Ma fate attenzione alle parole, apparentemente dure, che escono dalle labbra del Figlio, nel rispondere a sua Madre: Perché mi cercavate? (Lc 2, 49).
Non era ragionevole che lo cercassero? Le anime che sanno che cosa significa perdere Cristo e ritrovarlo, possono capirlo… Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio? ( ibid .). Non sapevate forse che io devo dedicare totalmente il mio tempo al Padre celeste?
Ecco il frutto dell’orazione di oggi: persuaderci che il nostro cammino sulla terra – in ogni occasione e in ogni tempo – è per Iddio, è un tesoro di gloria, un’immagine del Cielo; è, in mano nostra, una cosa preziosa che dobbiamo amministrare, con senso di responsabilità di fronte agli uomini e di fronte a Dio: senza che, per far ciò, sia necessario cambiare di stato, bensì nel bel mezzo della strada, santificando la propria professione o il proprio mestiere; santificando la vita di famiglia, le relazioni sociali, e ogni altra attività in apparenza esclusivamente terrena […].
Rivolgiti con me alla Madre di Cristo: Madre nostra, che hai visto crescere Gesù, che hai visto mettere a frutto il suo passaggio tra gli uomini, insegnami a impiegare i miei giorni al servizio della Chiesa e delle anime; insegnami ad ascoltare nel più intimo del cuore, come un affettuoso rimprovero, Madre buona, ogni volta che ce ne sia bisogno, che il mio tempo non mi appartiene, perché è del Padre nostro che è nei Cieli».
San Josemaría Escrivá (XX secolo) – Amici di Dio, nn. 53-54.

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