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Libro della Vita - Capitoli 16, 17, 18

Autore: Santa Teresa d'Avila

CAPITOLO 16

Parla del terzo grado di orazione e spiega via via cose assai elevate: ciò che può fare l’anima che arriva a questo grado e gli effetti che operano tali grazie così grandi del Signore. È molto utile per elevare lo spirito a lodare il Signore e per consolare molto le anime che sono arrivate qui.

1. Cominciamo ora a parlare della terza acqua con cui si irriga questo giardino, cioè l’acqua corrente di fiume o di fonte. Ciò costa molto minor fatica, benché dia un po’ da fare immettere l’acqua nei canali. A questo punto il Signore vuole aiutare il giardiniere in modo tale da prenderne quasi il posto e far tutto lui. È come un sonno delle potenze dell’anima: esse non si perdono del tutto, ma non capiscono in che modo operino. Il piacere, la dolcezza e la gioia sono incomparabilmente maggiori di quelli dello stato precedente, perché l’acqua della grazia arriva alla gola, tanto che l’anima non può né sa come andare avanti né tornare indietro: vorrebbe godere dell’eccelsa gloria. È come uno con la candela in mano, cui manca poco per morire della morte tanto desiderata. In quell’agonia sta godendo con la maggiore gioia esprimibile: mi sembra che non sia altro se non un morire quasi completamente a tutte le cose del mondo e stare già godendo di Dio. Non so quali altri termini usare per dire e spiegare questo; l’anima non sa in tale stato cosa fare, se parlare o tacere, se ridere o piangere: è un glorioso delirio, una celeste follia, da cui si desume la vera sapienza, ed è, per l’anima, un modo di godere deliziosissimo.

2. Questa orazione il Signore me l’ha data largamente, credo cinque o sei anni fa, molte volte, ma siccome non la capivo, né l’avrei saputa esprimere, avevo deciso fra me, giunta a questo punto, di parlarne assai poco o nulla. Capivo bene che non era un’unione completa di tutte le potenze e vedevo anche molto chiaramente che era qualcosa di più della precedente, ma confesso che non sapevo precisare né intendere quale fosse questa differenza. Credo che si debba all’umiltà della signoria vostra, nel voler ricorrere a una persona così molto incapace come sono io, se il Signore mi ha concesso oggi, subito dopo la comunione, questa orazione, senza che io potessi far altro, e mi ha ispirato questi paragoni, insegnandomi il modo di esprimermi e ciò che in questo stato deve fare l’anima. Fui meravigliata di capire tutto in un attimo. Molte volte mi ero sentita come fuor di me, ebbra di quest’amore, e non avevo mai potuto intender come ciò avvenisse. Capivo bene che era opera di Dio, ma non riuscivo a capire come egli operasse perché, a dire il vero, le potenze gli sono quasi del tutto unite, ma non sono così assorbite in lui da non poter operare. Ho gioito moltissimo per averlo ora capito. Sia benedetto il Signore per avermi così favorita!

3. Qui le potenze non possono far altro che occuparsi completamente di Dio. Sembra che nessuna osi muoversi né potremmo smuoverle noi, a meno che con molto sforzo non volessimo distrarci, ma credo che neanche in tal caso potremmo riuscirci. Si dicono molte parole in onore di Dio, ma senza ordine (se il Signore stesso non vi pone ordine, perché l’intelletto qui non serve a nulla); l’anima vorrebbe gridare le sue lodi, e scoppia di gioia; è in preda a un’inquietudine piacevole. I fiori già sbocciano, già cominciano a emanare profumo. L’anima allora vorrebbe che tutti la vedessero e si accorgessero della sua gioia, per lodare Dio e aiutarla a glorificarlo e per renderli partecipi del suo gaudio, incapace di sopportarlo da sola. Mi sembra che sia come quella donna di cui parla il Vangelo che voleva chiamare e chiamava le vicine. Credo che tale sentimento doveva provare il re profeta Davide quando suonava e cantava sull’arpa le lodi di Dio. Di questo glorioso re io sono molto devota, e vorrei che lo fossero tutti, specialmente i peccatori come me.

4. Oh, mio Dio, come si sente mai un’anima che si trova in questo stato! Vorrebbe essere tutta lingua per lodare il Signore; dice mille santi spropositi, riuscendo sempre a contentare chi la tiene così. Io so di una persona alla quale, pur non essendo poetessa, accadeva di improvvisare strofe molto sentite nelle quali manifestava la sua pena; esse erano elaborate dal suo intelletto, ma erano solo uno sfogo dell’anima che, per godere maggiormente della gioia che una così deliziosa pena le dava, se ne lamentava con il suo Dio. Vorrebbe che tutto il suo corpo e la sua anima le si lacerassero per manifestare il godimento che in quella pena prova. Quali tormenti, allora, le si potranno presentare che non le sia piacevole affrontare per il suo Signore? Vede ora chiaramente che i martiri non ci mettevano niente del loro nel sopportare i tormenti, perché sa bene, l’anima, che la forza viene da un’altra parte. Ma quale sarà la sua pena nel rientrare in se stessa per vivere nel mondo e dover tornare alle cure e agli impegni che esso impone di adempiere! Mi sembra, pertanto, di non aver esagerato nel parlare, sempre in modo inadeguato, della gioia di cui il Signore vuole che in questo esilio goda un’anima. Siate per sempre benedetto, Signore, e tutte le creature vi lodino in eterno! Vogliate ora, mio Re, ve ne supplico, poiché quando scrivo queste cose non sono fuori di questa sana, celestiale follia, per vostra bontà e misericordia – avendomi voi fatto questa grazia senza alcun merito mio –, vogliate, dunque, che tutti coloro con cui dovrò trattare siano pazzi del vostro amore, o concedetemi di non trattare più con nessuno, o fate che io non tenga più in alcuna stima le cose del mondo, o tiratemi fuori da esso. Non può più, mio Dio, questa vostra serva sopportare tanti tormenti come quelli che soffre nel vedersi lontana da voi. Pertanto, se deve ancora vivere, non vuole riposo in questa vita e vi prega di non darglielo. Quest’anima vorrebbe sentirsi ormai libera; il mangiare la distrugge, il dormire l’angoscia; vede che il tempo le passa nel trascorrere una vita comoda, mentre nulla la può far vivere bene fuori di voi; le pare di vivere contro natura, perché ormai non vorrebbe più vivere in sé, ma in voi.

5. Oh, mio vero Signore e gloria mia, quale leggera e pesantissima croce avete preparato per coloro che giungono a questo stato! Leggera perché è soave, pesante perché arriva il momento in cui non si ha la capacità di sopportarla, eppure non si vorrebbe esserne liberi, se non fosse per vedersi già con voi. Se poi l’anima si ricorda che non vi ha servito in nulla e che, vivendo, vi può servire, vorrebbe caricarsi di una croce assai più pesante e non più morire sino alla fine del mondo. Non fa nessun conto del suo riposo, pur di rendervi un piccolo servizio; non sa che cosa desidera, ma bene intende che non desidera altra cosa che voi.

6. Oh, figlio mio (è così umile che vuole chiamarsi così colui al quale è diretto questo scritto, da lui stesso ordinatomi), tenete solo per voi le cose in cui vostra signoria veda che esco dai limiti, perché non c’è argomentazione valida a non farmi perdere il buon senso, allorché il Signore mi trae fuori di me stessa, né credo d’essere io a parlare da quando questa mattina mi sono comunicata; mi sembra un sogno quello che vedo e non vorrei vedere altro che anime malate della stessa malattia della quale ora io soffro. Supplico la signoria vostra: diventiamo tutti pazzi per amore di colui che per nostro amore fu chiamato tale! La signoria vostra dice di amarmi, voglio che me lo dimostri col disporsi a ricevere da Dio questa grazia; perché pochissimi sono coloro che io non veda pieni di eccessiva prudenza per ciò che loro conviene. Può anche darsi che io ne abbia più di tutti; non me lo permetta la signoria vostra, padre mio, che mi è anche padre oltre che figlio, perché è il mio confessore, colui al quale ho affidato la mia anima, e mi disinganni con saggia franchezza, che oggi nel mondo è così poco di moda.

7. Vorrei che tra noi cinque, che ora ci amiamo in Cristo, stabilissimo un accordo e, come altri oggi si uniscono in segreto per andare contro la Maestà divina e ordire cattiverie ed eresie, cercassimo di riunirci alcune volte per disingannarci reciprocamente, avanzare proposte circa il nostro possibile emendamento e compiacere meglio Dio, poiché non c’è nessuno che conosca così bene se stesso come ci conoscono quelli che ci guardano dal di fuori, se lo fanno con amore e con l’occhio sempre attento al nostro profitto. Però, dovremmo riunirci «in segreto» perché un tale linguaggio è fuori moda. Perfino i predicatori compongono i loro sermoni in maniera da non scontentare nessuno. L’intenzione sarà buona e sarà anche bene agire così, ma in tal modo pochi si emenderanno. Perché mai non sono molti quelli che per le prediche lasciano i pubblici vizi? Sa che cosa ne penso? Perché coloro che predicano hanno troppa prudenza. Non la perdono poiché non ardono del gran fuoco dell’amore di Dio, di cui ardevano gli apostoli, e così la loro fiamma scalda poco. Io non dico che debba essere così grande come quella degli apostoli, ma vorrei che fosse più viva di quello che vedo. Sa la signoria vostra cosa sarebbe di molta importanza a questo scopo? Aver in odio la vita e in poca stima l’onore: agli apostoli non importava, pur di dire una verità e sostenerla a gloria di Dio, perdere o guadagnare; infatti, chi sinceramente rischia tutto per Dio, tollera con lo stesso animo l’una e l’altra cosa. Non dico che io sia tale, ma vorrei esserlo.

8. Oh, che gran libertà considerare una schiavitù dover vivere e trattare secondo le leggi del mondo! Non appena la si ottenga dal Signore, non c’è schiavo che non rischi tutto per riscattarsi e tornare in patria. Siccome è questa la vera strada, non bisogna fermarsi nel percorrerla, non potendosi mai raggiungere così gran tesoro finché non sia finita la vita. Il Signore ci dia, a tal fine, il suo aiuto. La signoria vostra strappi quanto ho scritto, se le sembra opportuno, oppure lo consideri come una lettera per lei, e mi perdoni l’eccessiva temerità.

CAPITOLO 17

Continua a parlare di questo terzo grado di orazione. Finisce di esporre gli effetti che produce e dice quanto siano qui di ostacolo l’immaginazione e la memoria.

1. Ho parlato entro ragionevoli limiti di questo modo di orazione e di ciò che deve fare l’anima o, per meglio dire, di ciò che in lei fa Dio, il quale si assume lui l’ufficio di giardiniere e vuole che l’anima si riposi. La volontà non ha altro da fare che accettare le grazie di cui gode, mettendosi a disposizione per tutto ciò che in lei vorrà operare la grazia divina. Ci vuole coraggio, certo, perché è così grande il godimento che alcune volte sembra all’anima di essere sul punto di uscire da questo corpo. E che morte fortunata sarebbe!

2. Qui mi sembra che venga bene, come ho già detto alla signoria vostra, abbandonarsi completamente fra le braccia di Dio; se egli vuole portare l’anima in cielo, bene; se all’inferno, non se ne affligga, andandoci con il suo Bene; se vuol farla cessare di vivere, è proprio quel che si desidera; se farla vivere mille anni, va anche bene; Sua Maestà ne disponga come di cosa propria, poiché l’anima non appartiene più a se stessa; è tutta data al Signore; non si preoccupi d’altro. Dico dunque che, in così alto grado di orazione come è questo, quando Dio lo concede all’anima, questa può fare tutto ciò e anche più, essendo tali i suoi effetti e accorgendosi lei stessa che opera senza alcuna stanchezza dell’intelletto. Solo mi sembra che rimanga come stupita di vedere il Signore fare così bene il giardiniere, senza sottoporla a nessuna fatica, ma volendo unicamente che goda del profumo incipiente dei fiori. Con un solo suo intervento, per poco che duri, essendo tale il giardiniere, cioè il creatore dell’acqua, ne dà a dismisura; e quello che la povera anima non ha potuto fare, forse stancando in vent’anni l’intelletto, lo fa questo celeste giardiniere in un momento, ingrossando e maturando i frutti in modo che, se il Signore lo vuole, l’anima può sostentarsi con il ricavato del suo giardino. Ma non le permette di ripartirne i frutti con altri, fin tanto che non si sia fortificata bene con ciò di cui si è nutrita, affinché non abbia a consumarsi tutto in assaggi senza che ella ne tragga alcun vantaggio né ricompensa da coloro che ne fa partecipi, con il pericolo, forse, di morire di fame per mantenere e far mangiare altri a sue spese. Questo lo capiranno bene le persone intelligenti e sapranno applicarlo meglio di quanto io non sappia dire, pur sforzandomi di farlo.

3. In conclusione, le virtù sono ora più forti che nella passata orazione di quiete e l’anima non può non accorgersene, perché si sente cambiata e, senza saper come, comincia a operare grandi cose, grazie al profumo di quei fiori che il Signore fa sbocciare, affinché essa si veda in possesso di virtù, pur comprendendo bene che non le ha per merito suo, in quanto no avrebbe potuto guadagnarle neanche in molti anni, ma che in quel così breve spazio di tempo gliene ha fatto dono il celeste giardiniere. Qui l’umiltà provata dell’anima è molto maggiore e più profonda che nello stato precedente, perché vede più chiaramente di non aver fatto né poco né molto, niente altro se non acconsentire che il Signore elargisse le sue grazie, abbracciandole con la propria volontà. Mi pare che questo modo di orazione sia una ben manifesta unione di tutta l’anima con Dio; in esso sembra anche che Sua Maestà voglia permettere alle potenze d’intendere e godere quanto egli vi opera.

4. Questo accade alcune volte, anzi molte volte, quando la volontà è unita a Dio (lo dico affinché la signoria vostra veda che ciò è possibile e lo intenda quando lo abbia a sperimentare; io, invece, ne sono rimasta stordita e perciò ora ne parlo qui): si vede e s’intende chiaramente che la volontà è legata a Dio e ne gode e si vede anche chiaro che solo la volontà sta in molta quiete, mentre, dal canto loro, l’intelletto e la memoria sono così liberi da poter trattare d’affari e attendere a opere di carità. Tale condizione, benché sembri identica, è differente – in parte – dall’orazione di quiete, di cui ho già parlato perché lì l’anima non vorrebbe muoversi né agitarsi, godendo del santo ozio di Maria, mentre in quest’orazione può anche fare da Marta (così che fa quasi insieme vita attiva e contemplativa), attendere a opere di carità, a faccende convenienti al suo stato, a leggere, benché l’intelletto e la memoria non siano del tutto padroni di sé e ben capiscano che la parte migliore dell’anima è all’altro estremo. È come se stessimo parlando con uno, e dall’altra parte ci parlasse un altro: non potremmo intenderci bene né con l’uno né con l’altro. È una cosa che si avverte molto chiaramente e dà molta gioia e soddisfazione quando si prova; serve molto a disporre l’anima, quando ha il tempo di starsene in solitudine, libera da occupazioni, a una profondissima quiete. È lo stesso caso di una persona sazia, che non ha bisogno di mangiare e sente lo stomaco soddisfatto, in modo che non sarebbe disposta a mangiare qualunque cibo; peraltro, non così sazia che, se li vede buoni, tralasci di mangiarli volentieri. Essa non è soddisfatta dei piaceri del mondo, né allora li vorrebbe, perché ha in sé chi più la soddisfa; ha gioie più grandi da Dio, desidera soddisfare i suoi desideri, godere di più, stare con lui: questo è ciò che vuole.

5. C’è un’altra maniera di unione, che non è ancora intera unione, superiore a quella di cui ho appena finito di parlare, ma non tanto quanto quella della terza acqua. La signoria vostra, quando il Signore gliele concederà tutte, se già non le ha, avrà molto piacere di trovarle qui descritte e capire in che consistano, perché una cosa è che il Signore ci dia la grazia, un’altra è intendere che favore e che grazia sia, un’altra ancora saper dire e far capire come sia. Sebbene sembri necessaria soltanto la prima di queste tre cose perché l’anima non proceda confusa e timorosa, con maggior coraggio nella via del Signore, mettendosi sotto i piedi tutte le cose del mondo, tuttavia è un gran vantaggio e una grazia intendere cosa si è ricevuto. Per ognuna di tali grazie è doveroso che chi le ha ne lodi molto il Signore; e anche chi non le ha, avendone Sua Maestà fatto dono a qualcuno dei viventi, affinché potesse esserci d’aiuto. Ora, dunque, accade molte volte in questa specie di unione di cui intendo parlare (specialmente a me che il Signore ha favorito moltissime volte di questa grazia) che Dio assorbe la volontà e anche, a mio giudizio, l’intelletto, perché non ragiona, occupato a godere di Dio, come chi sta guardando e vede tante cose che non sa dove indirizzare lo sguardo; guardando una cosa ne perde di vista un’altra, e così non osserva nulla distintamente. La memoria resta libera e, insieme con essa, credo anche l’immaginazione che, vedendosi sola, scatena un’incredibile guerra e cerca di sconvolgere tutto. Mi riduce assai stanca e la detesto; spesso supplico il Signore di volermela togliere in questi momenti, se deve turbarmi tanto. Alcune volte gli dico: «Quando, mio Dio, la mia anima sarà tutta unita per lodarvi e non così spezzettata da non poter giovare a se stessa?». Qui vedo il male di cui è causa il peccato, il quale ci costringe a non fare ciò che vogliamo, a non stare sempre, cioè, occupati in Dio.

6. A volte mi accade – e oggi è stata una di queste volte, pertanto lo ricordo bene – che mi sento struggere l’anima dal desiderio che essa ha di vedersi unita con la sua parte maggiore, e ciò è impossibile, perché la memoria e l’immaginazione le fanno tanta guerra da non consentirle di prevalere. Anche se, mancando le altre potenze, non possono far nulla, neppure il male, fanno già molto col creare scompiglio. Dico «neppure il male» perché non hanno forza e non si concentrano in un punto; non essendo loro d’aiuto l’intelletto né poco né molto in quello che gli presentano, non si fermano in nulla, ma volteggiano qua e là come farfallette notturne importune, irrequiete, che svolazzano da una parte all’altra. Mi sembra che il paragone sia particolarmente appropriato perché anche se tali farfalle non hanno forza di fare il male, danno fastidio a chi le vede. Non so, per questo, che rimedio vi possa essere; Dio ancora non me ne ha insegnato alcuno, altrimenti lo userei volentieri per me, poiché – come dico – mi tormentano spesso. In questo stato si vedono ben chiaramente la nostra miseria e il grande potere di Dio; perché, mentre le potenze che restano libere ci molestano e stancano tanto, le altre che stanno con Sua Maestà ci danno un vero riposo.

7. Il rimedio che, in conclusione, ho trovato, dopo tanti anni di fatica, è quello di cui ho parlato nell’orazione di quiete: non badare all’immaginazione più di quanto non si badi a un pazzo e lasciarla alla sua ostinazione, che solo Dio le può togliere. Infine, qui non è che una schiava. Dobbiamo sopportarla con pazienza, come fece Giacobbe con Lia, perché è una grande grazia del Signore che possiamo godere di Rachele. Dico che è come schiava perché, in conclusione, non può, per quanto faccia, trascinare a sé le altre potenze; anzi, sono esse a tirarla spesso dalla loro parte senza alcuna fatica. A volte Dio ha la bontà di sentire compassione del suo smarrimento e della sua irrequietezza, desiderosa com’è di stare con le altre, e le consente di consumarsi al fuoco di quella divina fiamma in cui le altre sono già ridotte in cenere, perduto quasi il loro naturale essere nel godimento trascendente di così grandi beni.

8. In tutte queste maniere di unione di cui ho detto parlando di quest’ultima acqua di fonte, la gioia e il riposo dell’anima sono così grandi che molto chiaramente a tale gioia e diletto partecipa anche il corpo. Le virtù, ripeto, attingono un alto grado. Sembra che il Signore abbia voluto spiegare questi stati in cui si viene a trovare l’anima nel modo più chiaro, a mio parere, in cui si può farlo capire quaggiù. La signoria vostra ne parli con persona spirituale che sia giunta a questo punto e che sia dotta. Se la dovesse assicurare che mi sono spiegata bene, ritenga che è opera di Dio e ne ringrazi molto Sua Maestà perché, ripeto, con il tempo godrà molto di capire che cosa sia tutto questo; e finché non le dà la grazia d’intenderlo, le dà pur sempre quella di goderne. Quando Sua Maestà le avrà dato la suddetta grazia, con la sua intelligenza e dottrina lo capirà da questo che ho scritto. Sia lodato per tutti i secoli dei secoli! Amen.

CAPITOLO 18

In cui tratta del quarto grado di orazione; comincia a spiegare in modo eccellente la grande dignità a cui viene elevata dal Signore l’anima che si trova in questo stato. Serve per incoraggiare molto coloro che si danno all’orazione, a cercare di pervenire a così alto stato, raggiungibile anche sulla terra, sebbene non per nostro merito, ma per la bontà del Signore. Si legga con attenzione, perché l’esposizione è fatta con grande sottigliezza e contiene argomenti importantissimi.

1. Il Signore m’insegni le parole con cui io possa dire qualcosa della quarta acqua. Qui è molto necessario il suo aiuto, ancor più che per la terza, perché in quella l’anima sente di non essere morta del tutto, mentre qui possiamo dire che lo è, essendo realmente morta al mondo. Se non che, ripeto, è ancora in grado di capire d’essere quaggiù, di sentire la sua solitudine e di giovarsi di tutti i mezzi esterni per far intendere quello che prova, sia pure con segni. In tutta l’orazione, nelle varie forme di essa di cui ho parlato, il giardiniere lavora sempre un po’, benché in questi ultimi gradi il lavoro sia accompagnato da tanta gioia e consolazione che l’anima non vorrebbe mai lasciarlo; pertanto, non si sente come una fatica, ma come una gioia. Ma qui non c’è coscienza, c’è solo il godimento, senza sapere di che. Si sente di godere un bene dove si racchiudono, uniti, tutti gli altri beni, ma non si comprende tale bene. Tutti i sensi sono presi da questo godimento, in modo che nessuno resta libero di occuparsi in altre cose, esterne o interne. Prima era loro permesso – ripeto – di manifestare con alcuni segni la grande gioia che sentivano; qui l’anima gode incomparabilmente di più e può manifestare molto meno, perché il corpo rimane senza forza, né l’anima ne ha per poter comunicare quella gioia. In quel momento ogni cosa le sarebbe di grave imbarazzo e tormento, e disturberebbe il suo riposo. Aggiungo che se è unione di tutte le potenze, anche volendolo, l’anima non può occuparsi di nulla, trovandosi in questo stato, e se lo potesse non sarebbe più unione.

2. Come avvenga questo fatto che si chiama unione e cosa sia, non so spiegarlo. Se ne parla nella teologia mistica, ma non ne conosco i termini, e neanche so intendere che cosa sia la mente né in che differisca dall’anima o dallo spirito. Mi sembra che sia tutt’uno, anche se l’anima talvolta esce di se stessa come un fuoco che, ardendo, sprigiona fiamme, e talvolta aumenta con impeto: la fiamma sale, così, molto più in alto del fuoco, ma non per questo è di diversa natura, essendo la stessa fiamma che sta nel fuoco. Questo, le signorie vostre, con la loro dottrina, lo capiranno, perché non so dirne di più. Ciò che intendo spiegare è quello che l’anima prova quando sta in questa divina unione.

3. Si sa ormai cosa sia unione: due cose distinte in una. Oh, mio Signore, quanto siete buono! Vi lodino, mio Dio, tutte le creature, poiché ci avete tanto amato che possiamo con verità parlare di questa comunicazione che, pur in questo esilio, avete con le anime; e anche se esse sono virtuose, è sempre per effetto di grande larghezza e magnanimità: quella propria di voi, mio Signore, che date da par vostro. Oh, liberalità infinita, quanto sono meravigliose le vostre opere. Esse riempiono di ammirazione chi, per intendere queste verità, non ha in nessun modo l’intelletto occupato in cose della terra. Il fatto, poi, che concediate così sovrane grazie ad anime che vi hanno tanto offeso, certo non mi fa capire più nulla, e quando comincio a pensare a questo, non posso procedere oltre. Dove andare che non sia tornare indietro? Non so pertanto come ringraziarvi per così grandi grazie: a volte non trovo nulla di meglio che dire spropositi.

4. Molte volte, quando mi accade di ricevere queste grazie o quando Dio comincia a darmele (poiché, stando pienamente in esse, ho già detto che è impossibile far nulla) gli dico: «Signore, badate a quel che fate, non dimenticatevi così presto dei miei grandi peccati; visto che li avete dimenticati per darmene il perdono, vi supplico di ricordarvene per porre un limite alle grazie. Non versate, o mio Creatore, un così prezioso liquore in un vaso così incrinato, poiché avete visto già altre volte che io torno a spargerlo fuori; non ponete un simile tesoro dove ancora non si è perduto totalmente – come dovrebbe essere – il desiderio di umane consolazioni; sarebbe sciupato perché male speso. Come affidare il potere di questa città e le chiavi della sua fortezza a un governatore così vile che al primo assalto dei nemici li lascia entrare? Non sia così grande il vostro amore, eterno Re, da porre a rischio gioielli tanto preziosi! E come, mio Signore, dar motivo di ritenerli di poco conto il metterli nelle mani di un essere così spregevole, ignobile, fiacco, miserabile e di nessuna importanza come me perché, per quanto con il vostro favore – e non ne occorre poco, essendo come sono – mi sforzi di non perderli, non posso riuscire a farne trarre giovamento ad alcuno; infine, sono una donna, e non una donna virtuosa, ma spregevole. Porre i talenti in una terra così ingrata è come non solo nasconderli, ma sotterrarli. Voi, o Signore, non siete solito concedere simili ricchezze e grazie a un’anima se non perché essa giovi a molte altre. Voi sapete, mio Dio, che vi supplico di ciò fermamente, con tutto il cuore – come già ve ne ho supplicato alcune volte –, giacché ritengo giusto perdere il maggior bene che si possa avere sulla terra, perché voi lo diate a chi se ne gioverà meglio di me, per vostra maggior gloria».

5. Queste e altre cose mi è accaduto di dire molte volte. Poi ho costatato la mia stoltezza e poca umiltà, perché il Signore sa bene ciò che conviene fare e come la mia anima non aveva forze per salvarsi, se Sua Maestà non me ne avesse provveduto con tante grazie.

6. Intendo anche parlare delle grazie e degli effetti che tale unione lascia nell’anima, che cosa essa possa fare di suo, e se può aver parte nell’arrivare a così alto stato.

7. Accade, dunque, che si produca questa elevazione dello spirito o unione con l’amore celeste. A mio giudizio, c’è differenza fra unione ed elevazione in questa stessa unione. A chi non l’ha provato sembrerà di no, mentre a me pare che, pur essendo in fondo la stessa cosa, il Signore vi opera in modo diverso, e nel volo dello spirito aumenta molto il distacco dalle creature. Io ho visto chiaramente che è una grazia particolare, benché – ripeto – sia o sembri tutt’una con l’unione. Se è vero che un fuoco piccolo è anch’esso un fuoco come uno grande, si vede, però, bene la differenza tra l’uno e l’altro: in un fuoco piccolo, prima che un piccolo pezzo di ferro si arroventi, passa molto tempo; ma se il fuoco è grande, anche se il pezzo è grosso, in pochissimo tempo sembra cambiare del tutto natura. Così mi sembra sia di queste due specie di grazie del Signore e sono certa che chi è arrivato ai rapimenti lo intenderà bene. Se non ne ha fatto esperienza, invece, gli sembrerà uno sproposito, come può anche essere; infatti, se una persona come me vuol parlare di un tale argomento e far capire, anche in piccola parte, ciò alla cui spiegazione sembra impossibile, per mancanza di parole adeguate, dare anche solo l’avvio, non è improbabile che dica spropositi.

8. Ma credo che il Signore mi aiuterà nel mio intento, ben sapendo Sua Maestà che esso, dopo l’adempimento dell’obbedienza, non è altro se non quello di attrarre le anime a un bene così elevato. Non dirò nulla che non abbia lungamente sperimentato. È vero che, quando cominciai a scrivere di quest’ultima acqua, mi sembrava impossibile saperne trattare, più difficile che parlare in greco, talmente mi appariva irto di difficoltà. Pertanto, deposta l’idea, andai a comunicarmi. Sia benedetto il Signore che così favorisce gli ignoranti! Oh, virtù dell’obbedienza che tutto puoi! Dio illuminò la mia mente alcune volte con le parole e altre offrendomi il modo in cui dovevo dirle, perché, come già nella precedente orazione, sembra che Sua Maestà voglia dire anche qui quello che non posso né so dire. Questa è la pura verità; pertanto quello che vi sarà di male – è chiaro – viene dal mare di tutti i mali che sono io. Così dico che, se vi fossero persone – e ve ne devono essere molte – giunte ai gradi di orazione di cui il Signore ha fatto grazia a questa miserabile, che volessero trattarne con me, credendo d’essere fuori di strada, il Signore aiuterà la sua serva perché riesca a indicare il sentiero della verità.

9. Ora, parlando di quest’acqua che viene dal cielo per riempire e impregnare con la sua abbondanza tutto il giardino, se il Signore non smettesse mai di darla ogni volta che ve ne fosse bisogno, si capisce facilmente quale riposo ne avrebbe il giardiniere. E se non vi fosse mai inverno, ma sempre primavera, non mancando mai fiori né frutta, ben s’intende di quale gioia godrebbe; ma, finché viviamo, ciò è impossibile: bisogna sempre, quando manca un’acqua, procurare l’altra. Questa del cielo viene, molte volte, quando il giardiniere meno se l’aspetta. Veramente, da principio, è quasi sempre dopo una lunga orazione mentale: durante tale ascesa il Signore viene a prendere quest’uccellino e lo depone nel nido perché si riposi. Poiché lo ha visto volare a lungo e adoperarsi con l’intelletto, con la volontà e con tutte le sue forze a cercare Dio e compiacerlo, vuole dargliene il premio sin da questa vita; e che gran premio! È tale che basta un istante di gioia per ripagarlo di tutte le pene che possa aver sofferto.

10. Mentre l’anima sta così cercando il suo Dio, si sente, con grandissima gioia, quasi del tutto venir meno, per una specie di deliquio; a poco a poco le mancano il respiro e le forze fisiche, tanto che non può muovere neppure le mani, se non a prezzo di un grande sforzo; gli occhi le si chiudono senza che li voglia chiudere o, se ritiene aperti, non vede quasi nulla, né, se legge, riesce a pronunciare una sillaba e quasi neppure a distinguere le lettere; vede che ci sono lettere, ma poiché l’intelletto non le è di aiuto, non è capace di leggerle, pur volendo; ode ma non capisce quello che ode. Così che i sensi non le servono più, anzi le sono di danno perché le impediscono di stare in pace. Superfluo dire che non può parlare, poiché non riesce a mettere insieme una parola, né ha la forza, qualora ci riuscisse, di pronunciarla, perché ogni forza fisica si perde, mentre aumentano quelle dell’anima, per farla meglio godere della sua gioia. Il diletto esteriore che allora si prova è pur esso grande e sensibile.

11. Per quanto duri, questa orazione non è mai di danno, almeno a me non lo è mai stata, né ricordo che il Signore mi abbia una sola volta fatto questa grazia e che io – per malata che fossi – ne risentissi, anzi ne uscivo sempre migliorata. Ma che male può fare un bene così grande? Sono tanto evidenti i suoi effetti esteriori che non si può dubitare della grandezza della causa che li produce, e se, per l’eccesso della gioia, il Signore ci toglie le forze, è per ridarcele in maggior grado.

12. È vero che in principio è di così breve durata – almeno così era per me – che allora né mediante questi segni esteriori né con la sospensione dei sensi si fa conoscere. Ma si capisce bene dalla sovrabbondanza delle grazie quanto debba essere stato grande il fulgore del sole che lì risplendeva, se ha fatto struggere l’anima così. Si noti che, a mio parere, per quanto lungo sia il tempo della sospensione di tutte le potenze in cui si viene a trovare l’anima, è assai breve; è molto se dura una mezz’ora. Credo di non averlo mai avuto così a lungo. È vero che è difficile poter computare il tempo, perché si è fuori dei sensi, ma intendo dire che le potenze tutte insieme rimangono sospese per poco, essendovene sempre qualcuno che torna in sé. La volontà è quella che si mantiene assorta, ma le altre due potenze tornano presto a importunarla; perseverando essa nella quiete, si arrestano di nuovo; stanno per un po’ tranquille e pi riprendono la loro attività.

13. In quest’alternativa si possono passare, come si passano in realtà, alcune ore nell’orazione perché, una volta che le due potenze abbiano cominciato a gustare quel vino celeste e a inebriarsene, tornano facilmente a sospendersi per usufruirne di più: così si accompagnano alla volontà e godono tutt’e tre.