L’amore coniugale
L'amore nel fidanzamento e nel matrimonio
Autore: José Manuel Martín Q.
“Dio, che ha creato l’uomo per amore, lo ha anche chiamato all’amore, vocazione fondamentale e innata di ogni essere umano”.
Quando Dio creò l’uomo, creò un essere capace di amare e di essere amato, perché Dio è Amore e lo aveva fatto a sua immagine e somiglianza. Uomo e donna furono creati l’uno per l’altro. Già si nota la volontà del Creatore di fare di queste due persone, diverse per la loro natura sessuata, ma uguali nella dignità, degli esseri complementari. Il matrimonio “è iscritto nella natura stessa dell’uomo e della donna, quali sono usciti dalla mano del Creatore. Il matrimonio non è un’istituzione puramente umana, malgrado i numerosi mutamenti che ha potuto subire nel corso dei secoli, nelle varie culture, strutture sociali e attitudini spirituali. Queste diversità non devono far dimenticare i tratti comuni e permanenti […]. Esiste in tutte le culture un certo senso della grandezza dell’unione matrimoniale”. “Il matrimonio cristiano – affermava san Josemaría – non è una semplice istituzione sociale, né tanto meno un rimedio alle debolezze umane: è un’autentica vocazione soprannaturale”.
Come afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica, “Dio, che ha creato l’uomo per amore, lo ha anche chiamato all’amore, vocazione fondamentale e innata in ogni essere umano. Infatti l’uomo è creato ad immagine e somiglianza di Dio che è Amore. […] [In tal modo,] il loro reciproco amore diventa un’immagine dell’amore assoluto e indefettibile con cui Dio ama l’uomo. È cosa buona, molto buona, agli occhi del Creatore”. L’uomo, quando ama, si realizza pienamente come persona. Ce lo ricorda il Concilio Vaticano II: “L’uomo, il quale in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa, non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé”. Ogni uomo di buona volontà è capace di capirlo. Il dono di sé all’altro è fonte di ricchezza e di responsabilità, assicura san Giovanni Paolo II; e Benedetto XVI aggiunge che è attenzione verso l’altro e per l’altro. Però il peccato originale ruppe la comunione armonica tra l’uomo e la donna.
La reciproca attrazione si trasformò in un rapporto di dominio e di concupiscenza. “Anche se gravemente sconvolto, l’ordine della creazione permane. Per guarire le ferite del peccato, l’uomo e la donna hanno bisogno dell’aiuto della grazia che Dio, nella sua infinita misericordia, non ha loro mai rifiutato. Senza questo aiuto, l’uomo e la donna non possono giungere a realizzare l’unione delle loro vite, in vista della quale Dio li ha creati all’inizio”. Cristo è poi venuto a ristabilire l’ordine iniziale della Creazione. Attraverso la sua Passione e la sua Risurrezione ha fatto in modo che l’uomo e la donna fossero capaci di amarsi come Egli ci ha amato. “Egli stesso dona la forza e la grazia per vivere il matrimonio nella nuova dimensione del Regno di Dio”.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica ribadisce che “l’amore coniugale comporta una totalità in cui entrano tutte le componenti della persona – richiamo del corpo e dell’istinto, forza del sentimento e dell’affettività, aspirazione dello spirito e della volontà –; esso mira a una unità profondamente personale, quella che, al di là dell’unione in una sola carne, conduce a non avere altro che un cuore solo e un’anima sola; esso esige l’indissolubilità e la fedeltà della donazione reciproca definitiva e si apre alla fecondità. In una parola, si tratta di caratteristiche normali di ogni amore coniugale, ma con un significato nuovo che non solo le purifica e le consolida, ma anche le eleva”. Ogni sposo s’impegna davanti a Dio e davanti al coniuge attraverso un atto di amore che è un atto libero della volontà. Ed è Dio che suggella questa alleanza e ci lascia come modello la fedeltà tra Cristo e la Chiesa, che è sua Sposa, sicché “dal sacramento del Matrimonio gli sposi sono abilitati a rappresentare tale fedeltà e a darne testimonianza”. Uno dei frutti e dei fini del matrimonio è l’apertura alla vita, “infatti l’amore coniugale tende per sua natura a essere fecondo.
Il figlio non viene ad aggiungersi dall’esterno al reciproco amore degli sposi; sboccia al cuore stesso del loro mutuo dono, di cui è frutto e compimento”. Il figlio è “il dono più grande del matrimonio”; a accoglierlo vuol dire “partecipare della potenza creatrice e della paternità di Dio”. L’unione intima e generosa degli sposi, voluta da Dio, costruisce e consolida l’amore dei genitori. Favorisce il dono reciproco con il quale si arricchiscono l’un l’altro in un clima di gioiosa gratitudine. Invece, comportarsi in modo contrario alle esigenze morali proprie dell’amore coniugale si oppone al rispetto dovuto al coniuge e alla sua dignità. Nel contesto della fecondità è importante considerare la situazione dei coniugi che non possono avere figli.
Essi contano sulla grazia necessaria per indirizzare in maniera diversa la ricchezza del loro amore coniugale, e questo colmerà gli sposi di felicità e renderà completo il loro amore reciproco. Il sacramento del Matrimonio conferisce agli sposi cristiani una grazia particolare che permette di perfezionare il loro amore, di rafforzare la loro unità indissolubile, “di rialzarsi dopo le loro cadute, di perdonarsi vicendevolmente, di portare gli uni i pesi degli altri […] e di amarsi di un amore soprannaturale, delicato… Nelle gioie del loro amore e della loro vita familiare egli concede loro, fin da quaggiù, una pregustazione del banchetto delle nozze dell’Agnello”. In tal senso, perché duri e raggiunga la pienezza, l’amore coniugale deve essere coltivato.
È esigente, dice san Paolo. Forza e perseveranza sono necessarie per affrontare le prove. Così si pronunciava san Josemaría: “Il matrimonio è un cammino divino, grande e meraviglioso; e come tutto ciò che abbiamo di divino in noi, ha manifestazioni concrete di corrispondenza alla grazia, di generosità, di donazione, di servizio”. Bisogna imparare ad amare. “Amare è… non albergare che un solo pensiero, vivere per la persona amata, non appartenersi, essere felicemente e liberamente sottomesso, anima e cuore, a una volontà estranea… e, al tempo stesso, propria”. Amare ha bisogno di tempo e richiede impegno. Bisogna imparare ad approfondire l’amore del coniuge, cercando di avere una conoscenza della persona amata sempre più fine, più intensa e più fiduciosa. Occorre dilatare il proprio cuore e quello del coniuge, cercare di giustificare i suoi limiti con generosità e soprattutto perdonare ed essere misericordioso: fare tutto il possibile per vivere il dono di sé al servizio dell’altro. Cristo è il nostro modello. “Il Padre mi ama – afferma il Signore – perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso”.
Questa è la vocazione al matrimonio: dare la propria vita per la persona che si ama. Per questo, gli sposi debbono lasciarsi rinnovare da Cristo, che opera e trasforma i loro cuori. La preghiera degli sposi è vitale perché entrambi rimangano in Dio, abbiano una pace soprannaturale nei momenti di difficoltà – che allora sapranno giudicare nella giusta misura – e sappiano offrire le pene e le debolezze, e anche le gioie. “Gli sposi sono chiamati a santificare il loro matrimonio e a santificare se stessi in questa unione. Commetterebbero perciò un grave errore se edificassero la propria condotta spirituale volgendo le spalle alla famiglia o al margine di essa”. L’amore si dimostra nelle “cose piccole”: parole, gesti di affetto, attenzioni. “Il segreto della felicità coniugale è racchiuso nelle cose quotidiane, e non in fantasticherie. Consiste nello scoprire la gioia intima del ritorno al focolare; nell’incontro affettuoso con i figli; nel lavoro di ogni giorno a cui collabora tutta la famiglia; nel buon umore dinanzi alle difficoltà, che vanno affrontate con spirito sportivo; e anche nel saper approfittare di tutti i progressi offertici dalla civiltà per rendere la casa accogliente, la vita più semplice, la formazione più efficace”.
Gli sposi devono essere veraci, pieni di amore, sinceri e semplici; devono esprimersi con intelligenza, con intendimenti positivi e costruttivi, senza dare importanza alle piccole o grandi frizioni che si presentano nella vita di ogni giorno. Non cercheranno di modellare l’altro secondo il proprio desiderio, lo accetteranno così come egli è, con i suoi difetti e le sue qualità, facendo in modo – contemporaneamente – di aiutarlo con pazienza e autentico affetto. Si sforzeranno di essere umili, riconoscendo i propri limiti per non drammatizzare quelli dell’altro. Cercheranno di percepire la ricchezza dell’altro al di là delle sue debolezze. Saranno, anzitutto, misericordiosi, come Cristo fu misericordioso. Il rancore e le facce lunghe angosciano e fanno chiudere in sé.
Le nostalgie e i paragoni distruggono e isolano. Tuttavia, fra coniugi, le crisi sono normali. Sono il segno che qualcosa bisogna cambiare. I coniugi si sforzeranno facendo in modo che la loro relazione non affondi, decidendo che cosa occorre fare o dire perché l’amore risorga, cresca e si rafforzi. Impiegheranno i mezzi per creare un ambiente di sicurezza e di fiducia, perché non c’è niente di peggio che “l’indifferenza” e soprattutto si appoggeranno sull’aiuto di Dio, che non verrà meno, perché possono contare sulla grazia specifica del sacramento del Matrimonio. Inoltre, dovranno dare quel tocco positivo, quella pennellata meravigliosa, irrinunciabile, di dare senza misura, di amare prima di agire, affidandosi al Signore. Considereranno l’altro come la strada che li porterà alla santificazione personale, crescendo nella fede, allo scopo di amare di più e meglio.
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