La differenza che passa fra l’unione e il rapimento, o elevazione, o volo dello spirito
Libro della Vita - Capitolo 20
Autore: Santa Teresa d'Avila
CAPITOLO 20
In cui tratta della differenza tra unione e rapimento, spiega in cosa consista il rapimento e accenna al bene di cui gode l’anima che il Signore, per sua bontà, fa giungere a questo stato. Parla dei suoi effetti. Capitolo degno di nota.
1. Vorrei saper spiegare, con l’aiuto di Dio, la differenza che passa fra l’unione e il rapimento, o elevazione, o volo dello spirito, come lo chiamano, o trasporto, che è tutt’uno; intendo dire che questi differenti nomi indicano la stessa cosa, che si chiama anche estasi. È di gran lunga superiore all’unione, per gli effetti più grandi che produce e per molte altre operazioni, perché l’unione sembra principio, mezzo e fine dell’estasi e si svolge all’interno dell’anima, ma, poiché l’estasi ha effetti molto più elevati, si svolge internamente ed esteriormente. Lo spieghi il Signore come ha fatto per il resto, perché certamente se Sua Maestà non mi avesse spiegato in che modo e con quali espressioni si può dire qualcosa, io non vi sarei riuscita.
2. Consideriamo ora come quest’ultima acqua, di cui abbiamo parlato, sia così copiosa che, se non fosse perché è un assurdo che ciò avvenga quaggiù, si potrebbe credere che questa nuvola della gran Maestà stia con noi, sulla terra. Quando, in ringraziamento di un così gran bene, corrispondiamo con opere in proporzione delle nostre forze, il Signore rapisce l’anima allo stesso modo (così ho sentito dire) in cui le nubi assorbono i vapori della terra, la nube sale poi in cielo e porta via l’anima con sé, cominciando a farle vedere le ricchezze del regno che le ha preparato. Non so se il paragone quadri, ma realmente, di fatto, succede così.
3. Durante questi rapimenti sembra che l’anima non sia più nel corpo, tanto che questo, sensibilmente, sente che gli viene a mancare il calore naturale e, a poco a poco, si raffredda, anche se con grandissima soavità e gioia. Qui non c’è alcun rimedio per resistere, mentre nell’unione, essendo noi ancora con i piedi per terra, un rimedio c’è: benché con dolore e violenza, si può quasi sempre resistere; ma qui il più delle volte non c’è via di scampo, anzi spesso, prevenendo ogni pensiero e ogni possibile cooperazione, viene un impeto tanto rapido e forte, che vedete e sentite sollevarsi questa nube e questa potente aquila prendervi sulle sue ali.
4. Dico che vi accorgete di ciò e vi sentite portare via, ma non sapete dove; sebbene tutto avvenga nella gioia, la nostra debole natura, all’inizio, ci è causa di timore, ed è pertanto necessario avere un’anima risoluta e coraggiosa – molto più che negli stati precedenti – per rischiare tutto, avvenga quel che vuole, abbandonarsi nelle mani di Dio e andare di buon grado dove ci porta, perché ci porta via, anche se ci è gravoso. E con tanta veemenza che spesso io avrei voluto resistere e lo tentavo con tutte le mie forze, specialmente certe volte, quando mi trovavo in pubblico – e molte altre, in privato – temendo di essere ingannata. Alcune volte ci riuscivo, rimanendone estremamente affranta, come resta sfinito chi lotta con un poderoso gigante; altre era impossibile perché se ne andava via l’anima, e per lo più la testa la seguiva, senza che io la potessi trattenere, e a volte anche il corpo giungeva a sollevarsi.
5. Questo, però, mi è accaduto di rado. Una volta, essendomi sopravvenuto mentre ero in ginocchio, in coro, con tutte le monache, ne provai una grande pena, sembrandomi una cosa talmente straordinaria che non avrebbe mancato, subito, di far rumore. Pertanto proibii alle monache (essendomi accaduto recentemente, dopo la mia nomina a priora) di parlarne. Altre volte, quando cominciavo ad accorgermi che il Signore stava per concedermi questa grazia, mi stendevo al suolo (e una volta lo feci alla presenza di alcune nobili dame nella festa del santo patrono durante la predica), ma, per quanto accorressero a trattenermi, si notava ugualmente. Supplicai molto il Signore di non volermi più concedere grazie che avessero manifestazioni esteriori, perché ero stanca ormai di essere considerata una persona importante, e Sua Maestà poteva ben darmi quella grazia senza che altri se ne accorgesse. Sembra che, nella sua bontà, abbia voluto ascoltarmi, perché d’allora in poi non mi è più accaduto. Però è passato solo poco tempo.
6. Quando volevo resistere, mi sembrava che mi sollevasse da terra una forza così potente, che non so a che cosa paragonarla, perché aveva molto maggior impeto delle altre forze spirituali; ne rimanevo stroncata, essendo una lotta tremenda che, poi, non serviva a nulla poiché, quando il Signore vuole, non c’è forza che valga contro la sua. Altre volte si compiace di accontentarsi di farci vedere la grazia che vorrebbe accordarci e come da parte sua non mancherebbe di farlo; e se gli resistiamo con umiltà, produce gli stessi effetti che avremmo se acconsentissimo.
7. Tali effetti sono grandi e uno di essi è quello di mostrare la somma potenza del Signore e come noi non possiamo far nulla, quando Sua Maestà lo vuole, per trattenere non solo l’anima ma neanche il corpo, non essendone più padroni; anche se non lo vogliamo, dobbiamo riconoscere che c’è un essere superiore dal quale sono elargite queste grazie, e che noi non possiamo nulla in alcuna cosa; ciò imprime nell’anima una profonda umiltà. Confesso anche che, all’inizio, provai un grande timore, anzi grandissimo, per il fatto di veder sollevare così un corpo da terra, sebbene sia lo spirito a trascinarlo con sé e, purché non gli resista, lo fa con grande dolcezza, senza che si perda l’uso dei sensi, per lo meno io ero in tale stato che potevo capire di essere sollevata. Ciò rivela una così grande maestà di chi può operare queste cose, da far rizzare i capelli in testa e da far restare con un gran timore di offendere un Dio così grande! È un timore, peraltro, compenetrato di grandissimo amore, che nasce in noi improvviso per colui che, come vediamo, lo nutre in così grande misura verso un così lurido verme, che non sembra contentarsi di trarre a sé in modo tanto reale l’anima, ma vuole anche il corpo, benché mortale e fatto di terra così sudicia com’è diventata per tutte le offese a lui arrecate.
8. Lascia anche un distacco straordinario, che non saprei dire com’è; forse posso dire che è diverso, in qualche modo, cioè supera quello causato dagli altri favori che avvengono solo nell’anima, perché, pur verificandosi allora, dal punto di vista spirituale, un completo distacco dalle cose terrene, nel rapimento sembra che il Signore metta in azione lo stesso corpo e si produce un modo nuovo di rimanere estranei alle cose terrene, così assoluto, che la vita riesce molto più gravosa.
9. Da ciò deriva una pena che noi non possiamo né procurarci né toglierci, una volta che sia venuta. Io desidererei molto spiegare questa grande pena, ma credo di non riuscirvi; tenterò, comunque, di dirne qualcosa. Si deve notare che ho ricevuto queste grazie solo molto recentemente, dopo tutte le visioni e rivelazioni di cui scriverò, posteriormente al tempo in cui, praticando abitualmente l’orazione, il Signore mi concedeva così grandi gioie e doni. Ora, mentre questi favori non cessano, alcune volte – anzi quasi sempre – provo questa pena di cui voglio parlare. È di maggiore e di minor grado, ma io intendo parlare di quando è di maggior grado, perché, sebbene più avanti dirò dei grandi impeti che m’investivano quando il Signore mi faceva dono dei rapimenti, essi non hanno a che vedere, a mio giudizio, con questa pena più di quanto ha a che vedere una cosa molto materiale con una molto spirituale, e credo di non esagerare troppo; a quella pena, infatti, anche se è l’anima a sentirla, poiché è unita al corpo, sembra che partecipino entrambi, e non vi è quell’estremo abbandono che è in questa, nella quale, come ho detto, noi non c’entriamo per nulla; solamente, a volte, d’improvviso viene un desiderio che non so come sia suscitato e, a causa di tale desiderio che penetra tutta l’anima istantaneamente, essa comincia a patire tanta sofferenza da innalzarsi molto sopra se stessa e sopra tutto il creato. Dio la rende tanto estranea alle creature che, per quanto faccia, non le sembra che ve ne sia nessuna sulla terra che possa darle compagnia, e neanche la vorrebbe, non desiderando altro se non morire in quella solitudine. Se le parlano, e vuol farsi tutta la forza possibile per rispondere, non ci riesce, perché il suo spirito, per quanto faccia, non esce da quella solitudine. E, pur sembrando che Dio allora sia lontanissimo, a volte comunica le sue grandezze nel modo più singolare che si possa pensare. Pertanto, non si riesce a dirlo, né credo che possa crederlo né intenderlo se non chi l’avrà provato. Non è, infatti, una comunicazione che serva a consolare l’anima, ma solo a farle vedere che ha ragione di affliggersi per essere lontana da quel bene che in sé racchiude ogni bene.
10. Con questa comunicazione cresce il desiderio, è spinta all’estremo la solitudine che si sente, e la pena è così sottile e penetrante che l’anima, trovandosi in quel deserto, mi pare possa dire testualmente (e forse il re profeta lo disse quando si trovava nella stessa solitudine, senonché a lui, come santo, Dio l’avrà fatta sentire con più intensità): Passai senza dormire le notti e sono come il passero solitario sul tetto. In quei momenti, questo versetto mi si fa tanto presente che mi sembra di vederlo convalidato in me, e mi consola costatando che altre persone – e che persone! – hanno sofferto così estrema solitudine. Sembra che l’anima non stia più in se stessa, ma sulla sommità o tetto di se stessa e di tutto il creato; anzi, mi sembra che stia perfino più su della parte più alta di se stessa.
11. Altre volte, sembra che l’anima abbia un estremo bisogno di Dio e vada dicendo a se stessa: Dov’è il tuo Dio? È da notare che io non conoscevo bene quale fosse la versione in volgare di questo versetto; ma, dopo averla conosciuta, mi era motivo di consolazione costatare che il Signore me l’aveva richiamato alla memoria senza che io lo procurassi. Altre volte, mi ricordavo di san Paolo che dice di essere crocifisso al mondo. Non dico che per me sia così, lo vedo bene; solo mi sembra che l’anima sia in questo stato perché non ha conforto dal cielo, non stando in esso, né lo vuole dalla terra, da cui è ormai fuori, ed è come crocifissa fra il cielo e la terra, fra grandi patimenti, senza che da nessuna parte le venga un soccorso. Infatti, quello che le viene dal cielo (che consiste, come ho detto, in una così mirabile conoscenza di Dio da superare ogni nostro desiderio) non serve che a darle maggior tormento perché aumenta il desiderio in tal modo che la gran pena, a mio parere, alcune volte fa perdere i sensi, anche se per poco tempo. Sembrano transiti di morte, salvo che tali sofferenze sono accompagnate da una così grande gioia che non saprei a cosa paragonarla. È un duro martirio gioioso, perché tutto ciò che di terreno può presentarsi all’anima, anche se si tratti di cose che di solito le piacevano molto, non è più da essa accettato; sembra che subito lo getti lontano da sé. Ben comprende di non voler altro che il suo Dio, e di lui non ama un particolare attributo, lo vuole nell’insieme di tutti i suoi attributi e non sa nemmeno ciò che vuole. Dico «non sa» perché l’immaginazione non le pone dinanzi nulla né, a mio parere, operano le potenze per molta parte del tempo in cui dura questo stato; come nell’unione e nel rapimento le sospendeva la gioia, qui è la pena a sospenderle.
12. Oh, Gesù, se potessi spiegare bene alla signoria vostra queste cose, almeno perché mi dicesse di che si tratta, visto che la mia anima si trova ora sempre in questo stato! Per lo più, quando si vede libera da occupazioni è invasa da tali ansie di morte, e teme, appena le sente arrivare, di dover morire. Ma, una volta immersa in esse, vorrebbe passare tutto il tempo che le resta da vivere in questo patimento, anche se è così eccessivo che chi lo soffre a mala pena può sopportarlo. Pertanto, alcune volte perdo quasi del tutto le pulsazioni, a quanto dicono quelle tra le consorelle che talora mi assistono e che ormai capiscono bene di cosa si tratta. Inoltre, c’è una notevole espansione dei tendini e le mani sono così rigide che a volte non le posso congiungere. Il dolore ai polsi e al corpo, che mi dura fino al giorno dopo, è tale da farmi sentire come slogata.
13. Io ben penso, talvolta, che se la cosa continua così, a Dio piacendo, finirò col lasciarci la vita perché, a mio parere, un simile tormento è sufficiente a farmi morire; solo che io non merito tale grazia. In quel momento il mio unico desiderio è quello di morire: non mi ricordo del purgatorio, né dei grandi peccati commessi per i quali ho meritato l’inferno; dimentico tutto nell’ansia di vedere Dio, e quel deserto di solitudine mi è più caro di qualunque compagnia del mondo. Se c’è qualcosa che potrebbe darmi conforto è trattare con persone che avessero provato questo stesso tormento. Pensare che, per quanto l’anima se ne lamenti, non vi è alcuno che sembri riesca a crederle! [14.] Le dà anche tormento il fatto che questa pena vada aumentando tanto che non vorrebbe più solitudine come prima, né compagnia alcuna se non quella di anime con cui potersi lamentare. È come uno che, avendo il laccio al collo e sentendosi soffocare, cerchi di prendere fiato. Mi sembra, pertanto, che quel desiderio di compagnia nasca dalla nostra debolezza perché, esponendoci la sofferenza a un pericolo di morte (e questo, certo, lo fa; io mi sono vista talvolta in tale pericolo per le mie gravi malattie o per altre circostanze – come ho detto – e credo di poter affermare che, nel caso di cui parlo, il pericolo è così grande come negli altri), la tendenza naturale dell’anima e del corpo a non separarsi spinge a chiedere aiuto per riprendere fiato e a cercare rimedi, per vivere, nel parlare, nel lamentarsi e distrarsi, ben contro la volontà dello spirito, cioè la parte superiore dell’anima, che non vorrebbe uscire da questa pena.
15. Non so se comprendo nel giusto modo queste cose e se le riporto bene, ma, secondo il mio parere, è proprio così. Pensi la signoria vostra che riposo possa io avere in questa vita, da quando quello che avevo – cioè l’orazione e la solitudine in cui il Signore mi dava tanta consolazione – si è mutato quasi abitualmente in questo tormento. Peraltro, è così gioioso e prezioso che l’anima ora lo desidera più di tutti i doni che era solita avere. Le sembra più sicuro perché è la via della croce e ha in sé una gioia molto grande, perché il corpo non partecipa che alla pena, mentre l’anima, che pur ne patisce, gode, però, essa sola della consolazione di tale patimento. Non capisco come ciò possa avvenire, ma è così, e non cambierei questa grazia che il Signore mi fa (un bene della sua mano, come ho detto, in nessun modo acquistato con i miei sforzi, perché assolutamente soprannaturale) per tutte quelle di cui parlerò in seguito; non dico solo prese insieme, ma neppure separatamente. Non tralasci di ricordare quello che, in conclusione, è il tema di questo libro e lo stato in cui ora il Signore mi tiene: dico che questi trasporti vengono dopo i doni già detti, dei quali mi ha favorita l Signore.
16. Standomene dunque, all’inizio, con timore (come mi accade quasi sempre quando ricevo una grazia dal Signore fino a che, andando avanti, Sua Maestà non mi rassicura), egli mi disse di non temere e di stimare questa grazia più di tutte le altre che mi aveva fatto, perché in tale pena l’anima si perfeziona, affinandosi e depurandosi come l’oro nel crogiolo, affinché egli possa meglio applicarvi gli smalti dei suoi doni, ed espia quelle colpe per cui avrebbe dovuto stare in purgatorio. Avevo ben capito che era una grande grazia, ma dopo questo ne rimasi assai più certa. Tanto più che il mio confessore la riconobbe come cosa buona. D’altronde, benché io avessi ragione di temere, a causa della mia miseria, non ho mai potuto credere il contrario. Anzi, quello che mi faceva temere era proprio il fatto che si trattava di un bene troppo grande, avendo presente quanto poco l’avessi meritato. Sia benedetto il Signore che è così buono! Amen.
17. Mi sembra di essere andata fuori tema, perché ho cominciato a parlare di rapimenti, mentre questo che ho detto trascende il rapimento, pertanto lascia gli effetti di cui ho parlato.
18. Ora torniamo al rapimento, e a ciò che di solito accade quando si verifica. Ripeto che spesso mi sembrava che mi lasciasse il corpo così leggero da annullare tutta la sua naturale pesantezza e, alcune volte, in tale misura che quasi non mi accorgevo di toccare la terra con i piedi. Durante il rapimento, infatti, il corpo resta spesso come morto, senza potersi muovere minimamente, nella posizione in cui il rapimento lo coglie: o in piedi, o seduto, o con le mani aperte, o chiuse, in conformità di come si trovava. E sebbene di rado si perdano i sensi, a me è accaduto alcune volte di perderli del tutto – poche volte, però, e per poco tempo. Ordinariamente rimangono turbati; è vero che, pur non potendo compiere alcuna azione esterna, non cessano d’intendere né di udire, ma come da lontano. Non dico che l’anima intenda o oda quando è nel grado più alto del rapimento (per lo più intendo quello in cui si perdono le potenze, essendo strettamente unite a Dio), perché allora non vede, né ode, né sente, a mio parere, ma, come ho detto nella precedente orazione di unione, questa totale trasformazione dell’anima in Dio dura poco; però, mentre dura, nessuna potenza rientra in sé e sa quel che avviene. Finché siamo sulla terra, non se ne deve capire nulla, almeno non lo vuole Dio per non esserne noi capaci. Io questo lo so per esperienza.
19. La signoria vostra mi chiederà come mai alcune volte il rapimento duri tante ore. Spesso, come ho detto nell’orazione passata, ciò di cui ho fatto esperienza è che si gode a intervalli. Molte volte l’anima s’inabissa in Dio o, per meglio dire, Dio l’inabissa in sé; la tiene così un po’ di tempo, poi rimane assorta solo la volontà. Mi sembra che l’agitarsi delle altre due potenze sia come l’ombra dell’asta di un orologio solare che non sta mai ferma; solo quando il Sole di Giustizia lo vuole, la fa fermare. Il rapimento, ripeto, dura poco, ma poiché lo slancio e l’elevazione dello spirito sono stati grandi, anche se le altre due potenze tornano ad agitarsi, la volontà resta assorta; questa, come regina di tutto, domina le azioni del corpo poiché, visto che le altre due potenze vogliono disturbarla con l’agitazione della loro attività, affinché non la disturbino anche i sensi, fa che restino sospesi – di nemici bisogna averne meno possibile –, così volendo il Signore. Per lo più gli occhi stanno chiusi, anche se non vogliamo chiuderli, e se qualche volta, come ho già detto, restano aperti, non si vede né si distingue nulla.
20. Qui è molto meno ciò che si può fare da sé, affinché, quando le potenze tornino a riunirsi, non occorra un grande sforzo. Pertanto, chi riceve da Dio questa grazia, non si perda d’animo vedendo il suo corpo del tutto immobilizzato per molte ore e, talvolta, l’intelletto e la memoria distratti. In verità, ordinariamente tali potenze sono occupate nelle lodi di Dio o nello sforzo di conoscere e capire quello che in loro è avvenuto, e non sono ben deste neppure per questo: somigliano a una persona che ha molto dormito e sognato, e ancora non è del tutto sveglia.
21. Insisto molto su ciò perché so che oggi vi sono – anche in questa città – persone a cui il Signore concede tali grazie, e se coloro che le dirigono non ne hanno fatto esperienza, crederanno forse – specialmente se mancano di dottrina – che nel rapimento esse siano come morte. Fa pena vedere quanto si patisce a causa dei confessori che, come poi dirò, non capiscono queste cose. Forse io non so quel che dico; la signoria vostra vedrà se qualche volta l’indovino, poiché il Signore le ha già dato esperienza di ciò, sebbene, essendo avvenuto solo da poco tempo, potrebbe non averci riflettuto tanto come me. Così, per quanti tentativi io faccia, per molto tempo nel corpo non ci sono forze sufficienti a farlo muovere: tutte le ha portate via con sé l’anima. Molte volte, se era molto malato e pieno di forti dolori, si ritrova guarito e più valido, essendo una grazia ben grande quella che lì ci viene data, e il Signore alcune volte, ripeto, vuole che ne goda anche il corpo, ormai ubbidiente ai desideri dell’anima. Dopo che questa ritorna in sé, se il rapimento è stato grande, le accade di passare uno, due, e anche tre giorni, con le potenze così assorte che, come imbambolata, non sembra ancora rinvenuta.
22. Qui nasce nell’anima il tormento di dover ritornare a vivere; qui, cadutole ormai il primo pelo, le sono nate le ali perché possa volare bene, e spiega già la bandiera per la causa di Cristo; sembra che il capitano di questa fortezza salga, o meglio sia fatto salire sulla torre più alta, per issarvi il vessillo di Dio. Guarda a quelli di sotto come chi è in salvo e non teme ormai i pericoli, anzi li desidera, avendo lì, in certo modo, certezza della vittoria. Qui si vede assai chiaramente il poco conto che si deve fare di tutte le cose di quaggiù e la nullità di esse. Chi sta in alto scopre molte cose. Non vuole più avere una volontà sua, non vorrebbe, cioè, avere libero arbitrio; pertanto, supplica di ciò il Signore e gli dà le chiavi della sua volontà. Ecco qui il giardiniere divenuto castellano, che non vuole fare altro se non la volontà del Signore, né esser padrone di sé né di nulla, neppure di un frutto di questo giardino. Se in esso c’è qualcosa di buono, lo ripartisca Sua Maestà, perché d’ora in poi non vuole più nulla di proprio, ma solo fare ciò che è totalmente conforme alla sua gloria e alla sua volontà.
23. Di fatto, accade realmente tutto questo se i rapimenti sono veri e l’anima ne ha gli effetti e i vantaggi di cui si è detto. In caso contrario, direi di dubitare molto che provengano da Dio, piuttosto propenderei a credere che si tratta di quegli arrabbiamenti di cui parla san Vincenzo. Quello che io so e ho visto per esperienza è che l’anima, qui, in un’ora e anche meno, resta padrona di tutto e con una così piena libertà da non potersi più riconoscere. Vedendo chiaramente che tale favore non è opera sua, non sa come le sia concesso un così gran bene. Ma intende distintamente il grande profitto che deriva da ognuno di questi rapimenti. Nessuno può crederlo, se non l’ha provato per esperienza; pertanto, non si crede alla povera anima: avendola vista così imperfetta, e vedendo che ora, d’un tratto, aspira a cose tanto sublimi (infatti immediatamente l’anima manifesta il suo intento di non contentarsi di servire il Signore nel poco, ma al massimo delle sue possibilità), pensano tutti che sia vittima di una tentazione o di una follia. Se capissero che ciò non nasce da lei, ma dal Signore a cui ha ormai dato le chiavi della sua volontà, non si stupirebbero.
24. Sono convinta che un’anima pervenuta a questo stato più non parla né fa nulla da sé, ma di tutto ciò ch’essa deve fare ha cura questo augusto Re. Oh, Dio mio, come si vede chiaramente il senso del versetto di Davide e come si capisce che egli aveva ragione, e con lui tutti quelli che gli si uniranno, nel chiedere ali di colomba! S’intende bene che lo spirito spicca il volo per innalzarsi al di sopra di tutte le cose create e, anzitutto, al di sopra di se stesso, ma è un volo soave, volo gioioso, volo senza rumore.
25. Che sovranità acquista un’anima quando il Signore la eleva a tale altezza, da cui domina con lo sguardo tutte le cose di questo mondo, senza esserne irretita! Come si vergogna del tempo in cui lo fu! Quanto la sgomenta la sua passata cecità e quale pietà prova per coloro che sono ancora ciechi, specialmente se si tratta di persone di orazione, già favorite da Dio dei suoi doni! Vorrebbe gridare per far loro capire quanto siano in errore e lo fa, anche, alcune volte, ma allora le piovono addosso una infinità di persecuzioni: è ritenuta poco umile e accusata di voler insegnare a coloro dai quali avrebbe da imparare; specialmente se è donna, non esitano a condannarla, e con ragione, ignorando l’impeto che la muove, tale che a volte non può resistere a non disingannare chi ama e che desidera veder libero dal carcere di questa vita, perché non è né le appare altra cosa quella in cui è vissuta lei.
26. Si rammarica del tempo in cui badava al punto d’onore e dell’inganno in cui era di reputare onore quello che il mondo chiama onore: ora vede che è una grandissima menzogna da cui tutti siamo illusi. Capisce che il vero onore non è menzognero, ma risponde a verità, e consiste nello stimare ciò che è stimabile e non far nessun conto di ciò che nessun conto merita, essendo nulla e meno di nulla tutto quello che ha fine e non è a gloria di Dio.
27. Ride di sé, del tempo in cui apprezzava il denaro, ed era avida di averlo; benché io di quest’avidità non abbia mai dovuto, in verità, confessarmi colpevole, tuttavia è grande colpa tenerlo in qualche conto. Se con esso si potesse comprare il bene di cui ora mi vedo in possesso, lo stimerei molto, ma so che un tale bene si acquista col lasciare tutto. In cosa consiste, dunque, ciò che si acquista con questo denaro a cui aneliamo? È cosa di valore? È cosa durevole? E allora a qual fine lo cerchiamo? Misero guadagno ci procuriamo, pagandolo a così caro prezzo! Molte volte con il denaro ci guadagniamo l’inferno, comprando fuoco eterno e pene senza fine. Oh, se tutti riuscissero a considerarlo come terra senza alcun frutto, come andrebbe meglio il mondo, in piena concordia e senza intrighi! Con quanta amicizia si tratterebbero gli uomini! Se venisse meno ogni interesse di onore e di denaro, io sono sicura che si rimedierebbe a tutto!
28. L’anima vede anche l’accecamento che procurano i piaceri, le inquietudini e gli affanni che con essi si comprano già in questa vita. E che inquietudini! Che misere soddisfazioni! Che inutile fatica! Qui scorge non solo le ragnatele del suo intimo e i grandi peccati, ma anche qualunque pulviscolo vi sia, per quanto piccolo possa essere, perché il sole rifulge in pieno. Pertanto, nonostante ogni suo sforzo per raggiungere la perfezione, se la colpisce in pieno questo Sole, si vede tutta assai torbida. È come l’acqua posta in un bicchiere: se il sole non la investe, sembra molto chiara; se è investita dal sole, si vede che è tutta piena di corpuscoli. Il paragone calza alla perfezione, perché prima che l’anima giunga a questa estasi, le sembra di porre ogni cura a non offendere Dio, facendo quanto può, in conformità delle sue forze, per evitarlo; ma, giunta qui, dove la colpisce in pieno questo Sole di giustizia che la costringe ad aprire gli occhi, vede tanti difetti, che vorrebbe subito richiuderli; non essendo ancora così simile all’aquila reale da poter fissare bene il sole, per poco che li tenga aperti, si vede tutta torbida e si ricorda allora del versetto che dice: Chi sarà giusto, o Signore, innanzi a te?
29. Quando fissa questo sole divino, il suo fulgore l’abbaglia; quando guarda se stessa, il fango le offusca la vista, così che la colombella rimane cieca. Accade, pertanto, moltissime volte che resti proprio cieca del tutto, assorta, attonita, priva di sensi di fronte alle molte grandezze che vede. Qui acquista la vera umiltà perché non le importa di dire bene di sé, né che altri lo dicano. Il Signore distribuisce i frutti dell’orto e non lei, e così nulla le si attacca alle mani; tutto il bene che ha viene indirizzato a Dio; se qualcosa di ce di sé, è per la sua gloria. Sa che in quel giardino non ha nulla di suo e, anche volendolo, non potrebbe ignorarlo, perché lo vede con i suoi stessi occhi. Il Signore, suo malgrado, glieli fa chiudere alle cose del mondo, affinché li tenga aperti per comprendere la verità.