20 minuti

Libro della Vita - Capitoli 12, 13

Autore: Santa Teresa d'Avila

CAPITOLO 12

Prosegue a parlare di questo primo stato. Dice fin dove possiamo arrivare da noi stessi, con l’aiuto di Dio, e il danno di voler elevare lo spirito a cose soprannaturali, prima che lo faccia il Signore.

1. Ciò che nel capitolo precedente ho cercato di far capire, sebbene abbia molto divagato in altre cose che mi sembravano particolarmente necessarie, è fino a che punto possiamo arrivare da noi, e come in questo primo grado d’orazione possiamo aiutarci un po’. Infatti, pensando e riflettendo a ciò che il Signore ha sofferto per noi, ci sentiamo muovere a compassione; ed è piacevole questa pena, come anche le lacrime che ne derivano, perché il pensiero della gloria che speriamo, dell’amore che il Signore ci ha portato e della sua risurrezione, ci suscita un godimento che non è del tutto spirituale né del tutto sensitivo, ma un godimento virtuoso, e la pena assai meritoria. Di tal genere sono tutte le cose che suscitano una devozione, al cui acquisto si giunge, in parte, con l’intelletto, benché, se Dio non la concede, non si possa meritarla né conseguirla. Conviene particolarmente a un’anima che egli non abbia portato più su di qui, non cercar di salire da sé – si badi molto a questa raccomandazione – perché non ne trarrebbe altro frutto che danno.

2. In questo stato l’anima può fare molti atti per risolversi a servire bene il Signore e risvegliare il proprio amore per lui; altri ancora può farne per aiutare l’aumento delle virtù, in conformità di ciò che dice un libro intitolato Arte di servire Dio, molto buono e adatto per coloro che si trovano in questo stato, in cui opera l’intelletto. S’immagini di trovarsi dinanzi al Cristo, cerchi d’innamorarsi della sua sacra umanità, tenendola sempre presente, di parlare con lui, chiedergli aiuto nel bisogno, piangendo con lui nel dolore, rallegrarsi con lui nelle gioie, senza dimenticarlo mai a causa di esse e senza andare in cerca di orazioni studiate, ma servendosi di parole che rispondano ai propri desideri e alle proprie necessità. È un metodo eccellente per far profitto, in brevissimo tempo. Chi si adopera a vivere in così preziosa compagnia e ad avvantaggiarsene il più possibile, amando veramente questo nostro Signore, a cui tanto dobbiamo, costui, a mio parere, è già molto progredito.

3. Per questo, come ho già detto, non dobbiamo preoccuparci affatto di non sentire devozione, ma ringraziare il Signore che ci permette di essere desiderosi di accontentarlo, anche se le nostre opere sono fiacche. Questo modo di portar Cristo in noi giova in ogni stato ed è un mezzo sicurissimo per trar profitto dal primo grado di orazione e giungere in breve tempo al secondo, nonché per essere negli ultimi al sicuro dai pericoli ai quali può esporci il demonio.

4. Ebbene, ciò è quanto possiamo fare da noi. Se qualcuno volesse procedere oltre ed elevare lo spirito ad assaporare dolcezze che ivi non gli si offrono, ciò equivale, a mio parere, a perder l’una e l’altra cosa, perché si tratta di dolcezze soprannaturali; e se viene meno l’intelletto, l’anima resta vuota e del tutto arida. Poiché questo edificio dev’essere interamente fondato sull’umiltà, quanto più ci avviciniamo a Dio, tanto più dobbiamo progredire in queste virtù, altrimenti va tutto perduto. E sembra in certo modo superbia che noi si voglia salire più in alto, perché Dio fa già troppo, per quello che siamo, ad avvicinarci a sé. Non si deve intendere con ciò che io mi riferisca all’elevarsi con il pensiero a meditare su cose alte del cielo o di Dio, sulle meraviglie che ci sono là, e sulla grande sua sapienza; perché anche se io non l’ho mai fatto (non ne ero capace, come ho detto, e mi sentivo tanto miserabile che, con l’aiuto di Dio, riuscivo a capire come il solo pensare alle bellezze della terra fosse non poco ardire, tanto più a quelle del cielo), altre persone possono giovarsene, specialmente se sono istruite; il che, a mio parere, è un gran tesoro, per questo esercizio, quando l’istruzione è unita all’umiltà. Pochi giorni fa l’ho costatato in alcuni studiosi i quali, pur avendo cominciato di recente l’orazione, hanno fatto in essa grandi passi, e ciò mi ispira un ardente desiderio che siano molti a dedicarsi alla vita spirituale, come dirò più avanti.

5. Ora, quand’io dico: «non s’innalzino finché Dio non li innalzi», uso un linguaggio spirituale; chi ne abbia qualche esperienza mi capirà, poiché non so dirlo altrimenti se non si riesce a capirlo così. Nello stato di teologia mistica di cui ho fatto cenno, l’intelletto cessa di operare, perché Dio ne sospende l’esercizio, come spiegherò meglio in seguito, se lo saprò fare e s’egli mi darà il suo aiuto a tal fine. Presumere o pensare di sospenderlo noi, è ciò che dico che non si deve fare, come non si deve cessare di operare con esso, perché diversamente resteremo freddi e istupiditi e non faremo né una cosa né l’altra, mentre quando è il Signore a sospenderlo e a fermarlo, gli dà lui stesso di che occuparsi e contemplare, e fa sì che, senza il ricorso alla ragione, intenda nello spazio di un Credo più di quel che noi possiamo intendere con tutte le nostre umane diligenze nel corso di molti anni. Ma pretendere di occupare da noi stesse le potenze dell’anima e di arrestarne l’attività, è una pazzia. E ripeto che, pur facendolo inavvertitamente, è segno di poca umiltà; anche se non c’è colpa, la pena c’è, perché sarà una fatica inutile e l’anima rimarrà con una certa amarezza, come chi, disponendosi a spiccare un salto, si sente afferrare dietro e vede che, dopo aver impegnato tutte le sue forze, si ritrova senza aver fatto nulla di ciò che voleva. Nello scarso profitto ricavato vedrà, chi voglia riflettere, che la causa è quella piccola mancanza di umiltà di cui ho parlato, perché ha questo di eccellente tale virtù, che non c’è azione a cui essa si accompagni che lasci l’anima afflitta. Mi sembra di essermi spiegata, ma forse sarà solo per me. Il Signore apra gli occhi a quelli che leggeranno il mio scritto e, per poca esperienza che abbiano, lo capiranno subito.

6. Ho trascorso vari anni leggendo molte cose senza intendere nulla di esse, e gran tempo in cui, anche se Dio mi concedeva di capire, non sapevo dir nulla per far capire a mia volta le stesse cose, e questo mi è costato non poco tormento. Ma quando Sua Maestà lo vuole, in un attimo insegna tutto, in modo che se ne rimane sbigottiti. In verità debbo dire una cosa; che, pur parlando con molte persone spirituali le quali si adoperavano a spiegarmi ciò che il Signore mi concedeva, perché lo sapessi esporre, era così grande la mia ottusità, che non me ne giovavo né molto né poco, o così voleva il Signore, perché non dovessi essere grata a nessuno se non a lui, essendo sempre stato Sua Maestà il mio maestro (sia egli di tutto benedetto! Mi è causa di grande confusione dire questo, ma è la pura verità). Senza che lo volessi né lo chiedessi (perché a questo riguardo, in cui sarebbe stata una virtù esser curiosa, non lo fui mai, bensì lo fui di altre cose del tutto vane), Dio in un attimo mi fece capire ogni suo favore con assoluta chiarezza, e mi diede la capacità di saperlo dire in modo tale che i miei confessori ne rimanevano stupiti ed io più di loro, perché meglio di loro conoscevo la mia ottusità. Questa grazia l’ho ricevuta da poco, ragion per cui non cerco più di apprendere ciò che il Signore non mi ha insegnato, tranne che non si tratti di cosa che riguardi la mia coscienza.

7. Ritorno ancora una volta ad avvertire quanto importi non elevare lo spirito se Dio non lo eleva, cosa che, quando avviene, s’intende subito. Altrimenti il pericolo è grave, specialmente per le donne, nel cui animo il demonio potrà far sorgere qualche illusione, benché sia convinta che il Signore non gli permetterà mai di rovinare chi cerca di avvicinarsi a lui con umiltà; anzi questi trarrà maggior profitto e guadagno proprio da ciò con cui il demonio ne desiderava vivamente la perdita. Mi sono dilungata tanto per il fatto che questa via dei principianti è la più battuta, e i consigli che ho dato sono molto importanti. Altri ne avranno trattato molto meglio di me, lo ammetto, e confesso di aver scritto con grande confusione e vergogna, anche se non con tutta quella che avrei dovuto avere. Sia benedetto il Signore che vuole e permette che una persona come me parli di cose sue così alte e sublimi.

CAPITOLO 13

Continua a parlare di questo primo stato e dà consigli per vincere alcune tentazioni a cui talvolta il demonio suole esporci. Mette in guardia contro di esse. È un capitolo molto utile.

1. Mi è sembrato opportuno parlare di alcune tentazioni che, come ho visto, si provano agli inizi – e qualche volta le ho avute anch’io – e dare alcuni consigli che mi sembrano necessari in proposito. Agli inizi, dunque, bisogna cercare di procedere con allegrezza e libertà di spirito, mentre alcune persone credono di dover perdere la devozione, se si distraggono un po’. È bene, sì, procedere temendo di sé, per non esporsi poco o molto a occasioni che offrono generalmente motivo di offendere Dio, precauzione indispensabile fino a quando non si è ben saldi nella virtù; e non sono molti ad esserlo tanto da potersi impunemente trascurare in occasioni che assecondano la loro indole. È sempre bene, finché viviamo, se non altro per umiltà, riconoscere la nostra misera natura, ma ci sono molte circostanze in cui – come ho detto – è ammesso prendersi una distrazione, anche per ritornare corroborati all’orazione. Occorre discrezione in tutto.

2. Bisogna avere grande fiducia, perché quello che giova molto non è limitare i nostri desideri, ma credere che con l’aiuto di Dio, impegnandoci a fondo, a poco a poco, anche se non subito, potremo arrivare dove arrivarono molti santi i quali, se non si fossero indotti a tali desideri e non avessero cercato a poco a poco di realizzarli, non sarebbero mai ascesi a uno stato così sublime. Sua Maestà vuole e ama le anime coraggiose, purché procedano con umiltà e diffidino di sé. Non ho mai visto nessuna di esse restare indietro nel cammino della perfezione, né ho mai visto nessuna anima codarda – sia pure ammantata di umiltà – fare in molti anni il cammino che le altre fanno in pochissimo tempo. Mi stupisce quanto profitto si ottenga in questa via con l’animarsi a grandi cose; anche se lì per lì l’anima non ne abbia le forze, spicca il volo e arriva molto in alto, pur stanca e a poco a poco, come l’uccellino di primo pelo.

3. Tempo addietro pensavo molto spesso a ciò che dice san Paolo: che in Dio si può tutto. Ben capivo che da me non potevo nulla. Questo mi giovò molto; e così pure quanto dice sant’Agostino: «Dammi, Signore, ciò che comandi e comanda ciò che vuoi». Molte volte pensavo che san Pietro non aveva perduto nulla gettandosi in mare, anche se dopo ne ebbe paura. Queste prime risoluzioni sono gran cosa, quantunque in questo primo stato occorra procedere con più cautela che negli altri, e ligi al prudente consiglio di un maestro, badando, però, che sia tale da non insegnarci a camminare come tartarughe e da accontentarci che l’anima si mostri capace solo di cacciar lucertoline. L’umiltà sia sempre tenuta presente, per rendersi conto che tali forze non possono provenire da noi.

4. Ma occorre capire bene come debba essere questa umiltà, perché credo che il demonio arrechi molto danno alle persone che praticano l’orazione, cui impedisce di progredire notevolmente, dando loro una falsa idea dell’umiltà, con il far apparire superbia il nutrire grandi desideri, il voler imitare i santi e l’anelare al martirio. Dice subito o fa capire che le azioni dei santi sono cosa da ammirarsi ma non da imitarsi da noi che siamo peccatori. Anch’io dico lo stesso, ma dobbiamo distinguere ciò che è da ammirare da ciò che è da imitare, perché non sarebbe certamente bene che una persona debole e ammalata si esponesse a frequenti digiuni e ad aspre penitenze, andandosene in un deserto, dove non potesse dormire né avesse da mangiare, e cose simili. Dobbiamo, invece, pensare che possiamo sforzarci, con l’aiuto di Dio, a riuscire a disprezzare il mondo, non stimare gli onori, non essere attaccati ai beni materiali. Ma abbiamo cuori così gretti, che ci sembra debba mancarci la terra sotto i piedi non appena decidiamo di trascurare un poco il corpo e darci allo spirito. Inoltre, ci sembra che aiuti il raccoglimento avere tutto quello che è necessario, perché le preoccupazioni turbano l’orazione. Mi addolora che si abbia così poca fiducia in Dio e così grande amor proprio da lasciarsi turbare da tali preoccupazioni. Ed è proprio così: quando lo spirito è così poco elevato, come nel caso suddetto, certe cose da nulla danno tanta pena quanta ne danno ad altri grandi cose di molta importanza. E nel nostro cervello presumiamo di essere spirituali!

5. Ora, a me sembra che con questo modo di procedere s’intenda conciliare il corpo con l’anima per non perdere la pace quaggiù e godere lassù di Dio. E così sarebbe in effetti, camminando con giustizia e conformati a virtù, ma si avanzerebbe a passo di lumaca, con il quale non si arriverebbe mai alla libertà di spirito. Mi sembra un modo di procedere assai buono per i coniugati, i quali devono condursi in conformità della loro vocazione, ma per un altro stato non approvo assolutamente tale modo di trarre profitto, e nessuno mi farà credere che sia buono, perché l’ho provato, e sarei rimasta sempre ad un punto se il Signore, nella sua bontà, non mi avesse insegnato un’altra via più breve!

6. Sebbene, in materia di desideri, li abbia avuti sempre grandi, cercavo tuttavia, come ho detto, di praticare l’orazione, ma di vivere a mio piacere. Credo, però, che se ci fosse stato qualcuno che mi avesse insegnato a volare, sarei riuscita ad attuare tali desideri; ma, a causa dei nostri peccati, sono così pochi, così rari i direttori spirituali esenti da eccessiva prudenza in proposito, che credo sia questo il motivo principale per cui i principianti non arrivano più presto a grande perfezione. Il Signore, infatti, non manca mai di aiutarci e non è per causa sua se non facciamo progressi: i manchevoli e i miserabili siamo noi.

7. Si possono anche imitare i santi nel cercare solitudine e silenzio e praticare molte altre virtù che non uccideranno certo i nostri vili corpi, che noi vogliamo trattare con ogni riguardo, per riuscire solo a rovinare l’anima. E il demonio, da parte sua, concorre moltissimo a renderli inabili ad alti compiti, non appena vede in noi un po’ di amore. Non cerca altro per farci credere che qualunque cosa ci ammazzerà e ci rovinerà la salute; perfino se versiamo qualche lacrima ci fa temere di diventare ciechi. Ci sono passata e per questo lo so, ma mi chiedo se si possa desiderare miglior vista e salute che perdere entrambe per una tale causa. Essendo tanto malata, fino a quando non presi la decisione di non badare al corpo, sono stata sempre come vincolata, del tutto inutile. Anche ora faccio ben poco, ma da quando Dio mi ha fatto capire questo inganno del demonio, non appena egli mi presentava il pericolo di perdere la salute, io dicevo: «m’importa poco di morire»; se mi suggeriva la necessità del riposo: «non già di riposo ho bisogno, ma di croce». Così per il resto. Vidi chiaramente che molto spesso, benché io, di fatto, sia molto malata, si trattava di una tentazione del demonio o della mia pigrizia. Infatti, da quando non mi uso tanti riguardi e non mi concedo agi, ho molta più salute. Perciò è di grande importanza, agli inizi, non nutrire pensieri deprimenti. E mi si creda in questo, perché lo so per esperienza; affinché la mia esperienza serva di lezione, potrà essere utile dire queste mie colpe.

8. C’è, inoltre, un’altra tentazione molto comune, e consiste nel desiderare, non appena si cominciano a gustare la pace e i vantaggi dell’orazione, che tutti siano molto spirituali. Desiderarlo non è male, ma cercare di ottenerlo potrebbe non essere cosa buona, se non si procede con molta discrezione e con abilità, in modo che non sembri un voler far da maestri. Chi vuole, infatti, ottenere qualche frutto in questa circostanza, è necessario che abbia virtù ben salde, altrimenti può essere di tentazione agli altri. Accadde proprio a me – e per questo lo so – quando, come ho detto, facevo sì che altre anime s’inducessero all’orazione: mentre da una parte mi udivano dire grandi cose dell’enorme vantaggio che procurava darsi all’orazione, dall’altra mi vedevano talmente povera di virtù, che il fatto ch’io praticassi l’orazione le rendeva incerte e turbate. E con tutta ragione, come mi hanno poi detto esse stesse, non riuscivano a capire in che modo le due cose potessero conciliarsi. Ne era anche causa, per il buon concetto che avevano di me, il non ritenere cattivo quello che in realtà lo era, per il fatto di vedere che io talvolta lo facevo.

9. Questa è opera del demonio, che sembra servirsi delle nostre buone qualità per giustificare, come può, il male che esige, giacché, poco che sia, in una comunità ha molto da guadagnare; tanto più che il male che facevo era enorme. Così, in molti anni, solamente tre persone si giovarono dei miei consigli; mentre, dopo che il Signore mi fortificò nella virtù, in due o tre anni se ne giovarono molte, come dirò in seguito. Oltre a questo, c’è un altro grave inconveniente, ed è che l’anima ne abbia a scapitare, perché ciò a cui dobbiamo soprattutto badare al principio è di attendere alla sua esclusiva formazione e far conto che sulla terra non ci siano altri che Dio e l’anima: questo sarà molto utile.

10. Un’altra tentazione presenta il demonio (e tutte hanno tale apparenza di zelo virtuoso che è necessario conoscerle e procedere con attenzione): consiste nell’affliggersi per i peccati e per le colpe che si vedono negli altri. Il demonio fa credere che sia solo una sofferenza nata dal desiderio che non si offenda Dio e dal dolore del suo onore vilipeso, a cui si dovrebbe porre subito rimedio. Ciò turba tanto da impedire di concentrarsi nell’orazione: e il maggior danno è pensare che sia virtù, perfezione e grande fervore di amor divino. Non mi riferisco, qui, alla pena che procurano i peccati pubblici, se diventati abituali in una Congregazione, o i mali che recano alla Chiesa le attuali eresie in cui vediamo perdersi tante anime, perché questa pena è molto buona e, come tale, non genera inquietudine. Ma la cosa più sicura per l’anima che si dia all’orazione è dimenticarsi di tutto e di tutti, attendendo a se stessa e ad accontentare Dio. Questo è molto importante perché, se dovessi dire gli errori che ho visto commettere nella fiducia della propria buona intenzione, non la finirei più. Procuriamo dunque di apprezzare le virtù e le buone opere che vedremo negli altri e coprire i loro difetti pensando ai nostri grandi peccati. È un modo di procedere che, anche se non raggiunge subito la perfezione, ci fa conquistare una grande virtù, quella di stimare gli altri migliori di noi; essa ha inizio proprio da qui, s’intende col favore di Dio, necessario in tutto – e, quando manca, sono inutili le nostre diligenze –, che dobbiamo supplicare di darci tale virtù, perché, se ci adopereremo con tutte le nostre forze a questo scopo egli, che non manca a nessuno, ce la darà.

11. Badino a questo consiglio anche coloro che argomentano con l’intelletto, traendo da un solo pensiero molte riflessioni e molti concetti; giacché a coloro che non possono operare con l’intelletto, come accadeva a me, non c’è da consigliare altro se non che abbiano pazienza fino a che il Signore dia loro di che occuparsi e luce per farlo. Possono così poco da sé che l’intelletto, invece di aiutarli, li impaccia. Ritornando dunque a quelli che discorrono con l’intelletto, dico che non devono spendere tutto il tempo in questo perché, anche se è molto meritorio, non sembra loro – essendo l’orazione fonte di gioia – che ci debba essere giorno di domenica né un istante di tregua dal lavoro (subito credono di perder il tempo, mentre io considero gran guadagno questa perdita). Invece, come ho detto, immaginino di essere alla presenza di Cristo e, senza stancare l’intelletto, restino a parlargli e a godere di lui, senza affaticarsi, ripeto, a far ragionamenti, ma esponendogli i bisogni spirituali, consapevoli d’essere indegni che egli sopporti di farli stare alla sua presenza. Ora facciano una considerazione, ora un’altra, perché l’anima non si stanchi di nutrirsi sempre d’un cibo. Sono cibi assai gustosi e proficui; se ci abituassimo a nutrirci di essi, ne avremmo un grande sostentamento per dar vita all’anima, e molti altri vantaggi.

12. Voglio spiegarmi meglio, perché queste cose di orazione sono tutte astruse e, se non si trova un maestro, assai difficili a capirsi; ciò fa sì che, pur volendo essere breve – e per la perspicacia di chi mi ha ordinato di scriverne sarebbe bastato solo appena accennarvi –, la mia incapacità non mi consente di dire e far capire in poche parole una cosa che è tanto importante spiegare bene. Siccome io ho sofferto molto, mi fa pena chi comincia a darsi all’orazione solo con l’aiuto di libri, essendo incredibile quanto sia diverso quello che si capisce dai libri da quello che poi si vede con l’esperienza. Ritornando dunque a ciò di cui parlavo, mettiamoci a meditare su un brano della passione, per esempio quello della flagellazione del Signore legato alla colonna. L’intelletto deve indagare i motivi, che s’indovinano, dei grandi dolori e della pena sofferta da Sua Maestà in quell’abbandono, e molte altre cose che potrà dedurre da questo passo, se il suo intelletto sa ragionare o se è persona dotta. È, questo, il modo di orazione in cui tutti devono cominciare, proseguire e finire, cammino eccellente e sicuro in sommo grado, fino a che il Signore non ci elevi ad altre cose soprannaturali.

13. Dico «tutti», ma ci sono molte anime che traggono più profitto da altre meditazioni che non da quelle della divina passione; perché allo stesso modo in cui vi sono molte dimore nel cielo, vi sono anche molte vie spirituali. Alcune persone traggono profitto dal considerarsi nell’inferno, altre nel cielo – e si abbattono nel pensare all’inferno –, altre dal meditare sulla morte. Alcune, di cuore tenero, provano gran travaglio nel pensare sempre alla passione e, invece, sollievo e profitto nel considerare la potenza e la grandezza di Dio nelle creature, l’amore che ha avuto per noi e che si rivela in tutte le cose. Ed è, questo, un modo mirabile di procedere, purché non si tralasci troppo la passione e la vita di Cristo, da cui ci è venuto e ci viene ogni bene.

14. È necessario che chi comincia ascolti consigli, per vedere da dove può trarre maggior frutto. Per questo bisogna che ci sia un maestro, purché abbia molta esperienza; perché, se non l’ha, può errare grandemente e guidare un’anima senza capirla né lasciare che essa stessa s’intenda; l’anima, infatti, sapendo che è grande merito sottostare al maestro, non osa scostarsi da ciò che le comanda. Io mi sono incontrata con anime soffocate e afflitte per l’inesperienza di chi le guidava, e ne ho avuto pena; qualcuna, persino, non sapeva più che cosa fare di sé perché, se non s’intende lo spirito, si affliggono l’anima e il corpo e si impedisce il progresso. Ne conobbi una il cui maestro da otto anni la costringeva a non uscire dal proprio conoscimento, mentre il Signore l’aveva già elevata all’orazione di quiete, e pertanto soffriva molto.

15. Tuttavia, la meditazione sulla conoscenza di sé non si deve mai tralasciare, perché non c’è anima che nel cammino dello spirito sia così gigante da non aver bisogno di ritornare spesso a essere bambina e a succhiare il latte materno (questo non lo si dimentichi mai, e forse lo dirò più volte, perché ha molta importanza), non essendoci uno stato di orazione così elevato che spesso non sia necessario rifarsi dal principio. La conoscenza di sé e dei propri peccati è il pane che in questo cammino dell’orazione si deve mangiare con tutti i cibi, anche con i più delicati, e senza di esso non ci si può sostenere. Ma si deve mangiare con discrezione, perché quando un’anima si vede ormai piena di devozione e capisce chiaramente di non aver nulla di buono, per s stessa, e si sente confusa di vergogna davanti a sì gran Re, vedendo quanto poco lo paghi per il molto che gli deve, che bisogno c’è di sprecare il tempo in questo? Dobbiamo, invece, passare ad altre cose che il Signore ci pone innanzi e che non vi è ragione di tralasciare, perché Sua Maestà sa meglio di noi ciò di cui ci conviene nutrirci.

16. Sicché è molto importante che il maestro sia avveduto, cioè di buon senso, e che abbia esperienza; se, in più, ha dottrina, è assai grande fortuna, ma se queste tre qualità non si possono trovare insieme, le più importanti sono le prime due, perché, avendone bisogno, i dotti a cui aprire il proprio animo si possono sempre trovare. Dico che ai principianti giova poco la dottrina, se non hanno spirito di orazione. Non dico con questo che non si debba trattare con i dotti, anzi, piuttosto che un’anima non proceda in base alla verità, preferisco che sia senza orazione. E la scienza è gran cosa, perché dà insegnamenti e luce a noi che poco sappiamo, sì che, giunti alle verità della sacra Scrittura, facciamo ciò che dobbiamo. Dio ci liberi dall’attendere a devozioni stolte.

17. Voglio spiegarmi meglio, perché mi sembra d’essermi perduta in molte cose. Ho avuto sempre questo difetto, di non essere capace di farmi capire – come ho detto – se non a prezzo di molte parole. Supponiamo, dunque, che una monaca cominci a fare orazione. Se chi la guida è un uomo semplice e gliene salta il ticchio, le farà credere che è meglio ubbidire a lui che al suo superiore e, senza malizia, ma pensando d’indovinarla, perché, se non è un religioso, gli sembra che si debba fare così. Se poi è una donna sposata, le dirà che è meglio, anche quando dovrebbe attendere alla casa, stare in orazione, benché abbia a scontentare suo marito; e così non saprà disporre il tempo né le cose perché vadano per la giusta via. Mancando egli di luce, non può darla agli altri, pur desiderandolo. Sebbene per queste cose non sembri che occorra lo studio, la mia opinione è sempre stata, come sempre lo sarà, che ogni cristiano cerchi possibilmente di trattare con chi ne sia ben fornito, e quanto più, tanto meglio; quelli che seguono il cammino dell’orazione ne hanno maggior bisogno degli altri, e più spirituali essi sono, più aumenta tale necessità.

18. Né ci si illuda dicendo che gli studiosi senza orazione non son fatti per chi la pratica (io ne ho trattati parecchi, in quanto da alcuni anni a questa parte mi sono adoperata a cercarli, stretta da maggior necessità, e sono sempre stata loro amica) perché, anche se alcuni non ne hanno esperienza, non rifuggono dalle cose spirituali né le ignorano. Infatti nella sacra Scrittura, che hanno continuamente tra mano, trovano sempre le verità attinenti allo spirito buono. Sono convinta che una persona di orazione che tratti con uomini dotti, se non lo vuole lei stessa, non sarà mai ingannata dal demonio con illusioni, perché credo che il demonio tema grandemente la scienza umile e virtuosa, sapendo che a causa di essa verrà scoperto e ne avrà la peggio.

19. Ho detto questo perché si crede che i dotti non siano fatti per gente di orazione, se non sono dotati di tale spirito. Certo, ripeto che è necessario un direttore spirituale, ma se egli non è un dotto, il danno è grave. Sarà di molto aiuto trattare con i dotti, purché siano virtuosi: anche se non hanno uno spirito di orazione, se ne trarrà vantaggio, perché Dio farà loro capire quello che devono insegnare, e li renderà perfino spirituali, perché possano giovarci. Parlo per mia personale esperienza, essendomi accaduto così con più di due persone. Dico pertanto che quando un’anima si rimette totalmente alla guida di un solo maestro, sbaglia molto se non lo cerca come l’ho descritto. Se è persona religiosa, deve già sottostare al suo prelato, cui può darsi che manchino le tre suddette qualità – e non sarà piccola croce – senza dovere, per giunta, andare di sua volontà a sottomettere il proprio giudizio a chi non sia avveduto. Questo io non sono mai riuscita a farlo, né mi sembra che convenga farlo. Se invece è secolare, ringrazi Dio di potersi scegliere la persona alla cui guida sottomettersi, e non perda questa santa libertà. È preferibile rimanere senza guida, finché non si trovi chi fa al caso, e il Signore concederà certo di trovarlo, se si procede in tutta umiltà e con desiderio di riuscire. Io lo lodo grandemente, e dovremmo sempre rendergli infinite grazie, noi donne e coloro che non hanno istruzione, per il fatto che ci sia chi, a costo di tante fatiche, ha raggiunto quella verità che noi, gente incolta, ignoriamo.

20. Molte volte mi stupisce la fatica che ai dotti, specialmente religiosi, è costato acquistare quella scienza della quale, senz’altra fatica se non quella di farne richiesta, io posso giovarmi. E pensare che ci sono persone che non vogliono approfittarne! Non lo permetta Iddio! Vedo quei religiosi costretti ai rigori della regola, che son grandi, con penitenze, cattivo nutrimento, soggetti all’obbedienza – il che alcune volte mi riempie, non c’è dubbio, di confusione –, con l’aggiunta di dormir male, affaticarsi sempre, ovunque trascinare la croce. Mi sembra davvero deprecabile che qualcuno, per sua colpa, perda un bene così grande. Ed è mai possibile che noi, che siamo liberi da queste sofferenze, e ci sediamo a tavola apparecchiata, come si dice, e viviamo a nostro agio, per il fatto di dedicarci un po’ di più all’orazione, dobbiamo aver la meglio su tante fatiche?

21. Siate benedetto, o Signore, per avermi fatto così inutile e incapace! Ma siate soprattutto benedetto perché spronate tante anime ad illuminarci. Dovremmo pregare incessantemente per chi ci illumina. Che saremmo senza di esse fra così grandi tempeste, come sono quelle che oggi sconvolgono la Chiesa? Se alcuni si sono mostrati infedeli, rifulgerà maggiormente la luce dei buoni. Piaccia al Signore di reggerli con la sua mano e di aiutarli affinché aiutino noi! Amen.

22. Mi sono molto dilungata dal soggetto di cui avevo cominciato a parlare, ma ogni soggetto è utile ai principianti, affinché possano avviarsi per un cammino così alto, in modo da rimanere sempre sulla retta via. Tornando, dunque, a quanto dicevo sulla meditazione della flagellazione di Cristo legato alla colonna, è bene fermarsi un momento a considerare le pene che ivi soffrì, perché le soffrì, chi è colui che le soffrì e l’amore con cui le soffrì, ma senza stancarsi a cercare queste considerazioni, stando soltanto lì con lui e facendo tacere l’intelletto. Se si può, occuparlo nel considerare che egli ci guarda, e fargli compagnia, parlargli, supplicarlo, umiliarci e deliziarci con lui, ricordando che non siamo degni di stare lì. Quando un’anima può far ciò, anche se è al principio della pratica di orazione, ne trarrà gran profitto, perché questo modo di pregare è assai vantaggioso, per lo meno tale è stato per la mia anima. Non so se riesco a spiegarmi; vostra paternità lo vedrà. Piaccia al Signore che io riesca sempre a contentarlo! Amen.

Link alla fonte »