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Libro della Vita - Capitolo 33

Autore: Santa Teresa d'Avila

CAPITOLO 33

Prosegue sullo stesso argomento della fondazione del monastero del glorioso san Giuseppe. Racconta come le ordinarono di non occuparsene più, e fino a quando smise di interessarsene; racconta anche alcune prove a cui dovette sottostare e come il Signore la consolava in esse.

1. Quando gli affari erano dunque a questo punto, così prossimi alla conclusione che mancava un giorno alla stesura del contratto, fu proprio il momento in cui il padre provinciale cambiò parere. Credo che ne fosse causa, a quanto si vide in seguito, una disposizione divina perché, grazie alle molte preghiere, il Signore andava perfezionando l’opera e disponendo le cose così che si effettuasse in altro modo. Avendo quel padre rifiutato il suo assenso, subito il confessore mi ordinò di non occuparmene oltre, nonostante le grandi sofferenze e le pene che – come sa il Signore – mi era costato portarla fino a quel punto. Abbandonata l’impresa e rimasto tutto in tronco, si andò convalidando l’opinione che si era trattato di una stramberia di donne e crebbero le mormorazioni contro di me, sebbene fino allora io avessi agito con l’autorizzazione del mio provinciale.

2. Ero molto malvista da tutto il mio monastero, avendo tentato di fondarne uno di più stretta clausura. Le mie consorelle dicevano che era un recare loro offesa, perché potevo servire Dio anche lì dove non mancavano religiose migliori di me, che non amavo la casa e che avrei fatto meglio a procurare rendite per essa anziché per altri fini. Alcune ritenevano che dovessi esser gettata in prigione, altre – ben poche – si volgevano un tantino in mia difesa. Io vedevo che per molti riguardi avevano ragione e talvolta cercavo di giustificarmi, ma siccome non potevo dire il movente principale, che era il comando del Signore, non sapendo che cosa fare, tacevo. D’altronde, Dio mi faceva la grazia di non trarre da ciò motivo di agitazione, tanto che abbandonai l’idea con tale facilità e letizia, come se non mi fosse costato nulla. E questo non poteva crederlo nessuno, neppure le stesse persone di orazione che trattavano con me, le quali pensavano che dovessi essere molto afflitta e confusa; persino il mio confessore non riusciva a crederlo. Io, ritenendo di aver fatto tutto il possibile, non mi sentivo più obbligata ad adempiere il comando del Signore e me ne stavo tranquilla nel mio monastero dove potevo vivere a mio agio. Mi era, nondimeno, impossibile rinunziare a credere che la fondazione si sarebbe fatta: non vedevo alcuna via per attuarla, né sapevo il come, né il quando, ma la stimavo cosa cortissima.

3. Ciò che più mi afflisse fu quando una volta il mio confessore, come se io avessi fatto qualcosa contro la sua volontà (doveva essere senza dubbio volontà del Signore che non mi mancassero tribolazioni anche da quella parte che mi avrebbe procurato maggiori sofferenze), nel cumulo di persecuzioni in cui mi sembrava che egli avesse dovuto confortarmi, mi scrisse che, per quanto era accaduto, dovevo convincermi che la mia era soltanto un’illusione, che ne facessi ammenda d’allora in poi col non perseguirne più la riuscita e non parlarne più, avendo visto io stessa lo scandalo che ne era conseguito, e altre cose ancora, tutte causa di gran pena. L’idea dello scandalo fu quella che mi addolorò più di tutto il resto, sembrandomi che se ero stata io la causa e avevo avuto la colpa che si recasse offesa a Dio, se le mie visioni erano un’illusione, tutta la mia orazione doveva essere un inganno e io ero un’illusa e una traviata. Questo timore mi strinse il cuore in tal modo da procurarmi un gran turbamento e una grandissima afflizione. Ma il Signore, che non mi è venuto mai meno, che in tutte queste sofferenze di cui ho parlato molte volte mi confortava e m’incoraggiava in una maniera che qui non serve ricordare, mi disse allora di non angustiarmi perché in quella faccenda io avevo ben servito e non offeso Dio; di fare ciò che mi ordinava il confessore, cioè starmene, per il momento, in silenzio aspettando che venisse il tempo propizio per riprendere il lavoro. Rimasi così contenta e consolata che la persecuzione ordita contro di me mi sembrò nulla.

4. In questa circostanza il Signore mi mostrò la grande utilità delle persecuzioni e dei patimenti sofferti per amor suo, perché fu così grande l’aumento dell’amore di Dio nella mia anima, insieme con molti altri vantaggi, che io ne restavo stupita; ecco perché non posso fare a meno di desiderare sofferenze. Gli altri credevano che io fossi piena di mortificazione e certo lo sarei stata se il Signore non mi avesse favorita in così grande occorrenza di tanta grazia. Proprio allora mi vennero quei grandi impeti d’amore di Dio di cui ho parlato, insieme con rapimenti sublimi; io, però, tacevo e di tali grazie non parlavo con nessuno. Quel sant’uomo del padre domenicano continuava intanto ad essere persuaso, come lo ero io, che la fondazione si sarebbe fatta e, siccome io non volevo occuparmene, per non tradire l’obbedienza al mio confessore, egli ne trattava con la mia compagna: scrivevano a Roma e preparavano la strada.

5. Anche qui il demonio cominciò, da una persona all’altra, a fare in modo che si sapesse che io avevo avuto qualche rivelazione su tale faccenda, e alcune persone, allora, vennero da me spaventate per dirmi che correvano tempi duri e che poteva darsi che fossi imputata di qualche colpa e denunziata all’Inquisizione. Ciò mi parve divertente e mi fece ridere perché, a questo riguardo, non ho mai avuto paura, ben sapendo che, in fatto di fede, sarei stata pronta ad affrontare mille morti piuttosto di far credere che trasgredissi una minima cerimonia della Chiesa o andassi contro una verità della sacra Scrittura. Risposi, quindi, che di ciò non temessero perché sarebbe stato molto pericoloso per la mia anima se in essa vi fosse alcunché da fornire motivo di temere l’Inquisizione; che se avessi pensato che ci fosse di che temerla, io stessa mi sarei accusata, e se era già in atto un’imputazione, il Signore mi avrebbe fatto assolvere e ne avrei avuto un guadagno. Trattai di ciò con quel mio padre domenicano il quale, ripeto, era così dotto che potevo sentirmi ben sicura del suo parere. Gli parlai, allora, con la maggiore chiarezza possibile di tutte le visioni, del modo di orazione e delle grandi grazie che il Signore mi faceva; lo supplicai di considerare attentamente ogni cosa, dirmi se vi fosse alcunché di contrario alla sacra Scrittura ed espormi il suo parere su tutto. Egli mi rassicurò ampiamente e mi pare che quanto ebbi a dirgli giovasse anche a lui perché d’allora in poi, sebbene fosse già molto virtuoso, si diede maggiormente all’orazione e si ritirò in un convento del suo Ordine che era un vero romitaggio, per poterla praticare meglio; ivi rimase più di due anni, finché non lo rimossero da quel ritiro l’obbedienza – a cui si piegò con grande rammarico –, per il bisogno che si aveva di un religioso del suo valore.

6. Io, da una parte, fui molto spiacente quando se ne andò – anche se non feci nulla per impedirglielo –, avendo gran bisogno di lui. Capivo, però, che era per il suo bene perché il Signore, mentre un giorno soffrivo profondamente per la sua partenza, mi aveva esortato a confortarmi e a non aver pena, essendo egli indirizzato a buon fine. Difatti, tornò da lì con l’anima così tanto progredita nelle vie dello spirito che per nulla al mondo, mi disse, avrebbe voluto non esserci andato. E io potevo dire la stessa cosa perché, se prima mi rassicurava e consolava soltanto con la sua dottrina, ora lo faceva anche in virtù della sua esperienza spirituale, perché, in fatto di cose soprannaturali, ne aveva acquistata molta. Sua Maestà ce lo ricondusse proprio nel momento in cui vide che ci sarebbe stato necessario per averne aiuto in quest’opera da lui stesso voluta, cioè la fondazione del monastero.

7. Rimasi, così, in silenzio, senza occuparmi né parlare di tale cosa, cinque o sei mesi durante i quali il Signore non mi diede mai ordini al riguardo. Non capivo quale ne fosse la causa, ma non potevo togliermi dalla mente che la fondazione si sarebbe fatta. Verso la fine di questo periodo, essendo partito dalla città il rettore della Compagnia di Gesù, Sua Maestà ne fece venire un altro molto dedito alle cose spirituali, dotato di grande energia, d’ingegno e di buona dottrina, proprio nel momento in cui ne avevo estremo bisogno, perché il mio confessore era soggetto a un superiore e, siccome i padri della Compagnia considerano tanto la virtù da non far nulla che non sia conforme al volere dei prelati, quantunque capisse bene il mio spirito e desiderasse il mio maggior profitto, non osava decidersi in alcune cose, per varie sue particolari ragioni. Ora, il mio spirito era preso da così grandi impeti d’amore, che soffrivo molto di doverlo frenare, tuttavia non mi allontanavo da ciò che egli mi comandava.

8. Un giorno, mentre ero molto afflitta, sembrandomi che il confessore non mi credesse, il Signore mi disse di non tormentarmi, perché quella pena presto avrebbe avuto termine. Mi rallegrai molto, pensando che ciò significasse che dovevo morire di lì a poco e, quando lo rammentavo, ne traevo motivo di gioia profonda. In seguito vidi chiaramente che si trattava dell’arrivo del nuovo rettore perché non ebbi più motivo di pena per il fatto che questo rettore non poneva restrizioni al padre ministro, mio confessore, anzi gli diceva di consolarmi, di non aver paura non essendoci nulla da temere, di non guidarmi per una via troppo angusta, ma di lasciare che in me operasse lo spirito del Signore; a volte, infatti, sembrava, a causa di quei grandi impeti d’amore, che l’anima non potesse neanche respirare.

9. Il rettore venne a trovarmi e il confessore m’impose di parlare con lui con tutta libertà e chiarezza. Io, di solito, provavo una grandissima ripugnanza a parlare delle cose dell’anima mia, ma quella volta, entrata nel confessionale, sentii nel mio spirito qualcosa che né prima, né dopo ricordo di aver sentito con nessuno, né saprei dire di cosa si trattasse, né potrei farlo neppure servendomi di paragoni, perché era una gioia spirituale, una intima persuasione che quell’anima avrebbe capito e sarebbe andata d’accordo con la mia, sebbene – ripeto – non so come questo sia avvenuto. Se, infatti, gli avessi già parlato o se mi avessero dato di lui informazioni straordinarie, non mi sarei stupita di provare gioia prevedendo che mi avrebbe compresa; ma non ci eravamo mai scambiata una parola né era persona della quale io avessi avuto prima alcuna notizia. Ho poi visto chiaramente che il mio spirito non si era ingannato perché, sotto ogni aspetto, per me e per la mia anima è stato proficuo avere rapporti con lui, il cui tratto è adattissimo per le persone che il Signore sembra già aver fatto avanzare, facendole egli correre, non andare passo passo, e avendo per metodo di distaccarle da tutto e mortificarle. Anche per questo, come per molte altre cose, sembra che il Signore gli abbia dato un grandissimo talento.

10. Appena cominciai a trattarlo, notai subito il suo stile e vidi che era un’anima pura, santa e dotata particolarmente da Dio del dono della conoscenza degli spiriti. Ne provai molta consolazione. Poco dopo essere entrata in rapporto con lui, il Signore cominciò a farmi di nuovo pressioni perché riprendessi a trattare la faccenda del monastero e perché esponessi al mio confessore e a questo rettore molte ragioni e considerazioni perché non mi ostacolassero. Qualcuna incuteva loro paura, perché questo padre rettore non ebbe mai dubbi che si trattasse dello spirito di Dio, esaminandone tutti gli effetti con molta cura e attenzione. Dopo molti avvenimenti, nessuno osò ostacolarmi.

11. Il mio confessore tornò a darmi il permesso di adoperarmi con tutte le forze per la realizzazione del progetto. Vedendo chiaramente le difficoltà che mi si presentavano, sia perché ero sola, sia perché i mezzi di cui disponevo erano molto scarsi, rimanemmo d’accordo che tutto si svolgesse in assoluto segreto; pertanto feci in modo che una mia sorella, residente fuori di qui, comprasse la casa e la facesse adattare come per suo uso, con denari, per l’acquisto, che il Signore ci procurò per vie diverse, che qui sarebbe troppo lungo dire. Da parte mia, stavo molto attenta a non far nulla che contravvenisse all’obbedienza, ma sapevo che, parlandone ai miei superiori, tutto sarebbe andato perso, come la volta precedente, e forse anche peggio. Per trovare il denaro, comprare la casa, stipularne il prezzo e adattarla allo scopo, ebbi molte difficoltà, e alcune affrontate completamente da sola (è vero che la mia compagna faceva quanto poteva, ma poteva ben poco, così poco che era quasi niente; il suo aiuto consisteva, infatti, in null’altro che prestare il suo nome e il suo favore; tutto il grosso del lavoro era mio), preoccupazioni di ogni genere, tali che ora mi stupisco di averle potuto superare. Alcune volte, quando ero afflitta, dicevo: «Perché, Signore, mi comandate cose che mi sembrano impossibili? Benché donna, se almeno fossi libera! Ma, impastoiata da tanti ostacoli, senza denari e senza sapere dove trovarli né per il Breve né per qualunque altra necessità, che posso fare, Signore?».

12. Una volta, trovandomi in tale situazione da non sapere che fare né come pagare alcuni operai, mi apparve san Giuseppe, mio vero padre e protettore, e mi fece comprendere che il denaro non mi sarebbe mancato; pertanto pattuissi pure il prezzo. Così feci, senza avere neppure un soldo e il Signore mi provvide in tal maniera da far meravigliare quanti lo seppero. La casa mi sembrava troppo piccola, tanto che non credevo che si potesse riuscire a destinarla a un monastero e volevo comprarne un’altra vicino alla nostra, anch’essa molto piccola, per farvi la chiesa. Ma non avevo soldi per comprarla, né v’era modo di contrattarla e non sapevo cosa fare. Una mattina, appena ricevuta la comunione, il Signore mi disse: «Ti ho già detto di entrare come puoi» e, con un’esclamazione, aggiunse: «Oh, cupidigia del genere umano, che hai sempre paura ti debba mancare la terra sotto i piedi! Quante volte io ho dormito a ciel sereno per non aver dove mettermi!». Rimasi molto spaventata e vidi che aveva ragione. Andai alla casetta, feci uno schizzo dei locali e mi accorsi che, sebbene assai piccolo, ne veniva fuori un monastero completo. Pertanto, non mi preoccupai di comprare l’altra casa, ma procurai di sistemare questa in modo che ci si potesse abitare, alla buona, senza ricercatezza, non badando ad altro se non a che non fosse di danno alla salute, come si deve far sempre.

13. Il giorno di santa Chiara, mentre stavo per comunicarmi, mi apparve questa santa splendente di bellezza; mi disse di sforzarmi d’andare innanzi nell’opera intrapresa, perché ella mi avrebbe aiutata. Cominciai a nutrire per lei una grande devozione, tanto più che le sue promesse sono risultate così veritiere che un monastero di suore del suo Ordine, vicino al nostro, ci aiuta a mantenerci. E la cosa più importante è che, a poco a poco, ha perfezionato a tal punto il mio desiderio di rinuncia a tutto che la povertà osservata da questa gloriosa santa nella sua casa si osserva anche da noi e viviamo di elemosina. Non mi è costato poca fatica ottenere l’autorizzazione del santo Padre a mantenerci salde in questa Regola, senza discostarcene né aver mai rendite. Il Signore fa molto di più e lo si deve forse alle preghiere di questa santa gloriosa perché, senza esserne richiesto, ci provvede completamente di tutto il necessario. Sia egli benedetto per ogni cosa! Amen.

14. In quello stesso tempo, il giorno dell’Assunta, in un convento dell’Ordine del glorioso san Domenico, stavo meditando sui molti peccati che in passato avevo lì confessato e su altre cose della mia vita miserabile, allorché fui presa da un rapimento così grande che mi trasse quasi fuori di me. Mi sedetti e mi pare di non aver neppure potuto vedere l’elevazione né seguire la Messa, tanto che poi me ne rimase lo scrupolo. Mentre ero in questo stato, mi sembrò di vedermi rivestire di una veste bianchissima e splendente e, al principio, non vidi chi me la ponesse. In seguito scorsi alla mia destra nostra Signora e alla sinistra il mio padre san Giuseppe che me la metteva indosso e capii che ero ormai purificata dei miei peccati. Vestita che fui e piena di grandissima felicità e gioia, mi parve che nostra Signora mi prendesse le mani, dicendomi che la mia devozione al glorioso san Giuseppe le faceva molto piacere, che la fondazione del monastero da me desiderata si sarebbe fatta e che in essa nostro Signore ed entrambi loro due vi sarebbero stati fedelmente serviti; che non temessi vi potesse mai essere in ciò un’incrinatura, anche se la giurisdizione sotto cui mi trovavo non fosse di mio gusto, perché essi ci avrebbero protette e che già suo Figlio ci aveva promesso di stare sempre con noi; come pegno che ciò si sarebbe avverato mi dava un gioiello. Mi parve, infatti, che mi mettesse al collo una bellissima collana d’oro, da cui pendeva una croce di grande valore. Quest’oro e queste pietre sono così diversi da quelli della terra che non si possono fare paragoni: la loro bellezza è assai lontana dal potersi qui immaginare; l’intelletto non arriva a capire la materia di cui è fatta la veste, né ad avere un’idea del candore di cui Dio la fa risplendere, di fronte al quale quello di quaggiù sembra un qualcosa di fuligginoso, per così dire.

15. Anche se non potei distinguere nessuna delle sue fattezze in particolare, ma solo vederne nel complesso la forma del viso, la bellezza di nostra Signora era straordinaria, così vestita di bianco, con grandissimo splendore, non abbagliante, ma soave. Non vidi, invece, altrettanto chiaramente il glorioso san Giuseppe, anche se vidi bene che stava lì, come avviene delle visioni di cui ho parlato nelle quali non si vede alcuna figura. Nostra Signora mi sembrava molto giovane. Dopo che stettero un po’ con me, procurandomi grandissima gioia e felicità come mai mi pareva d’aver provato, tanto che non avrei voluto mai staccarmene, mi sembrò di vederli salire al cielo fra una moltitudine di angeli. Rimasi molto sola, ma così confortata, elevata e raccolta in orazione e così piena di dolcezza da non potere per un po’ di tempo né muovermi né parlare, come fuori di me. Provavo un ardente desiderio di consumarmi per Dio e tutto avvenne in modo tale e con tali effetti che non potei mai dubitare, per quanto lo procurassi, che non era cosa di Dio. Mi lasciò molto confortata e in una gran pace.

16. Quanto a ciò che la Regina degli angeli aveva detto circa la giurisdizione, mi dispiaceva molto non affidare il nuovo monastero all’Ordine, ma il Signore mi aveva detto che non conveniva dargli questo potere, esponendomi anche le ragioni per cui in nessun modo sarebbe stato il caso di farlo, esortandomi ad inviare un messaggio a Roma per una certa via che m’indicò e promettendomi che da lì mi avrebbe fatto venire la risposta. E così, inviato il messaggio, seguendo la via indicatami dal Signore, mentre prima non riuscivamo a concludere mai le trattative, l’affare riuscì benissimo. Dagli avvenimenti che seguirono si vide quanto fosse stato utile darne la giurisdizione al vescovo, ma allora io non lo conoscevo e non sapevo ancora quale superiore egli fosse. Il Signore volle che fosse così buono da appoggiare questa casa come era necessario per le molte opposizioni che si levarono contro di essa – come dirò in seguito – e la portasse allo stato in cui ora si trova. Benedetto sia colui che ha disposto così ogni cosa! Amen.