Lavorare bene, lavorare per amore - IX (parte 2)
Signore, anche nel lavoro, sia fatta la tua volonta'
Autore: Javier López Díaz
«Il lavoro non è in se stesso una pena, né una maledizione, né un castigo: coloro che parlano così non hanno letto bene la Sacra Scrittura» . Dio creò l’uomo perché lavorasse e coltivasse la terra ; solo dopo il peccato gli disse: «col il sudore del tuo volto mangerai il pane» .
La pena del peccato è la fatica che accompagna il lavoro, non il lavoro in se stesso, e la Sapienza divina l’ha convertita in uno strumento di redenzione. Accettarla è per noi parte integrante dell’obbedienza alla Volontà di Dio. Un’obbedienza redentrice nell’adempimento quotidiano del dovere. «Con mentalità pienamente laicale, eserciterete questo spirito sacerdotale, offrendo a Dio il lavoro, il riposo, le gioie e le contrarietà della giornata, l’olocausto dei vostri corpi spossati dall’impegno del servizio costante. Tutto questo è ostia viva, santa, gradita a Dio: è questo il vostro culto razionale (cfr. Rm 12, 1)» .
Un cristiano non evita il sacrificio nel lavoro, non si irrita se c’è da impegnarsi, non si sottrae al compimento del proprio dovere perché non ne ha voglia o per non affaticarsi. Nelle difficoltà vede la Croce di Cristo che conferisce un significato redentore alla sua attività, quella Croce che «sta chiedendo spalle che se la carichino» . Per questo il Fondatore dell’Opus Dei dà un consiglio di collaudata efficacia: «Prima di cominciare a lavorare, metti sul tavolo o accanto ai tuoi attrezzi di lavoro, un crocifisso. Ogni tanto, lanciagli uno sguardo… Quando giungerà la fatica, i tuoi occhi si volgeranno a Gesù, e troverai nuova forza per proseguire nel tuo impegno» .
Un figlio di Dio non si abbatte per gli insuccessi, né ripone tutta la sua speranza e la sua soddisfazione nei successi umani. Il valore redentore del suo lavoro non dipende dalle vittorie terrene ma dal compimento amoroso della Volontà di Dio. Non dimentica che a Nazaret Gesù compie la Volontà divina lavorando attivamente, ma che sulla Croce consuma la sua obbedienza soffrendo. Il culmine del «non sia fatta la mia, ma la tua volontà» non consiste nel realizzare questo o quel progetto umano, ma nel compiere la volontà del Padre accettando anche la fatica e il dolore, fino alla morte . Per questo dobbiamo capire che più che con ciò che facciamo – con il nostro lavoro e le nostre iniziative – possiamo corredimere con Cristo con le nostre fatiche e le nostre sofferenze, quando Dio permette che nella nostra vita diventi più evidente il dolce giogo e il carico leggero della Croce .
San Josemaría insegna questa lezione di santità con parole che lasciano trasparire una esperienza personale. «Non dimenticate che stare con Cristo vuol dire, senza possibilità di dubbio, imbattersi nella sua Croce. Se ci abbandoniamo nelle mani di Dio, è frequente che Egli permetta che assaporiamo il dolore, la solitudine, le contrarietà, le calunnie, la diffamazione, la derisione, dall’interno e dall’esterno: perché vuole configurarci a sua immagine e somiglianza, e permette
perfino che ci chiamino pazzi e ci prendano per stolti. È il momento di amare la mortificazione passiva […]. E in questi tempi di purificazione passiva, dolorosi, forti, di lacrime dolci e amare che cerchiamo di nascondere, sentiremo il bisogno di metterci in ciascuna delle sue santissime Ferite: per purificarci, per godere del suo Sangue redentore, per fortificarci. Accorreremo come le colombe che, come dice la Scrittura (cfr. Ct 2, 14), si rifugiano nelle fessure della roccia quando giunge la tempesta. Ci nascondiamo in questo rifugio, per trovare l’intimità di Cristo: e ci accorgiamo che il suo parlare è dolce e il suo volto è leggiadro (cfr. Ct 2, 14)» .
Dopo aver scritto nella Lettera ai Filippesi che Cristo Gesù si fece «obbediente fino alla morte e alla morte di croce» , san Paolo prosegue: «Per questo Dio l’ha esaltato» . La esaltazione del Signore, la sua Risurrezione e Ascensione al Cielo dove «è alla destra di Dio» , sono inseparabili dalla sua obbedienza sulla Croce e gettano, insieme ad essa, una intensa luce sul lavoro di Gesù a Nazaret e sulle nostre attività quotidiane.
Vita umana e divina è quella di Gesù a Nazaret, e non solo umana: vita del Figlio di Dio fatto uomo. Anche se solo dopo la Risurrezione sarà vita immortale e gloriosa, già nella Trasfigurazione manifesterà per un momento una gloria nascosta per anni nella bottega di Giuseppe.
Colui che vediamo lavorare come artigiano, compiendo il suo dovere con sudore e con fatica, è il Figlio di Dio fatto uomo, «pieno di grazia e di verità» , che vive nella sua Umanità Santissima una vita nuova, soprannaturale: la vita secondo lo Spirito Santo. Colui che vediamo sottomettersi alle esigenze del lavoro e obbedire a coloro che hanno autorità, nella famiglia e nella società, per obbedire così alla Volontà divina, è Colui che vediamo ascendere ai Cieli con potenza e maestà,
come Re e Signore dell’Universo. La sua Risurrezione e la sua Ascensione ai Cieli ci permettono di contemplare che il lavoro, l’obbedienza e le fatiche di Nazaret sono un sacrificio che costa, mai però oscuro o triste, ma luminoso e trionfante come una nuova creazione.
«Come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» . Anche noi possiamo vivere nel bel mezzo della strada senza perdere di vista Gesù per tutta la giornata , perché Dio, «da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo: per grazia infatti siete stati salvati. Con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli in Cristo Gesù» . Dio ha esaltato l’Umanità Santissima di Gesù Cristo per la sua obbedienza, affinché noi vivessimo questa vita nuova, guidata dall’Amore di Dio, morendo all’amor proprio disordinato. «Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio» .
Se nel lavoro compiamo per amore e con amore la Volontà divina, costi quel che costi, Dio ci esalta insieme con Cristo. Non solo alla fine dei tempi; già ora ci concede una caparra della gloria come dono dello Spirito Santo . Grazie al Paraclito, il nostro lavoro diventa qualcosa di santo, noi stessi siamo santificati e il mondo comincia a essere rinnovato. «Nel lavoro, grazie alla luce che dalla Risurrezione di Cristo penetra dentro di noi, troviamo sempre un barlume della vita nuova, del nuovo bene, quasi come un annuncio dei “nuovi cieli e di una terra nuova” (2 Pt 3, 13; cfr. Ap 21, 1), i quali, proprio mediante la fatica del lavoro, vengono partecipati dall’uomo
e dal mondo […]. Si svela, in questa croce e fatica, un bene nuovo che prende inizio dal lavoro stesso» .
Insieme all’obbedienza della Croce e alla gioia della Risurrezione – la nuova vita soprannaturale –, nel compimento amoroso della Volontà di Dio nel lavoro dev’essere presente anche la signoria dell’Ascensione. Abbiamo ricevuto il mondo in eredità per dirigere tutte le realtà temporali alla gloria di Dio. «Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» .
Questa è la tempra dell’amore redentore di un figlio di Dio, il tono inconfondibile del suo lavoro. «Impégnati nei tuoi doveri professionali per Amore: porta tutto a buon fine per Amore, insisto, e potrai sperimentare – proprio perché ami, anche se devi assaporare l’amarezza dell’incomprensione, dell’ingiustizia, dell’ingratitudine e perfino dell’insuccesso umano – le meraviglie che il tuo lavoro produce. Frutti succosi, semi di eternità!» .
Il Sacrificio della Croce, la Risurrezione e l’Ascensione del Signore ai Cieli costituiscono l’unità del mistero pasquale, il passaggio dalla vita temporale a quella eterna. Il suo lavoro a Nazaret è redentore e santificatore per l’unità di questo mistero pasquale.
Tale realtà si riflette nella vita dei figli di Dio grazie alla Santa Messa che «rende presente non solo il mistero della passione e della morte del Salvatore, ma anche il mistero della risurrezione» . «Questo sacrificio è talmente decisivo per la salvezza del genere umano che Gesù Cristo l’ha compiuto ed è tornato al Padre soltanto dopo averci lasciato il mezzo per parteciparvi come se vi fossimo stati presenti» .
Grazie alla Messa, possiamo far sì che il nostro lavoro sia imbevuto dell’obbedienza fino alla morte, della nuova vita della Risurrezione e del dominio che abbiamo su tutte le cose mediante la sua Ascensione come Signore dei Cieli e della terra. Non solo nella Messa offriamo il nostro lavoro, ma possiamo fare del nostro lavoro una Messa. «Tutte le opere degli uomini si fanno come su un altare, e ognuno di voi, in questa unione di anime contemplative che è la vostra giornata, dice in qualche modo la sua messa, che dura ventiquattro ore, in attesa della messa successiva, che durerà altre ventiquattro ore, e così via sino alla fine della nostra vita» . Così nel nostro lavoro «ciascuno di noi è un altro Cristo, lo stesso Cristo» .