Lavorare bene, lavorare per amore - VIII
Lavorare per amore
Autore: Javier López Díaz
«L’uomo non deve limitarsi a fare delle cose, a costruire oggetti. Il lavoro nasce dall’amore, manifesta l’amore, è ordinato all’amore» . Nel leggere queste parole di san Josemaría, è possibile che nelle nostre anime nascano alcune domande che danno adito a un dialogo sincero con Dio: perché lavoro?, com’è il mio lavoro?, che cosa voglio o che cosa cerco con il mio lavoro professionale? È il momento di ricordare che il fine della nostra vita non è fare cose senza amare Dio. «La santità non consiste nel fare cose sempre più difficili, ma nel farle con sempre più amore» .
Molta gente lavora – e lavora molto –, ma non santifica il proprio lavoro. Fanno cose, costruiscono oggetti, vanno in cerca di risultati per senso del dovere, per guadagnare denaro o per ambizione; alcune volte vincono e altre volte perdono; si rallegrano o s’intristiscono; sentono interesse e si appassionano per un’attività, oppure delusione e fastidio; hanno soddisfazioni mescolate ad ansie, timori e preoccupazioni; alcuni si lasciano coinvolgere all’attività dall’inclinazione, altri dalla pigrizia…
Tutto questo ha in comune che fa parte dello stesso piano, il piano della natura umana ferita dalle conseguenze del peccato, con i suoi conflitti e i suoi contrasti, come un labirinto nel quale l’uomo che vive secondo la carne, come scrive san Paolo – l’animalis homo –, deambula, condannato a un andare di qua e di là, senza trovare la via della libertà e il suo significato.
Esistono, però, altre possibilità, delle quali parla lo stesso san Paolo: la vita secondo lo Spirito, che è la vita dei figli di Dio che si lasciano guidare dall’Amore .
Che significa per un cristiano che «il lavoro nasce dall’amore, manifesta l’amore, si ordina all’amore» ? Prima di ogni cosa, conviene considerare a che tipo di amore si riferisce sa Josemaría. C’è un amore detto di concupiscenza, quando si ama qualcosa per soddisfare il proprio gusto sensibile o il desiderio di piacere. Non è questo l’amore da cui, alla fine, nasce il lavoro di un figlio di Dio, anche se spesso lavora con piacere e si appassiona al suo compito professionale.
Un cristiano non deve lavorare soltanto o principalmente quando ne ha voglia o quando le cose gli vanno per il verso giusto. Il lavoro nasce da un altro amore più elevato: l’amore di benevolenza, che cerca direttamente il bene della persona amata, e non il proprio interesse. Se l’amore di benevolenza è reciproco prende il nome di amicizia , che è tanto maggiore quanto più si è disposti non solo a dare qualcosa, ma a dare se stesso per il bene dell’amico: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» .
Noi cristiani possiamo amare Dio con amore di amicizia soprannaturale, perché Egli ci ha costituiti suoi figli e vuole che lo trattiamo con una confidenza filiale e che consideriamo nostri fratelli gli altri suoi figli. San Josemaría si riferisce a questo amore quando scrive che «il lavoro nasce dall’amore»: è l’amore dei figli di Dio che sono amici di Dio, l’amore soprannaturale a Dio e agli altri per Dio: «l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» .
Volere il bene di una persona non sempre porta a compiacere la sua volontà. Può succedere che quello che egli vuole non sia un bene, come accade assai spesso alle madri che non danno ai figli tutto quello che chiedono, se si tratta di cose che possono arrecare danno. Invece amare Dio
è sempre volere la sua Volontà, perché la Volontà di Dio è il bene.
Per questo, per un cristiano, il lavoro nasce dall’amore a Dio, perché l’amore filiale ci permette di compiere la sua Volontà, e la Volontà divina è che lavoriamo . San Josemaría diceva che «se vogliamo davvero santificare il lavoro, dobbiamo inevitabilmente soddisfare la prima condizione: lavorare» . Egli stesso avrebbe voluto lavorare come un asinello di nòria, per amore a Dio, che ha benedetto la sua generosità con innumerevoli frutti di santità in tutto il mondo.
Adempire questa condizione basilare e necessaria equivale a “lavorare quanto Dio vuole”, né più né meno. L’attività di lavorare è l’oggetto di una virtù morale, la laboriosità, che segna il “giusto mezzo” – l’eccellenza, questo è la virtù – tra il lavorare poco o niente, lasciandosi dominare dalla pigrizia, e il lavorare troppo, trascurando altri doveri che si debbono compiere.
Per chi vuole santificare il lavoro, la pigrizia è «il primo fronte nel quale si deve lottare» .
All’estremo opposto, la laboriosità si deforma quando non si pongono i dovuti limiti al lavoro,richiesti dal necessario riposo o dalla cura della famiglia o da altre relazioni di cui bisogna occuparsi. San Josemaría mette in guardia dal pericolo di una dedizione smodata al lavoro: la “professionalite”, come chiama questo difetto per far capire che si tratta di una sorta di infiammazione patologica dell’attività professionale. «Guardatevi dalla professionalite, ovvero, da uno smodato attaccamento al proprio lavoro professionale, che può tramutarsi in un feticcio, in un fine, e non più un mezzo» .
Il lavoro di un cristiano manifesta l’amore, non solo perché l’amore a Dio porta a lavorare, come abbiamo visto, ma perché porta a lavorare bene, come Dio vuole. Il lavoro umano è, infatti, partecipazione della sua opera creatrice , ed Egli – che ha creato tutto per Amore – ha voluto che le sue opere fossero perfette e che noi imitassimo il suo modo di operare. Modello perfetto di lavoro umano è il lavoro di Cristo, di cui dice il Vangelo: «Ha fatto bene ogni cosa» . Queste parole di lode, che sgorgano spontanee nel contemplare i suoi miracoli, compiuti in virtù della sua divinità, possono essere applicate anche – e così fa san Josemaría – al lavoro di Gesù nella bottega di Nazaret, compiuto in virtù della sua umanità.
Era un lavoro compiuto per Amore al Padre e a noi. Un lavoro che manifestava l’Amore per la perfezione con cui era fatto. Non solo una perfezione tecnica ma soprattutto una perfezione morale, umana; una perfezione di tutte le virtù che l’amore riesce a mettere in movimento dando loro un tono inconfondibile: il tono della felicità di un cuore pieno d’Amore di Dio che arde dal desiderio di donare la vita per servire gli altri.
L’attività professionale di un cristiano, quando è ben fatta, manifesta l’amore a Dio. Ciò non significa che il risultato deve essere sempre ottimo, come si vorrebbe, ma che è stato fatto il tentativo di operare nel miglior modo possibile, mettendo in gioco le virtù e impiegando i mezzi
disponibili nelle situazioni concrete.
«Per un cattolico, lavorare non è eseguire, è amare!: prodigarsi volentieri, e sempre, nel dovere e nel sacrificio» . «Realizzate dunque il vostro lavoro sapendo che Dio lo contempla:laborem manum mearum respexit Deus (Gn 31, 42). La nostra, pertanto, dev’essere un’attività santa e degna di Lui: son solo rifinita in ogni dettaglio, ma portata avanti con rettitudine morale, con integrità morale, con nobiltà, con lealtà, con giustizia» . Il motivo per lavorare bene, in fin dei conti, è che «non possiamo offrire al Signore cose che, pur con le povere limitazioni umane, non siano perfette, senza macchia, compiute con attenzione anche nei minimi particolari: Dio non accetta le raffazzonature» . Tra il lavoro di una persona che pretende di offrire a Dio un lavoro mal fatto (volontariamente) e quello di quella stessa persona se comincia a lavorare bene per offrire a Dio le cose migliori, c’è altrettanta differenza che tra il sacrificio di Caino e quello di Abele. Dio accettò l’offerta di quest’ultimo, mentre rifiutò quella del primo.
L’amore a Dio si manifesta sempre, in un modo o nell’altro, nell’attività professionale di chi realizza la propria mansione per fargli cosa gradita. Può darsi che un semplice sguardo a varie persone che stanno compiendo la stessa attività non sia sufficiente per cogliere il motivo per cui la compiono. Però, se si potesse osservare con più attenzione e più a fondo l’insieme del comportamento nel lavoro – non solo gli aspetti tecnici, ma anche i rapporti con i colleghi, lo spirito di servizio, il modo di praticare la lealtà, la gioia e le altre virtù –, difficilmente passerebbe inosservato il «bonus odor Christi» , il profumo dell’amore di Cristo che emana il lavoro di alcuni di loro.
Come potrebbe passare inosservata, per esempio, una giustizia rimodellata dalla carità, che non è più una semplice giustizia umana dura e arida? Oppure, come non si distinguerebbe l’onestà per amore a Dio dall’onesta per paura che si scopra una mancanza, o da quella che mira solo a fare bella figura davanti agli altri o all’affermazione di se stesso? Come non notare l’amore a Dio nel sacrificio che richiede il servizio agli altri, nell’aiuto generoso che non si spiega con calcoli umani…? Se il lavoro non manifesta l’amore a Dio, forse è che si sta spegnendo il fuoco di questo amore. Se il calore non viene percepito, se dopo aver trattato per un certo tempo, ogni giorno, i colleghi di professione nessuno sa se ha accanto un autentico cristiano o solamente un uomo decente e lavoratore, allora forse il sale potrebbe essere diventato insipido . L’amore a Dio non ha bisogno di etichette per farsi conoscere. È contagioso, si propaga da sé. Vale la pena esaminarsi: il mio lavora manifesta l’amore a Dio? Quanta orazione può sgorgare da questa domanda!
«Mettiamo il Signore come fine di tutte le nostre attività, che dobbiamo svolgere non quasi hominibus placentes, sed Deo qui probat corda nostra (1 Ts 2, 4) – non cercando di piacere agli uomini, ma a Dio che prova i nostri cuori» . Anche se san Josemaría menziona questo aspetto 216
(la finalità del lavoro) in terzo luogo – dopo aver detto che il lavoro nasce dall’amore e che manifesta l’amore –, è questo il motore che mette in marcia gli altri due, perché ordinare il lavoro all’amore di Dio non è una finalità che si sovrappone al lavoro, ma è la causa ultima coscientemente assunta che spinge a lavorare e a lavorare bene.
Conviene chiedersi spesso perché lavoriamo. Per amore a Dio o per amor proprio? Può sembrare che esistano altre possibilità, come, per esempio, lavorare per abitudine, o per fare bella figura, o per necessità… Però questo sta a indicare che non si è andato a fondo nell’esame, perché questi motivi non possono essere la risposta ultima. Per esempio, è chiaro che bisogna nutrirsi per necessità, per vivere, però occorre chiedersi perché vogliamo vivere, per la gloria di
Dio o per la propria gloria? Lo stesso accade con il lavoro. Non esistono altre alternative. Per questo san Josemaría esorta: «Lavorate alla presenza di Dio, senza ambire la gloria umana».
Non bisogna fare come quelli che «vedono nel lavoro un mezzo per conquistare onori, o per acquisire potere e ricchezza che soddisfi la loro ambizione personale, o per sentire l’orgoglio della propria capacità operativa» . Occorre lavorare perché questa è la volontà di Dio quando ha creato l’uomo e la donna.
Chi si esamina sinceramente, chiedendo luci a Dio, scoprirà che posto occupa nel suo cuore la realizzazione delle attività professionali. Da questo dipende, in ultima analisi, il valore della sua attività. Alla fine dei tempi – insegna Gesù – «due uomini saranno nel campo: uno sarà preso e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una sarà presa e l’altra lasciata» . Svolgevano lo stesso lavoro, ma nel cuore non avevano le stesse cose e il loro destino è stato diverso.
«Da’ un motivo soprannaturale alla tua ordinaria occupazione professionale, e avrai santificato il lavoro» . Queste parole riassumono tutti gli aspetti precedenti. Dare un motivo soprannaturale equivale a ordinare il lavoro all’amore di Dio e degli altri attraverso Dio, e questo vuol dire convertire il lavoro in preghiera.
Bisogna considerare anche che un lavoro che si ordina all’amore di Dio è un atto che lascia una traccia profonda in chi lo compie. Lavorare per amore fa crescere nell’amore, nella carità che è l’essenza della santità. Il lavoro compiuto per amore ci santifica, perché lavorando così migliora la nostra capacità di ricevere in maggior misura l’amore che lo Spirito Santo sparge nei cuori. È, in definitiva, un lavoro che ci fa crescere come figli di Dio.
Quando il lavoro si ordina all’amore, ci identifica con Cristo, perfectus Deus, perfectus homo , perfetto Dio e perfetto uomo. Qui ci accorgiamo che questo terzo aspetto racchiude il precedente, al quale abbiamo già fatto riferimento. Infatti, lavorare per amore a Dio e agli altri richiede che si mettano in esercizio le virtù cristiane. Prima di tutto la fede e la speranza, che la carità presuppone e vivifica. E dopo, le virtù umane, attraverso le quali la carità opera e si manifesta. L’attività professionale, se si realizza per amore, diventa una palestra dove esercitare le più diverse virtù umane e soprannaturali: la laboriosità, l’ordine, l’utilizzo del tempo, la fortezza per portare a termine il lavoro, la cura delle cose piccole…; e tante particolari attenzioni agli altri, che sono manifestazioni di una carità sincera e delicata . La pratica delle virtù umane, comunque, è imprescindibile se si vuol essere contemplativi in mezzo al mondo.
«Contemplo perché lavoro, e lavoro perché contemplo» , commentava san Josemaría in una occasione. L’amore e la conoscenza di Dio – la contemplazione – lo portavano a lavorare, e perciò afferma «lavoro perché contemplo». E quel lavoro si trasformava in mezzo di santificazione e di contemplazione: «contemplo perché lavoro».
È come un movimento circolare – dalla contemplazione al lavoro e dal lavoro alla contemplazione – che si va restringendo sempre più attorno al suo centro, Cristo, che ci attrae a sé, attraendo con noi tutte le cose, affinché per Lui, con Lui e in Lui sia dato ogni onore e ogni gloria a Dio Padre nell’unità dello Spirito Santo .
La realtà che il lavoro di un figlio di Dio si ordina all’amore e per questo lo santifica, è il motivo profondo per cui non si può parlare, secondo la prospettiva della santità – che in definitiva è quella che conta –, di professioni di maggiore o di minore importanza.
«La dignità del lavoro è fondata sull’Amore» . «Tutti i lavori possono avere la stessa qualità soprannaturale: non ci sono compiti grandi o piccoli; tutti sono grandi se si fanno per amore.
Le funzioni che tutti ritengono elevate, diventano meschine appena si perde il senso cristiano della vita» .
Se mancasse la carità, il lavoro perderebbe il suo valore davanti a Dio, anche se apparisse brillante davanti agli uomini. Anche se «conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, […] ma non avessi la carità, niente mi giova» , scrive san Paolo. Quello che importa è «l’impegno per rendere divine le cose umane, grandi o piccole che siano, perché mediante l’Amore tutte acquistino una nuova dimensione» .