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Il coraggio che mi ha dato il Signore

Tratto dal "Libro della Vita - Capitoli 26, 27"

Autore: Santa Teresa d'Avila

CAPITOLO 26

Prosegue nel medesimo argomento. Racconta e spiega cose che le sono accadute e che, facendole deporre ogni timore, l’hanno convinta che era lo spirito buono a parlarle.

1. Ritengo come una delle maggiori grazie che il Signore m’abbia fatto, questo coraggio che mi ha dato contro i demoni, essendo un grandissimo inconveniente che l’anima proceda smarrita, nel timore di qualcosa d’altro che non sia l’offendere Dio, quando abbiamo un re onnipotente, un così grande Signore che tutto può e tutti assoggetta a sé. E non c’è da temere nulla se – come ho detto – si cammina davanti a Sua Maestà con verità e coscienza pura. A questo scopo, ripeto, vorrei avere tutti i timori di questo mondo: per non offendere per un solo attimo colui che in quello stesso attimo ci può annientare, mentre se Sua Maestà è contento di noi, non v’è alcuno che ci possa osteggiare senza uscirne sconfitto. Si potrà dire che questo è vero, ma quale anima sarà così retta da contentare in tutto Dio e perciò da non dover temere? Non la mia, certamente, che è assai spregevole, inutile e piena di infinte miserie. Ma Dio non si comporta come gli uomini, perché comprende le nostre debolezze; l’anima, poi, da grandi indizi sente se lo ama davvero. L’amore di chi giunge a questo stato, infatti, non resta nascosto come agli inizi, ma erompe, con grande impeto e desiderio di vedere Dio, come dirò in seguito o come è già stato detto: tutto la stanca, tutto l’annoia, tutto la tormenta, tranne ciò che fa con Dio o per Dio. Non v’è riposo che la riposi, perché si vede priva del suo vero riposo; ed è cosa tanto chiara che, come dico, non le può passare inosservata.

2. Altre volte mi è accaduto di trovarmi in grandissime tribolazioni, essendo oggetto di gravi mormorazioni – per un certo affare di cui parlerò – da parte di quasi tutta la città in cui vivo e del mio Ordine, e afflitta da molte ragioni di inquietudine, e di udire il Signore dirmi «Di che temi? Non sai che io sono onnipotente? Io adempio quello che ho promesso» (e infatti poi tutto si è adempiuto perfettamente), rimanendo subito piena di una tale forza che mi sembrava d’essere nuovamente disposta a intraprendere altre opere, per servirlo, anche a prezzo di maggiori fatiche e di nuove sofferenze. Questo mi è accaduto tante volte che non potrei contarle; speso mi faceva rimproveri, come me ne fa ora quando commetto mancanze, e tali che bastano ad annientare un’anima, ma almeno comportano un emendamento, perché Sua Maestà – come ho detto – dà il consiglio e il rimedio. Altre volte mi ricordava i miei peccati di un tempo, specialmente quando voleva farmi qualche grazia particolare, e allora sembrava alla mia anima di trovarsi già al giudizio finale, venendole presentata la verità con così chiara rivelazione da non saper dove nascondersi. C’erano volte in cui mi avvisava di alcuni pericoli nei riguardi miei e di altre persone, cose che, spesso, dovevano avvenire tre o quattro anni dopo, e tutte si sono avverate. Potrà darsi che ne riferisca alcune. Perciò, sono tanti i segni per capire se c’è l’intervento di Dio che, a mio parere, è impossibile non accorgersene.

3. La via più sicura è quella (che seguo, senza la quale non avrei pace, com’è per tutte noi donne che non abbiamo istruzione), poiché in essa non può esservi alcun danno, bensì molto vantaggio, come mi ha detto più volte il Signore, e consiste nel non tralasciare di aprire tutta la mia anima e comunicare tutte le grazie che egli mi fa a un confessore che sia dotto, e poi obbedirgli ciecamente. Avevo un confessore che mi mortificava molto e alcune volte mi affliggeva e mi procurava grande sofferenza, per la viva inquietudine che destava in me; eppure fu quello, mi pare, che più mi giovò. Benché l’amassi molto, a volte ero tentata di lasciarlo, sembrandomi un impedimento all’orazione quelle pene ch’egli mi cagionava. Ma ogni volta che mi decidevo a far questo, udivo subito una voce che mi diceva di non farlo, con un rimprovero così acerbo che mi abbatteva più di quanto non facesse il confessore. Alcune volte ne ero stremata: tormenti da una parte e rimproveri dall’altra, e di tutto avevo bisogno, perché la mia volontà non era ancora domata. Una volta il Signore mi disse che non sarei riuscita ad obbedire se non ero disposta a patire, che guardassi a ciò che egli aveva patito e tutto mi sarebbe stato più facile.

4. Una volta un confessore, dal quale mi ero confessata in principio, mi consigliò, visto che si trattava dello spirito buono, di tacere e non farne parola con nessuno, essendo ormai meglio tacere. A me il consiglio non dispiacque, perché soffrivo tanto nel dire tali cose al confessore e ne provavo tale vergogna che a volte mi costava molto più che confessare peccati gravi, specialmente quando le grazie erano grandi e mi sembrava che non sarei stata creduta e sarei diventata oggetto di burla. Soffrivo tanto a questo pensiero, temendo fosse una mancanza di rispetto alle meravigliose grazie di Dio, che per questo volevo tacere. Ma poi capii che ero stata mal consigliata da quel confessore, che in nessun modo dovevo tacere nulla a chi mi confessava, essendo questa la via più sicura mentre, facendo il contrario, poteva darsi che a volte mi ingannassi.

5. Sempre, quando il Signore mi ordinava qualche cosa nell’orazione, se il confessore me ne imponeva un’altra, lo stesso Signore tornava a dirmi di ubbidire al confessore, poi Sua Maestà gli faceva cambiare parere, così che ci tornasse su, uniformando il comando al suo volere. Quando si proibì la lettura di molti libri in lingua volgare, io ne soffrii molto, perché la lettura di alcuni mi procurava gioia, e non potendo ormai più leggere perché quelli permessi erano in latino, il Signore mi disse: «Non darti pena, perché io ti darò un libro vivente». Io non riuscivo a capire che cosa quelle parole potessero significare, non avendo ancora avuto visioni; in seguito, di lì a pochissimi giorni, lo capii molto bene, perché ebbi tanto da pensare e da raccogliermi in quello che vedevo, e il Signore mi ha dimostrato tanto amore nell’istruirmi in varie maniere, che ho avuto ben poca, anzi quasi nessuna necessità di libri. Sua Maestà è stato il solo libro dove ho letto le supreme verità. Benedetto sia tale libro che lascia impresso quello che si deve leggere e praticare, in modo che non si può dimenticare! Chi, vedendo il Signore coperto di piaghe e afflitto da persecuzioni, non abbraccia le sue pene, non le ama e non le desidera? Chi, vedendo qualcosa della gloria che dà a coloro che lo servono, non riconosce che tutto quanto possiamo fare e patire è nulla, in attesa di tale premio? Chi, vedendo i tormenti che soffrono i dannati, non considera gioia, al loro confronto, i tormenti di questa terra e non riconosce il molto che deve al Signore per essere stato liberato tante volte da quella situazione?

6. Poiché, con la grazia di Dio, si parlerà più a lungo di queste cose, voglio andare avanti col racconto della mia vita. Piaccia al Signore che io abbia saputo spiegarmi in quello che ho detto! Sono certa che chi ne ha esperienza mi capirà e vedrà che in qualche cosa ho colto nel segno; a chi non l’ha, non mi meraviglio se tutto possa sembrare una pazzia; basta che l’abbia detto io perché ne resti scusato, né farò mai di questo colpa a nessuno. Il Signore mi consenta di riuscire a compiere la sua volontà! Amen.

CAPITOLO 27

Nel quale si parla di un altro modo con cui il Signore istruisce le anime e, senza parlare, fa loro intendere la sua volontà in modo meraviglioso. Cerca anche di spiegare una grazia insigne concessale dal Signore con una visione non immaginaria. È un capitolo molto degno di nota.

1. Tornando, dunque, al racconto della mia vita, ero immersa in quella penosa afflizione, mentre si pregava fervidamente, come ho detto, perché il Signore mi conducesse per un’altra via che fosse più sicura, essendo questa – dicevano – troppo sospetta. Io, però, benché ne supplicassi il Signore, per molto che mi sforzassi di desiderare un’altra strada, vedendo il grande miglioramento della mia anima, eccetto alcune volte in cui ero molto tormentata dalle cose che mi dicevano e dai timori che mi comunicavano, non riuscivo a desiderarlo, pur chiedendolo sempre. Mi sentivo del tutto trasformata e non potevo far altro se non rimettermi nelle mani di Dio, il quale sapeva ciò che mi conveniva, affinché compisse in me completamente la sua volontà. Vedevo che per questa via mi dirigevo al cielo, mentre prima me ne andavo all’inferno. Che dovessi desiderare di cambiarla o credere che fosse opera del demonio, non mi si poteva indurre a farlo, e anche se mi adoperavo nei limiti del possibile a crederlo e a desiderarlo, non ci riuscivo. Offrivo a questo scopo ciò che facevo, se era qualche opera buona; prendevo per protettori alcuni santi, perché mi liberassero dal demonio; facevo novene, mi raccomandavo a sant’Ilarione e a san Michele Arcangelo, che invocavo con rinnovata devozione, e importunavo molti altri santi perché il Signore mi mostrasse la verità, intendo dire perché ottenessero che Sua Maestà me la manifestasse.

2. Dopo due anni di continue preghiere mie e di altre persone per quanto si è detto, cioè perché il Signore mi conducesse per altra strada e mi mostrasse la verità, continuando egli a parlarmi assai spesso, mi accadde questo: mentre un giorno ero in orazione, per la festa del glorioso san Pietro, vidi o, per meglio dire, sentii, perché né con gli occhi del corpo né con quelli dell’anima vidi nulla, vicino a me Gesù Cristo. Mi sembrava molto vicino e capivo – così almeno mi parve – che era proprio lui a parlarmi; ignorando in modo assoluto che si potessero avere simili visioni, in principio fui presa da grande spavento e non facevo che piangere, anche se poi una sola sua rassicurante parola bastava a lasciarmi tranquilla e lieta come al solito, senza alcun timore. Mi sembrava che Gesù Cristo mi camminasse sempre a fianco e, poiché non era una visione immaginaria, non vedevo in che forma, ma sentivo ben chiaramente che stava sempre al mio lato destro e che era testimone di tutto quanto facevo; e mai, se mi raccoglievo un poco o non fossi molto distratta, potevo ignorare che mi era vicino.

3. Andai subito, molto turbata, a dirlo al mio confessore. Mi chiese in che forma lo vedessi; io gli risposi che non lo vedevo. Mi chiese allora come potessi sapere che era Cristo. Gli dissi che non sapevo come, ma che mi era impossibile non accorgermi che mi era vicino, che lo vedevo e lo sentivo chiaramente: il raccoglimento dell’anima era molto maggiore e più continuo che nell’orazione di quiete, gli effetti erano ben diversi dai soliti e la cosa era molto evidente. Non facevo che portare paragoni per farmi capire, ma certamente, per questo genere di visioni, a mio parere, non ce n’è alcuno che vada bene. Pertanto, essendo delle più sublimi (come mi disse poi un santo uomo, di spirito assai elevato, chiamato fra Pietro d’Alcántara, di cui in seguito parlerò più a lungo e anche altri grandi teologi), poiché fra tutte, è quella ove meno si può intromettere il demonio, non c’è modo per noi, qui, che sappiamo poco, di spiegarla, ma i dotti la sapranno spiegare meglio. Se dico, infatti, di non vederlo né con gli occhi del corpo né con quelli dell’anima, perché non è visione immaginaria, come posso capire e affermare che sta presso di me più chiaramente che se lo vedessi? Dire che è come se una persona sta al buio e non può vederne un’altra presso di sé, o che è cieca, non è esatto. Vi è qualche somiglianza, ma non molta, perché questa tale persona percepisce con i sensi e ode parlare o sente muovere l’altra, se la tocca. Qui non avviene nulla di tutto questo e neppure si è al buio, perché Dio si manifesta all’anima con una luce più chiara del sole; non dico che si vede il sole né alcun chiarore, ma una luce che, senza mostrarsi, illumina l’intelletto, affinché l’anima goda di un bene così grande e porta con sé molti altri vantaggi.

4. Non è come la presenza di Dio che si avverte molto spesso specialmente da chi attende all’orazione di unione o di quiete, allorché sembra, disponendosi a cominciare tale orazione, di trovare subito con chi parlare e di capire d’essere ascoltati per gli effetti spirituali e i sentimenti che proviamo di ardente amore, di fede e di altre risoluzioni piene di tenerezza. Questo è un grande dono di Dio, e lo stimi molto chi l’abbia ricevuto, perché si tratta di un’orazione assai elevata, ma non di una visione. In essa, infatti, si comprende che Dio è lì per gli effetti che – come dico – produce nell’anima, mediante i quali Sua Maestà vuol farsi sentire. Ma, qui si vede chiaramente che è presente Gesù Cristo, figlio della Vergine. Là sono evidenti soltanto alcuni effetti della divinità; qui, insieme con essi, si vede anche che ci accompagna e vuol farci grazie la sacratissima umanità di Cristo.

5. Mi domandò, dunque, il confessore: «Chi le ha detto che era Gesù Cristo?». «Egli stesso me l’ha detto, molte volte», risposi io, ma prima che me lo dicesse, avevo ben capito che era lui, anzi, me l’aveva detto prima ancora, quando io non lo vedevo. Se una persona che non avessi mai visto, ma di cui solo avessi avuto notizia, venisse a parlarmi mentre sono cieca o al buio, e mi dicesse chi è, io potrei crederlo, ma non potrei affermare con certezza che si tratti di quella persona, come se l’avessi vista, mentre qui sì, perché il Signore, pur senza che lo si veda, ci si imprime nell’anima con una conoscenza così chiara che sembra impossibile dubitarne. Egli, infatti, vuole restare scolpito nell’intelletto in modo che se ne abbia la certezza, come e più che se si vedesse con gli occhi, perché in questo caso, a volte, ci rimane il sospetto di aver visto con la fantasia, mentre qua, anche se lì per lì possa sorgere tale sospetto, la certezza è così soverchiante che il dubbio non ha forza.

6. Qui Dio istruisce l’anima anche in altro modo e le parla senza parlare, come ho detto. È un linguaggio così celestiale, che quaggiù non si può spiegare, per molto che vogliamo dire, se il Signore non ce lo insegna mediante l’esperienza. Egli pone nella parte più intima dell’anima ciò che vuole che essa intenda, presentandoglielo senza immagini né forme di parole, ma nel modo della visione di cui ho detto. Si noti bene questo modo con cui il Signore fa capire all’anima, insieme con ciò che egli vuole, grandi verità e misteri, perché molte volte è proprio così che io intendo, quando il Signore mi spiega qualche visione avuta, e mi sembra che qui il demonio possa intromettersi meno, per le ragioni che seguono; se esse non sono buone, vuol dire che m’inganno.

7. Questa specie di visione e di linguaggio è cosa tanto spirituale che nelle potenze e nei sensi non c’è nessun movimento, a mio parere, da cui il demonio possa spiare nulla. questo avviene, però, solo qualche volta e per breve tempo, mentre altre volte mi sembra che né le potenze siano sospese né i sensi sopiti, ma perfettamente in sé, il che nella contemplazione non avviene spesso, anzi assai di rado; ma quelle volte che avviene, noi non operiamo né facciamo nulla: sembra che tutto sia opera del Signore. È come se nello stomaco si trovasse un cibo che non abbiamo mangiato né sappiamo noi stessi come vi sia entrato, eppure siamo certi che c’è; ma mentre, per quanto riguarda il cibo, non si sa che cibo sia né chi ve l’abbia posto, qui invece lo sappiamo. Solo si ignora in che modo vi sia stato posto, perché non si vede né s’intende ciò che l’anima non si era mai indotta a desiderare, non sapendo neppure che una tale grazia fosse possibile.

8. Nelle parole che abbiamo detto prima, Dio fa in modo che l’intelletto stia attento, anche contro sua voglia, a intendere ciò che egli dice, perché in quello stato sembra che l’anima abbia nuove orecchie per udire e che Dio la costringa ad ascoltare e a non distrarsi. È come se a una persona di buon udito non si permettesse di tapparsi le orecchie e le si parlasse da vicino e a gran voce: anche se non volesse, deve udire e, infine, qualcosa fa, stando attenta a capire ciò che le viene detto. Qui l’anima non fa nulla, perché le viene tolto anche il poco che faceva in passato, ch’era solo l’ascoltare. Trova tutto bell’e pronto, come già cucinato e mangiato, né ha da fare altro che goderne, come uno che, senza aver appreso e nemmeno aver studiato mai nulla, né essersi mai affaticato per imparare a leggere, si scopra ormai dotto in ogni scienza, ignorando in che modo né da chi gli sia venuta, poiché non aveva fatto alcuno sforzo nemmeno per imparare l’abbiccì.

9. Quest’ultimo paragone mi sembra che spieghi qualcosa di tal dono celestiale, perché l’anima si ritrova in un attimo sapiente e vede con tanta chiarezza il mistero della santissima Trinità e altri misteri molto elevati, che non c’è teologo con il quale non ardirebbe discutere la verità di queste altissime rivelazioni. La riempie di meraviglia il fatto che basti una sola di queste grazie per mutare totalmente un’anima e non farle amare più nulla, se non colui il quale, senza alcuna fatica, vede che la rende capace di accogliere così grandi beni, le rivela i suoi segreti e la tratta con tali ineffabili prove d’amicizia e d’amore. Alcune di queste grazie generano perfino sospetto, per essere causa di così grande meraviglia e per essere fatte a chi le ha così poco meritate, che senza una fede assai viva non si potrebbe credere. Pertanto, mi propongo di parlare di poche fra quelle che il Signore ha concesso a me – se non mi verrà ordinato altrimenti – limitandomi ad alcune visioni che possono essere di vantaggio in qualche cosa, o perché non si spaventi chi ne sarà favorito dal Signore, sembrandogli cosa impossibile, come facevo io, o per indicargli il modo e il cammino attraverso cui mi ha condotto il Signore, che è appunto ciò che mi hanno comandato di scrivere.

10. Tornando, dunque, a questa maniera d’intendere, a me sembra che il Signore voglia in tutti i modi che l’anima abbia una qualche idea di ciò che avviene in cielo, e mi sembra anche che allo stesso modo in cui lassù si ha la facoltà d’intendere senza bisogno di parole (cosa che io non ho mai saputo con certezza fino a quando il Signore per sua bontà volle che ne avessi conoscenza e me la mostrò in un rapimento), così avviene qui, dove Dio e l’anima si comprendono, non appena Sua Maestà lo vuole, senza bisogno di alcun artifizio che serva alla manifestazione dell’amore vicendevole fra questi due amici. Come quaggiù, se due persone si amano molto e sono d’intelligenza sveglia, anche senza alcun segno sembra che si comprendano, solo col guardarsi, così dev’essere in tale circostanza in cui, senza che noi possiamo capire come, questi due amanti si guardano fissamente; al modo stesso in cui lo sposo parla alla sposa nel Cantico dei Cantici, a quanto mi sembra d’aver udito, è ciò che avviene qui.

11. Oh, mirabile benignità di Dio, che così vi lasciate guardare da occhi che hanno potuto finora guardare tanto male come quelli della mia anima! Questa vista, Signore, lasci in loro l’abitudine di non guardare più cose spregevoli, e di non essere contenti d’altro che di voi! Oh, ingratitudine dei mortali! Fino a che punto sarà capace di giungere? So per esperienza che è vero quanto dico e che quanto si può dire è la minima parte del bene che voi fate a un’anima, innalzandola a tali vette. O anime, che avete cominciato a praticare l’orazione e che avete una vera fede, quali beni potete cercare ancora in questa vita – lasciando da parte ciò che si acquista per l’eternità – che regga il confronto con il più piccolo di questi?

12. Siate certi che Dio dona se stesso a coloro che per lui abbandonano tutto. Non ha preferenza per questo o per quello, ama tutti indistintamente; nessuno, per cattivo che sia, può addurre scuse, dopo che egli ha avuto tanto amore per me da elevarmi a questo stato. Badate che ciò che dico non è che una minima parte di ciò che si può dire. Ho detto solo quanto è necessario per spiegare questa maniera di visione e questa grazia che Dio fa all’anima, ma non riesco a dire ciò che si sente quando il Signore le fa intendere i suoi segreti e le sue magnificenze. È una gioia tanto superiore a quelle che si possono provare quaggiù, che ben a ragione fa disprezzare tutti i piaceri della vita i quali, tutti insieme, non sono che immondizia. Dà disgusto prenderli qui come termine di confronto – anche se fosse dato di goderne eternamente – con quelli che il Signore concede, i quali non sono che una goccia del gran fiume ricco d’acqua che ha preparato per noi.

13. È proprio una vergogna, e io l’ho, certamente, di me; e se in cielo si potesse provare vergogna, io lassù dovrei a ragione provarne più di tutti! Perché pretendere tanti beni, diletti e gloria senza fine, unicamente a spese del buon Gesù? Non piangeremo almeno con le figlie di Gerusalemme, visto che non l’aiutiamo a portare la croce con il cireneo? O, forse, con i piaceri e i passatempi, dobbiamo godere di ciò che egli ci ha guadagnato a prezzo di tanto sangue? È impossibile. E con vani onori pensiamo di riparare al disprezzo da lui sofferto perché noi potessimo regnare eternamente? È assurdo; si sbaglia, si sbaglia strada; non arriveremo mai lassù. La signoria alzi la voce per proclamare queste verità, poiché a me Dio non ha concesso la facoltà di farlo. Io lo vorrei ripetere sempre a me stessa, ma ho cominciato così tardi ad ascoltare e intendere la voce di Dio – come si vede da questo scritto – che parlare di ciò mi procura gran vergogna, pertanto preferisco tacere; dirò solo una considerazione che faccio alcune vote. Piaccia al Signore di condurmi al punto che possa godere del bene a cui si riferisce!

14. Che gloria relativa e che gioia sarà per i beati che già godono di gaudi celesti il vedere che, sia pur tardi, non tralasciarono di far nulla di quanto fosse loro possibile, né di dargli, in tutti i modi alla loro portata, quanto poterono, secondo le proprie forze e la propria condizione, e di più chi poteva di più! Come si troverà ricco colui che ha lasciato tutte le ricchezze per Cristo, come si vedrà onorato colui che per suo amore non volle onori, godendo solo di vedersi molto umiliato, quanto sapiente colui che si compiacque di essere stimato pazzo, poiché tale fu il nome dato alla stessa Sapienza! Come sono pochi adesso tutti costoro, a causa dei nostri peccati! Sembra proprio che ora siano spariti quelli che la gente stimava pazzi vedendoli compiere azioni eroiche, da veri amanti di Cristo. Oh mondo, mondo, come vai guadagnando in onore, per essere pochi quelli che ti conoscono!

15. Arriviamo al punto di pensare che si serve maggiormente Dio se si è stimati saggi e prudenti. E si dice che si deve agire così perché così vuole la discrezione; ci sembra subito che sia poco edificante non comportarsi col decoro e l’autorità che il nostro stato richiede; perfino al frate, al prete e alla monaca sembra una cosa strana e un motivo di scandalo per i deboli il portare un abito vecchio e rammendato, come anche stare in grande raccoglimento e praticare l’orazione, tale è l’andazzo del mondo e tanto si sono dimenticati i grandi impeti di perfezione che avevano i santi. E penso che ciò sia il peggiore danno nel quadro delle sventure che si verificano ai nostri giorni, mentre non vi sarebbe scandalo per nessuno se i religiosi dimostrassero con le opere, come dicon a parole, il poco conto che si deve fare del mondo. Sono scandali, questi, da cui il Signore sa cavare grandi beni. E se alcuni si scandalizzano, altri si sentono pungere la coscienza. Se almeno vi fosse qualcuno che rendesse immagine della vita di Cristo e dei suoi apostoli, perché ora ve n’è più che mai bisogno!

16. Che bell’esempio di un tal genere di vita ci è offerto dal benedetto fra Pietro d’Alcántara che ora Dio ci ha tolto! Sembra che il mondo non sia più capace di sopportare tanta perfezione: si dice che le costituzioni fisiche sono più deboli e che i tempi sono cambiati. Eppure questo santo era un uomo del nostro tempo, ma il suo spirito era forte come nei tempi passati, perciò teneva il mondo sotto i piedi. Ed anche senz’andare scalzi né far così aspra penitenza come lui, vi sono molti modi – come ho detto altre volte – per calpestare il mondo, che il Signore ci insegna quando ci vede con coraggio. E quanto ne diede a questo santo di cui parlo, se per quarantasette anni poté fare quella così aspra penitenza che tutti sanno! Voglio dirne qualcosa che so rispondente del tutto a verità.

17. Ne parlò con me e con un’altra persona: con questa, perché per lei non aveva segreti, e con me, per l’affetto che mi portava, ispiratogli dal Signore, affinché potesse difendermi e incoraggiarmi in un momento in cui ne avevo tanto bisogno, come ho già detto e ancora dirò. Mi sembra che mi dicesse che da quarant’anni dormiva solo un’ora e mezzo tra notte e giorno, e che vincere il sonno era stata in principio la sua più faticosa penitenza; proprio a questo scopo stava sempre in ginocchio o in piedi. Per dormire si metteva a sedere, con la testa appoggiata a una piccola trave conficcata nella parete. Coricarsi non avrebbe potuto, anche volendolo, perché la sua cella, com’è noto, non era più lunga di quattro piedi e mezzo. In tutti questi anni non si mise mai il cappuccio, per quanto il sole ardesse o per quanta pioggia si rovesciasse, né calzatura ai piedi, né alcun indumento fuorché un abito di bigello, senz’altro che gli ricoprisse le carni, e questo di strettissima misura; sopra di esso portava un mantello della stessa stoffa. Mi diceva che nei grandi freddi se lo toglieva e lasciava aperta la porta e la finestrina della cella affinché, ponendosi poi di nuovo il mantello e chiudendo la porta, il corpo si riavesse un po’ e potesse riposare più riparato. Mangiare ogni tre giorni era per lui cosa ordinaria e, poiché io me ne stupivo, mi disse che era molto facile per chi ne avesse preso l’abitudine. Da un suo confratello seppi che gli accadeva di stare otto giorni senza mangiare, perché era soggetto a grandi rapimenti e impeti di amore di Dio, dei quali io, una volta, fui testimone.

18. La sua povertà era estrema e grande la sua mortificazione fin dalla giovinezza, in cui mi disse che gli era accaduto di stare tre anni in una casa del suo Ordine senza conoscere alcun frate se non dalla voce, perché non alzava mai gli occhi. Pertanto, ignorando i luoghi dove doveva necessariamente recarsi, lo faceva seguendo gli altri. E così faceva anche nelle strade. Da molti anni non guardava le donne; mi diceva che per lui vedere o non vedere era lo stesso. Ed essendo molto vecchio quando io lo conobbi, era di così estrema magrezza che sembrava fatto di radici d’albero. Nonostante questa sua assoluta santità, era molto affabile, anche se di poche parole, tranne quando veniva interrogato; e allora diceva cose molto acute, perché era dotato di un ingegno assai perspicace. Vorrei dire ancora di più, senonché ho paura che la signoria vostra mi chieda che c’entra tutto ciò, e con tale timore ne ho scritto. Pertanto, vi pongo fine dicendo che egli morì come era vissuto, istruendo e ammonendo i suoi frati. Quando vide di essere agli estremi, disse il salmo: Mi sono rallegrato per quello che mi è stato detto e, inginocchiatosi, morì.

19. In seguito, è piaciuto al Signore che io avessi da lui più aiuto di quando era in vita, ricevendone consiglio in molte circostanze. L’ho visto più volte circonfuso di eccelso splendore. La prima volta che mi apparve mi disse che era stata la sua una felice penitenza, avendogli meritato tale premio. Mi era anche apparso un anno prima di morire, quando era lontano alcune leghe da qui; avevo saputo che sarebbe morto e lo avvertii di ciò. Appena spirato, mi apparve e mi disse che andava a riposare. Io non gli credetti e ne parlai con alcune persone; dopo otto giorni giunse la notizia che era morto o, per meglio dire, che aveva cominciato a vivere per sempre.

20. Ecco, dunque, finite le aspre penitenze della sua vita in così grande gioia! Mi sembra che egli ora mi consoli molto di più di quando stava qui. Una volta il Signore mi disse che avrebbe sempre esaudito chi gli avesse chiesto qualcosa in suo nome. Infatti, ho visto sempre soddisfatte le richieste che gli ho raccomandato di porgere al Signore. Sia per sempre benedetto! Amen.

21. Ma quante chiacchiere ho fatto per indurre la signoria vostra a non tenere in alcun conto le cose si questa vita, come se non lo sapesse o non fosse già deciso a lasciare tutto e, anzi, non l’avesse già fatto! C’è tale perdizione nel mondo che, anche se tutto il vantaggio del dirlo sia solo la stanchezza, per me, di scriverne, tuttavia mi è di sollievo vedere che quanto dico è totalmente a mia condanna. Il Signore mi perdoni le offese che in tal senso gli ho recato, e la signoria vostra il fatto di annoiarla in modo inopportuno. Sembra che io voglia obbligarla a far penitenza per i peccati da me commessi a questo riguardo.