Liberi di poter donarsi
Liberi-per-poter-donarsi- meditazione a partire da Dietrich Bonhoeffer_Don_Adam_Kieltyk
Autore: Don Adam Kieltyk
Buongiorno a tutte e a tutti! Anche oggi proseguiamo il nostro cammino di riflessione sulla speranza insieme a Dietrich Bonhoeffer: cominciamo con la lettura di un frammento della lettera del 16 luglio 1944. Bonhoeffer scrive: “Non possiamo essere onesti senza riconoscere che dobbiamo vivere nel mondo etsi deus non daretur1: proprio questo riconoscimento al cospetto di Dio, Dio stesso ci costringe a questo riconoscimento. La conquista dell’età e adulta ci porta ad un vero riconoscimento davanti a Dio: Dio ci fa sapere che dobbiamo vivere come uomini che se la cavano senza Dio. È il Dio che è con noi, è il Dio che ci abbandona”. Posso immaginare lo stupore che forse vi ha colpito ascoltando questo testo, perché, in fondo, sembra quasi tutto contrario alla fede che lo stesso Dio, che ci chiede di abbandonarlo, anzi lo stesso Dio che sembra essere continuamente al di là della nostra vita. Certo, noi abbiamo a che fare, come vi ho detto, con un teologo luterano, dove esiste la cosiddetta dialettica – oppure theologia crucis – dove, appunto, si parla sub specie contraria: cioè Dio rivela se stesso nascondendosi nella croce e, quindi, di Dio conosciamo solo i posteriora; che vuol dire che tutto ciò che appare subito, in realtà è spesso la nostra visione di Dio. Per capire chi è Dio bisogna davvero scrutare il suo modo di rivelarsi e questo modo di rivelarsi di Dio è la croce, la croce di Gesù, in cui finalmente ci viene svelato il vero volto di Dio. Quindi, cosa vuol dire per noi accogliere questa presenza sfuggente di Dio, questa presenza che ci chiede di quasi pensare e vivere come se lui non esistesse? Chiaramente non è un invito a diventare atei, ad abbandonare la fede, ma a rivisitare e rivedere la nostra fede alla luce della sua rivelazione, alla luce della rivelazione di Gesù Cristo, per ritrovare davvero una vera e fondata speranza: una speranza che non delude, come abbiamo detto. E quindi questo teologo ha il modo di descrivere la fede, di parlare della fede, usando una certa dialettica – cosiddetta della Theologia crucis – come il nascondimento e la rivelazione e, così, l’assenza e la presenza. E noi siamo invitati a vivere questo rapporto con Dio in una maniera del tutto nuova, cioè capire che il Signore ci chiede di riconoscerlo liberamente e, per questo, possiamo dire, in qualche modo, che Dio ci abbandona. Non è più nei luoghi della nostra ignoranza – come abbiamo detto l’altra volta – che si rivela Dio, ma Dio vuole rivelarsi al centro della nostra vita e, per fare ciò, Lui ci rende autonomi, cioè non più condizionati subito dalle diverse paure, dai diversi dolori, dove appunto, spesso e volentieri si proietta su Dio, le nostre paure, quando a dettare questa idea di Dio sono appunto le nostre mancanze. In altri termini, dobbiamo dire che il Dio di cui qui si dice l’assenza non è un Dio che è assente, ma che si fa assente e, facendosi assente, entra in rapporto con l’uomo in modo
1 “Come se Dio non esistesse”
1 tale che questi può restare pienamente uomo nel mondo.
Ecco, vedete che come il padre, come la madre, vogliono che il figlio cresca e diventi autonomo e, a partire dalla sua autonomia riconosca l’amore genitoriale, così lo stesso Signore vuole portarci ad età adulta e, solo da questa posizione, da questo stato di libertà, vuole essere riconosciuto come il Signore. Quindi, noi abbiamo un Dio davanti al quale si può stare, essendo pienamente uomini.
Vi ricordo il testo che abbiamo già citato antecedentemente: ”essere cristiano non significa essere religioso in un determinato modo, fare di se stesso un peccatore, un pentimento, un penitente, un Santo in base ad una specifica pratica religiosa, ma significa essere uomo. Cristo non crea in noi un tipo di uomo settoriale, ma l’uomo”.
Allora, questo Dio, questo Dio debole, è il Dio che aiuta; è a questo Dio debole che il cristiano deve andare. C’è una poesia – Cristiani e pagani2 – in cui questo viene detto. Cito: “tutti gli uomini corrono a Dio nel loro bisogno; tutti, cristiani e pagani, corrono al Dio onnipotente; ma gli uomini che corrono a Dio, se lo trovano, lo trovano povero, umiliato, senza tetto, né pane e i cristiani stanno accanto a Dio nella sofferenza di Dio”.
Il cristiano è colui che partecipa a questa sofferenza di Dio nel mondo: partecipa ed è uomo in tale partecipazione; possiamo dire che è l’uomo che è libero nell’azione, ma che, in quanto libero, decide di partecipare alla sofferenza di dio nel mondo; è proprio ciò che Dio accetta e ciò che Dio ci chiede liberamente: stare insieme a Lui nel bene e nel male, non più costretti dai diversi bisogni. Chiaramente anche i nostri bisogni – questo lo aggiungo solo per chiarezza – non sono esenti della presenza di Dio, anzi: a volte, chiaramente, noi preghiamo perché abbiamo bisogno, perché sappiamo e ci chiediamo: da chi andremo? Signore, tu hai le parole della vita eterna.
Ma questo discorso è un po’ più raffinato – se vogliamo dire – a livello spirituale: che il Signore, davvero, è colui che ci vuole maturi, che ci vuole adulti, e da questa prospettiva che ci chiede di abbassarsi, di decidersi di stare insieme a Lui.
Si deve comunque evitare di pensare che questa concezione del dolore, della partecipazione alla sofferenza di Dio, voglia dire non percepire più la benedizione, la gioia, il successo presenti nella nostra vita; si tratta di comprendere, piuttosto, che successo e insuccesso sono, per così dire, relativizzati; cioè, si tratta di prendere sul serio non più le nostre, ma le sofferenze di Dio, come si potrebbe insuperbire dei successi e avvilire per gli insuccessi, quando nella vita di questo mondo si è compartecipi dell’onore di Dio.
Ecco: “sequela del Cristo crocifisso” non significa, dunque, cercare l’insuccesso, quanto piuttosto, il successo, però come qualcosa di cui non ci insuperbisc e di cui non si fa calcolo, perché comunque chi agisce è interamente nelle braccia di Dio.
Ecco, vedete, questo è il modo di esprimere una libera donazione di sé a Dio: nessuno cerca il dolore, ma l’uomo libero è capace di commuoversi della sofferenza dell’altro ed entrare liberamente nella sua vita e, paradossalmente, è proprio qui che, attraverso questo gesto, ci si purifica dall’egoismo dal cosiddetto cor curvum: di essere ripiegati su se stessi, del cuore curvato.
Oggi, dunque, vi chiedo di riflettere sulla vostra vita in questa chiave, di vedere come, attraverso diversi avvenimenti di ciò che avete vissuto nel passato, il Signore ha cercato di farvi crescere, di farvi maturare, perché voi, da parte vostra, possiate anche prendere delle libere decisioni a favore degli altri, in modo particolare a favore di tutte quelle situazioni in cui percepiamo la sofferenza di Dio che si manifesta nel cuore debole dei nostri fratelli. Buona meditazione a tutte e a tutti!
2 Dietrich Bonhoeffer: Resistenza e resa, Alba 1988, p. 427.