5 minuti

Visitare gli Infermi

Le opere di Misericordia Corporale V

Autore: Don Roberto Davanzo

Quella di visitare gli infermi è un’opera meno scontata di quanto possa apparire a prima vista. Ne è testimone un po’ tutto l’AT nel quale è difficile trovare il racconto di quella che potremmo chiamare una visita riuscita. Per lo più quanti fanno visita a un malato lo fanno in modo “fallimentare”, rimangono irrimediabilmente lontani da lui.

Così accade ad es. agli amici di Giobbe che lo vanno a trovare nel suo letto di dolore con la pretesa di spiegargli che se è nella malattia è a causa di un suo qualche peccato di cui pentirsi per poter accedere alla guarigione. Trasformando la vittima in colpevole, presumono di sapere ciò di cui il malato ha bisogno meglio del malato stesso, convinti di avere i requisiti per consolarlo efficacemente. Ma otterranno solo parole di insulto da parte del malato Giobbe: “consolatori stucchevoli” (Gb 16,2), “raffazzonatori di menzogne” (Gb 13,4), “medici da nulla” (Gb 13,4).

Già questa vicenda biblica appena accennata ci istruisce circa la serietà di un’opera che per essere realmente misericordiosa, ha bisogno di essere vissuta con attenzioni particolari. E la prima è quella che non bastano le buone intenzioni, anzi esse possono essere pericolose nella loro ottusa bontà per finire col diventare solo una ricerca di gratificazione narcisistica per il gesto “buono” che si sta compiendo.

Dunque, perché visitare un malato? E come? Lasciando anzitutto che sia il malato ad essere maestro, cioè la persona da ascoltare prioritariamente, da accettare nella sua situazione anche se ciò che è, fa o dice non dovesse incontrare l’approvazione dei visitatori. Lasciare che sia lui a guidare il rapporto, non fare nulla di più di quanto egli consente. Il malato è il maestro! E già questo ci permette di valutare criticamente lo stile di certe visite – specie in ospedale – di parenti e amici che finiscono, pur con tutte le migliori intenzioni, per “occupare” la camera del malato, irrispettosi di quelli che sono i bisogni della persona conosciuta e spesso anche di quanti occupano il letto accanto. Ascoltare è lasciare essere presente l’altro e visitare il malato significa riconoscere e rispettare il suo spazio, guardandosi bene dall’occuparlo.

Così come va stigmatizzata la loquela pseudo consolatoria di chi, di fronte ad una determinata malattia, non trova meglio che raccontare delle proprie… Non ogni parola va bene nell’incontro col malato, specie quando finisce per essere un imbroglio pronto a scadere nel pettegolezzo. Ascoltate che cosa dice il malato del Salmo 41 che si sente preso in giro dai suoi visitatori: « Chi viene a visitarmi dice parole false, raccoglie cattiverie nel suo cuore e, uscito, sparla nelle piazze. Contro di me mormorano i miei nemici, contro di me enumerano le mie sventure: “L’ha colpito un male incurabile, non si alzerà più dal letto in cui giace” ».

C’è una disciplina severa cui sottoporsi se si vuole vivere la visita all’infermo come una vera opera di misericordia, tanto più dopo che nella parabola del giudizio universale di Mt 25 il Re si identifica col malato e non con il visitatore. Dunque, nella visita al malato si è di fronte ad una persona la cui dignità deve essere riconosciuta. Questo per giustificare una rigorosa formazione nei confronti di chi, all’interno della comunità cristiana, si rende disponibile per questo preziosissimo servizio, o nella forma dei ministri straordinari dell’eucaristia, o in quella di semplici visitatori piuttosto che di accompagnatori dei malati nei pellegrinaggi verso i santuari mariani come Lourdes o Loreto.

Visitare i malati non è solo un’opera individuale, ma assume una importante dimensione ecclesiale che esprime la cura di quel “corpo” che è la chiesa a favore delle sue membra più deboli e fragili. Pensate che in un antico testo cristiano la visita al malato è associata a quella alla vedova, all’orfano, al povero. Segno eloquente di quella “chiesa in uscita” che papa Francesco non smette di evocare. Una chiesa che non aspetta che coloro che sono in difficoltà abbiano la forza e il coraggio di bussare alle porte dei suoi servizi, ma va loro incontro in uno spirito di autentica prossimità.

Link alla fonte »