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L'assoluzione

«A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi, e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi»

Autore: Santo Curato d'Ars

Quanto è costato, fratelli miei, a questo divin Salvatore, donare efficacia a queste parole: «I peccati saranno rimessi, a coloro a cui li rimetterete, e saranno ritenuti, a coloro a cui voi li riterrete!». Ahimè! quanti tormenti, quanti obbrobri, e quale morte dolorosa!… Ma noi siamo così ciechi, così rozzi, così poco spirituali, che la maggior parte pensa che dipenda solo dal sacerdote dare o rifiutare l’assoluzione, come meglio gli piaccia. No, fratelli miei, ci sbagliamo grossolanamente; un ministro del sacramento della Penitenza non è altro che il dispensatore delle grazie e dei meriti di Gesù Cristo; egli non può dare l’assoluzione che secondo le regole che gli sono prescritte. Ahimè! da quale timore deve essere colto un povero prete, esercitando un ministero così temibile, nel quale egli si trova in un pericolo così grande di perdere se stesso, volendo salvare gli altri! Quale terribile resa dei conti per un povero prete, allorchè arriverà il giorno del Giudizio, e Dio stesso gli metterà sotto gli occhi tutte quelle assoluzioni, per esaminare se non sia stato o troppo prodigo di grazie del Cielo, oppure troppo severo. Ahimè! fratelli miei, com’è difficile camminare sempre nel giusto mezzo!… Quanti preti, nel giorno del Giudizio, vorrebbero non essere stati mai dei preti, ma dei semplici laici! Quanti fedeli si sentiranno colpevoli perchè, forse, non hanno mai pregato Dio per i loro pastori, che si sono esposti alla perdizione, per salvarli!… Ma, se un prete ha il potere di rimettere i peccati, egli ha anche il potere di ritenerli, e san Gregorio Magno ci dice anche che un prete deve esaminare per bene quali sono le disposizioni del peccatore, prima di dargli l’assoluzione. Deve vedere se il suo cuore è cambiato, se ha preso tutte le risoluzioni che deve avere un peccatore convertito. E’ evidente, dunque, che il ministro della Penitenza deve differire o rifiutare l’assoluzione a certi peccatori, sotto pena di dannarsi lui stesso, insieme al suo penitente. Io dunque vi mostrerò, o vi insegnerò: 1°- che cos’è l’assoluzione; 2°- chi sono quelli a cui bisogna darla o rifiutarla: materia molto interessante, perchè si tratta della vostra salvezza o della vostra perdizione. Com’è fortunato l’uomo, fratelli miei, e com’è colpevole! Dico che è fortunato, perchè, dopo aver perduto il suo Dio, il Cielo, e la sua anima, egli può ancora sperare di trovare dei mezzi così facili per riparare questa grande perdita, e cioè un’eternità di felicità. Il ricco che abbia perso la sua fortuna (cioè i suoi beni; n.d.a.)spesso non può, malgrado la sua buona volontà, ristabilirla; ma il cristiano, se ha perduto la sua fortuna eterna, può recuperarla senza che gli costi nulla, per così dire. O mio Dio! quanto ami il peccatore, dal momento che ci fornisci tanti mezzi per recuperare il Cielo! Ma ho detto anche che siamo molto colpevoli perchè, pur potendo guadagnare tanti beni, noi disprezziamo tutto! Hai perduto il Cielo, amico mio, e perchè vorresti continuare a vivere in una tale povertà?… Mio Dio! com’è facile per l’uomo peccatore evitare la sua disgrazia, e quale facilità egli ha di poter riparare! Se mi domandate che cosa sia l’assoluzione, vi risponderò che è un giudizio che il sacerdote pronuncia, nel Nome e per l’autorità di Gesù Cristo, e per mezzo del quale i nostri peccati ci sono rimessi e cancellati, come se non li avessimo mai commessi, a patto che chi li confessa, la riceva con le disposizioni che richiede questo sacramento. Ah! fratelli miei, chi di noi potrà impedirsi di ammirare l’efficacia di questo giudizio di misericordia? O momento felice, per un peccatore che si converte!… Non appena il sacerdote abbia pronunciato queste parole: «Io ti assolvo…», l’anima è lavata, purificata da tutte le sue sozzure, con il Sangue prezioso che scorre su di lei. Mio Dio! come sei buono con il peccatore!… Diciamo anche, fratelli miei, che la nostra povera anima è sottratta alla tirannia del demonio, e ristabilita nell’amicizia e nella grazia del suo Dio; ella riscopre la pace, quella pace così preziosa, che costituisce tutta la felicità dell’uomo in questo mondo e nell’altro; l’innocenza gli viene restituita, con tutti i suoi diritti al Regno di Dio, che i suoi peccati gli avevano rapito. Ditemi, fratelli miei, non dovremmo essere penetrati e inteneriti fino alle lacrime, alla vista di tante meraviglie? Avreste mai potuto pensare che, ogni volta che un peccatore riceve l’assoluzione, gli siano accordati tutti questi beni? Ma tutto ciò non è donato e non deve essere donato se non a coloro che lo meritano, e cioè, che sono peccatori, è vero, ma peccatori convertiti, che biasimano la loro vita passata, non soltanto perchè hanno perduto il Cielo, ma perchè sono stati condotti a oltraggiare Colui che merita di essere infinitamente amato. Se desiderate sapere quando vi si debba differire o rifiutare l’assoluzione, ecco: ascoltatelo bene e imprimetelo nel vostro cuore, affinchè, ogni volta che andrete a confessarvi, possiate conoscere se meritate di essere assolti o rinviati. Io trovo otto ragioni che devono indurre il sacerdote a differirvi l’assoluzione; è la Chiesa stessa che ha stabilito queste regole, sulle quali il sacerdote non può sorvolare; se vi passa sopra, disgraziato lui e colui che egli guida: è un cieco che conduce un altro cieco, precipiteranno entrambi all’inferno. Il dovere del ministro è quello di applicare per bene queste regole, e il vostro, di non mormorare mai, se non vi si dà l’assoluzione. Se un sacerdote ve la rifiuta, è perchè vi ama, e desidera sinceramente salvare la vostra povera anima, e voi conoscerete ciò nel giorno del Giudizio: è allora che vedrete che non era stato altro che il desiderio di condurvi al Cielo, che lo aveva portato a differire l’assoluzione. Se ve l’avesse accordata, come voi desideravate, vi sareste dannati. Perciò non dovete mai, fratelli miei, mormorare allorchè un prete non vi dà l’assoluzione, ma, al contrario, dovete ringraziarne il buon Dio, e lavorare con tutte le vostre forze per meritare quella felicità. Io dico, anzitutto, che coloro che non sono abbastanza istruiti, non meritano l’assoluzione: il prete non deve dargliela, e non lo può fare senza rendersi colpevole; perchè ogni cristiano è obbligato a conoscere Gesù Cristo, con i suoi misteri, con la sua dottrina, le sue leggi e i suoi sacramenti. San Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, ci dice espressamente che non si deve dare l’assoluzione a coloro che non conoscono i principali misteri del cristianesimo, e gli obblighi peculiari del loro stato: «Soprattutto, ci dice, quando si riconosce che la loro ignoranza deriva dall’indifferenza verso la loro salvezza». Le leggi della Chiesa proibiscono di dare l’assoluzione ai padri e alle madri, ai padroni o alle padrone che non istruiscono affatto i loro figli o i loro domestici, o che non li fanno istruire da altri, intorno a tutto ciò che è necessario per essere salvati; oppure che non vegliano sulla loro condotta, che omettono di correggerli dai loro disordini morali e dai loro difetti. Dirvi in generale che coloro che non sanno ciò che è necessario per essere salvati non meritano l’assoluzione, sarebbe come informare una persona che è caduta in un precipizio, senza poi fornirle, concretamente, i mezzi necessari per uscirne (vuol dire che occorre specificare che cosa sia necessario sapere, per essere degni di ricevere l’assoluzione; n.d.a.). Vi mostrerò dunque ciò che dovete conoscere per uscire da quest’abisso d’ignoranza; imprimetevelo bene nei vostri cuori, affinchè non si cancelli mai, e possiate insegnarlo ai vostri figli, in modo che i vostri figli l’insegnino ad altri. Vi ripeto, fratelli miei, ciò che vi ho già detto varie volte: un cristiano deve conoscere il “Padre nostro”, l’ “Ave Maria”, il “Credo in Dio”, il “Confesso a Dio”, i tre atti di Fede, di Speranza e d’Amore, i Comandamenti di Dio e della Chiesa, e l’atto di contrizione. Con questo non voglio dire che devono conoscere solo le parole, perchè bisognerebbe essere terribilmente ignoranti per non conoscerle affatto; ma dico che, se vi si interroga, voi dovete rendere conto della spiegazione di ogni articolo in particolare, e di ciò che vogliono significare. Ecco ciò che vi chiedo, è di non conoscere solo a memoria le parole. Dovete sapere che il “Padre nostro” è stato composto da Dio stesso; che l’ “Ave Maria”, è stata composta, una parte dall’angelo, quando venne a trovare la santa Vergine per annunciarle il mistero dell’Incarnazione, e l’altra parte dalla Chiesa (ma nella prima parte ci sono anche le parole di saluto di Elisabetta; n.d.a.). Dovete sapere che il “Credo in Dio” è stato composto dagli apostoli, dopo la discesa dello Spirito Santo, prima di disperdersi per il mondo (ma il fatto che si chiami “Credo apostolico” non deve trarre in inganno; n.d.a.); perciò in tutti i luoghi del mondo si insegna la medesima religione e gli stessi misteri. Esso racchiude la sintesi di tutta la nostra santa religione, il mistero della santa Trinità, che è un solo Dio in Tre Persone, e cioè, il Padre che ci ha creati, il Figlio che ci ha riscattati con la sua morte e con le sue sofferenze, e lo Spirito Santo che ci ha santificati nel santo Battesimo. Quando voi dite: «Io credo in Dio Padre onnipotente, creatore, ecc.», è come se diceste: Io credo che il Padre eterno ha creato tutto, i nostri corpi e le nostre anime, che il mondo non è esistito sempre, che non resterà per sempre, e che un giorno tutto sarà annientato. Quando dite: «Io credo in Gesù Cristo», è come se diceste: Io credo che Gesù Cristo, la seconda Persona della santa Trinità, si è fatto uomo, ha sofferto, è morto per riscattarci dal peccato, per meritarci il Cielo che il peccato di Adamo ci aveva rapito. Quando dite: «Credo nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, ecc.», è come se diceste: Io credo che vi è una sola religione, che è quella che insegna la Chiesa, che è Gesù Cristo stesso che l’ha istituita, che vi ha racchiuso tutte le sue grazie, che tutti coloro che non fanno parte di questa Chiesa non saranno salvati, e che questa Chiesa dovrà durare fino alla fine del mondo (il vecchio assioma “extra ecclesia nulla salus”, riguarda solo coloro che consapevolmente e ostinatamente la rifiutano o la rinnegano; n.d.a.). Quando dite: «Credo la comunione dei santi», è come se diceste: Io credo che tutti i cristiani condividono tutte le loro preghiere, tutte le loro buone opere, io credo che i santi che sono in Cielo, pregano il buon Dio per noi, e che noi possiamo pregare per coloro che sono nelle fiamme del Purgatorio. Quando dite: «Credo la remissione dei peccati», è come se diceste: Io credo che vi sono, nella Chiesa di Gesù Cristo, dei sacramenti che rimettono ogni specie di peccato, e che non vi è nessun peccato che la Chiesa di Gesù Cristo non possa rimettere (tranne la “bestemmia contro lo Spirito Santo”, ossia l’insincerità verso Dio; n.d.a.). Quando dite: «Credo la risurrezione della carne», ciò significa che i nostri stessi corpi, che abbiamo ora, risusciteranno un giorno, e che le nostre anime vi rientreranno per andare in Cielo, se avremo avuto la fortuna di servire per bene il buon Dio, oppure per andare all’inferno e bruciarvi per tutta l’eternità… Quando dite: «Credo la vita eterna», è come dire: Io credo che l’altra vita non finirà mai, che la nostra anima durerà quanto Dio stesso, che è senza fine. Quando dite: «Da dove verrà a giudicare i vivi e i morti», è come se diceste: Io credo che Gesù Cristo è in Cielo, in corpo e anima, e che è lui stesso che verrà per giudicarci, per ricompensare coloro che si saranno comportati bene, e per punire coloro che lo avranno disprezzato. Bisogna sapere che i comandamenti di Dio sono stati donati ad Adamo, nell’atto della sua creazione, e cioè Dio li ha incisi nel suo cuore, e poi, dopo che Adamo ebbe peccato, Dio li diede a Mosè, scritti su due tavole di pietra, sul monte Sinai. Sono i medesimi che Dio rinnovò Lui stesso, allorchè venne sulla terra per salvare tutti noi. Io dico che voi dovete conoscere i tre atti di Fede, di Speranza e di Carità. Non voglio dire semplicemente le parole a memoria – e chi è che non le conosce? – ma il significato di questi atti. La fede ci fa credere tutto ciò che la Chiesa ci insegna, sebbene non riusciamo a comprenderlo; essa ci fa credere che Dio ci vede, veglia sulla nostra conservazione, che ci ricompenserà o che ci punirà, secondo che ci siamo comportati bene o male; che vi è un Cielo per i buoni e un inferno per i cattivi; che Dio ha sofferto e che è morto per noi. La speranza ci fa fare tutte le nostre azioni con l’intenzione di piacere a Dio, perchè esse saranno ricompensate per tutta l’eternità. Dobbiamo credere che nè la fede nè la speranza saranno più necessarie in Cielo, o, piuttosto che lì non avremo bisogno nè della fede nè della speranza: niente da credere, perchè non ci saranno più misteri, e nulla da sperare, perchè vedremo tutto ciò che abbiamo dovuto credere, e possederemo tutto ciò che abbiamo sperato; non ci sarà più altro che l’amore, che ci consumerà per tutta l’eternità, e ciò costituirà tutta la nostra felicità. In questo mondo, l’amore di Dio consiste nell’amare il buon Dio al di sopra di tutto ciò che è stato creato, preferirlo a tutto, perfino alla nostra stessa vita. Ecco, fratelli miei, che cosa si vuol dire quando si afferma che dovete conoscere il Padre nostro, l’Ave Maria, il Credo in Dio, il Confesso a Dio, e i tre atti. Se non sapete tutto ciò, vuol dire che non conoscete ciò che è necessario per salvarvi; bisogna almeno che, se vi si interroga su ciò che vi ho spiegato poco fa, voi sappiate rispondere. Ma non è ancora tutto: occorre che sappiate che cos’è il mistero dell’Incarnazione e che cosa voglia dire la parola “Incarnazione”. Dovete sapere che questo mistero vuol dire che la seconda Persona della santa Trinità ha preso un corpo come il nostro, nel seno della santa Vergine Maria, per virtù dello Spirito Santo. Noi onoriamo questo mistero il 25 marzo, il giorno dell’Annunciazione, perchè è in questo giorno che il Figlio di Dio ha congiunto la sua Divinità con la nostra umanità; che ha preso un corpo come il nostro, tranne il peccato, e che si è caricato di tutti i nostri peccati, per soddisfare alla giustizia di suo Padre. Bisogna sapere che il 25 dicembre Gesù Cristo è venuto al mondo, a mezzanotte, nel giorno di Natale. Sapete che in questo giorno si dicono tre messe, per onorare le tre nascite di Gesù Cristo: la prima, nel seno di suo Padre, da tutta l’eternità; la seconda, la sua nascita corporale nel presepio, e la terza, la sua nascita nelle nostre anime, per mezzo della santa Comunione. Dovete sapere che è il giovedì santo che Gesù Cristo ha istituito il sacramento adorabile dell’Eucaristia. La vigilia della sua morte, stando con i suoi apostoli, Egli prese il pane, lo benedisse, e lo cambiò nel suo Corpo. Poi prese del vino, con un po’ di acqua, e lo cambiò nel suo Sangue, e diede a tutti i sacerdoti, nella persona degli apostoli, il potere di fare lo stesso miracolo, tutte le volte che avessero pronunciato le stesse parole: ciò che accade durante la santa Messa, allorchè il sacerdote pronuncia le parole della consacrazione. Dovete sapere che fu il venerdì santo che Gesù Cristo è morto, e cioè, che è morto come uomo, ma non come Dio, perchè come Dio egli non poteva morire. Dovete sapere anche che Egli è risuscitato il santo giorno di Pasqua, e ciò significa che la sua anima si è ricongiunta col suo corpo, e poi, dopo essere stato quaranta giorni sulla terra, egli è salito in Cielo, nel giorno dell’Ascensione. Dovete sapere che lo Spirito Santo è disceso sugli apostoli il giorno di Pentecoste. Bisogna che se vi si interroga e vi si chiede quando i sacramenti siano stati istituiti da Gesù Cristo, o quando hanno cominciato ad avere il loro effetto, ossia ci hanno comunicato tutte le loro grazie, bisogna, dunque, che voi possiate rispondere che ciò accadde dopo la Pentecoste. Se vi si chiede chi li abbia istituiti, dovete rispondere che non può essere stato che Gesù Cristo che abbia potuto istituirli: non è stata nè la santa Vergine nè gli apostoli. Dovete sapere anche quanti sono i sacramenti, quali sono gli effetti di ogni sacramento, e quali sono le disposizioni che bisogna avere per riceverli. Dovete sapere che il Battesimo cancella in noi il peccato originale, che è il peccato di Adamo, che tutti noi contraiamo quando veniamo al mondo; e che la Confermazione ci è donata dal vescovo, e ci infonde lo Spirito Santo, con l’abbondanza delle sue grazie; e che il sacramento della Penitenza ci è donato quando ci confessiamo, e che, quando il sacerdote ci dà l’assoluzione, se siamo ben prepararti, tutti i nostri peccati ci sono perdonati. Nella santa Eucaristia, noi riceviamo non la santa Vergine, nè gli angeli, nè i santi, ma il Corpo adorabile e il Sangue prezioso di Gesù Cristo. In quanto Egli è Dio, noi riceviamo insieme a Lui le tre Persone della Santa Trinità, e cioè il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, e, in quanto uomo, riceviamo solo il Figlio: e cioè il suo Corpo e la sua anima, uniti alla sua Divinità. Il sacramento dell’Estrema Unzione, è quello che ci aiuta a morire bene, ed è stato istituito per purificarci dai peccati che abbiamo commessi con tutti i nostri sensi (?). Il sacramento dell’Ordine, comunica agli uomini lo stesso potere che il Figlio di Dio diede ai suoi apostoli. Questo sacramento è stato istituito quando Gesù Cristo disse ai suoi apostoli: «Fate questo in memoria di me, e tutte le volte che pronuncerete le mie stesse parole, voi compirete lo stesso miracolo». Il sacramento del Matrimonio santifica i cristiani che si uniscono insieme, secondo le leggi della Chiesa e dello Stato. C’è da dire anche che vi è una differenza tra il sacramento dell’Eucaristia e tutti gli altri. In quello dell’Eucaristia, noi riceviamo il Corpo adorabile e il Sangue prezioso di Gesù Cristo, mentre negli altri riceviamo solo l’applicazione del suo Sangue prezioso. Viene dato anche il nome di sacramenti dei morti ad alcuni, mentre agli altri il nome di sacramenti dei vivi. Ecco perchè si dice che il Battesimo, la Penitenza, e, qualche volta, l’Estrema Unzione, sono i sacramenti dei morti: è perchè la nostra anima è come morta agli occhi di Dio, a causa del peccato, e questi sacramenti risuscitano la nostra anima alla grazia. Gli altri vengono chiamati sacramenti dei vivi, perchè per riceverli occorre essere in stato di grazia, ossia, senza peccato. Bisogna ancora sapere che quando Gesù Cristo ha sofferto sulla croce, nè il Padre, nè lo Spirito Santo hanno sofferto affatto, nè sono morti; ma è solamente il Figlio che ha sofferto e che è morto, come uomo e non come Dio. Ebbene, fratelli miei, se vi avessi interrogati, avreste saputo rispondere a tutto ciò?… Se non conoscete tutto quello che vi ho appena detto, voi non siete sufficientemente istruiti per potervi salvare. Abbiamo detto che i padri e le madri, i padroni e le padrone, devono essere istruiti su tutto ciò che riguarda il loro stato, per potersi salvare. Un padre, una madre, un padrone, una padrona, devono conoscere tutti gli obblighi che devono adempiere verso i loro figli e i loro domestici; e cioè devono conoscere perfettamente la loro religione, per insegnarla ai loro figli e ai loro domestici; senza di ciò, essi non sono altro che dei poveri sciagurati che si precipitano tutti insieme nell’inferno! Ahimè! quanti padri e madri, padroni e padrone, che non conoscono affatto la loro religione; che marciscono con i loro figli e i loro domestici in una ignoranza colpevole, e che non devono aspettare altro che la morte, per essere gettati nell’inferno! San Paolo ci dice che colui che ignora i suoi doveri, merita di essere ignorato da Dio (1 Corinzi 14,38). Converrete con me che tutte queste persone sono indegne dell’assoluzione, e, se hanno la disgrazia di riceverla (per la compiacenza di qualche confessore lavativo; n.d.a.), ciò non è altro che un sacrilegio, che ricade sulle loro povere anime. O mio Dio! com’è vero che l’ignoranza fa dannare il mondo! Dobbiamo essere certissimi che questo solo peccato ne farà dannare di più di tutti gli altri messi insieme; perchè una persona ignorante non conosce nè il male che commette, peccando, nè il bene che si perde; perciò si può dire che una persona ignorante è una persona perduta! (Questo “abrègè”, come lo chiama il curato, cioè questo compendio semplice, chiaro e preciso, della dottrina cristiana, viene presentato dal santo come condizione essenziale per l’assoluzione; in realtà, non solo per la Confessione, ma per tutti gli altri sacramenti vale tale principio, poichè occorre la piena consapevolezza di ciò che si fa e di ciò che si riceve, perchè un sacramento sia ricevuto validamente. Con questo criterio, sacrosanto e indiscutibile, qual è la percentuale di Comunioni, Confessioni, Cresime, Matrimoni, da ritenere, in coscienza, validi e ben amministrati? Ai nostri giorni, molto più che al tempo del curato, la percentuale sfiorerebbe lo 0,…; n.d.a.). Ho detto anche, in secondo luogo, che bisogna differire l’assoluzione a coloro che non danno nessun segno di contrizione, e cioè, di dispiacere per i peccati che hanno commesso. Ma, anzitutto, l’esperienza ci insegna che non dobbiamo affatto fidarci di tutte le promesse e di tutte le proteste che si fanno. Tutti ci diranno che sono addolorati per aver offeso il buon Dio, che vogliono correggersi immediatamente, e che, se sono venuti a confessarsi, lo hanno fatto esclusivamente per questo motivo. Allora il sacerdote, credendoli sinceri, dà loro l’assoluzione. Ma poi, che cosa consegue a tutte queste risoluzioni? Ecco: succede che otto giorni dopo che sono stati assolti, essi dimenticano tutte le loro promesse e «ritornano al loro vomito» (2 Pietro 2,22), e cioè, a tutte le loro cattive abitudini. E perciò, tutte le proteste esteriori, non sono affatto prove sufficienti di conversione. Gesù Cristo ci dice che «solo dai frutti si riconosce l’albero»; allo stesso modo, è soltanto dal cambiamento di vita che si può conoscere se si sia avuta la contrizione necessaria, per essere degni dell’assoluzione. Quando si è rinunciato sinceramente ai propri peccati, non bisogna accontentarsi di piangerli, ma bisogna anche lasciare, abbandonare e fuggire tutto ciò che è in grado di condurvici di nuovo: e cioè, bisogna essere pronti a soffrire qualunque cosa, piuttosto che ricadere nei peccati che abbiamo appena confessati. Occorre che si noti in noi un cambiamento completo, senza il quale, non abbiamo meritato l’assoluzione, e vi è ragione di credere che abbiamo commesso solo un sacrilegio. Ahimè! come sono pochi quelli nei quali si noti un cambiamento, dopo aver ricevuto l’assoluzione!… Mio Dio! quanti sacrilegi!… Ah! se almeno su trenta assoluzioni ce ne fose almeno una buona, come il mondo si convertirebbe ben presto! Queste persone non meritano dunque l’assoluzione, perchè non offrono segni sufficienti di contrizione. Ahimè! quante volte, siccome li si è rimandati, quelli non ritornano più. Ma è solo perchè, in realtà, non avevano nessuna voglia di convertirsi, perchè altrimenti, invece di abbandonare la confessione fino alla prossima Pasqua, essi si sarebbero dati da fare con tutto il cuore per cambiare vita, e venire a riconciliarsi con il buon Dio (non c’è spazio, per il curato, a considerazioni del tipo: “se no poi la gente si allontana”, come non ce n’era per padre Pio; la Confessione era, per loro, una cosa serissima, e non una devozione abitudinaria senza senso, inutile e sacrilega, come in molto casi accade oggi, allorchè, col supporto di molti, a volte perfino “altolocati”, il senso del peccato sta scomparendo; n.d.a.). In terzo luogo, affermo che bisogna negare l’assoluzione a tutti coloro che conservano odio, risentimento nel loro cuore, che rifiutano di perdonare o di fare il primo passo per riconciliarsi; perciò bisogna stare molto attenti, fratelli miei, a non ricevere mai l’assoluzione, se avete qulcosa contro il vostro prossimo (Matteo 6,14-15!; 5,23-24!; le parole del curato sono indiscutibilmente vere, stando alle parole di Gesù sopra citate; ma c’è da chiedersi, quanti di noi, da anni, stando a questo criterio, hanno fatto solo Confessioni non valide e, di conseguenza, comunioni sacrileghe? e questo spiega tante cose…; n.d.a.). Dopo aver avuto qualche difficoltà, dovete essere tanto ben disposti a rendergli (al prossimo che ci abbia offesi) il vostro servizio, e di buon grado, come se per tutta la vostra vita egli non vi avesse fatto altro che del bene. Se vi accontentate di dire che non gli volete del male, ma che gli restate indifferenti, e che non lo salutate di buon grado, o che evitate la sua compagnia, o che preferite altri rapporti al suo, significa che non lo amate come dovreste fare per meritare il perdono del buon Dio per i vostri peccati (Matteo 18,35!). Dio non perdonerà a voi che nella misura in cui voi perdonerete sinceramente al vostro prossimo; perciò, fino a che continuerete a risentirvi di qualcosa, nel vostro cuore, contro di lui, non vi resta che lavorare per sradicare tutto ciò; solo dopo riceverete l’assoluzione (si salvi chi può, o meglio, chi si salva? ma, che lo si voglia o no, il curato è pienamente in linea col “Vangelo vero”, non con quello addomesticato dai falsi maestri, a qualunque livello; n.d.a.). Lo so bene che si può, e in alcuni casi, si deve, evitare le compagnie che possono esporci a litigare con l’uno o con l’altro, laddove, naturalmente, non si tratti della condotta dei vostri vicini (che non si possono evitare per forza di cose; n.d.a.). Riguardo a queste persone, ecco come ci si deve comportare: non frequentarli se non è strettamente necessario; ma non voler loro del male, nè parlar male di loro; accontentarsi di pregare il buon Dio per loro. Ascoltate ciò che Gesù Cristo dice nel Vangelo: «Se, stai per presentare la tua offerta all’altare, e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, o che tu lo hai offeso, lascia lì la tua offerta, e va’, prima, a riconciliarti col tuo fratello». «Un giudizio di condanna, ci dice Gesù Cristo è riservato a colui che non avrà usato misericordia verso il suo fratello» (non è scritto nel Vangelo, ma nella Lettera di Giacomo 2,13; n.d.a.). Capite bene come me, fratelli miei, che tutte le volte che abbiamo qualcosa contro qualcuno, non dobbiamo ricevere l’assoluzione, perchè equivarrebbe a esporsi a compiere un sacrilegio, che è la più grande di tutte le disgrazie. Affermo anche, in quarto luogo, che bisogna trattare allo stesso modo (negando l’assoluzione), coloro che abbiano fatto qualche torto al prossimo, e che si rifiutano di riparare il male che hanno fatto, o nella sua persona o nei suoi beni; non si può nemmeno dare l’assoluzione a una persona che è in “articulo mortis”, e che ha da fare delle restituzioni, ma che le lascia in eredità ai suoi ereditieri. Tutti i padri dicono che per colui che possiede dei beni sottratti ad altri, e che potrebbe restituirli, ma non li restituisce, non c’è nessun perdono nè salvezza che si possa sperare per lui (può sembrare troppo duro, ma si pensi a quante disuguaglianze sociali si sono prodotte per queste “appropriazioni indebite”, tramandate di generazione in generazione, e che con questo deterrente, potrebbero almeno diminuire di numero; n.d.a.). In quinto luogo, io dico che si deve rifiutare l’assoluzione a coloro che sono nell’occasione prossima di peccare, ma si rifiutano di uscirne. Si chiamano occasione prossima di peccare, tutte quelle situazioni che possono indurci, ordinariamente, a commettere un peccato, come ad esempio i balli, le danze, i cattivi libri, le conversazioni oscene, i quadri indecenti, i modi disonesti di vestirsi, le cattive compagnie, la frequentazione delle persone di diverso sesso, i legami con persone con cui si è già peccato, ecc. (padre Pio, tanto decantato da parte di molti devoti ipocriti e blasfemi, negava l’assoluzione perfino alle figlie spirituali che avessero assistito ai balli, ecc. ecc.; n.d.a.). Rientrano in questa categoria anche i mercanti che non sanno vendere nulla, senza mentire o fare giuramenti, o i cabarettisti che danno da bere agli ubriachi, magari durante gli uffici religiosi o la notte; come pure i domestici che restano in una casa, dove sono costantemente sollecitati al male da qualcuno della casa. A tutte queste persone non deve e non può, senza dannarsi, concedere l’assoluzione, a meno che queste persone non promettano di astenersi da queste cose, e di rinunciare a tutto ciò che li possa indurre in peccato, o che costituiscano per essi una occasione di peccato. In caso contrario, ricevendo l’assoluzione, non possono fare altro che un sacrilegio. In sesto luogo, affermo che si debba rifiutare l’assoluzione a coloro che danno scandalo; che con le loro parole, i loro consigli e i loro esempi perniciosi, inducono gli altri a peccare; tali sono quei cattivi cristiani che prendono in giro la Parola di Dio e coloro che l’annunciano, sia che si tratti dei loro stessi pastori che di altri preti; a coloro che deridono la religione, la pietà e le cose sante; che dicono cose contrarie alla fede o ai buoni costumi; a coloro che ospitano nelle loro case i veglioni, le danze profane o i giochi proibiti; che possiedono quadri disonesti, indecenti, o libri cattivi; come pure a coloro che si abbigliano nell’intenzione di piacere agli altri, e che, con i loro sguardi, il loro modo di fare, con le loro tenute accattivanti, fanno commettere tante fornicazioni e adulteri del cuore (Matteo 5,28!). Un confessore, dice san Carlo Borromeo, deve rifiutare l’assoluzione a tutte queste persone, poichè è scritto: «Guai a colui a causa del quale avviene lo scandalo!». Dico inoltre, in settimo luogo, che si deve rifiutare l’assoluzione, cioè differirla, ai peccatori abituali, che da lungo tempo ricadono negli stessi peccati, e che non fanno affatto, o almeno, fanno molto pochi sforzi, per correggersi. Appartengono a questo numero coloro che hanno l’abitudine di mentire ad ogni momento, che non se ne fanno scrupolo, che provano piacere a dire delle menzogne, per far divertire gli altri; come pure coloro che hanno l’abitudine di parlare male del prossimo, e che hanno sempre qualcosa da dire sul suo conto; come pure coloro che hanno l’abitudine di fare quei piccoli giuramenti: «Mio Dio, sì; mio Dio, no; in fede mia; perbacco, il J…F…, B…, F…, S…, N… F…, e altre cose simili» (impossibile decifrare il senso di quelle lettere puntate, che gli ascoltatori dell’epoca, dovevano facilmente intendere; n.d.a.); come pure coloro che hanno l’abitudine di mangiare ad ogni momento, anche senza necessità; coloro che si spazientiscono in continuazione, per un nonnulla; coloro che mangiano e bevono fino all’eccesso; come pure coloro che non fanno abbastanza sforzi per correggersi da certi pensieri di orgoglio, di vanità, o dai cattivi pensieri contro la purezza. Infine, dico che si dovrà rifiutare l’assoluzione, a tutti coloro che non accusano da soli i loro peccati, ma che aspettano che il confessore glieli domandi. Non spetta al prete confessare i vostri peccati, ma a voi; se il sacerdote vi fa qualche domanda, è solo per supplire a ciò che voi non avreste potuto riconoscere. Ahimè! a una parte dei penitenti, bisogna estrarre i loro peccati, per così dire, dal fondo del cuore; e ci sono quelli che disputano col loro confessore, dicendo che essi non hanno poi fatto un gran male. E’ evidente che queste persone non sono degne di ricevere l’assoluzione, e che essi non hanno le disposizioni necessarie che questo sacramento richiede, per non essere profanato. Tutti i Padri sono d’accordo su questo punto, e cioè che, quando non vi sia nessun cambiamento nè emendamento, in una persona che si confessa, la sua penitenza è falsa e ingannevole. Il santo Concilio di Trento ci ordina di non dare l’assoluzione se non a coloro nei quali si nota la cessazione del peccato, l’odio e la detestazione del passato, la risoluzione e l’inizio di una vita nuova. Ecco, fratelli miei, le regole dalle quali un confessore non può discostarsi, senza che si perda lui stesso, insieme ai suoi penitenti (su questo argomento la Chiesa dà attualmente delle indicazioni di carattere generale, ma, in ultima analisi, spetta al confessore la decisione finale; anche padre Pio, molte volte non assolveva i suoi penitenti, anche per motivi che oggi sembrerebbero futili, ma lo si faceva sempre avendo di mira il bene delle singole persone, per aiutarle a vincere la leggerezza, nemica di ogni progresso spirituale serio e sincero, e madre di ogni mediocrità e tiepidezza; n.d.a.). Ma vediamo adesso, quali sono le ragioni che si danno, per spingere un confessore a dare l’assoluzione. Alcuni dicono che negare l’assoluzione a coloro che vengono più volte a confessarsi, significa distruggere la religione, e far apparire troppo difficile il compimento di ciò che essa ci comanda; che è come rigettare i peccatori, e che, così facendo, li si spinge ad abbandonare la religione; che li si getta nell’inferno; che molti altri confessori sono meno esigenti; che almeno si avrebbe il piacere di vedere, nella parrocchia, un gran numero di quelli che farebbero il precetto pasquale, e che, ogni anno, ritornerebbero più volentieri a confessarsi; che, chi troppo vuole, nulla ottiene, ecc. Fratelli miei, tutti coloro che ragionano in questo modo, sono proprio quelli che meritano di meno questa grazia. Ma, amici miei, fin dagli inizi della Chiesa, tutti i Padri hanno seguito questa regola; che bisogna assolutamente aver abbandonato il peccato, per poter ricevere l’assoluzione (si intravedono chiaramente i due binari paralleli e discordanti, sui quali si sono mossi i confessori, nella storia della chiesa; i rigoristi, come il curato, e i tolleranti o buonisti, come gli oppositori, entrambi con buone ragioni a loro sostegno, ma dai frutti si dovrebbe riconoscere l’opzione migliore; attualmente, il problema non si pone più, essendo rimasto un binario solo, quello buonista, sul quale il treno è già deragliato disastrosamente; n.d.a.). Il rifiuto dell’assoluzione sembra duro soltanto ai peccatori impenitenti; essa può ripugnare solo a coloro che non pensano affatto a convertirsi. Qual è il risultato, fratelli miei, di queste assoluzioni precipitose? Lo potete capire da voi stessi. Ahimè! è una catena di sacrilegi. Non appena siete stati assolti, vi rituffate subito nei vostri soliti peccati; la facilità con la quale avete ottenuto il vostro perdono, vi fa sperare che l’otterrete, la prossima volta, altrettanto facilmente, e perciò continuate il vostro stesso genere di vita; invece, se vi fosse rifiutata l’assoluzione, sareste costretti a rientrare in voi stessi, ad aprire gli occhi sulla vostra disgrazia, dalla quale rischiate forse di non uscire mai. La vostra povera vita altro non è che una sequenza di assoluzioni e di ricadute (della serie: “mi confesso perchè ho peccato, e pecco di nuovo, tanto poi mi potrò confessare”:il diavolo che si morde la coda…: n.d.a.). Mio Dio quale disgrazia! Ecco dove vi porta la nostra disgraziata facilità di assolvervi. La vera crudeltà, non è forse quella di darvi l’assoluzione, piuttosto che quella di negarvela, se non siete nella situazione giusta per riceverla? (il ragionamento geniale del curato non fa una grinza; i grinzosi sono gli spacciatori del perdono a buon mercato, come nei saldi di fine stagione; n.d.a.). San Cipriano ci dice che un sacerdote deve attenersi alle regole della Chiesa, e attendere che il penitente dia segni certi che il suo cuore è cambiato, e che egli ha cominciato a condurre una vita molto diversa da quella che conduceva prima di confessarsi. Infatti, lo stesso Gesù Cristo, che era Dio, e Maestro di grazia, non ha accordato il perdono se non ai veri penitenti; Egli accoglie il buon ladrone, la cui conversione era sincera, ma rifiutò il cattivo, a causa della sua impenitenza. Egli perdonò a san Pietro, di cui conosceva il pentimento, ma abbandonò Giuda, il cui pentimento era falso. Che grande disgrazia per un prete e per un penitente, se il prete gli dà l’assoluzione, quando il penitente non la merita! E se nel momento in cui il ministro dice al penitente: “Io ti assolvo” , Gesù Cristo dicesse: “Io invece ti condanno?…” Ahimè! com’è grande il numero di costoro, poichè ce ne sono tanto pochi che abbandonano il peccato, dopo aver ricevuto l’assoluzione, e che siano disposti a cambiare vita! «Tutto ciò che dici è molto vero, mi direte voi, ma che cosa penseranno di me, dopo avermi visto più volte confessarmi, ma poi non fare la Comunione? Penseranno che conduco una pessima vita: d’altronde, conosco molti altri che, pur essendo peccatori come me, se la sono passata bene: tu hai accolto bene un altro, che ha mangiato la carne insieme a me, che è andato a lavorare di domenica, come me…». La coscienza dell’altro non è la vostra; se ha agito male, non bisogna seguirlo. Vorreste forse, per salvare le apparenze, dannarvi commettendo dei sacrilegi? Non sarebbe questa la peggiore delle disgrazie? Voi temete che vi si noti, perchè vi hanno visto confessarvi più volte, ma poi non vi hanno visto fare la Comunione? Ah! amico mio, devi temere piuttosto gli occhi di Dio, davanti al quale hai compiuto il male, e non fare caso a tutto il resto. Poi dici che conosci alcuni più colpevoli di te, ma che sono stati assolti? Ma che ne sai tu? Forse è venuto un angelo a dirti se Dio non li abbia cambiati e convertiti? E anche ammesso che non si siano convertiti, tu devi comportarti male, perchè gli altri si comportano male? Vorresti dannarti anche tu, perchè gli altri si dannano? Mio Dio, che discorsi orribili! Ma, questi penitenti, i quali, non solo non si sono convertiti, ma neppure desiderano convertirsi, ma solo salvare le apparenze, dicono: «Quando, dunque, potremo venire a comunicarci? non vorremmo attendere troppo». Quando dovete venire a comunicarvi? Ascoltate san Giovanni Crisostomo; egli stesso ci insegnerà quando si dovrà venire a comunicarsi. E’ forse a Pasqua, a Pentecoste, o a Natale? No, egli vi dice. E’ forse in punto di morte?. No, vi risponde ancora. E quando dunque? Sarà, vi dice, quando avrete rinunciato, senza indugio, al peccato, e sarete ben risoluti a non ricadervi più, con l’aiuto della grazia di Dio; quando avrete restituito quel bene che non vi appartiene; quando vi sarete riconciliati col vostro nemico; sarà, quando vi sarete veramente convertiti. Altri peccatori ci diranno: «Se tu sei così difficile, noi andremo a confessarci altrove, dove saremo assolti. Ormai sono tante volte che ritorno, ho altre cose da fare, piuttosto che correre per strada; è da tanto tempo che ritorno; vedo bene che tu ce l’ha con me; che male dunque ti ho fatto?». Vuoi andare a trovare un altro prete, amico mio? Sei padrone di andare dove meglio credi; ma pensi che un altro vorrà dannarsi, più di me? No, senza dubbio. Se ti accoglierà, sarà solo perchè non ti conosce abbastanza. Vuoi sapere che cos’è una persona che parla come fai tu, e che va a cercare un’assoluzione altrove? Ascolta e trema! Egli lascia la sua guida, che la può condurre bene, per andare a cercare un passaporto per andare dritto all’inferno! «Ma, mi dirai, sono tante volte che mi fai ritornare». Ebbene! amico mio, correggiti, e verrai assolto la prima volta che tornerai. «Ormai, tu dici, è da tanto tempo che non vengo più». Tanto peggio per te solo, amico mio. Se non vieni più, ti recherai a passi da gigante verso l’inferno. Vi sono alcuni così ciechi, che credono che il confessore ce l’abbia con loro, perchè non gli dà l’assoluzione. Senza dubbio, amico mio, lui te ne vuole; ma è la salvezza della tua povera anima che egli vuole da te; è proprio per questo che non vuole darti l’assoluzione, che, ben lungi dal salvarti, ti farebbe dannare per l’eternità. «Ma, tu dici, che male ho dunque fatto? Non ho nè ucciso, nè rubato…». Tu non hai nè ucciso, nè rubato, dici? Ma no, amico mio, l’inferno ospita altre persone che non hanno nè ucciso nè rubato; non ci sono solo questi due peccati, che trascinano le anime all’inferno. E se noi fossimo così negligenti da darti l’assoluzione, mentre non la meriti, sarebbe come essere i carnefici della tua povera anima, che è costata tante sofferenze a Gesù Cristo. Ascoltate, fratelli miei, questo brano di storia, che ci insegnerà quali sono gli effetti di queste assoluzioni precipitose, senza che il penitente vi sia disposto. San Carlo Borromeo ci racconta che un uomo ricco di Napoli conduceva una vita che non era affatto cristiana. Egli si rivolse a un confessore che era famoso per essere molto indulgente e molto facile. Infatti questo prete, senza nemmeno aver ascoltato tutta la confessione, gli diede l’assoluzione, senza nessuna dimostrazione di pentimento. Il gentiluomo, sebbene senza religione, stupito di quella facilità a dargli l’assoluzione, che molti altri confessori, saggi e illuminati, non gli avevano concesso, si alza in piedi bruscamente, ed estraendo qualche moneta dalla tasca: «Tenga padre, gli dice, prenda queste monete e le conservi bene, fino a quando non ci ritroveremo insieme nel medesimo luogo». «Quando, e in quale luogo ci ritroveremo, gli risponde il prete tutto stupito?». «Padre mio, sarà nel fondo dell’inferno, dove molto presto saremo sia io che lei; lei, per avermi dato l’assoluzione di cui non ero degno, e io, per essere stato così disgraziato da averla ricevuta, senza essermi convertito». Che ne pensate di questa storia, fratelli miei? Meditiamola insieme; ce n’è da far tremare sia me che voi. «Ma, mi direte voi, quando, dunque, si può ricevere l’assoluzione?». Non appena sarete convertiti, e avrete cambiato la vostra maniera di vivere; e avrete pregato il buon Dio di far conoscere al confessore quali siano le disposizioni del vostro cuore; e avrete adempiuto con la massima esattezza, tutto ciò che il vostro confessore vi abbia prescritto, e sarete ritornati nel tempo che egli vi ha indicato. Si racconta di un peccatore che si convertì durante una missione, e che, dopo la confessione, il sacerdote lo vide così ben disposto, che gli diede subito l’assoluzione. Quel pover’uomo gli disse: «Eh! che!, padre mio, l’assoluzione, a me? Ah! lasciami piangere per qualche tempo i peccati che ho avuto la disgrazia di commettere; mettimi alla prova, per essere sicuro che il mio pentimento sia sincero». Mentre riceveva l’assoluzione, credeva di morire di dolore. Mio Dio! come sono rare queste buone disposizioni! e come lo sono anche le buone confessioni! Concludiamo dicendo che non dobbiamo mai pressare il nostro confessore, perchè ci dia l’assoluzione, perchè dobbiamo sempre tremare per timore di non essere ancora pronti, e cioè abbastanza convertiti. Chiediamo al buon Dio che ci converta, mentre ci confessiamo, affinchè i nostri peccati siano veramente perdonati. E’ questa la felicità che vi auguro.

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