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Libro della Vita - Capitoli 1, 2, 3

Autore: Santa Teresa d'Avila

PROLOGO

1. Vorrei che, come mi hanno ordinato e concesso ampia facoltà di descrivere il mio modo di orazione e le grazie che il Signore mi ha fatto, mi avessero dato anche la libertà di parlare molto minutamente e con chiarezza dei miei grandi peccati e della mia spregevole vita: mi sarebbe stato di grande conforto; ma non l’hanno voluto, anzi mi hanno imposto molte restrizioni a questo riguardo. Chiedo, perciò, per amore del Signore, che chi leggerà questo scritto della mia vita tenga presente che essa è stata così miserabile che non ho trovato un santo, tra quelli che si convertirono a Dio, con cui consolarmi, perché vedo che, dopo la chiamata del Signore, essi non tornavano ad offenderlo. Io, invece, non solo diventavo peggiore, ma sembrava che facessi ogni sforzo per respingere le grazie che Sua Maestà mi faceva, come colei che si vedeva obbligata, poi, a servirlo in maggior grado, e capiva di non poter pagare neanche la minima parte di ciò che gli doveva.

2. Sia sempre benedetto, per avermi aspettato tanto, colui che con tutto il mio cuore supplico di darmi la grazia di fare con assoluta chiarezza e verità questa esposizione che i miei confessori mi hanno ordinato (anche il Signore io so che lo vuole da molto tempo, senonché finora non ho osato tanto); il mio scritto sia a gloria e lode sua e giovi a me, perché d’ora innanzi i miei superiori, conoscendomi meglio, aiutino la mia debolezza, così che io possa soddisfare in parte, con i miei servigi, il mio debito verso il Signore, cui sia sempre resa lode da tutte le creature. Amen.

CAPITOLO 1

In cui descrive come il Signore cominciò a indirizzare la sua anima alla virtù fin dall’infanzia, e dell’aiuto che a tal fine rappresenta il fatto che siano virtuosi i genitori.

1. L’aver genitori virtuosi e timorati di Dio, unitamente a tutto il favore che il Signore mi concedeva, mi sarebbe bastato per crescere buona, s’io non fossi stata tanto spregevole. Mio padre amava leggere buoni libri e ne teneva diversi in lingua volgare perché anche i suoi figli li leggessero. A causa di queste letture e della cura che mia madre aveva di farci pregare e di renderci devoti di Nostra Signora e di alcuni santi, cominciò a destarsi in me la pietà, credo all’età di sei o sette anni. Mi era di aiuto il vedere che i miei genitori non favorivano che la virtù; di virtù essi ne avevano molte. Mio padre era un uomo di grande carità verso i poveri e di grande umanità verso i malati e anche verso i servi; tanta, che non si poté mai ottenere ch’egli tenesse degli schiavi perché ne aveva una grande pietà. E quando una volta ebbe a trovarsi in casa nostra una schiava di suo fratello, la trattava affettuosamente come i suoi propri figli; diceva che gli era di una pena intollerabile il fatto che non fosse libera. Era molto sincero. Nessuno lo udì mai imprecare o mormorare. E fu sempre molto onesto.

2. Anche mia madre aveva molte virtù, e trascorse la sua vita in gravi malattie. Grandissima la sua onestà; benché fosse di singolare bellezza, non diede mai occasione di pensare che vi facesse caso. Infatti, pur morendo a soli trentatré anni, già il suo modo di vestire era come quello di una persona attempata. Molto dolce e di notevole intelligenza. Soffrì molto nel corso della sua vita. Morì da vera cristiana.

3. Eravamo tre sorelle e nove fratelli. Tutti, grazie a Dio, somigliavano in virtù ai genitori, tranne me, sebbene fossi la più amata da mio padre; e, prima ch’io cominciassi a offendere Dio, forse tale preferenza non era senza motivo; per questo provo una grande pena quando ricordo le buone inclinazioni che il Signore mi aveva donato, e quanto male seppi trarre profitto da esse.

4. I miei fratelli, dunque, non mi intralciavano in nulla per distogliermi dal servire Dio. Ne avevo uno quasi della mia età, con il quale mi mettevo spesso a leggere le vite dei santi; era quello che più amavo, sebbene provassi grande amore per tutti, come tutti lo provavano per me. Nel vedere i martìri che le sante avevano sofferto per Dio, mi sembrava che comprassero molto a buon mercato la grazia di andare a godere di lui, e desideravo ardentemente morire anch’io come loro, non già per l’amore che mi sembrava di portargli, ma per godere presto dei grandi beni che leggevo esservi in cielo. E stando insieme con questo mio fratello, entrambi cercavamo di scoprire che mezzo potesse esserci a tal fine. Progettavamo, così, di andarcene nella terra dei mori, a mendicare per amore di Dio, nella speranza che là ci decapitassero. Credo che il Signore ci avrebbe dato il coraggio, in così tenera età, di attuare il nostro desiderio, se ne avessimo avuto i mezzi, senonché l’aver genitori ci sembrava il più grande ostacolo. Ci impressionava molto nelle nostre letture l’affermazione che pena e gloria sarebbero durate per sempre. Ci accadeva, pertanto, di passare molto tempo a parlare di quest’argomento e godevamo di ripetere molte volte: sempre, sempre, sempre! Nel pronunciare a lungo tale parola, piacque al Signore che mi restasse impresso nell’anima, fin dall’infanzia, il cammino della verità

5. Da quando capii che era impossibile andare dove mi uccidessero per il mio Dio, decidemmo, con mio fratello, di fare gli eremiti; e in un grande orto della casa ci adoperavamo, come potevamo, a costruire eremi, servendoci di piccole pietre, che poi cadevano a terra. E così non trovavamo nessun espediente che fosse di aiuto al nostro desiderio; ora mi sento piena di devozione pensando come Dio mi avesse concesso così presto ciò che ebbi poi a perdere per colpa mia.

6. Facevo elemosine come potevo, ma potevo poco. Cercavo la solitudine per recitare le mie preghiere, che erano molte, specialmente il rosario, di cui mia madre era assai devota, e per questo voleva che lo fossimo anche noi. Mi piaceva molto, quando giocavo con altre bambine, costruire monasteri e giocare «alle monachine». Mi sembra che io desiderassi esserlo, sebbene non nella stessa misura in cui desideravo le cose che ho già dette.

7. Ricordo che quando morì mia madre avevo poco meno di dodici anni. Non appena cominciai a capire ciò che avevo perduto, mi recai angosciata davanti a un’immagine di Nostra Signora e la supplicai con molte lacrime di farmi da madre, mi sembra che questa preghiera, anche se fatta con semplicità, mi abbia giovato, perché in modo evidente ho trovato ascolto in questa Vergine sovrana ogni volta che mi sono raccomandata a lei e, alla fine, mi ha richiamata a sé. Mi fa soffrire, ora, vedere e pensare a che cosa fosse dovuto il non esser rimasta salda nelle buone aspirazioni iniziali.

8. Oh, mio Signore!, poiché sembra che abbiate deciso che io mi salvi, piaccia alla Maestà Vostra che sia così; ma, avendomi elargito tante grazie come avete fatto, perché non ritenete conveniente – non per mio profitto, ma per vostra gloria – che non si macchiasse tanto la casa in cui di continuo dovevate dimorare? Mi affligge, Signore, anche dire ciò, perché so che la colpa fu tutta mia, in quanto non mi sembra, in realtà, che abbiate tralasciato di far nulla affinché io, fin da questa età, fossi totalmente vostra. Se voglio lamentarmi dei miei genitori, mi è ugualmente impossibile farlo, perché in essi non ho visto altro che bene e cura del mio bene. Fu appunto trascorsa quest’età quando cominciai a conoscere i doni di natura – che, a quanto si diceva, erano molti – elargitimi dal Signore e, mentre avrei dovuto rendergli grazie per essi, incominciai a servirmene per offenderlo, come ora dirò.

CAPITOLO 2

Tratta di come andò man mano perdendo queste virtù e di quanto importi, nella fanciullezza, frequentare persone virtuose.

1. Mi sembra che la causa prima d’ogni mio male stia in quanto ora dirò. A volte considero quale errore commettano i genitori che non si adoperano in tutti i modi perché i loro figli abbiano sempre davanti agli occhi esempi di virtù. Infatti, pur essendo mia madre così virtuosa come ho detto, del positivo che aveva non appresi nulla o quasi nulla, giunta all’uso della ragione: molto male, invece, mi arrecò qualcosa in lei di meno perfetto. Era appassionata di libri di cavalleria, senza, però, ricevere da questo passatempo il danno che ne ricevetti io, perché non trascurava per esso il suo lavoro, procurandone solo il rapido disbrigo nell’intento di darsi alla loro lettura. E forse lo faceva per non pensare alle sue grandi sofferenze e occupare i suoi figli in modo che non si sviassero dietro altre cose. Questo, però, rincresceva tanto a mio padre che bisognava far attenzione perché non se ne accorgesse. Io cominciai a prendere l’abitudine di leggerli, e da quel piccolo suo difetto ebbero inizio il raffreddarsi dei miei buoni desideri e le mie manchevolezze in tutto il resto. Né mi sembrava che vi fosse alcun male nello spendere tante ore del giorno e della notte in così vana occupazione e di nascosto da mio padre. Me ne estasiavo a tal punto che, se non avevo un libro nuovo, non mi sembrava di avere alcuna gioia.

2. Cominciai a portare abiti di lusso e a desiderare di piacere, cercando di far bella figura; a curare molto le mani e i capelli, a usare profumi e a far ricorso a tutte le possibili vanità, che erano molte, essendo io molto raffinata. Non avevo cattiva intenzione, perché non avrei voluto che mai nessuno offendesse Dio per causa mia. Ebbi per molti anni esagerata cura della mia persona e di altre ricercatezze nelle quali non scorgevo alcuna colpa. Ora so quanto nocive dovevano essere.

Avevo alcuni cugini che soli godevano della libertà di accedere in casa, giacché altre persone non vi erano ammesse a causa della gran riservatezza di mio padre. Avesse voluto Dio che si fosse guardato anche da costoro, perché ora conosco il pericolo di frequentare, nell’età in cui si deve cominciare a coltivare la virtù, persone che, lungi dal capire la vanità del mondo, inducono anzi ad ingolfarsi in esso. Erano quasi della mia età, un po’ più grandi di me. Stavamo sempre insieme; mi amavano molto. La conversazione si svolgeva su ciò che faceva loro piacere; così ascoltavo la storia delle loro simpatie e delle loro fanciullaggini per nulla buone; e il peggio fu che l’anima si abituò a ciò che fu causa di tutto il suo male.

3. Se mi fosse concesso dar consigli, direi ai genitori di fare molta attenzione, in questa età, alle persone che trattano con i loro figli, perché è un momento assai pericoloso, in cui la nostra natura è più portata al peggio che al meglio. Così accadde a me che avevo una sorella molto più grande di età, dalla cui bontà e onestà – che era molta – non imparavo nulla, mentre appresi tutto il male possibile da una parente che frequentava assiduamente la nostra casa. Era di un comportamento così leggero che mia madre aveva fatto di tutto per allontanarla, quasi presagisse il male che doveva venirmi da lei, ma disponeva di tante occasioni per introdursi da noi, che non v’era potuta riuscire. Affezionatami a questa parente, con lei si svolgevano la mia conversazione e le mie chiacchiere, perché non solo mi assecondava in tutti i passatempi che io desideravo, ma mi ci spingeva lei stessa, mettendomi anche a parte delle sue relazioni e vanità. Fino a quando cominciai a trattarla, che fu all’età di quattordici anni, o forse anche di più (voglio dire quando strinse con me tale amicizia che mi rese partecipe delle sue confidenze), non mi sembra che io avessi mai abbandonato il Signore per grave colpa, né perduto il timor di Dio, benché fosse più forte in me quello di mancare all’onore. Ciò, in verità, ebbe il potere di non farmi perdere del tutto l’onore, né mi sembra che in questo per nessuna cosa al mondo avrei potuto cambiare, né che ci fosse alcun amore umano che potesse indurmi a capitolare. Magari avessi avuto tanta forza per non andare contro l’onore di Dio quanta me ne dava il mio istinto per non perdere quello che credevo fosse l’onore del mondo! E non consideravo che lo perdevo per molte altre vie.

4. Nel cercarlo ponevo, infatti, da persona vana, somma cura, ma non facevo ricorso a nessun mezzo necessario per conservarlo: cercavo solo con ogni attenzione di non perdermi del tutto. mio padre e mia sorella soffrivano molto di quest’amicizia e me la rimproveravano spesso. Ma siccome non potevano eliminare le occasioni dell’ingresso di tale parente in casa, le loro diligenze non approdavano a nulla, tanto più che la mia astuzia in materia di cose nocive era grande. Talvolta, mi spaventa il danno che arreca una cattiva compagnia; se non ne avessi fatto esperienza, non potrei crederlo così grave; credo che il male sia peggiore specialmente nell’età giovanile. Vorrei che i genitori imparassero dal mio esempio a far molta attenzione a questo riguardo. Quella compagnia, infatti, mi cambiò a tal punto che non mi restò quasi più nulla della mia indole e dei miei propositi improntati a virtù. Anzi, mi sembra che questa parente e un’altra persona, dedita allo stesso genere di passatempi, mi lasciassero un’impronta profonda delle loro miserie.

5. Da ciò comprendo quanto vantaggio procuri una buona compagnia e sono convinta che se allora avessi frequentato persone virtuose, sarei rimasta salda nella virtù perché, potendo avere a quell’età chi mi avesse insegnato a temere Dio, l’anima sarebbe andata acquistando forze per non cadere. Invece, perduto interamente questo timore, mi rimase solo il sentimento dell’onore che mi tormentava in tutto quel che facevo anche se, appena pensavo che le mie azioni non si sarebbero risapute, mi arrischiavo a far cose che erano certamente e contro il mio onore e contro Dio.

6. Dapprima – a quanto mi sembra – mi pregiudicarono le circostanze che ho detto, ma non dovette essere colpa di quella parente, bensì mia, perché in seguito per fare il male bastò la mia astuzia perversa, aiutata dalle serve che avevo, nelle quali trovavo buona disposizione a ogni genere di malizia. Se, invece, qualcuna mi avesse consigliato bene, forse ne avrei approfittato, ma erano accecate dall’interesse, come io dall’affetto. Eppure non ero mai incline a gravi colpe – perché aborrivo per natura cose disoneste –, ma solo a passatempi di una piacevole compagnia; senonché, esposta all’occasione, il pericolo era ovvio e compromettevo anche mio padre e i miei fratelli. Me ne liberò Dio in modo che si vide bene come si adoperasse contro la mia volontà perché non mi perdessi del tutto, sebbene il mio comportamento non potesse restare così segreto da non procurare molto scapito al mio onore e sospetti in mio padre. Infatti, dopo neanche tre mesi, mi pare, che mi ero data a questa vanità, mi condussero in un monastero del luogo, dove si educavano persone della mia condizione, sebbene non di così spregevoli abitudini come me. Ciò fu fatto con tale abile segretezza che soltanto io e qualche parente lo sapemmo, perché si attese una circostanza che non doveva far apparire imprevedibile tale decisione: quella del matrimonio di mia sorella, dopo il quale non era opportuno che io, già orfana di madre, restassi sola in casa.

7. Era così grande l’amore che mio padre mi portava e così grande la mia abilità nel dissimulare che egli, non potendomi credere tanto colpevole, non mi fece mancare mai il suo affetto. Poiché era stato breve il tempo del mio traviamento, benché ne fosse trapelato qualcosa, probabilmente nessuno poteva affermare nulla di certo, anche perché io, temendo tanto per il mio onore, ponevo ogni mia cura nel far restare tutto segreto e non consideravo che non poteva esserlo per colui che tutto vede. Oh, mio Dio, quale danno reca al mondo non dare a questa riflessione la dovuta importanza e pensare che possa rimanere segreta una cosa che sia contro di voi! Sono sicura che si eviterebbero grandi mali se si capisse che quel che importa non è il guardarci dagli uomini, ma il guardarci dal dispiacere a voi.

8. I primi otto giorni soffrii molto, e più perché mi sorse il sospetto che si fosse capita la mia vanità che non per trovarmi lì. Già, infatti, ero stanca di essa, e non mancavo d’avere gran timore di Dio quando gli recavo offesa, procurando di confessarmi subito. Dopo un’iniziale grande inquietudine, passati otto giorni – e credo anche meno – mi sentivo molto più contenta che in casa di mio padre, e altrettanto contente erano tutte di stare con me, perché Dio mi aveva fatto la grazia di riuscire sempre gradita, dovunque mi trovassi, e così ero molto amata. E benché io allora fossi molto contraria a farmi monaca, godevo nel veder tante buone suore, perché lo erano molto le religiose di quella casa, di grande modestia, pietà e raccoglimento. Ciò nonostante, il demonio non cessava di tentarmi, procurando che quelli di fuori mi disturbassero con messaggi. Ma siccome non era impresa facile, la persecuzione finì presto e la mia anima cominciò a riprendere le buone abitudini della mia prima età; capii, così, quanto sia grande la grazia che Dio concede a chi egli pone in compagnia dei buoni. Mi sembra che Sua Maestà andasse pensando e ripensando per quale via potesse volgermi a sé. Siate voi benedetto, Signore, che tanto mi avete sopportato! Amen.

9. C’era una cosa che forse mi poteva essere di qualche discolpa – se di colpe non ne avessi avute tante – ed è che trattavo con chi mediante il matrimonio mi sembrava che potesse far finire tutto bene. Inoltre, informandomi dal mio confessore e da altre persone circa molte cose, mi sentivo dire che non andavo contro Dio.

10. Con noi educande dormiva una monaca per mezzo della quale, come ora dirò, sembra che il Signore abbia voluto cominciare a illuminarmi.

CAPITOLO 3

In cui si parla di come influì la buona compagnia a risvegliare i suoi pii desideri e in che modo il Signore cominciò a illuminarla sull’inganno in cui era caduta.

1. Cominciando, così a gustare la buona e santa compagnia di questa monaca, godevo di sentirla parlare così bene di Dio, perché era una grande santa, molto saggia; credo che la gioia di ascoltare tali discorsi non mi sia mai venuta meno. Prese a raccontarmi come ella fosse giunta a farsi monaca soltanto per aver letto ciò che dice il Vangelo: Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti. Mi parlava del premio che il Signore concede a coloro che lasciano tutto per lui. Questa buona compagnia cominciò a sradicare da me le abitudini create dalle cattive compagnie, a ricondurre il mio pensiero a desideri di cose eterne e ad annullare in parte la grande avversione che avevo per la vita del chiostro, divenuta, anzi, grandissima. Così, se vedevo qualcuna versare lacrime quando pregava, o dare altri segni di virtù, ne avevo grande invidia, perché il mio cuore era così duro a questo riguardo che, se avessi letto tutta la passione, non avrei versato una lacrima; e ciò mi faceva soffrire.

2. Stetti un anno e mezzo in questo monastero, migliorandomi molto. Cominciai a recitare non poche orazioni vocali e a supplicare tutti di raccomandarmi a Dio affinché mi suggerisse lo stato in cui avrei dovuto servirlo. Tuttavia desideravo che non fosse quello monacale e che a Dio non piacesse ispirarmi proprio questo, sebbene temessi anche il matrimonio. Allo scadere del tempo in cui rimasi qui, già propendevo di più ad esser monaca, anche se non in quella casa, per certe pratiche di maggior rigore che avevo poi saputo che vi si osservavano e che erano, a mio giudizio, eccessive. Mi confermavano in questa opinione alcune delle più giovani, mentre se fossero state tutte di un unico parere, ne avrei tratto gran profitto. Inoltre avevo una grande amica in un altro monastero, il che influiva a che non mi facessi monaca, se monaca dovevo essere, se non dove stesse lei: badavo, insomma, più a compiacere il mio istinto naturale e la mia vanità che a procurare il bene dell’anima mia. Questi buoni pensieri di essere monaca mi venivano solo a volte, e poi se ne andavano, così che io non potevo convincermi a diventarlo.

3. Nel frattempo, sebbene io non trascurassi di prendere le mie medicine, il Signore, il cui vivo desiderio di dispormi allo stato che più a me si conveniva aveva più potere d’ogni medicina, mi mandò una così grave malattia che dovetti tornare a casa di mio padre. Quando fui guarita, mi condussero a far visita a una mia sorella – che abitava in un borgo – il cui amore per me era così grande che, se avessi assecondato il suo desiderio, non avrei mai dovuto lasciarla. Suo marito mi voleva egualmente molto bene, per lo meno mi circondava di attenzioni, e anche di questo devo essere molto grata al Signore, perché dappertutto mi ha sempre fatto trovare affetto, mentre io l’ho ricambiato di tutto da quella che sono.

4. Lungo la strada abitava un fratello di mio padre, vedovo, molto saggio e di grandi virtù, che il Signore andava disponendo per sé tanto che, sebbene in età avanzata, lasciò tutto quello che possedeva, si fece religioso e finì la sua vita in modo tale che credo goda ormai di Dio. Volle che mi trattenessi alcuni giorni con lui. La sua occupazione era quella di leggere buoni libri in volgare, e la sua conversazione aveva quasi sempre per argomento Dio e la vanità del mondo. Desiderava che io gli leggessi quei libri e, quantunque essi non mi piacessero, mostravo di averne diletto, perché ho sempre procurato di accontentare chiunque, anche se ciò dovesse pesarmi, tanto che, mentre tale inclinazione in altri sarebbe stata virtù, in me è stata un gran difetto, perché molte volte agivo sconsideratamente. Oh, Dio mio! per quali vie Sua Maestà mi andava disponendo allo stato in cui desiderava servirsi di me, tali che, senza che io volessi, mi costrinse a vincere me stessa! Sia benedetto per sempre! Amen.

5. Anche se i giorni in cui mi trattenni lì furono pochi, in virtù di quanto operavano nel mio cuore le parole di Dio, lette o ascoltate, e la buona compagnia, riuscii man mano a capire la verità delle cose che mi colpivano da bambina, cioè il nulla del tutto, la vanità del mondo, la brevità della vita, e a temere, se fossi morta, di andare a finire nell’inferno. E sebbene la mia volontà non fosse ancora incline allo stato monacale, capii ch’era lo stato migliore e più sicuro; pertanto, a poco a poco, mi confermai nella decisione di abbracciarlo.

6. Trascorsi tre mesi in questa lotta, incoraggiando me stessa con questo ragionamento: le fatiche e la sofferenza della vita religiosa non potevano superare le pene del purgatorio e, avendo io ben meritato l’inferno, non era poi molto vivere come in purgatorio, tanto più che, dopo, sarei andata diritta in cielo, e questo era il mio desiderio. Così, in tale slancio ad abbracciare uno stato, mi sembra che a spingermi fosse più un timore servile che l’amore. Il demonio mi insinuava, per dissuadermi, l’impossibilità di sopportare i disagi della vita religiosa, delicata com’ero. Da ciò mi difendevo ricordando le pene sofferte da Cristo, di fronte alle quali non era gran cosa che io soffrissi un poco per lui. Dovevo certo anche pensare – ma di quest’ultima riflessione non mi ricordo – ch’egli mi avrebbe aiutato a sopportare tali pene. In quei giorni fui assalita da molte tentazioni.

7. Ero stata colta, oltre che da attacchi di febbre, da gravi svenimenti, perché ho avuto sempre ben poca salute. Mi rianimò l’essere divenuta ormai amante di buoni libri. Lessi le lettere di san Girolamo che m’incoraggiarono tanto da farmi decidere a dire a mio padre quanto mi proponevo. Ciò significava quasi prender l’abito religioso, essendo io così ligia al punto d’onore che non credo sarei mai tornata indietro per nessuna ragione, una volta detta una parola. Egli mi amava talmente che non riuscii in nessun modo ad ottenere il suo consenso, né mi valsero le preghiere di persone che indussi a parlargli. Tutto quel che si poté ottenere da lui fu che dopo la sua morte avrei potuto fare ciò che volessi. Io già temevo di me stessa: che, cioè, la mia debolezza non mi facesse tornare indietro; pertanto, non mi sembrò conveniente tale indugio e cercai di conseguire il mio scopo per altra via, come ora dirò.