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L'elemosina

«Fate l'elemosina, e i vostri peccati saranno perdonati» - Omelia

Autore: Santo Curato d'Ars

Che cosa possiamo immaginare, fratelli miei, di più consolante per un cristiano che è stato tanto sfortunato da peccare, che trovare un mezzo così facile per soddisfare alla Giustizia di Dio per i suoi peccati?

Gesù Cristo, nostro divino Salvatore, non aspira che alla nostra felicità, e non ha tralasciato nessun mezzo per dimostrarcelo.

Sì, fratelli miei, per mezzo dell’elemosina noi possiamo facilmente riscattare i nostri peccati, e attirare su di noi le benedizioni più abbondanti del cielo, sui nostri beni e su noi stessi; per meglio dire, fratelli miei, per mezzo dell’elemosina possiamo evitare le pene eterne.
Oh! fratelli miei, quanto è buono il buon Dio per accontentarsi di sì poca cosa.

Fratelli miei, se il buon Dio avesse voluto, saremmo stati tutti uguali.
Ma no, Egli prevedeva che essendo tanto orgogliosi, non avremmo voluto sottometterci nè gli uni e nè gli altri.
E’ precisamente per questo che Egli ha posto dei ricchi e dei poveri nel mondo, affinchè potessimo aiutarci a salvarci gli uni gli altri.
I poveri si salveranno soffrendo con pazienza la loro povertà e chiedendo con pazienza aiuto ai ricchi.
I ricchi, dal canto loro, troveranno di che riscattare i loro peccati, avendo compassione verso i poveri e confortandoli per quanto possibile.

Vedete, fratelli miei, che in questo modo possiamo tutti salvarci.
Se è un dovere indispensabile per i poveri soffrire la povertà con pazienza, e chiedere con umiltà aiuto ai ricchi, è anche un dovere ineluttabile per i ricchi fare l’elemosina ai poveri, loro fratelli, quando lo potranno, perchè la propria salvezza dipende da questo.

Ma è molto disgraziato agli occhi di Dio colui che vede soffrire il suo fratello senza soccorrerlo, pur potendolo fare.

Per farvi impegnare a praticare l’elemosina per quanto vi sia possibile e con intenzioni pure verso Dio, vi mostrerò:
– quanto l’elemosina sia potente presso Dio, per farci ottenere tutto ciò che desideriamo;
– che l’elemosina toglie a coloro che la fanno il timore del giudizio universale;
– quanto siamo ingrati, allorchè siamo duri verso i poveri, poichè disprezzandoli, è Gesù Cristo stesso che disprezziamo.

Sì, fratelli miei, da qualunque lato consideriamo l’elemosina, il prezzo ne è così grande che è impossibile farvene conoscere tutto il merito; solo nel giorno del giudizio ne comprenderemo tutto il valore.
Se mene chiedete la ragione, eccola: possiamo dire che essa sorpassa tutte le altre nostre buone azioni, perchè una persona caritatevole possiede ordinariamente tutte le altre virtù.

Leggiamo nella Sacra Scrittura che il Signore disse al profeta Isaia: «Vai a dire al mio popolo che i loro crimini mi hanno talmente irritato che non voglio più sopportarli: sto per punirli e farli perdere per sempre».
Il profeta si presenta nel mezzo del popolo riunito in assemblea, dicendo: «Ascoltate, popolo ingrato e ribelle, ecco ciò che dice il Signore Dio vostro: i vostri delitti mi hanno talmente fatto infuriare contro di voi, che le mie mani sono piene di folgori per colpirvi e farvi perdere per sempre».

«Ecco dunque, dice Isaia senza dare scampo; avrete un bel da fare per pregare il Signore, Egli si tapperà le orecchie per non sentirvi; potrete piangere finchè vorrete, digiunare, coprirvi di cenere; Egli non volgerà gli occhi verso di voi; se vi guarderà sarà solo per dostruggervi.

Tuttavia, in mezzo a tanti mali, ho da darvi un consiglio: è molto potente per intenerire il cuore del Signore, e voi potrete costringerlo, in un certo senso, a usarvi misericordia.
Ecco ciò che dovete fare: donate una parte dei vostri beni ai vostri fratelli più poveri; date del pane a chi ha fame, dei vestiti a coloro che sono nudi, e vedrete immediatamente mutare la vostra sentenza».

Infatti, non appena ebbero cominciato ciò che il profeta aveva loro consigliato, il Signore chiamò Isaia e gli disse:
«Profeta, va a dire al mio popolo che mi ha vinto, che la carità che hanno esercitato verso i loro fratelli, è stata più forte della mia collera.
Va’ a dire loro che li perdono e che gli prometto la mia amicizia» (Tutte queste citazioni sono fatte “a senso”, ed è impossibile rintracciarle, ma rispecchiano comunque la sostanza del messaggio di Isaia e dell’intera letteratura profetica; n.d.a.).

O bella virtù della carità, quanto sei potente per piegare la misericordia di Dio!
Ma, ahimè! quanto poco sei conosciuta dalla maggior parte cristiani dei nostri giorni!
Perchè avviene ciò, fratelli miei?
Perchè noi siamo troppo attaccati alla terra, non pensiamo che alla terra, sembra che viviamo solo per la terra, e abbiamo perso di vista i beni del cielo, e non li stimiamo affatto.

Vediamo anche che i santi l’hanno tanto amata che ritenevano impossibile salvarsi senza di essa.

Dapprima vi dirò che Gesù Cristo, che ha voluto servirci in tutto da modello, l’ha elevata a dignità infinita.
Se Egli ha lasciato il seno del Padre suo per venire sulla terra, se è nato nella povertà, se è vissuto nelle sofferenze ed è morto nel dolore, è stata solo la carità verso di noi che lo ha condotto a tutto ciò.

Vedendoci tutti perduti, la carità lo ha portato a fare tutto ciò che ha fatto, per salvarci da questo abisso di mali eterni in cui il peccato ci aveva precipitati.
Noi vediamo che mentre era sulla terra, il suo cuore era talmente pieno di carità che Egli non poteva vedere nè malati, nè morti, nè infermi, senza recare loro sollievo, risuscitarli o consolarli.

Ma è andato ancora oltre: acconsentendo alla Sua inclinazione per gli infelici, è arrivato afare dei miracoli.

Un giorno, vedendo che coloro che lo seguivano erano rimasti senza cibo, con cinque pani e qualche pesce, sfamò quattromila uomini, senza contare le donne e i bambini; un altro giorno ne sfamò cinquemila.

Ma non si fermò qui.
Per mostrare loro quanto fosse sensibile alle loro miserie, si volse verso gli apostoli, dicendo con un senso di tenerezza:«Ho pietà di questo popolo che mi dimostra tanti segni di attaccamento; non posso più resistere: farò un miracolo per confortarli.
Io temo che, se li congedo senza dare loro da mangiare, essi muoiano per strada. Fateli sedere tutti; distribuite loro questa piccola porzione, poi la mia potenza supplirà alla sua insufficienza» (Matteo 15,32-39).
Egli provò una gioia così grande per potere dare loro sollievo, che non pensò affatto a Se stesso.

O virtù della carità, come sei bella, come sono abbondanti e preziose le grazie che ti sono collegate!
Vediamo anche che i santi dell’Antico Testamento sembravano prevedere quanto questa virtù sarebbe stata cara al Figlio di Dio, e vediamo che molti fanno consistere tutta la loro felicità e trascorrono tutta la loro vita a esercitare questa bella e amabile virtù.

Leggiamo nella Sacra Scrittura che il sant’uomo Tobia, che era stato condotto in cattività in Siria (non è la Siria, come dice il santo, bensì l’Assiria; n.d.a.), è pieno di gioia per potere esercitare questa virtù verso i disgraziati.
Sera e mattina egli distribuiva tutto ciò che aveva ai suoi fratelli poveri, senza mai conservare nulla per sè.

Ora lo si vedeva presso i malati, esortandoli a soffrire i loro dolori con sottomissione alla Volontà di Dio, e mostrando loro quanto sarebbe stata grande la ricompensa nell’eternità; ora lo si vedeva perfino spogliarsi dei suoi abiti, per donarli ai suoi fratelli poveri.

Un giorno gli vennero a dire che un povero era morto e che nessuno gli dava sepoltura.
Anche se stava mangiando, subito si alza, lo va a prendere sulle sue spalle e lo porta nel luogo destinato a ciò.

Credendosi prossimo alla morte, chiamò suo figlio presso il suo letto: «Figlio mio, gli dice, credo che presto il Signore mi toglierà da questo mondo. Ho da raccomandarti una grande cosa, prima di morire.
Promettimi, figlio mio, di osservarla.
Fai l’elemosina tutti i giorni della tua vita; non distogliere mai lo sguardo dai poveri. Fai l’elemosina nella maniera che ti sarà possibile.
Se hai molto, dona molto; se hai poco, dona poco, ma dona di buon cuore e con gioia. Così accumulerai grandi tesori per il giorno del Signore.
Non perdere mai di vista che l’elemosina cancella i nostri peccati e ci preserva dal commetterne altri.
Il Signore ha promesso che un’anima caritatevole non cadrà mai nelle tenebre dell’inferno, dove non c’è più misericordia.
No, figlio mio, non disprezzare mai i poveri, e non frequentare affatto coloro che li disprezzano, perchè altrimenti il Signore ti farà perdere.
La casa, gli dice, di colui che fa l’elemosina, si fonda sulla dura roccia che non cederà mai, mentre colui che rifiuta l’elemosina, la sua casa crollerà dalle fondamenta» (è il solito modo “personalizzato” che il curato adotta nel citare le Scritture sacre, non alla lettera, ma rielaborate dalla sua prolungata meditazione, “digerite” dalla sua devozione, e scelte con accuratezza, con intelligenza e con la passione di chi ama “affettuosamente” la divina Parola; n.d.a.).

In questo modo egli ci voleva mostrare, fratelli miei, che una casa caritatevole non diventerà mai povera, ma che, al contrario, coloro che sono duri verso i poveri, periranno insieme ai loro beni.

Il profeta Daniele ci dice: «Se vogliamo condurre il Signore a dimenticare i nostri peccati, facciamo l’elemosina, e subito il Signore li cancellerà dalla Sua memoria».

Il re Nabucodònosor, avendo avuto nella notte un sogno, che lo aveva completamente sconvolto, fece venire il profeta Daniele, pregandolo di spiegargli il sogno.
Il profeta gli dice: «Principe, tu stai per essere scacciato dalla compagnia degli uomini, mangerai l’erba come una bestia, la rugiada del cielo bagnerà il tuo corpo, e resterai sette anni in questo stato, finchè non riconoscerai che tutti i regni appartengono a Dio, che li dà a chi gli piace, e che li toglie quando gli piace.
Principe, aggiunse il profeta, ecco il consiglio che ti dò: riscatta i tuoi peccati con l’elemosina, e le tue iniquità con le buone opere verso gli infelici».

Infatti, il Signore si lasciò talmente toccare da queste elemosine e tutte quelle buone opere che il re compì verso i poveri, che gli restituì il suo regno e gli perdonò i suoi peccati (questa volta il santo curato ha “infarcito” abbondantemente il testo biblico, con delle aggiunte del tutto inventate, che sono frutto della sua foga oratoria, e che sono dovute alla difficoltà che egli trovava nell’andare a consultare ogni volta il libro sacro, visto che il tempo a sua disposizione era alquanto scarso: andava a letto verso le nove di sera e all’una di notte era già in chiesa a confessare; n.d.a.).

Vediamo ancora che, fin dal tempo dei primi cristiani, sembra che i fedeli fossero contenti di possedere dei beni, esclusivamente per avere il piacere di donarli a Gesù Cristo, nella persona dei poveri; vediamo, negli Atti degli Apostoli, che la loro carità era così grande, che essi non volevano possedere nulla per se stessi.

Un gran numero di loro, vendevano i loro beni per darne il ricavato ai poveri (Atti 2,44-45).

San Giustino ci dice: «Quando non abbiamo la fortuna di conoscere Gesù Cristo, abbiamo sempre paura che ci manchi il pane; ma, dopo che abbiamo avuto la fortuna di conoscerlo, non amiamo più le ricchezze.
Se ne conserviamo un po’, è per farne parte ai nostri fratelli poveri; e viviamo molto più contenti ora, allorchè non cerchiamo che Dio solo».

Ascoltate lo stesso Gesù Cristo che ci dice nel Vangelo:
«Se fate l’elemosina, benedirò i vostri beni in un modo tutto particolare.
Date, Egli ci dice, e vi sarà dato; se date in abbondanza, vi sarà dato in abbondanza».

Lo Spirito Santo ci dice per bocca del saggio: «Volete diventare ricchi? Fate l’elemosina, perchè il seno dell’indigente è un campo molto fertile che rende il cento per uno».

San Giovanni soprannominato l’Elemosiniere (patriarca di Alessandria nel settimo secolo, patrono di Casarano; n.d.a.), a causa della sua carità verso i poveri, ci dice che più dava e più riceveva: «Un giorno, ci dice, trovai un povero senza vestiti, e gli diedi quelli che avevo addosso.
Subito una persona me ne diede in abbondanza».

Lo Spirito Santo ci dice che colui che disprezzerà il povero sarà infelice per tutti i giorni della sua vita.

Il santo re Davide ci dice: «Figlio mio, non tollerare che il tuo fratello muoia nella miseria, se hai qualcosa da potergli dare, perchè il Signore promette una benedizione abbondante per colui che dà sollievo al povero, e veglierà sopra di lui».
E aggiunge che coloro che saranno misericordiosi verso i poveri, il Signore li preserverà da una brutta morte.

Ne troviamo un bell’esempio nella persona della vedova di Sarepta.
Il Signore inviò il suo profeta Elia per confortarla nella sua povertà, mentre lasciò che tutte le vedove d’Israele soffrissero la fame.
Se ne volete conoscere la ragione: «E’ perchè, disse il Signore al suo profeta, ella è stata caritatevole tutti i giorni della sua vita».
Il profeta le dice: «La tua carità ti ha meritato una protezione tutta particolare da parte di Dio; i ricchi, con il loro denaro, moriranno di fame; ma tu, che sei tanto caritatevole verso i poveri,sarai consolata, perchè le tue provviste non diminuiranno sino al termine della carestia».

In secondo luogo abbiamo detto che, coloro che avranno fatto l’elemosina, non temeranno il giorno del giudizio universale.
E’ certo che quel momento sarà terribile: il profeta Gioele lo chiama “il giorno della vendetta del Signore, giorno senza misericordia, giorno spaventoso e disperato per il peccatore (Gioele 2,2).

«Ma, ci dice questo santo, volete che questo giorno sia per voi non un giorno di disperazione, ma di consolazione? Fate l’elemosina e sarete felici» (è un’altra delle solite citazioni irreperibili alla lettera, ma che rispecchiano il più ampio messaggio biblico; è come se il santo, abituato a “ruminare” di continuo la Parola, non ne distingue più nettamente i precisi ingredienti, ma ne estrae il nutrimento e il succo corroborante; n.d.a.).

Un altro santo ci dice: «Se non volete temere il giudizio, fate l’elemosina e sarete accolti bene dal vostro giudice».

Fatte queste premesse, fratelli miei, non si direbbe forse che la nostra salvezza dipende dall’elemosina?
(dopo aver fatto dell’elemosina la sintesi delle opere di misericordia, sia corporali che spirituali, e aver identificato “tout court” questa virtù con la stessa carità, ora sembra che il santo curato la consideri addirittura una “necessità di mezzo”, in ordine alla salvezza dell’anima; n.d.a.).

Infatti, Gesù Cristo, quando ci parla del giudizio che ci farà subire, ci parla unicamente dell’elemosina, dicendo ai buoni: «Ho avuto fame, e mi avete dato da mangiare; ho avuto sete, e mi avete dato da bere; ero nudo, e mi avete vestito; ero in prigione, e siete venuti a visitarmi.
Venite a possedere il Regno del Padre mio, che vi è stato preparato fin dall’inizio del mondo».

Al contrario, dirà ai peccatori: «Allontanatevi da me, maledetti: ho avuto fame, e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete, e non mi avete dato da bere; sono stato nudo, e non mi avete vestito; sono stato malato e in prigione, e non siete venuti a visitarmi».

«Quando mai, gli diranno i peccatori, ti abbiamo fatto tutto ciò?».
«Ogni volta che non lo avete fatto ai più piccoli dei miei, che sono i poveri» (Matteo 25,31-46).

Vedete bene, fratelli miei, che il giudizio non si fa che sull’elemosina.

Questo forse vi meraviglia?
Eh! fratelli miei, questo non è difficile da capire.
Succede che, colui che ha una vera carità nell’anima, che non cerca che Dio solo e non vuole altro che piacergli, possiede tutte le altre virtù in un alto grado di perfezione, come vedremo subito (il successivo sviluppo del discorso, pur essendo molto interessante, non risulta coerente con l’assunto iniziale; n.d.a.).

E’ certo che la morte spaventa i peccatori, e anche coloro che sono più giusti, a causa della terribile resa dei conti che bisognerà fare, a un Dio che, in quel momento, sarà senza Misericordia (la Misericordia di Dio è infinita, ma anche “condizionata” dal pentimento e dalla riparazione dei peccati commessi; n.d.a.).

Questo pensiero ha fatto tremare sant’Ilarione, il quale, dopo più di settant’anni, continuava a piangere i suoi peccati; e sant’Arsenio, che aveva lasciato la corte dell’imperatore, per andare a trascorrere la sua vita fra due rocce, per piangervi tutti i giorni della sua vita.
Quando pensava al giudizio, egli faceva tremare il suo povero giaciglio (questi due esempi si riferiscono a due “padri del deserto”; n.d.a.).

Il santo re Davide, pensando ai suoi peccati, gridava: «Ah! Signore, non ricordare più i miei peccati».
Egli ci dice ancora: «Fate l’elemosina con i vostri beni, e non temerete questo momento così spaventoso per il peccatore».

Ascoltate lo stesso Gesù Cristo, che ci dice: «Beati i misericordiosi, perchè otterranno essi stessi misericordia» (Matteo 5,7).

In un altra parte dice: «Come avrete trattato i vostri fratelli, così sarete trattati anche voi» (cfr. Matteo 7,2)..
Come dire che, se avrete avuto pietà del vostro fratello povero, Dio avrà pietà di voi.

Leggiamo negli Atti degli Apostoli che c’era a Ioppe una buona vedova che era appena morta.
I poveri corsero da san Pietro per pregarlo di venire a risuscitarla; gli uni, gli mostravano degli abiti che questa buona vedova aveva fatto loro, gli altri, altre cose.

San Pietro fece scorrere le sue lacrime: «Il Signore è troppo buono, disse loro, per non accordarvi ciò che chiedete».
Allora si avvicinò alla morta dicendole: «Alzati, le tue elemosine ti guadagnano la vita una seconda volta».
Ella si alza e san Pietro la rende ai suoi poveri (Atti 9,36-42).

Non saranno solo i poveri, fratelli miei, che pregheranno per voi, ma le vostre stesse elemosine, che saranno come altrettanti protettori davanti al buon Dio, e domanderanno misericordia per voi.

Leggiamo nel Vangelo che il Regno dei cieli è simile a un re che fece rendere conto ai suoi servitori di quello che gli dovevano.
Gliene presentarono uno che doveva diecimila talenti.
Poichè non aveva di che pagare, il re comandò subito di metterlo in carcere con tutta la sua famiglia, fino a che non avesse pagato tutto ciò che doveva.
Ma il servitore si gettò ai suoi piedi e lo pregò per pietà di aspettare qualche tempo, e lo avrebbe pagato il più presto che avesse potuto.
Quel padrone, preso da compassione, gli rimise tutto quello che gli doveva.
Questo servo, uscito di là, incontrò un compagno che gli doveva cento denari, e lo prese per la gola dicendo: «Rendimi ciò che mi devi».
L’altro lo supplicava di lasciargli un po’ di tempo, e poi lo avrebbe pagato; ma egli non volle, lo fece mettere in prigione fino a che non avesse pagato.
Il padrone, irritato per questo comportamento, gli disse: «Servo malvagio, non dovevi avere pietà del tuo fratello, come io ho avuto pietà di te?» (Matteo 18, 23-35).

Ecco, fratelli miei, la maniera in cui Gesù Cristo tratterà nel giorno del giudizio, coloro che saranno stati buoni e misericordiosi verso i loro fratelli, i poveri, rappresentati nella persona del debitore che riceve misericordia da Gesù Cristo stesso; ma coloro che saranno stati crudeli e duri verso i poveri, saranno trattati come quel disgraziato al quale il padrone, che è Gesù Cristo, comandò che gli fossero legati piedi e mani, e fosse gettato nelle tenebre esteriori, dove c’è pianto e stridore di denti.

Vedete dunque, fratelli miei, che è impossibile che una persona caritatevole si danni (il santo identifica i due debitori della parabola, alla persona dei poveri, che non hanno di che pagare il loro debito; è una interpretazione improbabile, ma che serve al santo curato per discriminare i due opposti atteggiamenti da parte dei due creditori, e lanciare la dura sentenza contro il secondo, che rappresenta tutti coloro che non sono propensi a fare l’elemosina; manca di certo la coerenza esegetica, ma abbonda l’efficacia emozionale; n.d.a.).

In terzo luogo, fratelli miei, quello che deve portarci a fare l’elemosina con gioia e di buon cuore, è il fatto che la facciamo a Gesù Cristo stesso.

Leggiamo nella vita di santa Caterina da Siena, che una volta, incontrando un povero, ella gli donò una croce; un’altra volta, donò i suoi abiti a una povera donna.
Qualche giorno, dopo Gesù Cristo le apparve, dicendole che Egli aveva ricevuto quella croce e quel vestito, che ella aveva posto nelle mani dei Suoi poveri, e che gli erano stati tanto graditi, che Egli attendeva il giorno del giudizio, per mostrarli a tutto l’universo.

San Giovanni Crisostomo ci dice: «Figlio mio, dona un pezzo di pane al tuo fratello povero, e riceverai il Paradiso; dai un po’, e riceverai molto; dona i beni perituri, e riceverai i beni eterni.
Per i doni che fai a Gesù Cristo nella persona dei poveri, riceverai una ricompensa eterna; dona un po’ di terra, e riceverai il cielo».

Sant’Ambrogio ci dice che l’elemosina è come un secondo battesimo e un sacrificio propiziatorio, che calma la collera di Dio, e ci fa trovare grazia davanti al Signore.
Sì, fratelli miei, e questo è tanto vero che, quando noi doniamo, è a Dio stesso che diamo.

Leggiamo nella vita di san Giovanni della Croce, che un giorno, avendo trovato un povero, tutto coperto di piaghe, lo prese e lo portò nell’ospizio che aveva fondato in favore dei poveri.

Quando fu arrivato, e gli ebbe lavato i piedi per metterlo a letto, si accorse che i piedi del povero erano perforati.
Molto stupito, e alzati gli occhi, riconobbe lo stesso Gesù Cristo, che si era nascosto sotto le sembianze di quel povero, per eccitare la sua compassione.

Egli gli disse: «Giovanni, Io mi compiaccio di vedere quanto tu hai cura dei miei e dei poveri».

Un’altra volta egli trovò un bambino molto misero; se lo caricò sulle spalle, poi, passando presso una fontana, gli disse di scendere, perchè era stanco e voleva bere un po’ d’acqua.
Era ancora lo stesso Gesù Cristo, che gli disse: «Giovanni, quello che fai ai miei poveri, è come se lo facessi a me».

I servizi che si rendono ai poveri, o ai malati, sono tanto graditi a Dio, che molte volte si sono visti degli angeli discendere dal cielo, per aiutare con le loro mani san Giovanni, a servire dei malati, e dopo ciò sparivano.

Leggiamo nella vita di san Francesco Saverio, che, andando a predicare nei paesi dei barbari, incontrò sul suo cammino un povero, tutto coperto di lebbra: egli gli fece l’elemosina.
Appena ebbe fatto qualche passo, si pentì di non averlo abbracciato, per mostrargli quanto partecipasse alle sue sofferenze.
Ritornato per vederlo, non trovò nessuno: era un angelo che gli era apparso sotto le sembianze di quel povero.

Ditemi, quale rimpianto, nel giorno del giudizio, per coloro che avranno disprezzato e deriso i poveri, dal momento che Gesù Cristo mostrerà loro che è proprio a Lui che essi hanno fatto ingiuria?

Ma anche, fratelli miei, quale gioia per coloro che vedranno che il bene che essi hanno fatto ai poveri, è a Gesù Cristo stesso che lo hanno fatto?

«Sì, gli dirà Gesù Cristo, sono proprio Io, colui che voi siete venuti a vedere , nella persona dei poveri; è proprio a me, che voi avete reso servizio; è a me che avete fatto l’elemosina, alla vostra porta».

Ciò è tanto vero, fratelli miei, che viene riportato nella storia, che un santo papa (Gregorio Magno; n.d.a.), aveva ogni giorno alla sua tavola dodici poveri, in onore dei dodici apostoli.
Un giorno, avendo visto che ve ne erano tredici, chiese all’incaricato, perchè ce ne erano tredici, invece di dodici, come gli aveva ordinato.
«Santo padre, gli rispose l’economo, io ne vedo solo dodici».
Ma lui ne vedeva ancora tredici.
Allora chiese a coloro che gli erano a fianco, se non ne vedessero tredici. Quelli risposero che ne vedevano solo dodici.
Dopo che ebbero mangiato, egli prese per mano il tredicesimo: lo riconosceva dal fatto che lo aveva visto, di tanto in tanto, cambiare di colore; lo condusse nella sua camera e gli chiese chi fosse.
Quell’uomo gli rispose che era un angelo che si era nascosto sotto le sembianze del povero; che già aveva ricevuto un’elemosina da lui, quando ancora era un religioso, e che il buon Dio, considerando la sua carità, lo aveva incaricato di custodirlo per tutta la vita, e di fargli conoscere tutto ciò che doveva fare per il bene della sua anima e la salvezza del suo prossimo.

Vedete, fratelli miei, come Dio lo ricompensò per la sua carità.
Non concluderemo dunque, che la nostra salvezza dipende dall’elemosina?

Vedete cosa accadde a san Martino che passava per una strada.
Egli incontrò un povero estrememente miserabile, e ne fu così commosso che, non avendo niente per confortarlo, taglia la metà del suo vestito e gliela dona.

La notte seguente Gesù Cristo gli apparve con la metà del suo vestito, circondato da una schiera di angeli ai quali diceva: «Martino, che è ancora solo un catecumeno, mi ha donato la metà del suo mantello- sebbene san Martino lo avesse dato a un passante».

No, fratelli miei, non troviamo altre azioni per le quali il buon Dio faccia tanti miracoli, di quanti ne fa a favore delle elemosine.

Si riporta nella storia, che un borghese, incontrando un povero, fu toccato dalla sua miseria, al punto da versare lacrime.
Senza pensarci due volte, prende il vestito che aveva addosso e glielo dona.
Qualche giorno dopo, apprese che quel povero lo aveva venduto e ne provò molto dispiacere.

Mettendosi in preghiera, diceva a Gesù Cristo: «Mio Dio, vedo bene che non meritavo che quel povero portasse il mio vestito».
Nostro Signore gli apparve tenendo fra le mani il suo vestito, e dicendogli: «Riconosci questo vestito?».
Egli si mise a gridare: «Ah! mio Dio, è quello che ho dato a quel povero».
«Vedi bene che non è andato perso, e che mi hai fatto piacere donandomelo nella persona del povero» (il curato vuol dire che, anche nel caso che l’elemosina sia stata parte di un imbroglio, il suo frutto non va mai perso; n.d.a.).

Sant’Ambrogio ci dice che facendo l’elemosina a molti poveri,trovò un angelo mescolato tra quei poveri: egli ricevette la sua elemosina sorridendo, e scomparve.

Possiamo dire, fratelli miei, di una persona caritatevole, per quanto sia miserabile, che ha grande speranza per la sua salvezza.

Leggiamo negli Atti degli Apostoli che, dopo la Resurrezione, Gesù Cristo apparve a san Pietro dicendogli: «Vai a trovare ilo centurione Cornelio, perchè le sue elemosine sono salite fino a me; esse gli hanno meritato la salvezza».
San Pietro andò a trovare Cornelio e lo trovò mentre era in preghiera, e gli disse: «Le tue elemosine sono state tanto gradite a Dio, che Egli mi invia per annunciarti il Regno dei cieli e per battezzarti» (Atti 10).

Vedete, fratelli miei, che le sue elemosine furono la causa per cui lui e tutta la sua famiglia furono battezzati.

Ma eccovi un esempio che vi mostrerà come l’elemosina ha il potere di fermare la giustizia di Dio.

Viene riportato, nella Storia della Chiesa, che l’imperatore Zenone provava piacere nel fare del bene ai poveri, ma era molto sensuale e voluttuoso, tanto che aveva allevato la figlia di una signora onesta e virtuosa, e ne abusava, con grande scandalo di tutti.

Questa povera madre, desolata fino alla disperazione, andava spesso nella chiesa di Nostra Signora, per lamentarsi del torto che veniva fatto a sua figlia: «Vergine santa, le diceva, non sei forse il rifugio dei miserabili, l’aiuto degli afflitti e la protettrice dei deboli?
Perchè permetti dunque questa oppressione così ingiusta, questo disonore che si compie verso la mia famiglia?».

La santa Vergine le apparve e le disse: «Sappi, figlia mia, che mio Figlio già da lungo tempo avrebbe vendicato l’ingiuria che ti viene fatta; ma questo imperatore ha una mano che lega quella di mio Figlio, e che arresta il corso della sua giustizia.
Le elemosine, che quello fa con abbondanza, hanno impedito fino ad ora che fosse punito» (Questa risposta può giustamente sembrare poco soddisfacente, visto che comunque non venivano tutelati i diritti della vittima, ma si tratta di un racconto “a tesi prestabilita”, e perciò unilaterale; n.d.a.).

Vedete, fratelli miei, quanto è potente l’elemosina, per impedire che il buon Dio ci punisca, dopo che l’abbiamo tante volte meritato.

San Giovanni Elemosiniere, patriarca di Alessandria, ci racconta un esempio molto emblematico, che ha ricevuto a sua volta.
Ci racconta che un giorno aveva visto molti poveri seduti, che si riscaldavano al sole, in inverno; essi si raccontavano tra di loro, quali fossero le case i cui abitanti facevono l’elemosina, quelle dove la davano malvolentieri, e quelle dove non ricevevano mai nulla.

Arrivarono a parlare della casa di un ricco cattivo, che non faceva mai l’elemosina, ne parlavano molto male, allorchè uno di essi disse ai compagni che, se volevano scommettere con lui, sarebbe andato a chiedergli l’elemosina, ed era certo che avrebbe ricevuto qualcosa.

Gli altri gli dissero che avrebbero scommesso volentieri, ma che poteva essere certo che sarebbe stato cacciato via, senza ricevere nulla; che, non avendo mai dato niente, non avrebbe di sicuro cominciato proprio quel giorno.

Messisi d’accordo, quello va a trovare il ricco e gli chiede con molta umiltà, di dargli qualcosa, nel Nome di Gesù Cristo.
Quel ricco andò talmente in collera che, non trovando una pietra per gettargliela in testa, e vedendo che il suo domestico ritornava dal fornaio, da dove aveva preso dei pani da dare ai cani, ne prende uno, e, con un furore spaventoso, glielo lancia sulla testa.
Il povero, per guadagnare ciò che aveva scommesso con i suoi compagni, corre subito a prenderlo, e lo porta ai suoi amici per dimostrare loro che quel ricco gli aveva fatto una bella elemosina.

Dieci giorni dopo, questo ricco cade ammalato, ed essendo prossimo alla morte, gli sembrava di vedere, mentre dormiva, di essere davanti al tribunale di Gesù Cristo per essere giudicato.
Credette di scorgere qualcuno che portava una bilancia per pesare il bene e il male.
Vide Dio, da una parte, e il demonio dall’altra, che presentava i peccati che aveva commesso durante la sua vita, e che erano in gran numero.
L’angelo buono, non aveva nulla da mettere da parte sua; non vedeva nessuna opera buona che facesse da contrappeso.
Il buon Dio gli chiese che cosa avesse da mettere da parte sua.
L’angelo buono, tutto triste perchè non aveva nulla, gli disse piangendo: «Ahimè! Signore, non c’è niente».
Ma Gesù Cristo gli disse: «E quel pane che ha gettato in testa a quel povero? mettetelo sulla bilancia e supererà il peso dei suoi peccati».
Infatti, avendolo, l’angelo, messo sulla bilancia, la fece pendere dalla parte del bene.
Allora l’angelo lo fissò e gli disse: «Miserabile, senza questo pane, tu saresti stato gettato nell’inferno; vai a fare penitenza finchè puoi, dona tutto ciò che puoi ai poveri, perchè se non fai ciò tu sarai dannato».

Essendosi svegliato, andò a trovare Giovanni l’Elemosiniere, gli raccontò la sua visione e l’intera sua vita, piangendo amaramente la sua ingratitudine verso Dio, da cui aveva ricevuto tutto quello che possedeva, confessando la sua durezza verso i poveri e dicendo: «Ah! padre mio, un solo pane donato contro voglia a un povero, mi strappa dalle mani del demonio; quanto più potrò rendermi Dio favorevole, donandogli tutto ciò che possiedo, nella persona dei poveri!».

Arrivò a tal punto che, se incontrava un povero e non aveva con sè niente da dargli, si toglieva il vestito e lo scambiava col povero; egli trascorse tutta la vita a piangere i suoi peccati, donando ai poveri tutto quello che possedeva.

Che ne pensate di ciò, fratelli miei?
Non è forse vero che non vi siete mai fatta un’idea della grandezza dell’elemosina?

Ma quell’uomo (si riferisce al ricco cattivo, poi convertitosi, di cui ha parlato prima) andò ancora oltre.
Guardatelo mentre passa per una strada: egli incontra un servo che altre volte era stato al suo servizio; senza nutrire nè rispetto umano, nè altro, gli dice: «Amico mio, forse non ti ho ricompensato abbastanza per le tue pene; fammi una grazia, conducimi in città e lì mi venderai, perchè tu sia ricompensato del torto che ho potuto farti, non pagandoti abbastanza».

Quello lo vendette per trenta denari.
Pieno di gioia nel vedersi ridotto all’ultimo grado di povertà, egli serviva il suo padrone con incredibile piacere.
E ciò metteva negli altri servitori una tale gelosia, che lo disprezzavano e lo percuotevano molto spesso.

Non lo si vide mai aprire bocca per lamentarsi.
Il padrone, accortosi di quello che veniva fatto a questo schiavo che egli amava, fece loro degli aspri rimproveri, perchè osavano trattarlo in quel modo.
Egli chiamò il ricco convertito, del quale non conosceva nemmeno il nome, e gli chiese chi fosse, e quale fosse il suo stato.

Il ricco gli raccontò tutto ciò che gli era successo, e questo commosse il suo padrone, che era lo stesso imperatore.

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