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L'amore del prossimo

«Va’ e fa’ anche tu lo stesso» - Omelia

Autore: Santo Curato d'Ars

Un dottore della Legge, ci dice san Luca, si presentò a Gesù Cristo, chiedendogli, per metterlo alla prova:
«Maestro, che cosa devo fare, per avere la vita eterna?
Gesù Cristo gli rispose:
«Che cosa dice la vostra Legge, che cosa vi leggi?».
Quello rispose: «Amerai il Signore Dio tuo, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, e con tutte le tue forze, e il prossimo come te stesso».
«Hai risposto molto bene, gli ribattè Gesù Cristo, va’ e fai così, e riceverai la vita eterna».
Poi il dottore gli chiese chi fosse il suo prossimo, e chi avrebbe dovuto amare come se stesso.
E Gesù Cristo gli propose quest’esempio:

«Un uomo andava da Gerusalemme a Gerico; egli cadde nelle mani dei rapinatori, i quali, non contenti di averlo derubato di tutto, lo trafissero di piaghe, e lo lasciarono mezzo morto sulla piazza.
In quel momento passò un sacerdote, che discendeva per la stessa strada. Costui, avendolo visto in quello stato pietoso, non lo guardò neppure.
In seguito un levita, avendolo visto, passò oltre come il primo; ma un samaritano, che seguiva lo stesso percorso, avendolo visto, gli si avvicinò, e ne fu fortemente scosso da compassione; egli scese da cavallo, e cominciò ad assisterlo come meglio poteva.
Curò le sue piaghe con olio e con vino, e le bendò; poi, avendolo caricato sul suo cavallo, lo condusse in un albergo, dove ordinò al padrone di prestargli tutte le cure necessarie, dicendogli che, se il denaro che gli dava non fosse stato sufficiente, al suo ritorno, gli avrebbe reso tutto quello che aveva speso in più».

Gesù Cristo disse al dottore:
«Chi dei tre, pensi che sia stato il prossimo, per quest’uomo caduto nelle mani dei rapinatori?».
Il dottore gli rispose:
«Credo che sia stato colui che ha esercitato le opere di misericordia verso quell’uomo».
«Ebbene! va’, gli disse Gesù Cristo, fai anche tu lo stesso, e avrai la vita eterna» (Luca 10,25-37: come sempre “ruminato” nella meditazione “cordiale” del santo curato; n.d.a.).

Ecco, fratelli miei, il modello perfetto della carità, che noi dobbiamo esercitare verso il nostro prossimo.
Vediamo dunque, fratelli miei, se possediamo quella carità che ci assicura la vita eterna.

Ma, per farvene meglio sentire la necessità, vi dimostrerò che tutta la nostra religiosità non è altro che una falsa religione, e che tutte le nostre virtù non sono altro che fantasmi, e che noi non siamo nient’altro che degli ipocriti agli occhi di Dio, se non possediamo questa carità universale verso tutti: e cioè, verso i buoni, come verso i cattivi, verso i poveri come verso i ricchi, verso tutti coloro che ci fanno del male, come verso coloro che ci fanno del bene.

No, fratelli miei, non c’è nessun’altra virtù che ci faccia conoscere se siamo veramente figli di Dio, come la carità (1 Giovanni 4,7!).

E l’obbligo che abbiamo di amare il nostro prossimo è così grande, che Gesù Cristo ce ne fa un comandamento, che Egli pone subito dopo quello in cui ci comanda di amarlo con tutto il cuore.

Egli dice che tutta la Legge e i profeti, sono racchiusi in questo comandamento, di amare il nostro prossimo (Matteo 22,40).

Sì, fratelli miei, noi dobbiamo considerare quest’obbligo, come il più universale, il più necessario e il più essenziale per la nostra religiosità e per la nostra salvezza, poichè, osservando questo comandamento, noi osserviamo tutti gli altri.

San Paolo ci dice che gli altri comandamenti ci proibiscono l’adulterio, il furto, le ingiurie, le false testimonianze; ma se noi amiamo il nostro prossimo, non faremo nulla di tutto ciò, perchè l’amore che avremo verso il nostro prossimo non può tollerare che gli facciamo del male (Romani 13,9-10: dove l’apostolo definisce la carità come il “pleroma” della Legge, ossia il suo pieno compimento; n.d.a.).

Io affermo, in primo luogo, che questo comandamento, che ci ordina di amare il nostro prossimo, è il più necessario per la nostra salvezza, poichè san Giovanni ci dice che, se non amiamo il nostro fratello, e cioè tutti, noi restiamo in una stato di dannazione (1 Giovanni 3,14!).

Vediamo anche che Gesù Cristo ha tanto a cuore il compimento di questo comandamento, che afferma che soltanto se avremo amicizia reciproca, Egli ci riconoscerà come suoi figli (Giovanni 13,35: da notare che il curato sostituisce il termine “amicizia” a quello di “amore”, usato da Gesù; il testo viene anche riletto dal santo, che riferisce il “riconoscimento” a Gesù stesso, mentre nell’originale, si riferisce agli altri uomini in generale, che dall’amore reciproco, riconosceranno i discepoli di Gesù; altra “licenza esegetica” del nostro impulsivo curato; n.d.a.).

In secondo luogo, fratelli miei, io affermo che la causa che ci impone l’obbligo tanto grave di amarci gli uni gli altri, è il fatto che abbiamo tutti lo stesso Creatore, proveniamo tutti da una medesima origine; inoltre, formiamo tutti una stessa famiglia, della quale Gesù Cristo è il padre (non è un’eresia trinitaria del santo curato, visto che Gesù stesso chiamava, a volte, i discepoli “figlioli”: Giovanni 13,33; 21,5; n.d.a.).
Inoltre portiamo tutti la sua Immagine e la sua somiglianza; siamo stati tutti creati per il medesimo scopo, cioè per la gloria eterna, e tutti siamo stati riscattati per mezzo della morte e e della passione di Gesù Cristo.

Perciò, fratelli miei, noi non possiamo rifiutarci di amare il nostro prossimo, senza con ciò oltraggiare Gesù Cristo stesso, che ce lo comanda sotto pena di eterna dannazione.

San Paolo ci dice che, poichè abbiamo tutti una stessa speranza, e cioè la vita eterna, uno stesso Signore, una stessa fede, uno stesso battesimo e uno stesso Dio, che è il Padre di tutti gli uomini, dobbiamo, di conseguenza, amare tutti gli uomini come noi stessi, se vogliamo piacere a Gesù Cristo, e salvare le nostre anime (Efesini 4,1-6).

Ma, voi forse penserete: in che consiste, dunque, l’amore che dobbiamo avere verso il nostro prossimo?
Fratelli miei, quest’amore consiste in tre cose:
1- nel voler bene a tutti;
2- nel fare loro del bene, ogni volta che lo possiamo;
3- nel sopportare, scusare, e nascondere i loro difetti.
Ecco, fratelli miei, la vera carità dovuta al prossimo, e il vero marchio della vera carità, senza la quale non possiamo nè piacere a Dio, nè salvare le nostre anime.

Anzitutto, quindi, dobbiamo augurare il bene a tutti, ed essere molto afflitti se apprendiamo che accade loro qualche male, poichè dobbiamo considerare tutti gli uomini, perfino i nostri nemici, come nostri fratelli.

Dobbiamo mostrare un’aria buona e affabile verso tutti; non nutrire invidia verso coloro che sono migliori di noi; dobbiamo amare i buoni, a causa della loro virtù, e amare i cattivi, perchè diventino buoni: augurare la perseveranza ai primi e la conversione agli altri.

Se un uomo è un grande peccatore e un malvagio, noi possiamo odiare il peccato, che è opera dell’uomo e del demonio, ma dobbiamo amare la persona, che è immagine di Dio.

In secondo luogo, dobbiamo fare del bene a tutti, almeno per quanto lo possiamo.
Ciò si attua in tre modi, riguardo ai beni del corpo, i beni dell’onore, e i beni dell’anima.

Riguardo ai beni del corpo, noi non dobbiamo mai fare un torto al prossimo, nè impedirgli di guadagnare qualcosa, quand’anche potessimo ricevere noi quel profitto.

Non esistono cristiani tanto graditi a Dio, quanto coloro che hanno compassione per gli infelici.

Guardate san Paolo: egli dice che piangeva con coloro che piangevano, e gioiva con coloro che erano nella gioia (Romani 12,15).

Quanto all’onore del prossimo, dobbiamo stare molto attenti a non nuocere mai alla sua reputazione, per mezzo della maldicenza, e, ancor meno per mezzo di calunnie.

Se possiamo ostacolare coloro che ne parlano male, dobbiamo farlo; se non lo possiamo, dobbiamo allontanarci da loro, oppure dire tutto il bene che conosciamo, di quelle persone.

Quanto poi al bene dell’anima, che è cento volte più prezioso di quello del corpo, noi possiamo procurare loro questi beni, pregando per loro, distogliendoli dal male con i nostri consigli e, soprattutto, con i nostri buoni esempi.
A questo siamo obbligati particolarmente, verso coloro con i quali conviviamo.

Padri e madri, padroni e padrone, vi sono obbligati in una maniera particolare, a causa del conto che dovranno rendere a Dio dei loro ragazzi.

Ahimè! fratelli miei, si potrebbe mai dire che i padri e le madri amino i loro figli, quando li vedono vivere con tanta indifferenza verso tutto ciò che riguarda la salvezza delle loro anime?

Ahimè! fratelli miei, un padre e una madre che nutrano verso i loro figli quella carità che dovrebbero avere, potrebbero mai vivere, senza versare lacrime, notte e giorno, sullo stato disgraziato dei loro figli che sono nel peccato, che vivono, ahimè! da dannati, che non sono più diretti verso il Cielo, ma che non si dirigono che all’inferno?…

Ahimè! fratelli miei, come potrebbero, d’altronde, preoccuparsi per la salvezza di quelli, essi che non pensano nemmeno alla loro stessa salvezza?

Ahimè! fratelli miei, quanti padri e madri che dovrebbero gemere e pregare continuamente sullo stato dei loro poveri figli, e invece li distolgono dal bene e li dirigono verso il male, intrattenendoli sui torti, sulle dispute, sulle ingiurie che hanno detto o fatto verso di loro i vicini, sulla loro cattiva fede, e sui mezzi che hanno essi stessi impiegato per vendicarsi!
Questo induce spesso i figli a voler vendicarsi essi stessi, o, almeno, a conservare rancore nel loro cuore!

Oh! fratelli miei, quanto erano lontani i primi cristiani da tutto ciò, perchè conoscevano il prezzo di un’anima!

Ah! fratelli miei, se un padre e una madre conoscessero il valore di un’anima, potrebbero mai lasciar perdere, con tanta indifferenza, quella dei loro poveri figli, o dei loro domestici?
Potrebbero mai far trascurare loro le preghiere, per farli lavorare?
Avrebbero mai il coraggio di farli assentare dalle sante celebrazioni?

O mio Dio! che cosa risponderanno a Gesù Cristo, allorchè Egli mostrerà loro che hanno preferito una bestia, all’anima dei loro figli?
Ah! ma che dico, un pugno di fieno! (cfr. Ezechiele 13,19; il santo si riferisce ai lavori fatti compiere nel giorno di domenica, o, comunque, preposti alla preghiera; n.d.a.).

Ah! povera anima, quanto poca stima si ha di te!
No, no, fratelli miei, questi padri e madri ciechi e ignoranti non hanno mai compreso che la perdita di un’anima è un male più grande della distruzione di tutte le creature che esistono sulla terra (ecco il motivo della severità del santo che, all’inferno e al paradiso ci credeva sul serio e non li snobbava con un buonismo ipocrita e fuori luogo…n.d.a.).

Valutiamo, fratelli miei, la dignità di un’anima, partendo dagli angeli.
Ogni angelo è così perfetto, che tutto ciò che vediamo sulla terra e nel cielo, è meno di un granello di polvere in confronto con la grandezza del sole.
E tuttavia, per quanto perfetti siano gli angeli, essi non sono costati a Dio che una sola parola (per crearli; n.d.a.), mentre una sola anima è costata il valore del suo Sangue adorabile.

Il demonio, per tentare il Salvatore, gli offrì tutti i regni del mondo, dicendogli:
«Se vorrai prostrarti davanti a me, io ti donerò tutti questi beni» (Matteo 4,9): questo dimostra che un’anima è infinitamente più preziosa agli occhi di Dio, e anche del demonio, di tutto l’universo, con tutto ciò che è in esso! (Matteo 16,26!).

Ah! quale vergogna per questi padri e queste madri, che stimano l’anima dei loro figli, meno di quanto non la stimi lo stesso demonio!

Sì, fratelli miei, la vostra anima ha un prezzo così grande che san Giovanni Crisostomo ci dice che, anche se non ci fosse stato che un solo uomo sulla terra, la sua anima è così preziosa per Gesù Cristo, che Egli non avrebbe creduto sconveniente per sè, il morire per salvarlo.

«Sì, dice, un’anima è così cara al suo Creatore che, se ella lo amasse, Egli annienterebbe i cieli, piuttosto che lasciarla perire».

«O corpi, gridava san Bernardo, come siete onorati di ospitare un’anima tanto bella!».

Ditemi, fratelli miei, se voi vi foste trovati ai piedi della croce, e aveste potuto raccogliere il Sangue adorabile di Gesù Cristo in un vasetto, con quale riguardo lo avreste conservato?
Ora, fratelli miei, dobbiamo avere lo stesso rispetto e la medesima cura per conservare la nostra anima, perchè essa è costata tutto il Sangue di Gesù Cristo.

Ci dice sant’Agostino:
«Da quando ho riconosciuto che la mia anima è stata riscattata dal Sangue prezioso di un Dio, io ho deciso di conservarla, anche spendendo la vita, e di non venderla mai al demonio, per mezzo del peccato».

Ah! padri e madri, se foste davvero convinti che voi siete i custodi delle anime dei vostri figli, potreste mai lasciarli perire, con tanta freddezza?
Mio Dio! quante persone si sono dannate, per aver permesso che delle povere anime si perdessero, mentre avrebbero potuto impedirlo, se avessero voluto!

No, fratelli miei, noi non abbiamo affatto quella carità che dovremmo avere gli uni verso gli altri, e soprattutto verso i nostri figli e i nostri domestici.

Leggiamo nella storia che dal tempo dei primi cristiani, allorchè gli imperatori pagani li interrogavano per sapere chi fossero, essi gli rispondevano:
«Ci chiedete chi siamo? Ecco: noi formiamo un solo popolo e una sola famiglia, che i legami della carità uniscono insieme; quanto ai nostri beni, essi sono tutti in comune: chi possiede, dona a chi non possiede nulla; nessuno biasima, nessuno si vendica, nessuno parla male, e nessuno fa del male.
Preghiamo gli uni per gli altri, e anche per i nostri nemici; invece di vendicarci, noi facciamo del bene a coloro che ci fanno del male, e benediciamo coloro che ci maledicono».

Ah! fratelli miei, cos’è diventato il nostro tempo “felice”? (in senso ironico; n.d.a.).
Ahimè! ormai i cristiani sono posseduti soltanto dall’amore di se stessi, e non ne hanno affatto verso il loro prossimo!

Volete sapere, fratelli miei, chi sono i cristiani dei nostri giorni? (si ricordi che siamo nel periodo immediatamente successivo alla rivoluzione francese, che cambiò tutto, per non cambiare niente; n.d.a.).
Ascoltatemi e ve lo dirò.

Se due persone che sono insieme, sono dello stesso umore, dello stesso carattere, oppure hanno le stesse inclinazioni, li vedrete amarsi e vivere insieme: e questo non è difficile.

Ma, se l’umore o il carattere non si accorda, non c’è più nè pace, nè amicizia, nè carità, nè prossimo.

Ahimè! fratelli miei, questi sono tutti cristiani che hanno solo una falsa religiosità: essi amano il loro prossimo fino a che corrisponde alla loro inclinazione, e rientra nei loro sentimenti e nei loro interessi; in caso contrario, non ci si può più vedere nè si sopporta di stare insieme.
Dobbiamo separarci, si dice, per conservare la pace e salvare la nostra anima.

Andate via! poveri ipocriti!
Avanti! separatevi da quelli che, come dite, non si accordano col votro carattere, e con i quali non potete convivere: in tal modo non vi allontanerete da loro, più di quanto già vi siate allontanati da Dio (sentenza severissima ma verissima; n.d.a.).

Andatevene! la vostra religione non è altro che una fantasia, e voi non siete altro che dei dannati!
Voi non avete mai conosciuto nè la vostra religione, nè ciò che essa vi impone, nè la carità che dovete avere verso il vostro fratello, per poter piacere a Dio e così salvarvi.

Non è affatto difficile amare coloro che ci amano, e che si accordano con i nostri sentimenti, in tutto ciò che diciamo o che facciamo, perchè in questo caso, non c’è nulla di diverso da quello che fanno anche i pagani, che sanno comportarsi allo stesso modo.

Ci dice san Giacomo: «Se fate buona accoglienza a un ricco, mentre disprezzate un povero; se salutate cordialmente qualche vostro benefattore, mentre salutate a stento chi vi ha rivolto qualche offesa, voi non obbedite nè alla Legge, nè possedete la carità che dovreste avere; voi non fate niente di più di coloro che non conoscono il buon Dio» (cfr. Giacomo 2,1-4).

«Ma, forse mi chiederete, come dobbiamo dunque amare il nostro prossimo?».
Ecco.

Sant’Agostino ci dice che dobbiamo amarlo, come Gesù Cristo ci ama: Egli non ha consultato nè la carne nè il sangue, ma ci ha amati per renderci santi e per meritarci la vita eterna.
Noi dobbiamo augurare e desiderare per il nostro prossimo, tutto il bene che potremmo augurare a noi stessi.

Sì, fratelli miei, noi non comprenderemo se siamo sulla via che conduce al Cielo, e se amiamo veramente il buon Dio, se non nella misura in cui, trovandoci con persone totalmente opposte al nostro carattere, e che sembrano contraddirci in tutto, noi, tuttavia, non le ameremo come noi stessi, li guarderemo con simpatia, ne parleremo bene e mai male, ricercheremo la loro compagnia, li precederemo nel rendergli onore, e renderemo loro un servizio preferenziale, rispetto a coloro che rientrano nei nostri interessi e che non ci contraddicono in nulla.

Se ci comportiamo così, possiamo sperare che la nostra anima si trovi nell’amicizia di Dio, e che stiamo amando il nostro prossimo in maniera cristiana.

Ecco la regola e il modello che Gesù Cristo ci ha lasciato, e che tutti i santi hanno seguito: non inganniamo noi stessi, non c’è nessun altro cammino che conduca al Cielo.

Se non vi comportate così, non dubitate, nemmeno per un istante, che state camminando sul sentiero della perdizione!

Andate, poveri ciechi! Pregate, fate penitenza, celebrate con devozione gli uffici divini, frequentate i sacramenti, ogni giorno, se volete; donate tutti i vostri beni a coloro che vi amano: non eviterete , così, di andare a bruciare all’inferno, alla fine della vostra vita!

Ahimè! fratelli miei, com’è rara la vera devozione!
Quanta devozione solo emotiva, che corrisponde soltanto all’inclinazione naturale!

Ci sono persone che donano tutto, e che sono pronte a sacrificare ogni cosa, quando si tratta di farlo per persone verso le quali hanno qualche convenienza, o che le amino.

Ahimè! quanto pochi ce ne sono, che possiedono quella carità che piace a Dio, e che conduce al Cielo!

Ecco, fratelli miei, volete un bell’esempio di carità cristiana?
Eccovene uno che può servirvi di modello, per tutta la vostra vita.

Si racconta nella storia dei padri del deserto che un solitario incontrò per strada un povero storpio, tutto coperto di piaghe e di putredine; si trovava in uno stato così miserevole, che non poteva nè guadagnarsi da vivere, nè trascinarsi.

Il solitario, colto da compassione, lo trasportò nella sua cella e gli offrì tutto il sollievo possibile.

Quando quel povero ebbe ripreso le forze, il solitario gli disse:
«Vuoi, caro fratello mio, abitare insieme a me? Farò tutto ciò che posso per nutrirti, pregheremo e serviremo insieme il buon Dio».
«Oh! che gioia mi dai! gli disse il povero. Come sono fortunato per aver trovato nella tua carità una risorsa per la mia miseria!».

Il solitario, che già stentava parecchio per guadagnare da vivere per sè stesso, raddoppiò il suo lavoro, per avere di che nutrire il suo povero; si sforzava di nutrirlo il meglio possibile, e molto meglio di quanto nutrisse se stesso.

Ma, in capo a qualche tempo, quel povero cominciò a mormorare contro il suo benefattore, lamentandosi del fatto che lo nutriva molto male.

«Ahimè! mio caro amico, gli disse il solitario, io ti nutro meglio di me stesso; non posso fare altro per te, più di quello che già sto facendo».

Qualche giorno dopo, quell’ingrato, riprese a lamentarsi, e vomitò contro il suo benefattore un torrente di ingiurie.
Il solitario soffrì tutto ciò con pazienza, senza rispondere nulla.
Il povero, allora, si vergognò per aver parlato così male del sant’uomo, che gli faceva solo del bene, e gli chiese perdono.

Ma ben presto ricadde nelle stesse impazienze di prima, e coltivò un tale odio contro quel buon solitario, che non lo poteva più sopportare.

«Sono stanco di vivere con te, gli disse; voglio che mi riporti sulla strada dove mi hai trovato; io non sono abituato ad essere nutrito così male!».

Il solitario gli chiese perdono, promettendogli di trattarlo meglio.
Il buon Dio gli ispirò di andare a trovare un borghese caritatevole del vicinato, per chiedergli del cibo un migliore per il suo storpio.

Il borghese, mosso da compassione, gli disse di andare ogni giorno a chiedergli il nutrimento necessario.
Il povero sembrò contento; ma dopo qualche settimana, ricominciò a rivolgere nuovi e più pungenti rimproveri al solitario.

«Vattene! gli disse. Tu non sei altro che un ipocrita, tu fingi di andare a cercare l’elemosina per me, mentre lo fai per te; ti mangi la parte migliore, e conservi i rimasugli per me».
«Ah! amico mio, gli disse il solitario, tu mi stai offendendo; ti assicuro che non chiedo mai nulla per me, che non tocco nemmeno un pezzetto di ciò che mi danno per te; se non sei contento dei servizi che ti rendo, abbi almeno pazienza, per amore di Gesù Cristo, aspettando che io possa migliorare».
«Vai via! gli disse il povero, non ho bisogno delle tue rimostranze», e all’istante, prese un sasso e lo gettò in testa al solitario, che evitò il colpo.
In seguito, quel disgraziato, prese un grosso bastone, di cui si serviva per trascinarsi, e gli diede un colpo così forte, da farlo cadere a terra.
«Che il buon Dio ti perdoni, gli disse il buon solitario; quanto a me, io perdono di cuore, per amore di Gesù Cristo, il cattivo trattamento che mi stai riservando».
«Tu dici che mi perdoni, ma lo dici solo con le labbra, perchè io so che tu mi vorresti già morto».
«Ti assicuro, amico mio, gli rispose teneramente il buon solitario, che ti perdono con tutto il mio cuore».

Quel buon solitario volle abbracciarlo, per dimostrargli il suo amore.
Allora il povero lo prese per la gola, gli graffiò il viso con le unghie, e voleva strangolarlo.
Il solitario riuscì a liberarsi dalle sue mani, e il povero gli disse:
«Vedrai che ti farò morire con le mie mani».

Quel buon solitario, che era sempre preso da compassione e ripieno di una carità veramente cristiana, ebbe pazienza con lui per altri tre o quattro anni.
Durante quel tempo, Dio solo sa quanto ebbe a soffrire da parte del povero.
Quello infatti gli ripeteva ad ogni momento che voleva essere riportato sulla strada dove l’aveva trovato, che preferiva morire di fame o di freddo, oppure essere divorato dalle bestie, piuttosto che vivere insieme a lui.

Quel buon solitario non sapeva cosa fare: da una parte, la sua carità gli mostrava che se lo avesse riportato nel posto in cui l’aveva trovato, sarebbe morto di miseria; da un’altra parte temeva di perdere la pazienza durante quel combattimento.
Allora gli venne il pensiero di andare a consultare sant’Antonio (abate, eremita) sulla decisione che doveva prendere, per risultare più gradito al buon Dio; egli non temeva nè la pena nè gli oltraggi che riceveva per tutti suoi benefici, ma voleva soltanto conoscere la Volontà di Dio.

Arrivato da sant’Antonio, senza che ancora gli avesse detto niente, quello, dalla cui bocca parlava lo stesso Spirito Santo, gli disse:
«Ah! figlio mio! so già che cosa ti ha condotto qui da me, e perchè sei venuto a trovarmi. Guardati bene dal seguire il pensiero che ti è venuto, di rimandare via il povero; si tratta di una forte tentazione del demonio, il quale vuole rubarti la corona; se avessi la disgrazia di abbandonarlo, figlio mio, il buon Dio non lo abbandonerà».

Sembrava, da ciò che sant’Antonio gli diceva, che la sua salvezza dipendesse dalle cure che si prendeva per quel povero.

«Ma, padre mio, gli rispose il solitario, io temo di perdere la pazienza a causa sua».
«E perchè mai la dovresti perdere, figlio mio, gli replicò sant’Antonio. Non sai forse che è proprio verso coloro che ci fanno maggiormente del male, che dobbiamo esercitare più generosamente la nostra carità?
Figlio mio, dimmi, che merito ne avresti se tu avessi pazienza con una persona che non ti farebbe mai del male?
Non sai, figlio mio, che la carità è una virtù coraggiosa, che non guarda ai vizi di colui che ci fa soffrire, ma fissa gli occhi soltanto su Dio?
Perciò, figlio mio, ti incoraggio fortemente a custodire quel povero: più egli diventerà cattivo, più ancora dovrai averne compassione; tutto ciò che gli farai per mezzo della carità, Gesù Cristo lo riterrà fatto a Se stesso stesso.
Dimostra, figlio mio, con la tua pazienza che tu sei un discepolo di un Dio sofferente.
Ricordati che è dalla pazienza e dalla carità, che si riconosce un cristiano.
Considera quel povero come colui del quale Dio si vuole servire, per farti lavorare alla tua corona».

Il solitario fu molto soddisfatto di conoscere, per mezzo di quel grande santo, che era Volontà di Dio che egli tenesse presso di sè quel povero, e che tutto ciò che faceva verso di lui, era molto gradito a Dio.

Egli andò a trovare il suo povero e, dimenticandosi di tutte le ingiurie e i maltrattamenti che aveva ricevuti fino ad allora, mostrandogli una carità che non aveva più alcun limite, lo servì con una umiltà ammirevole, non cessando mai di pregare per lui.

Il buon Dio vide in quel giovane solitario tanta pazienza e tanta carità che convertì quel povero, mostrando con questo al suo servo, come tutto ciò che aveva fatto gli era stato gradito, dal momento che aveva accordato a quel disgraziato la salvezza e la conversione.

Che cosa ne pensate di tutto ciò, fratelli miei?
E’ questa la carità cristiana, sì o no?
Oh! come quest’esempio, nel gran giorno del giudizio, confonderà quei cristiani che non vogliono soffrire nemmeno una parola, o sopportare per otto giorni il cattivo carattere di una persona, senza mormorare, senza augurargli del male.

Bisogna lasciarsi, bisogna separarsi, si dice, per ottenere la pace.
O mio Dio! quanti cristiani si dannano, per mancanza di carità! (mancanze che, in genere, vengono considerate, erroneamente, peccati veniali!…n.d.a.).

No, no, fratelli miei, anche se faceste dei miracoli, voi non vi salvereste mai, se non avete la carità.
No, fratelli miei, questo non è conoscere la propria religione, ma è solo coltivare una religione di capriccio, di umore e di inclinazione naturale.

Andate via! Andate via! non siete altro che degli ipocriti e dei dannati!
Senza la carità, voi non vedrete mai il buon Dio, voi non andrete mai in Cielo!…
Donate pure i vostri beni, fate grandi elemosine a coloro che vi amano o che vi piacciono, assistete tutti i giorni alla santa Messa, fate la Comunione tutti i giorni, se volete: non siete altro che degli ipocriti e dei dannati!
Continuate su questa strada, e ben presto vi ritroverete all’inferno!…

Ma, voi dite che non riuscite a sopportare i difetti del vostro prossimo perchè è troppo molesto, perciò non vi aggrada di stare con lui.
Vai a vedere, vai, disgraziato! Tu non sei altro che un ipocrita, hai solo una falsa religione la quale, nonostante tutto il bene che pensi di fare, ti condurrà all’inferno!

O mio Dio! com’è rara questa virtù! Ahimè! E’ tanto rara, come sono rari coloro che saliranno in Cielo (potrà stupire il fatto che, proprio parlando dell’amore del prossimo, il santo curato sfoderi tutta la sua indignazione intransigente, mentre è nella logica delle cose: egli ha già precisato, giustamente, che bisogna “odiare” il peccato, ma “amare” il peccatore; infatti, pur nel mezzo delle più tremende minacce, il santo continua a rivolgersi ai suoi con l’appellativo amorevole “fratelli miei”; n.d.a.).

Ma voi mi direte: io, quelle persone non riesco neppure a vedermele davanti; in chiesa mi offrono solo distrazioni, con tutto quel loro modo di fare.

Ah! disgraziati! ammettete piuttosto che vi manca la carità, e che siete solo dei miserabili, che amate soltanto coloro che rientrano nei vostri sentimenti o nei vostri interessi, che non vi contraddicono in nulla, e che adulano le vostre buone opere, che sono sempre propensi a ringraziarvi per i vostri benefici, e che vi contraccambiano con la loro riconoscenza.

Voi, per costoro, fareste qualunque cosa, non temete nemmeno di privarvi del necessario, per confortarli; ma se poi vi disprezzano, o vi ripagano con l’ingratitudine, allora voi non li amate più, non volete più vederli, fuggite la loro compagnia, siete desiderosi di tagliare corto negli incontri che vi capita di avere con loro.

O mio Dio! quanta falsa devozione, che non può condurci ad altro che in mezzo ai dannati!

Se ne dubitate, fratelli miei, ascoltate san Paolo, che non può ingannarvi:
«Anche se io, dice, donassi tutti i miei beni ai poveri, o facessi dei miracoli, risuscitando i morti, se non avessi la carità, non sarei altro che un ipocrita» (cfr. 1 Corinzi 13,1-3, nella rielaborazione “vianneyana”; n.d.a.).

Ma per meglio convincervene, percorrete tutta la passione di Nostro Signore Gesù Cristo, vedete tutte le vite dei santi: non ne troverete uno solo che non abbia avuto questa virtù: e cioè, che non abbia amato coloro che gli rivolgevano delle ingiurie, che gli volevano del male, che lo ripagavano con l’ingratitudine per i suoi benefici.

No, no, non ne troverete nemmeno uno solo, che non abbia preferito fare del bene a colui che gli abbia fatto qualche torto.

Vedete san Francesco di Sales, il quale ci dice che, se avesse da compiere una sola opera buona, egli sceglierebbe colui che gli abbia recato qualche oltraggio, piuttosto che colui che gli abbia reso qualche servizio.

Ahimè! fratelli miei, com’è vero che una persona che non abbia la carità va molto lontano sulla via del male!
Se qualcuno gli ha fatto soffrire qualche pena, voi la vedrete esaminare tutte le sue azioni: ella lo giudica, lo condanna, volge tutto al male, credendo sempre di avere ragione.

«Ma, mi direte voi, lo si è visto per molte volte agire male, non si può pensare altrimenti».
«Amico mio, siccome non hai un briciolo di carità, tu pensi che agisca male; ma se avessi un po’ di carità, la penseresti molto diversamente, perchè riterresti che ti puoi sempre sbagliare, come spesso succede».

E per convincervene, eccovi un esempio, che vi prego di non cancellare mai dal vostro spirito, soprattutto quando pensate che il vostro prossimo stia agendo male.

Si racconta nella storia dei padri del deserto, che un solitario, di nome Simeone, essendo stato per molti anni nella solitudine, a un certo momento gli venne voglia di andare nel mondo, ma domandò a Dio che mai, durante la sua vita, gli uomini conoscessero le sue intenzioni.

Avendogli il buon Dio accordato questa grazia, egli andò nel mondo.
Si fingeva pazzo, liberava i posseduti dal demonio, e guariva i malati; si recava nelle case delle donne di malaffare, facendosi giurare che esse avrebbero amato solo lui, donando loro tutto il denaro che aveva.

Tutti lo consideravano come un solitario che aveva perso il bene dell’intelletto.

Si vedeva ogni giorno quest’uomo, che aveva più di settant’anni, giocare con i fanciulli per la strada; altre volte si andava a scatenare in mezzo alle pubbliche danze, per saltare insieme agli altri, dicendo, di tanto in tanto, qualche parolina, che mostrava loro molto chiaramente, il male che stavano facendo (per il fatto di danzare, appunto; n.d.a.).
Ma ciò veniva considerato come proveniente da un folle, e non si faceva altro che disprezzarlo.

Altre volte saliva sulla parte alta dei teatri, e da lì gettava pietre su tutti coloro che sedevano in basso.

Quando vedeva persone possedute dal demonio, si accompagnava con loro e fingeva di essere anche lui un posseduto.
Lo si vedeva correre nelle locande e unirsi agli ubriachi; nei mercati, si rotolava per terra, e faceva mille altre cose, tutte molto stravaganti.

Tutti lo condannavano e lo disprezzavano: gli uni lo consideravano un folle, gli altri come un libertino e un cattivo soggetto, che meritava solo la prigione.

E tuttavia, fratelli miei, era un santo, che non cercava altro che il disprezzo e di guadagnare anime a Dio, nonostante che tutti lo giudicassero male.

Questo ci dimostra che, sebbene le azioni del nostro prossimo ci sembrino cattive, noi non dobbiamo mai, da parte nostra, giudicarle male.
Spesso noi le giudichiamo male, mentre agli occhi di Dio esse non lo sono affatto (si tratta, ovviamente, di un esempio “borderline”, da non imitare, ma che dimostra quanto poco i santi si curassero dell’opinione della gente, mettendosi sotto i piedi il rispetto umano, che spesso paralizza i mediocri; n.d.a.).

Ah! com’è vero che colui che avrà la fortuna di possedere la carità, questa bella e incomparabile virtù, si guarderà bene dal giudicare e dal volere del male al proprio prossimo!

«Ma, mi direte voi, ha un carattere troppo malvagio, non lo si può sopportare!».
«Tu non lo puoi sopportare, amico mio? Pensi forse di essere un santo, e senza difetti?
Povero cieco! un giorno vedrai che, tra coloro che ti sono attorno, ne hai fatti soffrire di più tu, di quanto loro abbiano fatto soffrire te!

Di so

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