Libro della Vita - Capitoli 10, 11
Le grazie del Signore concesse nell'orazione
Autore: Santa Teresa d'Avila
CAPITOLO 10
Comincia a esporre le grazie che il Signore le concedeva nell’orazione e ciò a cui possiamo contribuire con i nostri sforzi; sottolinea, inoltre, quanto sia importante conoscere le grazie che il Signore ci fa. Supplica colui al quale invia questo scritto di mantenere segreto quanto scriverà da qui in avanti, visto che le hanno ordinato di descrivere così minutamente le grazie ricevute dal Signore.
1. Come ho detto prima, c’era già stato un inizio per me, alcune volte, di quello che sto per dire, anche se per brevissimo tempo. Nel cercare di rappresentarmi il Signore e prostrarmi ai piedi di Cristo, nella maniera che ho detto, e talvolta anche durante la lettura, mi accadeva d’improvviso d’essere invasa da un così vivo sentimento della presenza di Dio, da non poter dubitare in alcun modo ch’egli fosse in me ed io tutta rapita in lui. Questo, non in maniera di visione, ma a quel modo che credo si chiami teologia mistica. Tale stato tiene l’anima sospesa in modo tale che essa sembra tutta fuori di sé: la volontà ama, la memoria mi pare sia quasi smarrita, l’intelletto non ragiona, a mio giudizio, ma non si perde; però, ripeto, è inoperoso, standosene come stupito per le molte cose che intende, perché Dio vuole che capisca come da solo non possa intendere nulla di ciò che Sua Maestà gli presenta.
2. Già prima avevo sentito assai di continuo una tenerezza che in parte, mi pare, può essere frutto dei nostri sforzi, una gioia che non appartiene del tutto ai sensi né allo spirito. È data solo da Dio, ma credo che a tal fine possiamo aiutarci molto, considerando la nostra miseria e la nostra ingratitudine verso Dio, quanto egli ha fatto per noi, la sua passione così dolorosa, la sua vita piena di tante tribolazioni, godendo nella contemplazione delle sue opere, della sua grandezza, del suo infinito amore e di molte altre cose in cui s’imbatte continuamente chiunque badi al proprio profitto spirituale, anche se non vada a cercarle con una precisa intenzione. Se a questo si aggiunge un po’ di amore, l’anima gioisce, il cuore s’intenerisce, vengono le lacrime; a volte pare che si spremano a forza, altre volte che le procuri il Signore, senza che si possano trattenere. Sembra che Sua Maestà ricompensi quella piccola concentrazione con un dono così generoso quale è la consolazione provata da un’anima nel vedere che piange per un Signore così grande, e non mi stupisco: ha più che ragione di consolarsi. In ciò è la sua letizia, in ciò il suo godimento.
3. Mi sembra opportuno il paragone che ora mi viene in mente: che queste gioie dell’orazione devono essere simili a quelle che si godono nel cielo ove, non vedendo i beati più di quel che il Signore, conforme ai loro meriti, vuole che vedano, e conoscendo essi i propri scarsi meriti, ognuno è contento del luogo in cui sta, pur essendoci enorme differenza tra un godimento e l’altro in cielo, assai più grande di quella che vi è quaggiù – sebbene sia grandissima – tra alcuni godimenti spirituali e altri. Veramente un’anima ancora agli inizi della sua esperienza, quando Dio le accorda questa grazia, crede quasi che non ci sia più nulla da desiderare e si reputa ben ricompensata di quanto ha compiuto in suo servizio. E ne ha ben ragione, perché una sola di queste lacrime che, come ho detto, possiamo quasi procurarci da noi – benché senza Dio non si faccia nulla –, non si può, a mio parere, comprare neppure con tutte le sofferenze del mondo, tanto è il guadagno che se ne trae: quale maggior guadagno, infatti, che avere una testimonianza di compiacere a Dio? Chi, pertanto, è arrivato a questo punto, lo lodi molto e si riconosca gran suo debitore perché, se non torna indietro, pare che egli già lo voglia per sua dimora e lo abbia scelto per il suo regno.
4. Non si preoccupi di certi sentimenti di umiltà, di cui intendo parlare, in base ai quali sembra umiltà non riconoscere che il Signore ci fa tanti doni. Cerchiamo, invece, di capire bene, proprio bene, come stanno le cose, cioè che Dio ce li dà senza alcun nostro merito, e siamone grati a Sua Maestà; perché, se non riconosciamo di ricevere doni, non siamo spinti ad amare. È certo che quanto più vediamo d’esser ricchi in virtù di essi, dopo aver riconosciuto d’essere poveri in noi stessi, tanto più profitto ce ne viene, e anche più vera umiltà. Inoltre, equivale a scoraggiare l’anima il farle credere che non è capace di grandi beni se, quando il Signore comincia a concederglieli, l’anima comincia a intimorirsi per paura di vanagloria. Dobbiamo credere che chi ci dà i beni ci darà la grazia, di fronte a un’eventuale tentazione del demonio in merito a ciò, di comprendere il suo inganno e la forza per resistergli; a patto, però, di camminare con semplicità davanti a Dio, procurando di accontentare solo lui, non gli uomini.
5. È segno evidente che amiamo di più una persona, quando ricordiamo spesso i benefici che ci ha fatto. Ora, se è lecito e anzi assai meritorio ricordarci che il nostro essere l’abbiamo da Dio, il quale ci ha creati dal nulla e ci mantiene in vita, e tutti gli altri benefici che ci sono venuti dalla sua morte e dalle sue sofferenze, benefici che molto prima di crearci aveva preparato per ciascuno di noi viventi, perché non mi sarà lecito riconoscere, vedere e considerare più e più volte che ero solita parlare di cose vane, e che ora il Signore mi ha concesso di non voler parlare d’altro se non di lui? Ecco qui un gioiello: se ricordiamo che ci fu donato e che ormai lo possediamo, necessariamente ci invita ad amare, ed è proprio questo il bene dell’orazione fondata sull’umiltà. Che dire, poi, nel vederci in possesso di altre gioie più preziose, come le hanno già ricevute alcuni servi di Dio, di disprezzo del mondo e anche di se stessi? È chiaro che dobbiamo ritenerci ancora più debitori e più obbligati a servire, a comprendere che non avevamo nulla di questo e a riconoscere la generosità del Signore, il quale ad un’anima così povera e vile e così priva di meriti come la mia, a cui sarebbe bastata la prima di queste gioie – ed era già tanto per me – volle dare più ricchezze di quante ne sapesse desiderare.
6. È necessario rinnovare le forze per servire Dio e cercare di non essere ingrati, perché ci concede i suoi doni a questa condizione: che se non facciamo buon uso del tesoro che ci dà e dell’alto stato in cui ci pone, ce lo riprenderà, facendoci restare molto più poveri di prima, per dare le sue gioie a coloro in cui risplendano con proprio ed altrui vantaggio. Ma come avvantaggerà sé ed altri e spenderà con larghezza chi non sa d’essere ricco? È impossibile, a mio giudizio, in conformità della nostra debole natura, avere coraggio per grandi cose, senza riconoscersi favoriti da Dio perché siamo così miserabili e così inclini a cose terrene, che difficilmente potrà disprezzare i beni di quaggiù con effettivo, assoluto distacco chi non comprende d’avere un pegno di quelli celesti. Questi doni, infatti, sono i mezzi di cui si serve il Signore per darci la forza che noi, per i nostri peccati, poi perdiamo. E difficilmente riuscirà a desiderare di essere malvisto e disprezzato da tutti, e a praticare le altre grandi virtù proprie delle anime perfette, chi non avrà qualche pegno dell’amore di Dio e, insieme, una viva fede. La nostra natura, infatti, è così debole che non seguiamo se non ciò che abbiamo presente; pertanto sono proprio questi favori a ridestare la fede e a fortificarla. Può anche darsi che io, misera come sono, giudichi tutti da me stessa, che ci saranno altri ai quali siano sufficienti le sole verità della fede per fare opere di grande perfezione, mentre io, da miserabile qual sono, ho avuto bisogno di tutti gli aiuti.
7. Ma ciò lo diranno essi; io dico, secondo quanto mi è stato ordinato, quello che è accaduto a me, e se non dovesse andar bene, colui al quale invio lo scritto – che saprà conoscere meglio di me le deficienze che presenta – lo strappi. Io, però, lo supplico per amor del Signore di pubblicare quello che ho detto fin qui della mia miserabile vita e dei peccati (a partire da questo momento gliene do piena autorizzazione, e la do ugualmente a tutti i miei confessori, come lo è colui al quale andrà questo scritto); se lo vorranno, lo facciano anche subito, me vivente, affinché non inganni più il mondo ove si pensa che ci sia in me qualcosa di buono; sì, non v’è dubbio, lo affermo con tutta verità, per quel che ora capisco di me, che ciò mi darà grande consolazione. Quanto a ciò che dirò da qui in avanti, non do questo permesso, né voglio dire che, se faranno vedere il mio scritto a qualcuno, dicano chi è costei che fece tali esperienze né chi le ha scritte. Perciò, non metto il mio nome né quello di nessuno, anzi, scrivendo, farò tutto il possibile per non essere riconosciuta; chiedo questo per amore di Dio. L’approvazione di persone tanto dotte e importanti è per me sufficiente a conferire autorità a quel qualcosa di buono che vi fosse, se il Signore mi darà la grazia di dirla, perché, in tal caso, il merito sarà tutto suo e non mio, non avendo io istruzione né virtù né formazione da dotti o da qualsiasi persona (solo quelli che mi hanno comandato di scrivere sanno che io scrivo questo, ma attualmente essi non sono qui), e rubando quasi il tempo, con fatica, perché ciò mi impedisce di filare, mentre mi trovo in una casa povera dove attendo a molte occupazioni. Se Dio mi avesse dato più capacità e memoria, almeno con la memoria potrei giovarmi di ciò che ho udito o letto, ma è pochissima quella di cui dispongo. Pertanto, se dirò qualcosa di buono, lo vuole il Signore per trarne qualche bene; ciò che vi sarà d’imperfetto viene invece da me, e la signoria vostra lo cancellerà. Sia in un caso, sia nell’altro, non è di alcun vantaggio dire il mio nome; mentre vivo è chiaro che non si deve parlare del bene; dopo morta non servirebbe ad altro che a sminuire il prestigio di quello stesso bene, screditandolo, per il fatto che è detto da persona tanto vile e spregevole.
8. E, pensando che la signoria vostra farà questo che le chiedo per amore del Signore, come gli altri che dovranno leggere il mio scritto, scrivo con libertà; diversamente ne avrei gran scrupolo, tranne che per dire i miei peccati, per i quali non ne ho alcuno. Del resto, basterebbe esser donna per farmi abbassare le ali; tanto più, poi, donna tanto miserabile. E così, ciò che può esservi in più del semplice racconto della mia vita, la signoria vostra lo tenga per sé, visto che ha tanto insistito perché manifestassi in qualche modo le grazie che Dio mi fa nell’orazione, se sarà conforme alle verità della nostra santa fede cattolica; e se invece non lo fosse, la signoria vostra lo bruci subito, perché io a ciò mi sottometto. Dirò quello che sperimento affinché, se conforme alla fede, possa recare alla signoria vostra qualche vantaggio; altrimenti la prego di trarre d’inganno la mia anima affinché il demonio non guadagni là dove credo di guadagnare io. Del resto, il Signore già sa, come poi dirò, che mi sono sempre adoperata a cercare chi mi illuminasse.
9. Per quanto chiaramente voglia parlare di queste cose di orazione, saranno sempre oscure per chi non ne ha esperienza. Parlerò di alcuni ostacoli che, a mio giudizio, si frappongono in questo cammino, e di altre cose pericolose, secondo ciò che il Signore mi ha insegnato per esperienza e di cui ho trattato con uomini molto dotti e con persone che fanno vita spirituale da molti anni. Si vedrà che in soli ventisette anni da quando pratico l’orazione, nonostante cammini tanto male e fra tanti inciampi in questa via, il Signore mi ha dato tale esperienza quale ne hanno altri che vi camminano da trentasette o da quarantasette anni con continui esercizi di penitenza e di virtù. Sia egli benedetto per tutto questo e si serva pure di me, per quello che egli è. Sa bene il mio Signore che io non cerco altro, scrivendo, se non che egli sia lodato ed esaltato un pochino, facendo vedere come di un letamaio così sudicio e maleodorante egli abbia fatto un giardino di così delicati fiori. Piaccia a Sua Maestà che io non torni per mia colpa a strapparli, ridiventando quella che ero. Questo io supplico, per amore del Signore, che la signoria vostra chieda, poiché sa chi sono io più chiaramente di quanto mi abbia permesso di scrivere.
CAPITOLO 11
Mostra perché non si giunga ad amare Dio con perfezione in breve tempo. Comincia a spiegarlo per mezzo di un paragone che illustra quattro gradi di orazione. Procede, in questo capitolo, a trattare del primo; è molto utile per i principianti e per coloro che non provano gioia nell’orazione.
1. Venendo, dunque, ora a parlare di quelli che cominciano ad esser servi dell’amore (giacché altro non mi sembra il determinarsi a seguire per la via dell’orazione colui che ci ha tanto amato), è un onore così grande che provo una gioia straordinaria nel ripensarvi. Infatti, ogni timore servile scompare immediatamente, se in questo primo stato procediamo come si deve. Oh, Signore dell’anima mia e mio solo bene! Perché non volete che quando un’anima è determinata ad amarvi procurando, per quanto è possibile, di staccarsi da ogni cosa per dedicarsi meglio all’amore di Dio, non abbia subito la gioia di elevarsi a possedere questo amore in modo perfetto? Ho detto male; avrei dovuto dire, deplorandolo: perché non lo vogliamo noi? Infatti, la colpa è nostra se non godiamo subito di tanto onore, in quanto se arrivassimo a possedere in modo perfetto il vero amore di Dio, esso comporterebbe ogni specie di beni. Ma noi siamo così avari e così lenti nel darci totalmente a Dio che, non volendo Sua Maestà che godiamo di un bene tanto prezioso senza pagarlo a caro prezzo, non giungiamo mai a disporci convenientemente a riceverlo.
2. Ben vedo che non c’è prezzo adeguato in terra per l’acquisto di un tale tesoro, ma se facessimo quanto è in nostro potere per non attaccarci a cose terrene, rivolgendo invece ogni nostra cura e ogni nostro atto a quelle del cielo, credo senza alcun dubbio che in breve tempo ci sarebbe dato questo bene, purché – ripeto – ci disponessimo subito a riceverlo, come fecero alcuni santi. Invece, ci sembra di dar tutto, e in realtà offriamo a Dio la rendita e i frutti, e ci tratteniamo la proprietà e il capitale. Ci decidiamo a essere poveri – cosa molto meritoria – ma spesso ritorniamo a porre ogni cura e diligenza a non farci mancare non solo il necessario, ma perfino il superfluo, e ad andare in cerca di amici che ce lo procurino, esponendoci a maggiori preoccupazioni e, forse, a più gravi pericoli, con il desiderare che non ci manchi nulla, di quelli in cui incorrevamo prima con il possesso delle nostre ricchezze. Ci sembra anche di rinunciare al pregiudizio dell’onore con il farci religiosi e con l’aver cominciato a condurre vita spirituale e a seguire la via della perfezione e, appena ci toccano in un punto di onore, non ricordandoci di averlo ormai dato a Dio, eccoci di nuovo a rivendicarlo e a voler riprenderglielo, come si dice, dalle mani, dopo averlo fatto volontariamente, a quanto sembra, padrone di esso. E così è di tutto il resto.
3. Bella maniera di cercare l’amore di Dio! E poi lo vogliamo subito a piene mani, come suol dirsi. Mantenere le nostre affezioni (visto che non cerchiamo di mettere in pratica i nostri desideri per non riuscire ad elevarli dalla terra) e, ciò nonostante, pretendere molte consolazioni spirituali, è assurdo; non mi sembra, infatti, che una cosa sia compatibile con l’altra. Pertanto, poiché non riusciamo a darci totalmente a Dio, anche l’elargizione di questo tesoro non è totale. Piaccia al Signore che Sua Maestà vada donandocelo a goccia a goccia, dovesse pur costarci tutte le sofferenze del mondo!
4. Grande misericordia egli usa a colui al quale dona la grazia e il coraggio di risolversi ad acquistare con tutte le sue forze questo bene perché, se persevera nella sua risoluzione, Dio, che non nega a nessuno il suo aiuto, a poco a poco renderà il suo coraggio capace di conseguire la vittoria. Dico coraggio, essendo innumerevoli gli ostacoli frapposti all’inizio dal demonio per impedire che s’intraprenda di fatto questa via, come chi conosce il danno che gliene viene, non solo per la perdita di quell’anima, ma di molte. Se, infatti, chi comincia a darsi all’orazione si sforza, con il favore divino, di raggiungere la vetta della perfezione, credo che non entrerà mai solo in cielo, ma traendosi dietro molta gente, come un buon capitano a cui Dio abbia affidato la sua compagnia. Perciò il demonio gli pone innanzi tanti pericoli e difficoltà che ha bisogno di non poco coraggio per non tornare indietro e, inoltre, di un grandissimo aiuto di Dio.
5. Parlando ora degli inizi di coloro che sono ormai decisi a perseguire questo bene e a conquistarlo (delle altre cose di cui avevo cominciato a dire circa la teologia mistica – credo che si chiami così – parlerò più avanti): in questi inizi sta proprio la maggior fatica, perché qui è dove si deve lavorare, anche se il Signore fornisce i mezzi per farlo, mentre negli altri gradi di orazione predomina il godimento, sebbene tutti, siano essi al principio, a metà o alla fine, portino le loro croci, per quanto diverse. Questo cammino, già percorso da Gesù Cristo, devono percorrere coloro che lo seguono, se non vogliono perdersi. E benedette queste croci che anche qui, in vita, ci vengono ripagate in sovrappiù!
6. Dovrò servirmi di qualche paragone, anche se, essendo donna, vorrei evitarli e scrivere semplicemente quello che mi hanno comandato, ma è così difficile esprimersi in questo linguaggio spirituale per chi, come me, non ha istruzione, che dovrò cercare di aiutarmi in qualche modo. Potrà darsi che il più delle volte non riesca a far calzare il paragone; vuol dire che servirà da passatempo alla signoria vostra il costatare la mia grande balordaggine. Mi sembra d’aver letto o udito il paragone che segue, ma non so dove né a che proposito, perché ho una cattiva memoria; è utile, però, al mio caso. Chi comincia deve pensare di cominciare a coltivare, per la gioia del Signore, un giardino in un terreno assai infecondo, pieno di erbacce. Sua Maestà strappa le erbe cattive e vi pianta le buone. Ora, supponiamo che questo sia già fatto quando un’anima si decide per l’orazione e ha cominciato a praticarla; con l’aiuto di Dio dobbiamo, da buoni giardinieri, procurare che quelle piante crescano e aver cura d’innaffiarle, affinché non muoiano e producano fiori di molta fragranza, per ricreare nostro Signore, in modo che venga spesso a dilettarsi in questo giardino e a godersi questi fiori di virtù.
7. Vediamo ora in che modo si può innaffiare un giardino, per capire cosa dobbiamo fare, se la fatica che ci costerà il nostro impegno sarà maggiore del guadagno e per quanto tempo essa durerà. A me sembra che un giardino si possa innaffiare in quattro modi:
– o con l’attingere acqua da un pozzo, il che comporta per noi una gran fatica;
– o con una noria e tubi, tirandola fuori mediante una ruota (io l’ho girata alcune volte), il che è di minor fatica del primo e fa estrarre più acqua;
– oppure derivandola da un fiume o da un ruscello: con questo sistema si irriga molto meglio, perché la terra resta più impregnata d’acqua, non occorre innaffiarla tanto spesso, e il giardiniere ha molto meno da faticare;
– oppure a causa di un’abbondante pioggia, in cui è il Signore ad innaffiarla senza alcuna nostra fatica, sistema senza confronto migliore di tutti quelli di cui ho parlato.
8. Ora, l’attuazione, in pratica, di queste quattro maniere di attingere l’acqua con cui si deve alimentare il nostro giardino, che senz’acqua andrebbe in rovina, è l’esempio che fa al mio caso. Mi pare che potrà chiarire qualcosa circa i quattro gradi d’orazione attraverso i quali il Signore, per sua bontà, ha fatto passare alcune volte la mia anima. Piaccia a lui, per tale bontà, che io riesca ad esprimermi in modo da giovare a una delle persone che hanno ordinato questo scritto. Il Signore lo ha condotto in quattro mesi molto più avanti del punto a cui ero giunta io in diciassette anni. Vi si è disposto meglio di me, e così irriga senza fatica questo giardino con tutte e quattro le acque; anche se l’ultima non gli venga data che a gocce; va però innanzi in modo tale che presto vi si addentrerà ben bene, con l’aiuto del Signore. Se il mio modo di spiegare gli sembrerà insensato, rida pure di me, perché ne avrò piacere.
9. Coloro che cominciano a fare orazione sono coloro che attingono l’acqua dal pozzo, con grande stento, come detto, dovendo affaticarsi a raccogliere i sensi; il che, essendo questi abituati a divagare, costa grande fatica. È necessario che vadano abituandosi a non curarsi minimamente di vedere o udire nulla, mettendo specialmente in pratica questa noncuranza nelle ore di orazione, a starsene in solitudine e, così appartati, pensare alla loro vita passata (anzi, questo, primi e ultimi, lo devono fare tutti spesso), insistendo più o meno in tale pensiero, come dirò in seguito. In principio, inoltre, dà loro pena il non riuscire a capire se si pentono davvero dei propri peccati, ma sì, se ne pentono, se si decidono a servire Dio con tanta sincerità. Devono cercare di meditare sulla vita di Cristo, e in questa meditazione l’intelletto finisce per stancarsi. Fin qui possiamo avvantaggiarci da noi, s’intende con la grazia di Dio, senza la quale si sa che non possiamo avere nemmeno un buon pensiero. Questo è cominciare ad attingere acqua dal pozzo. Voglia ancor Dio che possa trovarsene, ma almeno cerchiamo, da parte nostra, di andare ad attingerla e di fare tutto il possibile per innaffiare i fiori. Dio è così buono che anche quando, per motivi che Sua Maestà solo conosce – forse di gran vantaggio per noi – permette che il pozzo sia secco, se noi facciamo ciò che dobbiamo fare da buoni giardinieri, senz’acqua alimenterà i fiori e farà crescere le virtù. Chiamo qui «acqua» le lacrime e, in mancanza di queste, la tenerezza e il sentimento interiore di devozione.
10. Che deve, dunque, fare colui che da molti giorni non vede in sé altro che aridità, noia, ripugnanza, e tale mala voglia di andare ad attingere acqua, che se non ricordasse di far piacere e di rendere servizio al Signore del giardino e non si adoperasse a non perdere tutto ciò che spera di guadagnare con la grande fatica che costa gettare molte volte il secchio nel pozzo e tirarlo fuori senz’acqua, abbandonerebbe tutto? Gli accadrà spesso di non poter neppure alzare le braccia per far questo, né di avere un buon pensiero, poiché resta inteso che trarre l’acqua dal pozzo equivale a lavorare con l’intelletto. Allora, come dico, che farà in questo caso il giardiniere? Dovrà rallegrarsi, consolarsi e stimare come una grazia straordinaria il poter lavorare nel giardino di così grande imperatore. E poiché sa che con quel lavoro lo accontenta, e il suo intento non dev’essere quello di accontentare se stesso, ma Dio, gli renda gran lode per la fiducia che ripone in lui, avendo visto che senza alcuna paga fa tanta attenzione a ciò che gli è stato raccomandato, e lo aiuti a portare la croce, pensando che nella croce egli visse sempre. Non cerchi, del resto, quaggiù il suo regno né abbandoni mai l’orazione, deciso, anche se questa aridità debba durargli tutta la vita, a non lasciar cadere Cristo sotto il peso della croce. Verrà tempo che sarà ricompensato di tutto; non tema che il suo lavoro vada perduto; serve un buon padrone che lo sta guardando; non faccia caso dei cattivi pensieri; pensi che il demonio li faceva nascere anche a san Girolamo nel deserto.
11. Hanno però il loro premio queste fatiche, che so quanto siano gravi (come chi le ha sopportate molti anni, tanto che quando tiravo fuori una goccia d’acqua da questo benedetto pozzo, pensavo che Dio mi aveva fatto una vera grazia), e che mi sembrano richiedere più coraggio di quel che ci vuole per molte altre traversie del mondo. Ma ho visto chiaramente che Dio le ricompensa sempre ampiamente anche in questa vita. Sì, è così, non v’è dubbio: infatti, con un’ora sola delle dolcezze che egli mi ha poi concesso quaggiù di sé, mi sembra che restino ricompensate tutte le angosce lungamente sofferte per durare nell’orazione. Sono convinta che il Signore voglia dare alcune volte al principio, e altre alla fine, questi tormenti e le molte e varie specie di tentazioni che si presentano, per mettere alla prova coloro che lo amano e vedere se sapranno bere il suo calice e aiutarlo a portare la croce, prima di arricchirne l’anima con grandi tesori. E credo che per il nostro bene Sua Maestà voglia condurci attraverso queste prove, per farci capire che siamo ben poca cosa. Sono tanto sublimi le grazie che dopo ci concederà, che vuole farci vedere, prima di darcele, le nostre miserie per esperienza diretta, affinché non ci accada ciò che avvenne a Lucifero.
12. Che fate, Signor mio, che non sia per il maggior bene dell’anima che già sapete vostra, e che si sottomette a voi per seguirvi dovunque andiate, fino a morire sulla croce, decisa ad aiutarvi a portarla e a non lasciarvi solo con essa? Se ci si renderà conto di avere in sé questa determinazione, non c’è proprio di che temere, né vi è alcuna ragione di affliggersi, anime spirituali; una volta che ci si ponga in così alto grado com’è quello di voler trattare da sole a solo con Dio e abbandonare i passatempi del mondo, il più è fatto. Ringraziatene Sua Maestà e confidate nella sua bontà, che non è mai venuta meno ai suoi amici. Non vogliate indagare perché conceda tanta devozione a chi lo serve da molti anni. Teniamo per certo che tutto è per il nostro bene. Sua Maestà ci conduca dove voglia; ormai non apparteniamo più a noi stesse, ma a lui. Ci usa una grande misericordia nel permetterci di voler scavare nel suo giardino e star vicino al padrone di esso, che è sempre presso di noi. Se egli vuole che queste piante e questi fiori germoglino, alcuni con l’acqua attinta dal pozzo, altri senza di essa, che importa? Fate, o Signore, ciò che volete, purché io non abbia più ad offendervi né a perdere le mie virtù, se, unicamente per vostra bontà, me ne abbiate data qualcuna. Io voglio patire, Signore, perché voi patire; si adempia in me, pertanto, la vostra volontà, e non permetta la Maestà Vostra che un tesoro di così grande pregio come il vostro amore sia dato a chi vi serve solo per averne consolazioni.
13. Si deve notar bene – e lo dico perché lo so per esperienza – che l’anima la quale comincia a inoltrarsi risolutamente in questa via dell’orazione mentale e può riuscire a non far molto caso né delle consolazioni né degli sconforti che prova quando il Signore le concede o le nega questi piaceri e queste tenerezze, ha già percorso gran parte del cammino. Non tema di dover tornare indietro, per quanto possa inciampare, perché ha cominciato a erigere il suo edificio su salde fondamenta. È certo che l’amore di Dio non consiste nel versare lacrime né nel provare questi piaceri e tenerezze – che comunemente desideriamo e con i quali ci consoliamo – ma nel servire Dio con giustizia, con fortezza d’animo e umiltà. Ricevere di più mi sembra lo stesso che non dar nulla da parte nostra.
14. Per donnicciole come sono io, deboli e con scarsa fermezza, mi sembra che convenga, come Dio fa ora con me, favorirle di molti doni, affinché possano sopportare alcune tribolazioni a cui Sua Maestà ha voluto sottoporle; ma quando vedo che servi di Dio, uomini importanti, di cultura, d’intelligenza, fanno caso del fatto che Dio non concede loro devozione, è una cosa che solo a sentirla mi dà fastidio. Non dico che non debbano accettarla, se Dio gliela dà, e farne gran conto, perché significa che Sua Maestà ha ritenuto conveniente dargliela; ma dico che quando non l’hanno, non se ne affliggano e capiscano che non è necessaria, visto che Sua Maestà non la dà, e sappiano essere padroni di se stessi. Tengano per certo che questo è un errore – io l’ho visto e provato – e siano ben convinti che procedere nell’azione senza libertà di spirito e con animo debole è una imperfezione.
15. Questo non lo dico tanto per coloro che cominciano (anche se vi annetto grande importanza, essendo di grande vantaggio cominciare con questa libertà e determinazione), ma per gli altri, poiché ve ne saranno molti che hanno cominciato da un pezzo e non riescono mai a finire. Credo che il non aver abbracciato la croce fin da principio è in gran parte la causa che li rende afflitti, sembrando loro di non far nulla. Non possono sopportare che l’intelletto cessi di operare, mentre forse proprio allora aumenta e prende forza la volontà, ed essi non se ne accorgono. Dobbiamo pensare che il Signore non bada a queste cose le quali, anche se a noi sembrano colpe, non lo sono: Sua Maestà conosce bene la nostra miseria e l’inferiorità della nostra natura, molto meglio di noi stessi, e sa anche che queste anime desiderano solo pensare sempre a lui e amarlo. Questa è appunto la determinazione che egli vuole; quanto all’afflizione che noi ci procuriamo, non serve ad altro che a turbare l’anima la quale, se prima doveva rimanere un’ora senza trar profitto dall’orazione, adesso ne sarà incapace per lo spazio di quattro ore. Moltissime volte (io ne ho grandissima esperienza e so quanto sia vero per averci fatto particolare attenzione e averne parlato in seguito con persone spirituali) dipende da indisposizione fisica, poiché siamo così miserevoli, che questa povera anima partecipa delle miserie del corpo, di cui è come una piccola prigioniera; i cambiamenti di stagione, il mutamento degli umori fanno sì che molte volte, senza sua colpa, essa non possa far ciò che vuole e soffra ogni genere di patimenti. E quanto più, in tali circostanze, si voglia farle forza, tanto peggio è, perché il male dura più a lungo. Bisogna, invece, aver discrezione per capire quando dipende da queste cause e non opprimere la povera anima. Rendiamoci conto d’essere ammalati; si cambi l’ora dell’orazione, e molte volte per vari giorni, si sopporti come meglio si può questo esilio, perché è una grande disgrazia, per un’anima che ama Dio, vedersi vivere in questa miseria e non poter fare ciò che vuole, per il fatto di avere un ospite così cattivo com’è questo nostro corpo.
16. Ho detto «con discrezione», perché qualche volta sarà opera del demonio; pertanto, è bene non lasciare del tutto l’orazione, quando l’intelletto sia molto distratto e turbato, né tormentare di continuo l’anima costringendola a ciò che non può fare. Ci sono altre pratiche esteriori, come le opere di carità e la lettura, anche se a volte non si sarà disposti neppure a questo. Allora l’anima serva il corpo per amore di Dio, affinché sia poi esso a servire l’anima più spesso, e si prenda qualche onesto passatempo di conversazioni – che siano sante conversazioni – o faccia ricorso alla campagna, secondo quello che le consiglierà il confessore. In tutto ha molta importanza l’esperienza che fa conoscere ciò che ci conviene, e in tutto si serve Dio. Il suo giogo è soave ed è di gran guadagno non trascinare l’anima a viva forza, come si dice, ma guidarla con la soavità di tale giogo, per il suo maggior profitto.
17. Perciò ripeto il consiglio già dato – e anche se lo dico molte volte è poco male –, che ha grande importanza, che nessuno si tormenti né si affligga per aridità, inquietudini e distrazioni di pensieri. Se vuole conquistare la libertà dello spirito e non essere sempre pieno di tribolazioni, cominci a non aver paura della croce, e vedrà come anche il Signore l’aiuterà lui a portarla, e la gioia con cui procederà, e il profitto che trarrà da tutto, perché è evidente che se il pozzo non dà acqua, noi non possiamo mettercela. È altrettanto vero, però, che non dobbiamo distrarci, affinché, quando l’acqua ci sia, provvediamo ad attingerla, perché allora Dio vuole, con questo mezzo, moltiplicare ormai in noi le virtù.
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