L'Avvento con Sant'Agostino - 2^ settimana
Autore: Autori Cristiani
II Settimana di Avvento
La via della conversione
La via indicata da Giovanni Battista per prepararsi adeguatamente ad accogliere Cristo è segnata da un’esigenza improrogabile: la conversione. Essa è la qualità del discepolo, è la tensione di chi ricerca ed invoca un rinnovamento radicale in se stesso. L’uomo, con le sue sole forze, non è capace di percorrere tale via, di conservarsi fedele agli impegni battesimali: deve sempre confrontarsi con la superbia, che vizia quel giusto rapporto di dipendenza tra la creatura e il Creatore, stravolgendolo a favore della creatura che tenta di sostituirsi al Creatore. La conversione e l’avversione per il peccato sono doni da invocare nella preghiera. Solo confessando i propri peccati l’uomo lascia agire la grazia di Dio, che fa crescere nel cuore – come in un campo arato e predisposto alla semina – frutti di giustizia e di verità.
Nella confessione delle proprie colpe l’uomo recupera quell’atteggiamento di umiltà, che consente a Dio di manifestare nella misericordia la propria grandezza ed onnipotenza. Dall’umiltà dell’uomo si rivela la gloria di Dio. E’ questa la caratteristica comportamentale dei due modelli che la Chiesa ci offre in questo tempo liturgico: Giovanni Battista, colui che non si è arrogato alcun riconoscimento messianico propostogli dalle folle, ma ha additato agli uomini il Cristo; e Maria, colei che ha fatto dell’umiltà la nota specifica della propria relazione con Dio. Diminuisca l’uomo in se stesso, per poter crescere in Dio: è il ritornello che Agostino sempre ripete nelle omelie in cui tratteggia il ruolo del Battista.
“Convertitevi, perché il Regno dei cieli è vicino!”
(Mt 3, 2)
Dalle “Esposizioni sui Salmi” di Sant’Agostino Vescovo (En. in ps. 84, 8-9)
Il dono della conversione
Che dire, dunque? È dipeso forse da te, o uomo, se una volta convertito a Dio ti sei meritato la sua misericordia, mentre al contrario coloro che non si sono convertiti non hanno conseguito la misericordia, ma si sono imbattuti nell’ira di Dio? Ma tu di quali risorse disponevi per convertirti, se non fossi stato chiamato? Non è stato forse colui che ti ha chiamato, quando gli eri nemico, a concederti la grazia del ravvedimento? Non ascrivere dunque a te stesso il merito della tua conversione: perché, se non fosse intervenuto Iddio a chiamarti quando fuggivi da lui, tu non avresti potuto volgerti indietro. (…)
Beato l’uomo al quale Dio fa mostra di sua misericordia! Egli sarà uno che non si può insuperbire, dopo che Dio gli ha mostrato la sua misericordia. Mostrandogli infatti la sua misericordia, lo convince che, qualunque bene egli possegga, non gli proviene da altri se non da colui che costituisce tutto il nostro bene. E quando l’uomo constata che, qualunque bene abbia, non se l’è dato da sé, ma gli proviene dal suo Dio, s’accorge pure che tutto quello che ha meritevole di lode gli proviene dalla misericordia di Dio e non dai suoi meriti personali. E vedendo in sé delle cose buone, non se ne insuperbisce. Non insuperbendosi, non s’innalza. Non ponendosi in alto, non rotola a terra, e naturalmente, se non cade, resta in piedi. Stando in piedi, aderisce a Dio e resta saldo in lui, gode e si allieta nel Signore suo Dio. Sarà il suo Creatore che verrà a formare la sua delizia; e tale delizia nessuno riuscirà a turbarla, nessuno a ostacolarla, nessuno a strappargliela dal cuore. Quale potente potrà mai rapirti un tal bene? Qual perfido vicino, quale furfante, quale aggressore potrà mai toglierti Dio? Potrà rapirti tutto quello che possiedi di materiale, senza dubbio, ma colui che possiedi col cuore nessuno mai te lo toglierà. Egli è la tua misericordia. Volesse il cielo che ci venga mostrata! Mostraci, o Signore, la tua misericordia, e donaci la tua salvezza (Sal 85, 8). Donaci il tuo Cristo; poiché in lui è la tua misericordia. Diciamogli dunque anche noi: Donaci il tuo Cristo! È vero che già ce l’ha dato, il suo Cristo; tuttavia diciamogli ancora: Donaci il tuo Cristo! Gli diciamo infatti: Dacci oggi il nostro pane quotidiano (Mt 6, 11). Chi è il nostro pane quotidiano, se non colui che disse: Io sono il pane vivo che discesi dal cielo (Gv 6, 41)? Diciamogli: Donaci il tuo Cristo! (…) Facci conoscere il tuo Cristo.
“…sappiate che il Figlio dell’uomo
ha il potere sulla terra di rimettere i peccati”.
(Lc 5, 24)
Dalle “Esposizioni sui Salmi” di Sant’Agostino Vescovo (En. in ps. 84, 14-15)
Venga il Signore a visitare i nostri cuori!
Ecco: tu eri un uomo gravato di peccati. O terra, tu avevi peccato e t’eri sentita rivolgere le parole: Tu sei terra e alla terra ritornerai (Gen 3, 19). Oh! spunti allora dal tuo cuore la verità e la giustizia ti guarderà dal cielo. Ma in che modo da te, peccatore ed iniquo, potrà germogliare la verità? Confessa i tuoi peccati e la verità spunterà fuori da te. Se infatti, essendo peccatore, ti ritieni per giusto, come farà la verità a spuntare fuori da te? Se invece nella tua iniquità ti confessi iniquo, allora dalla terra spunta fuori la verità (Sal 85, 12).
Facciamo dunque un esame di noi stessi e, se non troveremo in noi altro che peccato, concepiamo odio per il peccato e vivo desiderio per la giustizia. Dal momento che ci metteremo ad odiare il peccato, già questa avversione al peccato comincia a renderci simili a Dio: odiamo infatti le stesse cose che Dio odia. Se pertanto avrai iniziato a odiare il peccato e a confessarlo a Dio, quando brame di piaceri illeciti verranno a trascinarti con violenza ad atti nocivi, mettiti a gemere dinanzi a Dio. Confessando a lui i tuoi peccati, meriterai di ottenere da lui altre dolcezze: ti darà il gusto di compiere la giustizia; e così comincerà a procurarti gioia la giustizia, mentre prima era la malizia che ti dilettava. Godrai della sobrietà, mentre prima godevi dell’ubriachezza. Tu che prima godevi nel rubare, sottraendo al tuo simile quel che mancava a te, sentirai l’inclinazione a donare ciò che possiedi a chi ne è sprovvisto. Prima godevi nel predare, ora ti piace donare; prima godevi degli spettacoli, ora godi della preghiera; prima godevi di canzoni fatue e oscene, ora dei cantici in onore di Dio, e corri alla chiesa, mentre prima correvi al teatro. Da qual radice è potuta mai nascere una simile attrattiva, se non dal fatto che il Signore farà dono della sua dolcezza e la nostra terra darà il suo frutto (Sal 85, 13)? Riflettete un istante su quel che vi dico. Vi abbiamo annunziato la parola di Dio; abbiamo sparso della semente in cuori ben disposti, trovando il petto di ciascuno di voi come solcato dall’aratro della confessione. Voi avete ricevuto la semente con devozione ed attenzione. Vogliate ripensare alla parola che avete udita, quasi per sminuzzare le zolle, di modo che non vengano gli uccelli a portarsi via il seme destinato a germogliare. Ma se non interverrà Dio a mandare la pioggia, che cosa varrà l’aver seminato? Ecco cosa significa: Il Signore farà dono della sua dolcezza e la nostra terra darà il suo frutto. Oh, sì, venga il Signore a visitare il vostro cuore: nelle ore di svago e fra le occupazioni, in casa, nel letto, durante la refezione e la conversazione o il passeggio, in ogni luogo ove a noi non è dato di venire. Venga la pioggia divina e il seme che è stato sparso produca i suoi frutti! Là, dove noi non arriviamo e mentre noi ce ne stiamo riposando tranquilli o badiamo ad altre occupazioni, venga Iddio a far crescere le sementi che abbiamo sparse; di modo che, riscontrando in seguito i vostri costumi divenuti migliori, possiamo anche rallegrarci del frutto. Poiché, il Signore farà dono della sua dolcezza e la nostra terra darà il suo frutto.
“Ecco, il Signore Dio viene con potenza…
Come un pastore egli fa pascolare il gregge
e con il suo braccio lo raduna”.
(Is 40, 10.11)
Dal “Commento al Vangelo di Giovanni” di Sant’Agostino Vescovo (In Io. Ev. tr. 47, 2)
Il buon pastore dà la vita per le pecore
Vi dirò subito: Io vi predico Cristo con l’intento di entrare in voi, cioè nel vostro cuore. Se altro vi predicassi, tenterei di entrare in voi per altra via. E’ Cristo la porta per cui io entro in voi; entro per Cristo non nelle vostre pareti domestiche, ma nei vostri cuori: entro per Cristo e volentieri voi ascoltate Cristo in me. Perché ascoltate volentieri Cristo in me? Perché siete sue pecore, perché siete stati redenti col suo sangue. Voi riconoscete il prezzo della vostra redenzione, che non ho dato io, ma che per mezzo mio vi viene annunziato. Egli vi ha redenti, egli che ha versato il suo sangue prezioso: prezioso è il sangue di colui che è senza peccato. Egli stesso tuttavia ha reso prezioso anche il sangue dei suoi, per i quali ha pagato il prezzo del suo sangue. Se non avesse reso prezioso il sangue dei suoi, il salmista non direbbe: E’ preziosa al cospetto del Signore la morte dei suoi santi (Sal 115, 15). Egli ci dice: Il buon pastore dà la vita per le pecore (Gv 10, 11). E’ vero, non è stato lui solo a far questo: e tuttavia, se quelli che lo hanno fatto sono sue membra, è sempre lui solo che l’ha fatto. Egli infatti poté far questo senza di loro; ma loro non avrebbero potuto senza di lui, dal momento che egli stesso ha detto: Senza di me non potete far nulla (Gv 15, 5). Abbiamo qui esposto ciò che anche altri hanno affermato, come lo stesso apostolo Giovanni, che annunciò questo Vangelo che state ascoltando; nella sua lettera ci dice: Come Cristo ha offerto la sua vita per noi, così anche noi dobbiamo per i fratelli offrire le nostre vite (1 Gv 3, 16). Dobbiamo, dice, ce n’ha creato l’obbligo colui che per primo si è offerto. E così, in un altro luogo sta scritto: Se ti capiterà di sedere alla mensa di un potente, bada bene a ciò che ti viene messo davanti; metti un freno alla tua voracità, sapendo che dovrai ricambiare (Pr 23, 1-2). Voi sapete qual è la mensa del Potente; su quella mensa c’è il corpo e il sangue di Cristo; chi si accosta a tale mensa, si appresti a ricambiare il dono che riceve; e cioè, come Cristo ha offerto la sua vita per noi, noi dobbiamo fare altrettanto: per edificare il popolo e confermare la fede dobbiamo offrire le nostre vite per i fratelli. Così a Pietro, di cui voleva fare un buon pastore, non a vantaggio di lui ma del suo corpo, il Signore disse: Pietro mi ami? Pasci le mie pecore (Gv 21, 15). E questa domanda gliela fa una, due, tre volte, fino a contristarlo, affinché la sua triplice confessione riscattasse la sua triplice negazione, e dopo avergli per tre volte affidato le sue pecore da pascere, il Signore gli disse: Quando eri giovane ti cingevi e andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio stenderai le braccia e un altro ti cingerà e ti condurrà dove tu non vorrai. E l’evangelista spiega ciò che il Signore aveva inteso dire: Disse questo per indicare con qual genere di morte avrebbe glorificato Dio (Gv 21, 18-19). La consegna pasci le mie pecore, non significa dunque altro che questo: offri la tua vita per le pecore.
“Imparate da me, che sono mite ed umile di cuore
e troverete ristoro per le vostre anime”.
(Mt 11, 29)
Dai “Discorsi” di Sant’Agostino Vescovo (Serm. 142, 11-12)
Cristo maestro di umiltà
Grida il Maestro degli angeli. Grida il Verbo di Dio, del quale si nutrono tutte le intelligenze senza che si riduca, cibo che ristora conservandosi integro… grida per dire: Imparate da me (Mt 11, 29). Il popolo dia ascolto a lui che parla: Imparate da me. Risponda: Che impariamo da te? Non so infatti che ascolteremo dal sublime artefice, quando dice: Imparate da me. Chi è che dice: Imparate da me? Chi ha creato la terra, chi ha separato il mare dalla terra arida, chi ha creato gli uccelli del cielo, chi ha creato gli animali terrestri, chi ha creato tutti gli esseri acquatici, chi pose nel cielo gli astri, chi differenziò il giorno dalla notte, chi fissò il firmamento stesso, chi separò la luce dalle tenebre; egli appunto dice: Imparate da me. Forse per caso ci dirà di fare con lui tali cose? Chi può farlo? Solo Dio le compie. Non temere – dice – non intendo aggravarti. Da me impara ciò che sono diventato per te. Imparate da me, dice, non a dare l’essere alla creatura che per mezzo di me è stata creata. Neppure dico di apprendere quelle opere che ho concesso di realizzare ad alcuni, ai quali ho voluto, non a tutti: risuscitare i morti, rendere la vista ai ciechi, aprire le orecchie dei sordi; e non pensate di imparare da me tali cose quasi che d’importanza. Ne godettero i discepoli e tornarono pieni di gioia, dicendo: Signore, nel tuo nome, anche i dèmoni si sottomettono a noi. Il Signore disse loro: Non rallegratevi perché i dèmoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti in cielo (Lc 10, 17. 20). A chi volle concesse di scacciare i dèmoni, a chi volle concesse di risuscitare i morti. Tali miracoli si realizzarono anche prima dell’incarnazione del Signore: morti risuscitati, lebbrosi mondati. Noi leggiamo queste cose; e chi fece tali cose, se non colui che, in seguito, dopo Davide, é Cristo-Uomo e, prima di Abramo, è Cristo-Dio? Egli ha dato di compiere tutte queste cose, egli le ha compiute per mezzo di uomini, tuttavia non lo ha concesso a tutti. Forse che non devono avere speranza coloro ai quali non è stato dato, e dire di non aver parte con lui perché non hanno meritato di ricevere tali doni? Nel corpo vi sono le membra: altra facoltà di quel membro, altra dell’altro membro. Dio formò il corpo; non ha conferito all’orecchio la facoltà di vedere né all’occhio quella di udire, non il senso dell’odorato alla fronte, non il gusto alla mano. Non ha dato queste cose: ma a tutte le membra ha dato la sanità, ha dato compagine, ha dato unità. Con lo spirito, ugualmente, vitalizzò, unì tutte le membra. Così, dunque, non ha dato a uno di risuscitare i morti, altri non hanno avuto il dono della parola; tuttavia, che cosa ha dato a tutti? L’abbiamo ascoltato dire: Imparate da me che sono mite ed umile di cuore (Mt 11. 29). A che giova se uno compia miracoli, ma sia superbo, non sia mite ed umile di cuore? Non saranno considerati nel numero di quelli che alla fine [dei tempi] si presenteranno e diranno: Non abbiamo noi profetato nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Ma che ascolteranno? Non vi conosco, allontanatevi da me tutti voi, operatori di iniquità (Mt 7, 22-23).
Allora che è che giova e valga la pena di apprendere? Che io sono mite – dice – e umile di cuore. Inculca la carità, ma la carità vera e propria, senza contraddizioni, senza vanteria, senza alterigia, senza doppiezza. Questo inculca colui che dice: Imparate da me che sono mite e umile di cuore.
“Tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista”.(Mt 11, 11)
Dai “Discorsi” di Sant’Agostino Vescovo (Serm. 289, 5)
Giovanni è la voce, Cristo la Parola
Il più grande degli uomini fu dunque inviato a rendere testimonianza a Colui che era più che uomo. Infatti, poiché Giovanni, più grande del quale nessuno è sorto tra i nati di donna, afferma: Io non sono il Cristo, e si riconosce inferiore a Cristo, si deve pensare a qualcosa di più che l’uomo. Evidentemente, se consideri Giovanni il più grande degli uomini, Cristo è più che uomo: abbi un tale concetto del precursore per conoscere il giudice; ascolta l’araldo in modo che tu possa temere il giudice. Fu mandato, preannunziò che sarebbe venuto. E quale testimonianza rese Giovanni al Cristo? Ascolta quale: Io non sono degno di sciogliere il legaccio del suo sandalo (Gv 1, 27). Hai compreso, o uomo, come regolarti? Chiunque si umilia sarà esaltato (Lc 14, 11). Che dire allora del Cristo? Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto (Gv 1, 16). Che vuol dire noi tutti? I Patriarchi, quindi, e i Profeti e i santi Apostoli, o mandati prima dell’incarnazione o inviati da lui, incarnato, noi tutti abbiamo ricevuto dalla sua pienezza. Noi siamo i vasi, egli è la sorgente. Perciò, fratelli miei, se abbiamo compreso il mistero, Giovanni è uomo, Cristo è Dio: si umili l’uomo ed è glorificato Dio. Affinché l’uomo sia umile, Giovanni è nato nel giorno in cui comincia a ridursi la durata della luce solare. Al fine della gloria di Dio, Cristo è nato nel giorno in cui la luce solare va crescendo in durata. Grande mistero. Ecco perché celebriamo il Natale di Giovanni, come quello di Cristo, in quanto questa stessa nascita è piena di mistero. Di quale mistero? Del mistero della nostra elevazione. Nell’uomo rendiamoci piccoli, in Dio eleviamoci. Per essere esaltati in lui, quanto a noi, vediamo di essere umili. Il mistero di questa così grande realtà si compì nella passione dell’uno e dell’altro. Perché l’uomo si umiliasse, Giovanni perdette il capo: perché Dio venisse glorificato, Cristo fu elevato sulla croce. Giovanni fu inviato a questo scopo: perché lo imitassimo e ci sostenessimo alla Parola. Per quanto la superbia umana voglia vantarsi di qualsivoglia preminenza in santità, chi sarà quale è Giovanni? Chiunque tu sia che ti consideri grande, non sarai quel che è Giovanni. Non era ancora nato e, già esultando nel seno materno, annunziava il Signore venturo. Che più eccelso di tale santità? Imita, ascolta quel che può dire di Cristo: Noi abbiamo ricevuto dalla sua pienezza. La lucerna nella notte ti mostra la fonte; da essa anche lui ha bevuto: Noi tutti infatti – dice – abbiamo ricevuto dalla sua pienezza. Noi tutti: Egli la sorgente, noi i vasi; egli il giorno, noi le lucerne. Grande la debolezza degli uomini: cerchiamo il giorno per mezzo della lucerna.
“Io sono il Signore tuo Dio che ti insegno per il tuo bene, che ti guido per la strada su cui devi andare”.
(Is 48, 17)
Dai “Discorsi” di Sant’Agostino Vescovo (Serm. 293, 2-3)
Giovanni è la lucerna, Cristo la luce vera
Giovanni sembra interposto quasi limite dei due Testamenti, dell’Antico e del Nuovo. Impersona così l’Antico e si fa banditore del Nuovo. Quanto all’Antico, nasce da vecchi; prefigurando il Nuovo, è chiamato profeta fin dal grembo materno. Poiché, non ancora nato, al sopraggiungere di Maria, balzò di gioia in seno alla madre. Fin d’allora veniva designato; era già eletto prima di nascere: viene presentato quale precursore di colui dal quale non era stato ancora veduto. Questi sono eventi divini, superiori alla debolezza umana. Detto in breve, nasce, riceve il nome, si scioglie la lingua del padre. Se Giovanni avesse presentato se stesso, la bocca di Zaccaria non si sarebbe schiusa. Si scioglie la lingua perché nasce la voce; quando infatti a Giovanni, ormai impegnato ad annunziare il Signore, fu chiesto: Tu chi sei? (Gv 1, 22), rispose: Io sono voce di uno che grida nel deserto (Gv 1, 23).
Giovanni la voce, il Signore, invece, in principio era il Verbo (Gv 1, 1). Giovanni voce nel tempo, Cristo in principio Parola eterna. (…) Anche lo stesso Giovanni fu ritenuto il Cristo. La voce fu creduta la Parola: ma la voce riconobbe se stessa per non recare danno alla Parola. Disse: Io non sono il Cristo, né Elia, né un profeta (Cf. Gv 1, 20-21). Gli fu chiesto: Dunque, chi sei? Io sono – disse – la voce di uno che grida nel deserto: preparate la via al Signore (Gv 1, 22-23). Voce di uno che grida nel deserto, voce di uno che rompe il silenzio. Preparate la via al Signore, quasi a dire: per questo io grido, per introdurre lui nel cuore; ma non può degnarsi di venire per dove voglio introdurlo se non preparerete la via. Che vuol dire: preparate la via, se non: elevate suppliche degne? Che vuoi dire: preparate la via, se non: siate umili nei vostri pensieri? Da lui stesso prendete esempio di umiltà. È ritenuto il Cristo, afferma di non essere quel che viene creduto, né sfrutta per il suo prestigio l’errore altrui. Se avesse detto: Sono io il Cristo, con quanta facilità egli non avrebbe convinto, dal momento che se ne aveva la persuasione prima ancora che parlasse? Non lo disse: si riconobbe, si distinse, si umiliò. Avvertì dov’era per lui la salvezza: comprese di essere lucerna ed ebbe timore perché non venisse spenta dal vento della superbia.
“Elia è già venuto e non l’hanno riconosciuto;
anzi l’hanno trattato come hanno voluto.
Così anche il Figlio dell’uomo dovrà soffrire per opera loro”.
(Mt 17, 12)
Dal “Commento al Vangelo di Giovanni” di Sant’Agostino Vescovo (In Io. Ev. tr. 14, 5)
Lascia crescere Dio in te
Prima della venuta del Signore Gesù, l’uomo riponeva in se stesso la sua gloria. E’ venuto questo uomo [Gesù Cristo] per abbassare la gloria dell’uomo e far crescere la gloria di Dio. Egli infatti è venuto senza peccato e ha trovato tutti col peccato. Ora, se egli è venuto per rimettere i peccati, Dio sarà generoso, ma l’uomo dovrà confessare i suoi peccati. Nella confessione l’uomo esprime la sua umiltà, nella misericordia Dio manifesta la sua grandezza. Se dunque egli è venuto per rimettere i peccati dell’uomo, riconosca, l’uomo, la sua umile condizione, affinché Dio faccia risplendere la sua misericordia. Egli deve crescere, io diminuire. Cioè, egli deve dare, io ricevere; egli deve essere glorificato, io devo confessarlo. Riconosca l’uomo la sua posizione, la confessi a Dio e ascolti l’Apostolo che dice all’uomo superbo e pieno di sé, che cerca di mettersi al di sopra degli altri: Che cosa hai tu che non l’abbia ricevuto? E se appunto l’hai ricevuto, perché te ne glori, come se non l’avessi ricevuto (1 Cor 4, 7)? Riconosca dunque l’uomo, che voleva attribuire a sé ciò che non era suo, riconosca che quanto ha lo ha ricevuto, e si umili; è bene per lui che in lui Dio sia glorificato. Diminuisca in se stesso, per poter crescere in Dio. Anche nella loro rispettiva passione, Cristo e Giovanni hanno confermato questa testimonianza e questa verità: Giovanni infatti fu decapitato, mentre Cristo fu innalzato sulla croce; sicché anche lì apparve la verità delle parole: Lui deve crescere, io diminuire. Inoltre, Cristo nacque quando i giorni cominciano a crescere, Giovanni nacque quando i giorni cominciano a decrescere. La natura stessa e le rispettive “passioni” confermano le parole di Giovanni: Lui deve crescere, io diminuire. Cresca dunque in noi la gloria di Dio e diminuisca la nostra gloria, così che anch’essa cresca in Dio. E’ quanto afferma l’Apostolo, è quanto afferma la Sacra Scrittura: Chi si gloria, si glori nel Signore (1 Cor 1, 31; Ger 9, 23-24). Vuoi gloriarti in te stesso? Vuoi crescere, ma cresci male, a tuo danno. Ora, crescere male è un menomarsi. Sia dunque Dio a crescere in te, Dio che è sempre perfetto. Quanto più conosci Dio e quanto più lo accogli in te, tanto più apparirà che Dio cresce in te; in sé però non diminuisce, essendo sempre perfetto. Ieri lo conoscevi un poco, oggi lo conosci un poco di più, domani lo conoscerai ancora meglio: è la luce stessa di Dio che cresce in te, così che in qualche modo Dio cresce in te, lui che rimane sempre perfetto. E’ come se uno, avendo iniziata la cura per guarire gli occhi da una vecchia cecità, cominciasse a vedere un pochino di luce, e il giorno appresso un po’ di più, e il terzo giorno un po’ di più ancora: egli avrà l’impressione che la luce cresca, mentre la luce è perfetta, sia che egli veda, sia che non veda. Così è dell’uomo interiore, il quale progredisce in Dio e gli sembra che Dio cresca in lui; in verità egli diminuisce, decadendo dalla sua gloria per elevarsi alla gloria di Dio.