L'amore di Dio
«Amerai il Signore Dio tuo» - Omelia
Autore: Santo Curato d'Ars
Leggiamo nel Vangelo, fratelli miei, che un giovane, essendosi presentato a Gesù Cristo, gli dice: «Maestro, che cosa bisogna fare per avere la vita eterna?».
Gesù Cristo gli risponde: «Che cosa è scritto nella Legge?».
«Amerai il Signore tuo Dio, gli risponde il giovane, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, e con tutte le tue forze, e il prossimo come te stesso».
«Ma già lo faccio».
«Ebbene, gli replica Gesù Cristo, vendi i tuoi beni, donali ai poveri, e avrai un tesoro nel cielo».
Questa parola: vendere i suoi beni, per donarli ai poveri, lo rattristò fortemente.
Gesù Cristo coleva mostrargli che è per mezzo delle opere e non delle parole, che noi dimostriamo di amare veramente il buon Dio.
Se per amarlo, ci dice san Gregorio, fosse sufficiente dire che lo amiamo, questo amore di Dio non sarebbe così raro come è, poichè non vi è nessuno che, interrogato se ami il buon Dio, non risponda subito che lo ama con tutto il suo cuore: lo dirà il giusto e lo dirà il peccatore, anche se il giusto lo dirà tremando, sull’esempio di san Pietro; mentre il peccatore lo dirà forse con un tono di sicurezza, che sembrerà denotare la sua sincerità; ma egli si inganna grandemente, perchè l’amore di Dio non consiste nelle parole, ma nelle opere.
Sì, fratelli miei, amare il buon Dio con tutto il proprio cuore, è una cosa così giusta, così ragionevole, e, in certo senso, così naturale, che quelli tra noi la cui vita è del tutto opposta a Lui, non smetteranno di pretendere e di essere persuasi che lo amano.
Perchè tutti credono di amare il buon Dio, sebbene la loro condotta sia del tutto opposta a quest’amore divino?
Ah! fratelli miei, è perchè tutti cercano la loro felicità, e solo questo amore ce la può procurare; ecco perchè ci si vuole persuadere di amare il buon Dio.
Tuttavia non c’è nulla di più raro di questo amore divino.
Vediamo dunque in che cosa consista quest’amore, e da che cosa possiamo riconoscere se amiamo Dio.
Per meglio comprenderlo, consideriamo, da una parte, ciò che Gesù Cristo ha fatto per noi, e dall’altra, quello che noi dobbiamo fare per Lui.
E’ sicurissimo, fratelli miei, che il buon Dio non ci ha creati che per amarlo e per servirlo.
Tutte le creature che sono sulla terra sono state create per l’uomo, ma l’uomo è stato creato per amare il buon Dio.
Perchè mai, fratelli miei, il buon Dio ci ha donato un cuore i cui desideri sono così vasti e così estesi, che niente di creato è capace di saziarlo?
E’ per costringerci, in certo modo, a non attaccarci che a Lui e a non amare che Lui; perchè non c’è che Lui che possa appagarci.
Se anche l’uomo possedesse l’intero universo, non sarebbe mai pienamente soddisfatto; gli resterebbe sempre qualcosa da desiderare, perchè niente di creato riesce a riempirlo.
Sì, siamo così persuasi di essere stati creati per essere felici, che non cessiamo un solo istante della nostra vita di cercare la felicità, e di fare tutto quello che dipende da noi, per procurarcela.
Da cosa dipende dunque che, malgrado tutte le nostre ricerche, tutte le nostre pene e tutte le nostre cure, noi non ci ritroviamo mai contenti?
Ahimè! è perchè non indirizziamo i nostri sguardi, nè i movimenti del nostro cuore, verso l’oggetto che solo è capace di colmare la vasta distesa dei nostri desideri, cioè Dio solo.
No, fratelli miei, no, giammai potrete appagarvi, ed essre pienamente felici, almeno fino a che sia possibile esserlo in questo mondo, se non disprezzate, almeno col cuore, tutte le cose create, per non attaccarvi che a Dio solo.
Noi dobbiamo applicare, dunque, tutte le nostre cure, e tutti i movimenti del nostro cuore nel non desiderare e nel non cercare che Dio solo, in tutto quello che facciamo; altrimenti la nostra vita trascorrerà nel cercare invano una felicità che non troveremo mai.
Fino ad ora, dunque, ci siamo ingannati, poichè, nonostante tutto ciò che abbiamo fatto per essere felici, non abbiamo potuto esserlo.
Credetemi, fratelli miei, cercate l’amicizia del buon Dio, e avrete trovato la vostra felicità.
O mio Dio! com’è cieco l’uomo che non ti ama! dal momento che solo Tu puoi appagare così bene il suo cuore!
Ma, fratelli miei, per stimolarvi ad amare un Dio così buono, così degno di essere amato, e così capace di colmare tutti gli affetti del nostro cuore, gettiamo un colpo d’occhio su ciò che ha fatto per noi; seguiamolo nel corso della sua vita mortale e fino alla sua morte.
Vedetelo, fratelli miei, dal momento della sua Incarnazione, fino all’età di trent’anni: non sono forse grandi le prove del suo amore per noi?
Che cosa ha fatto nella sua incarnazione?
Si è fatto uomo, come noi e per noi.
Con la sua nascita ci ha elevati alla dignità più eminente alla quale una semplice creatura potesse essere elevata; è divenuto nostro fratello!…
O quale amore per noi! lo abbiamo mai compreso bene?…
Nella sua circoncisione, si è fatto nostro Salvatore. Mio Dio! com’è grande la tua carità!…
Nella sua Epifania, è diventato nostra luce, nostra guida.
Nella sua presentazione al tempio, è diventato nostro pontefice, nostro dottore; oh! ma che dico, fratelli miei, Egli si è offerto a suo Padre, per riscattarci tutti.
Più tardi, cioè nella casa di san Giuseppe, è diventato nostro modello, per l’amore e per il rispetto che dobbiamo avere verso i nostri genitori e i nostri superiori. Diciamo ancora meglio: ci ha mostrato come dobbiamo condurre una vita nascosta e sconosciuta al mondo, se vogliamo piacere a Dio, suo Padre.
Seguiamo Gesù Cristo nella sua vita attiva; tutto quello che ha fatto, lo ha fatto per noi: le sue preghiere, le sue lacrime, le sue veglie, i suoi digiuni, le sue predicazioni, i suoi viaggi, le sue conversazioni, i suoi miracoli; sì, tutto ciò è stato fatto per noi.
Guardate, fratelli miei, con quanto zelo ci ha cercato, nella persona della samaritana; guardate con quale tenerezza riceve tutti i peccatori, e noi tutti lo siamo, nella persona del figliol prodigo; guardate con quanta bontà Egli si oppone alla giustizia di suo Padre, che ci vuole punire nella persona della peccatrice.
Nella sua vita di passione, ahimè! quante ingiurie, quanti tormenti, non ha dovuto sopportare? E’ stato imbavagliato, schiaffeggiato, accusato, condannato, e, infine, crocifisso per noi.
Non è forse morto per noi, in mezzo a obbrobri e a dolori incomprensibili?
Ah! fratelli miei, chi potrebbe comprendere tutto quello che il suo buon cuore ha fatto per noi?…
Entriamo più avanti, nella piaga del suo buon cuore. Sì, Gesù Cristo avrebbe potuto soddisfare alla giustizia di suo Padre, per i nostri peccati, con una sola goccia del suo Sangue, con una sola sua lacrima, ah! ma che dico? con un solo sospiro; ma ciò che poteva soddisfare alla giustizia di suo Padre, non poteva affatto soddisfare la tenerezza del suo cuore, verso di noi.
E’ stato ancora il suo amore per noi che gli ha fatto soffrire in anticipo, nel giardino degli ulivi, le sofferenze che doveva subire sulla croce.
O abisso di tenerezza di un Dio per le sue creature!…
Ma forse che Gesù Cristo si è accontentato di amarci fino alla fine?
No, fratelli miei, no.
Dopo la sua morte, la lancia, o piuttosto il suo amore, ha aperto il suo cuore divino, per aprirci, come un asilo, in cui venire a nasconderci e a consolarci nelle nostre pene, nei nostri dispiaceri e nelle altre nostre miserie.
Ma procediamo oltre, fratelli miei.
Egli vuole, questo divin Salvatore, spargere per noi fino all’ultima goccia del suo Sangue prezioso, per lavarci da tutte le nostre iniquità.
Dopo aver espiato i nostri peccati di orgoglio, con la sua incoronazione di spine; con il fiele e con l’aceto i peccati che abbiamo la disgrazia di compiere con la nostra lingua, e che sono un gran numero; tutti i nostri peccati d’impurità, con la sua crudele e dolorosa flagellazione; tutti i peccati che abbiamo commesso con le nostre mani, e cioè tutte le cattive azioni che abbiamo compiuto, con le piaghe dei suoi piedi e delle sue mani; Egli ha voluto ancora espiare tutti i nostri peccati, con la ferita del suo Cuore divino, perchè è nel cuore che nascono tutti i nostri peccati.
O prodigio d’amore di un Dio per le sue creature!…
Egli è offeso da noi ed è punito per noi, ed è su se stesso che si vendica delle offese che noi gli abbiamo fatto!…
Ahimè! se non fossimo così ciechi come siamo, riconosceremmo che sono le nostre mani, che lo hanno, in realtà, immolato sulla croce.
Ma ancora una volta, fratelli miei, perchè tanti prodigi d’amore?
Ah! voi lo sapete: per liberarci da ogni sorta di male, e meritarci ogni sorta di beni per l’eternità.
E se, malgrado ciò, noi torniamo ancora ad offenderlo, vediamo che Egli è pronto a perdonarci, ad amarci, e a colmarci di ogni sorta di beni, se vogliamo amarlo.
O quale amore per delle creature così insensibili e così ingrate!…
Ma il suo amore giunge ancore oltre.
Vedendo che la morte lo avrebbe separato da noi, per poter restare con noi, Egli fece un grande miracolo: istituì questo grande sacramento d’amore, in cui ci lascia il suo Corpo adorabile e il suo Sangue prezioso, per non abbandonarci mai più, fino alla fine del mondo.
Quale amore per noi, fratelli miei, che un Dio voglia nutrire la nostra anima della sua stessa sostanza e farci vivere della sua stessa vita!
Per mezzo di questo grande e adorabile sacramento, Egli si offre, ogni giorno, alla giustizia di suo Padre, soddisfa di nuovo per i nostri peccati, e ci attira ogni sorta di grazie.
Guardate ancora, fratelli miei, questo tenero Salvatore che, morto per la nostra salvezza, ci apre le porte del Cielo.
Per condurci tutti là, Egli diventa il nostro mediatore; è Lui stesso che va a presentare tutte le nostre preghiere a suo Padre, e a chiedere grazie per noi, ogni volta che avremo la disgrazia di peccare.
Sì, fratelli miei, Egli ci attende in quel luogo di felicità, in quel soggiorno dove si ama sempre e non si offende mai…
(questa carrellata, a volo d’uccello, sui misteri dell’amore di Dio, in Gesù Cristo, ci richiamano alla memoria la disgrazia più grande della nostra vita spirituale: la dimenticanza, l’oblio e, soprattutto, la sciagura più terribile e deleteria: l’assuefazione o abitudine o “routine”, che riesce a farci banalizzare le realtà più vertiginose, strabilianti, inconcepibili, ineffabili e inquietanti, di cui è piena la Rivelazione dell’Amore di Dio per noi; n.d.a.).
No, fratelli miei, voi non avete mai riflettuto su quanto il buon Dio vi ami. E’ mai possibile che noi non viviamo per altro, se non per offenderlo, dal momento che non possiamo essere felici se non amandolo?
Senza dubbio, se vi domandassi se amate il buon Dio, voi mi direste che lo amate; ma questo non basta affatto; bisogna offrirne la prova.
Ma, dove sono mai, fratelli miei, queste prove che manifestano la sincerità del nostro amore per il buon Dio?
Dove sono i sacrifici che abbiamo fatto per Lui?
Dove sono le nostre penitenze?
Ahimè! quel poco di bene che facciamo, è fatto, in gran parte, senza gusto, senza avere un’intenzione ben retta.
Quante vedute solo umane!… quante buone opere compiute per pura inclinazione naturale, e senza una vera devozione!
Ahimè! fratelli miei, quale povertà!…
(parole disarmanti, che smascherano ogni finto amore di Dio: “amore fa rima con dolore”; si ama Dio soltanto nella misura in cui si è disposti a soffrire e a fare penitenza, unicamente per Lui; n.d.a).
E ora, fratelli miei, se volete sapere come possiamo conoscere se amiamo veramente il buon Dio, ascoltate bene quello che sto per dirvi, e dopo, giudicherete voi stessi se lo amate nella verità.
Ecco ciò che Gesù Cristo stesso ci dice: «Colui che mi ama osserva i miei comandamenti, mentre colui che non mi ama, non li osserva» (Giovanni 14,23-24).
Vi sarà dunque facile sapere se amate il buon Dio: i comandamenti di Dio, ossia la sua Volontà, fratelli miei, non sono che una stessa cosa.
Egli vi comanda e vuole che voi adempiate bene a tutti i doveri del vostro stato, con intenzione totalmente pura e retta, non soggetti all’umore del momento o all’impazienza, senza negligenza, senza frode quanto a verità e buona fede.
Dobbiamo avere un amore generoso verso il buon Dio, che ci faccia preferrire la morte all’infedeltà.
Di tutto ciò fratelli miei, possediamo esempi infiniti in tutti i santi, e, soprattutto nei martiri, molti dei quali si sono lasciati fare a pezzi, piuttosto che smettere di amare il buon Dio.
Eccovi un bell’esempio nella persona della casta Susanna (cfr. Daniele 13).
Essendo un giorno andata al bagno, due vecchi, che erano giudici del popolo d’Israele, avendola vista, concepirono il disegno di sollecitarla al peccato; la seguirono, e le proposero il loro infame disegno, di cui ella ebbe orrore.
Levando gli occhi al cielo, ella disse: «Signore, Tu sai che ti amo, sostienimi».
Poi disse ai vegliardi: «Io mi sento in pena da ogni parte: noi siamo alla Presenza di Dio che ci vede; se avessi la disgrazia di acconsentire alla vostra passione vergognosa, non sfuggirei alla mano di Dio; Egli è il nostro Giudice, e io so che mi farà rendere conto di una azione così vile e così criminale.
Se, al contrario, non acconsentirò ai vostri desideri, non sfuggirò ai vostri risentimenti; vedo bene che mi fareste morire; ma preferisco meglio morire, che offendere Dio».
Quei miserabili, vedendosi così rigettati, uscirono incolleriti e sparsero subito la voce che Susanna era stata sorpresa in adulterio, che avevano visto un giovane che peccava con lei.
Disgraziatamente, ahimè! credettero ad essi, e sulla loro testimonianza, ella venne condannata a morte.
Mentre la si conduceva al supplizio, un fanciullo di dodici anni, il piccolo Daniele, gridò in mezzo alla folla: «Cosa fai, popolo d’Israele?; perchè condanni il giusto? io vi dichiaro che non partecipo al crimine che state per commettere, versando sangue innocente».
Il giovane Daniele, essendosi avvicinato al popolo, disse: «Fate venire i due vegliardi».
Avendoli fatti separare tra loro, li interrogò.
Essi si contraddicevano con le loro stesse parole, al punto che non si potè dubitare che fossero essi stessi i veri colpevoli, e non Susanna; entrambi furono condannati a morte.
Ecco, fratelli miei, che cosa fa una persona che ama il buon Dio, dimostrando nel momento della prova che lo ama veramente, e che lo ama più di se stesso.
Susanna non poteva darne un segno più evidente, perchè ella preferì la morte al peccato.
Non c’è dubbo che, quando servono solo le parole per dire che si ama il buon Dio, allora non costa niente.
Tutti credono di amare il buon Dio, e tutti osano persuadersene; ma se il buon Dio ci mettesse alla prova, quanto pochi avrebbero la fortuna di sostenerla!
Guardate ancora che cosa successe sotto il regno di Antioco.
Questo crudele tiranno comandò ai giudei, sotto pena di morte, di mangiare della carne proibita dalla legge del Signore.
Un santo vegliardo di nome Eleazaro, che era vissuto sempre nel timore e nell’amore di Dio, si rifiutò coraggiosamente di obbedire, e per questo fu condannato a morte.
«Dipende solo da te, gli disse uno dei suoi amici, se vuoi salvare la tua vita, come abbiamo fatto anche noi. Eccoti della carne che non è stata offerta agli dei: mangiala, e così questa piccola dissimulazione accontenterà il tiranno».
Il santo vegliardo gli rispose: «Credi forse che io sia tanto attaccato alla vita, e che io la preferisca all’amore che devo al mio Dio?
Anche se io sfuggissi al furore del tiranno, credi forse che potrei sfuggire alla Giustizia di Dio? No, no, amici miei, preferisco morire, piuttosto che disonorare la mia religione e offendere il mio Dio, che amo più di me stesso.
No, non accadrà mai che all’età di novant’anni io abbandoni il mio Dio e la sua santa Legge».
Allorchè lo si condusse al supplizio, e quando il carnefice cominciò a tormentarlo crudelmente, lo si sentì gridare: «Mio Dio, Tu sai che è per amor tuo che io soffro! Sostienimi, Tu sai che lo faccio perchè ti amo; sì, mio Dio, è per amor tuo che io soffro!» (2 Maccabei 6).
Guardate il suo coraggio nel vedere tagliare e divorare il suo povero corpo.
Ebbene! fratelli miei, ecco ciò che definiamo amare veramente il buon Dio.
Questo buon vegliardo, che dona la sua vita, con tanta gioia, per Dio, non si accontenta di dire che lo ama, ma lo dimostra con le sue opere.
E’ vero che noi diciamo di amare il buo Dio, ma solo quando tutto va secondo i nostri desideri, quando nessuno ci contraddice nel nostro modo di pensare, di parlare o di agire.
Quante volte una sola parola, un’aria di disprezzo, oppure soltanto un po’ di freddezza, o un pensiero derivante dal rispetto umano, non ci fanno abbandonare il buon Dio?
Abbiamo detto, fratelli miei, che se vogliamo testimoniare al buon Dio che lo amiamo, dobbiamo compiere la sua santa Volontà, che consiste nell’essere sottomessi, rispettosi, verso i nostri genitori, o i nostri superiori, e verso tutti coloro che il buon Dio ha posto al di sopra di noi, per guidarci.
La Volontà di Dio è che coloro che hanno l’incarico di superiori guidino i loro subalterni senza alterigia, senza durezza, ma con carità e con bontà, come vorremmo essere guidati noi; la Volontà di Dio è che siamo buoni e caritatevoli verso tutti, e che, se ci lodano, ben lungi dal ritenerci qulcosa, al contrario, pensiamo che ci si prende gioco di noi, come ci dice molto bene sant’Ambrogio: «Se ci disprezzano, non dobbiamo dispiacercene, ma pensare che se conoscessero bene chi siamo, direbbero ancora maggior male su di noi, di quello che già dicono».
O, come dice san Giovanni: «Se ci insultano, la Volontà di Dio è che perdoniamo di tutto cuore e immediatamente; e che siamo pronti a rendere loro un servizio, tutte le volte che se ne presenti l’occasione».
La Volontà di Dio è che durante i pasti, non ci abbandoniamo mai all’ingordigia; che nelle nostre conversazioni ci impegniamo a nascondere e a scusare i difetti del nostro prossimo, e che preghiamo per lui.
La Volontà di Dio è che, nelle nostre pene, non mormoriamo affatto, ma che le sopportiamo con pazienza e con rassegnazione alla sua Volontà; ciò significa che in ciò che facciamo e in tutto ciò che Egli ci invia, il buon Dio vuole che pensiamo che tutto viene realmente da Lui, e che tutto ciò serve alla nostra felicità, se sapremo farne un buon uso.
Ecco, fratelli miei, ciò che i comandamenti di Dio ci ordinano di fare.
Se amate il buon Dio, come dite, farete tutto ciò, vi comporterete in questo modo; altrimenti, avrete un bel dire che lo amate: san Giovanni vi dirà che siete dei menzogneri, e che la verità non è sulla vostra bocca (1 Giovanni 2,4).
Esaminiamo, fratelli miei, la nostra condotta e tutta la nostra vita, ed esaminiamo nel dettaglio tutte le nostre azioni.
Non dobbiamo fermarci ai nostri buoni pensieri, a tutti i nostri buoni desideri, e a tutte le emozioni che proviamo, come ad esempio, quando siamo commossi alla lettura di un buon libro, o ascoltando la Parola santa, e formuliamo tanti bei propositi: tutto ciò non è altro che illusione, se poi non ci applichiamo nel praticare quello che Dio ci ordina per mezzo dei suoi comandamenti, e se non evitiamo tutto ciò che ci viene proibito.
Guardate, fratelli miei, come siete in contraddizione con voi stessi.
Alla sera e al mattino congiungete le mani, facendo le vostre preghiere e dite: «Mio Dio, ti amo con tutto il cuore, e al di sopra di tutte le cose»; ma pensate di aver detto la verità?
Eppure, qualche momento dopo, le vostre mani sono occupate nel derubare il vostro prossimo, oppure, ahimè! in qualche azione vergognosa.
Quante volte non avete impiegato quelle mani per riempirvi di vino e per darvi alla crapula? quella stessa bocca che ha appena pronunciato un atto d’amore per Dio, si insozzerà, non appena se ne presenti l’occasione, con dei giuramenti, con dei racconti di maldicenza, di calunnie, e con ogni sorta di parole che offenderanno e disonoreranno quello stesso Dio, al quale avete detto appena poco fa, che lo amavate con tutto il vostro cuore.
Ahimè! fratelli miei, diciamo di amare Dio con tutto il nostro cuore! dove sono le prove che ci assicurino che ciò che diciamo è vero? (il “positivismo assoluto” del curato, in chiave spirituale, smaschera tutta quella spiritualità eterea, astrusa, allucinante, alienante e visionaria, che oggi riempie milioni di pagine su internet, anche a causa del ricorso frequente e in continua crescita, alle religioni orientali, spesso, però, fraintese e snaturate totalmente nel loro originario valore e profondità; n.d.a).
Si dice nel mondo che i veri amici si riconoscono nell’occasione; questo è vero, e occorrono delle prove, per conoscere se gli amici sono sinceri: questo è molto facile da comprendere.
Infatti, se io, folle, dicessi che sono vostro amico, ma non facessi nulla per dimostrarvelo, ma, al contrario facessi mille cose per procurarvi delle pene; se in tutte le occasioni in cui potessi dimostrarvi il mio attaccamento, io non vi offrissi altro che dei segni di avversione, voi non potreste credere che io vi ami, nonostante che ve lo ripeta continuamente volte.
La stessa cosa accade, fratelli miei, in relazione a Dio.
Avrete un bel dire, cento volte al giorno: «Mio Dio, io ti dono il mio cuore»; questo non basterà affatto.
Bisogna dargliene delle prove in tutto quello che facciamo ogni giorno, dal momento che non ne trascorre uno solo, in cui non siamo obbligati a fare qualche sacrificio per il buon Dio, se non vogliamo offenderlo, ma desideriamo amarlo.
Quante volte il demonio non ci ispira pensieri di orgoglio, di odio, di vendetta, di ambizione, di gelosia, e tanti sentimenti di collera e d’impazienza?
Quanti pensieri o desideri contrari alla santa virtù della purezza?
E, altre volte, quanti pensieri e desideri di avarizia?
Ahimè! il nostro miserabile corpo ci induce senza sosta al male, mentre le luci della coscienza e le suggestioni della grazia ci inducono al bene.
Ebbene! fratelli miei, ecco che cosa significa piacere a Dio, che cosa significa amarlo: vuol dire combattere, resistere coraggiosamente a tutte le tentazioni.
Ecco come forniremo delle prove dell’amore che nutriamno verso il buon Dio; ecco che cosa ci porrà in una continua disposizione di sacrificare qualunque cosa, pur di non offendere il buon Dio.
Voi dite di amare il buon Dio, o, almeno, che desiderate amarlo, ma siete dei bugiardi.
Perchè lasciate dunque entrare quel pensiero di orgoglio nel vostro cuore? perchè vi abbandonate a quelle mormorazioni, a quelle gelosie, a quelle maldicenze e a quelle compiacenze di voi stessi?
E’ perchè siete solo degli ipocriti.
Ma voi ne siete dispiaciuti, e lo credo bene; ne sarete molto dispiaciuti…
Ahimè! quanto sono pochi coloro che amano il buon Dio!…
Ammettiamolo, a vergogna del cristianesimo, che non vi è quasi nessuno che lo ami di quell’amore di preferenza, sempre pronto a sacrificare tutto per piacergli, e sempre timoroso di dispiacergli.
Guardate, fratelli miei, come si comportò sant’Eustachio con tutta la sua famiglia, guardate la sua costanza e il suo amore per il buon Dio.
Si racconta nella sua vita che, mentre era a caccia, stava seguendo un cervo di enorme grandezza; essendosi appostato su di una roccia e cercando il modo di prenderlo, vide tra le sue corna un bel crocifisso, che gli disse di andare a farsi battezzare e di ritornare, perchè Egli gli avrebbe insegnato tutto ciò che avrebbe dovuto soffrire per amor suo, e gli predisse che avrebbe perduto tutti i suoi beni, la sua reputazione, la sua donna, i suoi figli, e che sarebbe finito col bruciare nel fuoco.
Sant’Eustachio ascoltò tutto ciò senza il minimo timore nè la minima ripugnanza, e senza neppure mormorare minimamente.
Infatti, poco tempo dopo, la peste si infiltrò tra le sue greggi e tra i suoi schiavi, e non ne risparmiò nemmeno uno.
Tutti cominciarono a sfuggirlo, e nessuno voleva confortarlo. Vedendosi così miserabile, e così disprezzato, decise di andare in Egitto, dove aveva ancora qualche possedimento.
Sia lui che sua moglie, presero ciascuno i loro piccoli fanciulli per mano, e si abbandonarono alla Provvidenza del buon Dio.
Quando si divette attraversare l’acqua, il padrone del vascello trattenne la moglie per il passaggio, e lasciò a terra il padre e i figli, dirigendo la vela verso un’altro luogo.
Ecco il nostro sant’Eustachio, privato anche questa volta di una delle sue più grandi consolazioni.
Sopportando tutto ciò, senza un solo mormorio contro il comportamento che il buon Dio teneva con lui, ci racconta l’autore della sua vita che prese un piccolo crocifisso tra le sue mani, e baciandolo con rispetto, continuò il suo cammino.
Un po’ più in là, bisognava attraversare un fiume più largo… e tutto il resto… (molto strana questa interruzione volontaria del racconto, da parte del curato…; n.d.a.).
Ecco, fratelli miei, quello che possiamo chiamare un vero amore, poichè nulla fu capace di separarlo dal suo Dio.
Aggiungiamo, fratelli miei, che se amiamo veramente il buon Dio, dobbiamo desiderare grandemente di vederlo amare da tutte le creature.
Ne abbiamo un bell’esempio nella storia, dove troviamo un bello spettacolo di amore divino.
Una volta, nella città di Alessandria, fu vista una donna che teneva in una mano un vaso pieno di acqua, e nell’altra una fiaccola accesa.
Coloro che la videro, tutti meravigliati, le chiesero che cosa pretendesse fare con tutto quell’apparato.
«Vorrei, rispose, con questa fiaccola, infiammare tutto il cielo e tutti i cuori degli uomini, e con quest’acqua, spegnere tutto il fuoco dell’inferno, affinchè, non si amasse più il buon Dio nè per la speranza della ricompensa, nè per la paura della punizione riservata ai peccatori, ma unicamente perchè Egli è buono, e merita di essere amato».
Bei sentimenti, fratelli miei, degni della grandezza di un’anima che conosce chi è Dio, e quanto merita, di per se stesso, tutti gli affetti del nostro cuore.
Si racconta nella storia dei Giapponesi che, quando fu annunciato loro il Vangelo, li si istruiva intorno a Dio, e alla sua amabilità, soprattutto quando si insegnavano loro i grandi misteri della nostra santa religione, e tutto ciò che il buon Dio aveva fatto per gli uomini: un Dio che nasce in una povera stalla, coricato su un pugno di paglia, tra i rigori dell’inverno, un Dio sofferente e morente sulla croce per salvarci.
Essi restavano così stupiti per tutte queste meraviglie che Dio aveva compiuto, per la nostra salvezza, che li si poteva sentir gridare, nel loro trasporto d’amore: «Oh! com’è grande! oh! com’è buono! oh! com’è amabile, il Dio dei cristiani!».
Ma, quando in seguito si diceva loro che esisteva un comandamento che ordinava loro di amare il buon Dio, e che minacciava dei castighi se non lo avessero amato, essi ne restavano talmente sorpresi, che non riuscivano più a riprendersi dal loro stupore.
«E chè? dicevano, che bisogno c’è di fare per degli uomini ragionevoli un precetto di amare un Dio che ci ha tanto amati?…
Ma non è forse la più grande felicità amarlo, e la più grande sciagura il non amarlo?
Ma come? dicevano ai missionari, forse che i cristiani non sono sempre ai piedi degli altari del loro Dio, tutti rapiti dalla grandezza della sua bontà, e tutti infiammati d’amore?».
E quando si rispondeva loro che, non solo c’erano di quelli che non lo amavano, ma c’erano perfino quelli che lo offendevano: «O popolo ingiusto! O popolo barbaro! gridavano con indignazione; è mai possibile che dei cristiani siano capaci di un tale oltraggio verso un Dio così buono?
In quale terra maledetta abitano, dunque, questi uomini senza cuore e senza sentimenti?».
(Se l’abitudine non avesse banalizzato le sublimi e inconcepibili verità della nostra fede, ma ascoltassimo, da adulti, e non da bambini, per la prima volta, il racconto delle meraviglie dell’amore di Dio verso di noi, questa sarebbe la reazione più logica e più umana; n.d.a.).
Ahimè! visto il modo in cui ci comportiamo verso il buon Dio, meritiamo fin troppo questi rimproveri!
Sì, fratelli miei, verrà un giorno in cui queste nazioni lontane e straniere, useranno la loro testimonianza contro di noi, ci accuseranno e ci condanneranno davanti a Dio.
Quanti cristiani trascorrono la loro vita senza amare il buon Dio! Ahimè! forse ne troveremo molti, nel gran giorno del Giudizio, che non avranno dedicato un solo giorno intero al buon Dio! Ahimè! che disgrazia!…
San Giustino ci dice che l’amore ha ordinariamente tre effetti.
Quando amiamo qualcuno, pensiamo spesso e volentieri a lui; ci dedichiamo volentieri a lui, e soffriamo volentieri per lui: ecco, fratelli miei, cosa dobbiamo fare per il buon Dio, se lo amiamo veramente.
Anzitutto, ho detto, che dobbiamo pensare spesso a Gesù Cristo. Non c’è niente di più naturale che pensare a coloro che amiamo.
Guardate un avaro: egli non pensa ad altro che ai suoi beni e al modo di accrescerli; che sia da solo, o in compagnia, niente è capace di distrarlo da questo pensiero.
Guardate un libertino: la persona che forma l’oggetto del suo amore, non lo abbandona più del suo stesso respiro; ci pensa talmente che, spesso, il suo corpo ne resta accasciato, come se fosse ammalato.
Oh! se avessimo la fortuna di amare Gesù Cristo quanto un avaro ama il suo denaro o le sue terre, o quanto un ubriaco, ama il suo vino, o un libertino l’oggetto della sua passione, non saremmo continuamente occupati dall’amore e dalla contemplazione delle grandezze di Gesù Cristo?
Ahimè! fratelli miei, noi ci occupiamo di mille cose che, quasi tutte, servono a nulla, mentre per Gesù Cristo, passiamo delle ore e forse dei giorni interi, senza ricordarci di Lui, oppure lo facciamo in una maniera così debole, che crediamo appena a ciò che pensiamo.
O mio Dio, com’è vero che non sei amato!
Eppure, fratelli miei, fra tutti i nostri amici, ce n’è uno più generoso e più benevolo?
Ditemi: se avessimo pensato che, ascoltando il demonio che ci induceva a compiere il male, avremmo afflitto grandemente Gesù Cristo, che lo avremmo fatto morire una seconda volta, avremmo mai avuto questo coraggio?… non avremmo detto, piuttosto: come potrei offendere Te, Dio mio, Tu che ci hai tanto amati?
Sì, mio Dio, sia di giorno che di notte, il mio spirito e il mio cuore, non saranno occupati che dal pensiero di Te (il curato, col suo solito “pragmatismo” e “positivismo” spirituale, sottolinea che tale ricordo costante di Dio, non deve avere nulla di forzato e di artificioso, come in certe tecniche mnemoniche, compresa, a nostro parere, la cosiddetta “preghiera del cuore” della tradizione ortodossa, ma la si deve lasciare scaturire “spontaneamente” dall’amore vero, quando questo riempie l’anima; n.d.a.).
Io dico anche che, se amiamo veramente il buon Dio, gli doneremo tutto quello che è in nostro potere di dargli, e faremo ciò con grande piacere.
Se abbiamo dei beni, facciamone parte ai poveri, e sarà come se li doniamo a Gesù Cristo stesso; è Lui che ci dice, nel Vangelo: «Tutto quello che darete al più piccolo dei miei, e cioè ai poveri, è come se lo donaste a me» (Matteo 25,40).
Quale felicità, fratelli miei, per una creatura, poter essere generoso verso il suo Creatore, verso il suo Dio e suo Salvatore!
Non sono solo i ricchi che possono dare, ma tutti i cristiani, anche i poveri. Non tutti noi abbiamo dei beni da poter donare a Gesù Cristo, nella persona dei poveri, ma abbiamo tutti un cuore, ed è precisamente di questo regalo che egli è più geloso; è questo che domanda con maggiore premura.
Ditemi, fratelli miei, potremmo mai rifiutargli ciò che ci chiede con tanta insistenza, Lui che non ci ha creati che per Se stesso?
Ah! se ci pensassimo bene, non diremmo forse al divin Salvatore: «Signore, io non sono altro che un peccatore: abbi pietà di me; eccomi, sono tutto tuo!».
Come saremmo felici se facessimo questa offerta “universale” al buon Dio!
Come sarebbe grande la nostra ricompensa!…
Ma tuttavia il migliore segno di amore che possiamo dare al buon Dio, è quello di soffrire per Lui; poichè, se vogliamo ben considerare ciò che Egli ha sofferto per noi, non potremmo impedirci di soffrire tutte le miserie della vita, le persecuzioni, le malattie, le infermità e la povertà.
Chi non si lascerebbe intenerire alla vista di tutto quello che Gesù Cristo ha sofferto durante la sua vita mortale?
Quali oltraggi gli fanno soffrire gli uomini, con la profanazione dei suoi sacramenti, con il disprezzo della sua santa religione, la cui istituzione gli è costata tanto!
Quale accecamento, fratelli miei, per non amare un Dio così amabile, e che non cerca altro, in ogni cosa, che la nostra felicità!
Ne abbiamo un bell’esempio nella persona di santa Maddalena, divenuta celebre in tutta la Chiesa, per il grande amore che ha avuto verso Gesù Cristo.
Una volta che divenne sua, non lo abbandonò più, non soltanto con il cuore, ma concretamente: seguendolo nei suoi viaggi, assistendolo con i su