Libro della Vita - Capitolo 39
Autore: Santa Teresa d'Avila
CAPITOLO 39
Prosegue sullo stesso argomento delle insigni grazie che il Signore le ha fatto e dice come le abbia promesso di aiutare le persone che ella gli avrebbe raccomandato, segnalando vari casi in cui il Signore le ha concesso questo favore.
1. Un giorno stavo pregando insistentemente il Signore perché restituisse la vista a una persona a cui ero molto obbligata, che l’aveva perduta quasi del tutto. Mi faceva una gran pena, ma temevo che, per i miei peccati, il Signore non mi avrebbe ascoltata. Mi apparve allora come altre volte e, mostrandomi la piaga della mano sinistra, con l’altra ne tirò fuori un grosso chiodo che vi era infilato. Mi sembrava che, insieme al chiodo, tirasse fuori la carne; il suo grande dolore, che mi straziava, era evidente. Mi disse di non temere, perché chi aveva tanto sofferto per me, a maggior ragione avrebbe fatto quello che gli chiedevo. Mi promise che non ci sarebbe stato nulla che io gli chiedessi che egli non avrebbe fatto, ben sapendo che io non gli avrei mai chiesto alcuna cosa che non fosse conforme alla sua gloria. Pertanto avrebbe esaudito la preghiera che in quel momento gli rivolgevo; anche quando non lo servivo, potevo vedere io stessa che non gli avevo mai chiesto nulla che egli non mi avesse concesso, meglio e più di quanto avessi potuto chiedere; a maggior ragione l’avrebbe fatto ora che sapeva che io l’amavo, perciò non ne dovevo dubitare. Non erano ancora passati, credo, otto giorni, che quella persona riacquistò la vista. Il mio confessore lo venne a sapere subito. Può anche darsi che ciò non fosse per le mie preghiere, ma siccome io avevo avuto quella visione, ne fui così certa che ne ringraziai Sua Maestà come di una grazia fatta a me.
2. Un’altra volta c’era una persona molto ammalata di una malattia assai penosa, che non dico per non sapere di che genere fosse. Era intollerabile ciò che soffriva da due mesi, in preda ad un tormento da cui si sentiva dilaniare. Andò a vederla il mio confessore, che era quel rettore già ricordato, e, avendone gran pena, mi pregò di farle una visita, anche perché si trattava di una persona per la quale potevo farlo, essendo mia parente. Ci andai e ne ebbi tanta compassione, che cominciai a pregare il Signore con molta insistenza per la sua salute. La grazia mi parve molto evidente, questa volta, perché subito, il giorno dopo, era completamente guarita da quel male.
3. Un giorno mi sentivo profondamente afflitta, perché avevo saputo che una persona, verso la quale ero molto obbligata, voleva fare una cosa assolutamente contraria a Dio e al suo stesso onore, ed era ormai ben decisa a ciò. Era tanta la mia pena che non sapevo cosa fare, perché non pareva ci fosse più alcun rimedio a cui ricorrere per distoglierla dal suo proposito. Supplicai Dio con tutto il mio cuore che trovasse lui un rimedio, ma finché non mi fossi vista esaudita, la mia pena non poteva certo calmarsi. Me ne andai, così sconvolta, in uno di quei romitori ben appartati di questo monastero e precisamente in quello in cui è dipinto Cristo alla colonna; e mentre supplicavo il Signore di farmi questa grazia, udii il suono di una voce soavissima, come una musica sottile. Mi si rizzarono i capelli in testa dallo spavento: avrei voluto capire quello che mi diceva, ma non mi fu possibile, perché durò solo un attimo. Passata poi la paura, che passò ben presto, mi rimase una tale serenità, una tale gioia e una tale dolcezza nell’anima, che io mi stupii che soltanto l’udire una voce, percepita con le orecchie del corpo, senza capire nulla, avesse potuto operare in essa tutto questo. Ciò mi fece intendere che lamia preghiera sarebbe stata esaudita e, pertanto, sparì del tutto l’angoscia dal mio cuore, come se ciò fosse già avvenuto, benché ancora non lo fosse e solo più tardi io l’ottenessi. Lo dissi ai miei confessori perché allora ne avevo due, molto dotti e gran servi di Dio.
4. Seppi di una persona che, dopo essersi decisa a servire fedelmente Dio ed aver praticato per qualche tempo l’orazione, in cui Sua Maestà le faceva molte grazie, l’aveva abbandonata per via di certe occasioni in cui era incappata, dalle quali non sapeva ancora allontanarsi e che erano molto pericolose. Mi dispiacque moltissimo, perché era una persona che amavo molto e alla quale dovevo molto. Credo che per più di un mese non feci altro che supplicare Dio di richiamarla a sé. Un giorno, mentre ero in orazione, vidi accanto a me un demonio che, pieno di rabbia, faceva a pezzi certi fogli che aveva in mano; ne fui molto consolata, sembrandomi che la mia preghiera fosse stata esaudita. E, infatti, fu così, perché seppi in seguito che quella persona aveva fatto con profonda contrizione una confessione generale ed era ritornata così sinceramente a Dio, che spero in lui perché debba sempre grandemente progredire. Sia egli per tutto benedetto! Amen.
5. Questa grazia di togliere alcune anime da gravi peccati e di trarne altre a maggior perfezione per le mie suppliche, il Signore me l’ha concessa molte volte. Se dovessi raccontare tutte quelle che egli mi ha fatto, liberandone molte dal purgatorio, e le altre cose straordinarie che mi ha concesso, finirei per stancarmi e stancherei chi mi legge, e molto più per quanto riguarda la salute delle anime che per quella dei corpi. È cosa notoria, della quale esistono parecchi testimoni. Da principio ne avevo molto scrupolo perché – a prescindere dal fatto di riconoscere che tali grazie dipendevano soprattutto dalla bontà di Dio – non potevo rinunziare a credere che il Signore le facesse per le mie preghiere, ma sono ormai tante queste cose e così conosciute da altre persone che non mi dà pena la mia convinzione, ne lodo Sua Maestà e, se mi sento confusa per vedermi ancor più debitrice verso di lui, ciò, a quanto mi sembra, fa crescere il mio desiderio di servirlo e avviva il mio amore. Quel che più mi stupisce è che le cose che il Signore non ritiene conveniente accordare, non posso, pur volendo, chiedergliele se non con grande debolezza, senza energia né calore e, per quanti sforzi faccia, non riesco a pregarlo come per altre cose di cui accoglierà la richiesta, che sento di poter sollecitare spesso e con grande insistenza. Anche se mi accade di trascurare di farlo, sembra che qualcuno me lo richiami alla mente.
6. La differenza di questi due modi di pregare è così grande che non so come spiegarla: nel primo caso, pur pregando per cose che mi toccano da vicino (perché non tralascio di supplicare il Signore, anche se non sento in me quel fervore che ho per le altre cose), mi avviene come a chi ha la lingua impacciata, il quale vuol parlare e non può e, se parla, lo fa in modo tale da rendersi conto di non esser capito. Invece, nel secondo caso, sono come chi parla chiaro e spedito e sente di essere ascoltato volentieri. Nel primo caso è come chiedere, tanto per intenderci, con orazione vocale; nell’altro come farlo in una di quelle elevate contemplazioni nelle quali il Signore si manifesta in modo tale da far capire che ci ascolta, che si compiace delle nostre richieste e che le vuole esaudire. Sia benedetto per sempre chi mi dà tanto mentre io gli do così poco! Infatti, mio Signore, che cosa fa chi non si consuma tutta per voi? E quanto, quanto, quanto – potrei dirlo altre mille volte – sono ancora lontana da ciò! Per questo (e per molti altri motivi) non dovrei più voler vivere, perché non vivo in conformità di quel che vi devo. Con quante imperfezioni mi vedo! Con quanta rilassatezza nel servirvi! Non c’è dubbio che, a volte, vorrei proprio esser priva di sentimento, per non sentire tutto il male ch’è in me. Vi rimedi colui che lo può!
7. Mentre ero in casa di quella signora di cui ho parlato, dovevo stare molto attenta e aver sempre presente la vanità che comportano tutte le cose umane, perché lì ero molto stimata e molto lodata e mi si offrivano tante cose alle quali avrei ben potuto attaccarmi, se avessi guardato a me, ma colui che vede con gli occhi della verità badava a non ritirare da me la sua mano.
8. Ora che parlo di «occhi della verità», ricordo le grandi pene che soffrono le anime a cui Dio ha svelato la verità, nell’occuparsi delle cose di quaggiù, dove essa è tanto oscurata, come mi disse una volta il Signore. Infatti, molte delle cose che qui scrivo non vengono dalla mia testa, ma dettate dal mio divino Maestro; perciò, quando dico: «ho inteso così» oppure «il Signore mi ha detto», mi faccio grande scrupolo di aggiungere o di togliere anche una sola sillaba. Quando, invece, non ricordo esattamente tutto, parlo in nome mio, perché qualcosa di mio può anche darsi che ci sia. Non chiamo mio quello che v’è di buono, ben sapendo che in me non c’è nulla di buono, tranne ciò che mi ha dato il Signore senza alcun merito mio, ma quanto «è detto da me» senza che ne abbia avuto conoscenza per via di rivelazione.
9. Ma ahimè, Dio mio, quante volte vogliamo giudicare anche le cose spirituali come quelle del mondo, in base alle nostre vedute personali, che spesso ci discostano molto dalla verità! Ci sembra di dover valutare il nostro profitto in rapporto agli anni che abbiamo trascorso in qualche esercizio di orazione, pretendendo quasi di stabilire una misura per colui che senza alcuna misura dà i suoi doni quando vuole, e che può dare a uno in sei mesi più che a un altro in molti anni. Questa è una cosa che ho costatato in modo così evidente in tante persone che mi meraviglio come si possa ancora cadere in errore.
10. Sono certa, però, che non cadrà in quest’inganno chi possieda il talento di conoscere gli spiriti e a cui il Signore abbia dato una vera umiltà, perché egli giudica dagli effetti, dalle risoluzioni e dall’amore, e Dio gli infonde luce per conoscerli. In base a ciò fa stima del progresso e del profitto delle anime, non in base agli anni, poiché, ripeto, in sei mesi uno può aver progredito di più che non un altro in venti; il Signore, come ho detto, dà i suoi doni a chi vuole, e anche a chi meglio si dispone a riceverli. Ecco perché io vedo ora venire in questa casa alcune ragazze giovanissime, le quali, non appena Dio le tocca con la sua grazia, dando loro un po’ di luce e di amore, non appena, dico, le favorisce dei suoi doni, non aspettano più altro, né badano a nulla e, incuranti di quel che mangeranno, si chiudono per sempre in una casa senza rendite, come chi non fa stima della vita per amor di colui da cui sa d’essere amato. Abbandonano tutto, non vogliono più aver volontà, né pensano che una così stretta clausura potrebbe renderle infelici, ma si offrono tutte quante in sacrificio a Dio.
11. Con quanto piacere le riconosco in ciò superiori a me e come dovrei essere piena di vergogna dinanzi a Dio! Infatti, quello che Sua Maestà non è riuscito a ottenere da me in tanti anni, quanti ne son passati da quando ho cominciato a praticare l’orazione e a ricevere grazie, l’ha ottenuto da loro in tre mesi e anche, da qualcuna, in tre giorni, nonostante che le grazie ad esse concesse siano inferiori alle mie; ma pur sempre egli le ricompensa con generosità, e certamente non sono pentite di quanto hanno fatto per lui.
12. Per questo io vorrei che ricordassimo i molti anni – noi che molti ne abbiamo – di professione o, chi no sia religioso, di orazione, e non per tormentare coloro che in poco tempo ci sorpassano, facendoli tornare indietro, perché si adeguino al nostro passo e voler che chi vola come un’aquila, con le grazie che riceve da Dio, cammini come un pulcino impastoiato. Volgiamo, invece, lo sguardo a Sua Maestà e, se vedremo che quelle anime sono umili, allentiamo le briglie, perché il Signore, che fa loro tante grazie, non permetterà che precipitino in basso. Esse confidano in Dio, appoggiandosi alla conoscenza della verità della fede, e perché non dovremo fidarci di loro e vogliamo misurarle col nostro metro, in base alla bassezza dell’animo nostro? Non è così che si deve fare; se non riusciamo a conseguire i loro grandi effetti ed emularle nelle determinazioni, che senza esperienza non si possono intendere, umiliamoci e non condanniamole, altrimenti, mirando apparentemente al loro profitto, finiremo col toglierlo a noi e perderemo l’occasione che il Signore ci offre per umiliarci e conoscere quel che ci manca e quanto più di noi queste anime siano staccate dal mondo e vicine a Dio, poiché Sua Maestà si unisca a loro così intimamente.
13. Io l’intendo soltanto così e non vorrei pensarla diversamente. Un’orazione di data recente, che produce effetti straordinari, subito riconoscibili (essendo impossibile rinunziare a tutto, solo per contentare Dio, senza la forza di un grande amore), io la preferisco a quella che dura da vari anni, ma che non è mai riuscita, alla fine come al principio, a indurci a far qualcosa per Dio, tranne che non si ritengano per effetti di gran virtù e mortificazione certe inezie, piccole come granelli di sale, che non hanno peso né volume, tanto che un uccellino se le potrebbe portare via nel becco. Fa pena l’importanza che diamo a certe piccole cose che facciamo per il Signore, fossero pur molte. Eppure, io mi comporto così e dimentico ad ogni istante le grazie ricevute. Non dico che Sua Maestà, nella sua bontà, non apprezzi tali atti, ma vorrei io non tenerli in alcun conto e neppure accorgermi di farli, perché non sono nulla. Voi perdonatemi, mio Signore, e non vogliate farmene una colpa, perché, siccome non vi servo in nulla, con qualche piccola cosa mi debbo consolare. Se, invece, vi servissi in cose maggiori, non farei caso di questi nonnulla. Beate le persone che vi servono con grandi opere! Se l’invidia e il desiderare d’essere simile a loro potessero valermi a qualcosa, non resterei molto indietro alle altre nel contentarvi; ma non sono buona a nulla, mio Signore. Datemi un po’ di forza voi che tanto mi amate.
14. Uno di questi giorni, dopo l’arrivo da Roma del Breve che autorizzava il nostro monastero a vivere senza rendite e concludeva l’affare di questa fondazione, che mi pare sia costato non poche tribolazioni, mentre, assai consolata da tale conclusione, lodavo il Signore che si era compiaciuto di servirsi di me, mi accadde di cominciare a ripensare alle cose che mi erano accadute. In ognuna di quelle in cui mi sembrava d’aver fatto qualcosa di buono, trovavo una quantità di difetti e di imperfezioni, a volte per mancanza di coraggio, e spesso per poca fede, perché fino ad oggi, in cui vedo adempiuto tutto ciò che il Signore mi diceva circa l’immancabile fondazione di questa casa, non sono mai riuscita a persuadermene con certezza, sebbene, al tempo stesso, non potessi dubitarne. Non so come ciò fosse, perché molte volte, mentre da una parte la fondazione mi pareva impossibile, dall’altra mi sembrava una cosa talmente sicura da non poter credere che non si sarebbe fatta; infine, pervenuta alla conclusione che quanto c’era di buono l’aveva fatto il Signore e io il cattivo, smisi di pensarci e non vorrei più ricordarmene, per non ritrovarmi innanzi a tanti difetti. Sia benedetto colui che, quando vuole, sa ricavare il bene da tutto! Amen.
15. Dicevo, dunque, che è pericoloso calcolare gli anni passati in orazione perché, anche se si abbia umiltà, può forse restare una certa persuasione di meritare qualcosa per aver servito Dio. Non dico che non ci sia merito, e sarà ben ricompensato, ma sono certa che qualunque persona spirituale pensi di meritare i favori di Dio per i molti anni trascorsi nell’orazione, non arriverà mai alla vetta della perfezione. Non è già molto che Dio l’abbia sostenuta con la sua mano, precludendole la possibilità di arrecargli offesa, come faceva prima di praticare l’orazione? E vuole, come suol dirsi, intentargli un processo per il suo stesso denaro? Non mi sembra, questa, profonda umiltà. Può anche essere che lo sia, ma per me è vera temerarietà; io, invece, quantunque abbia poca umiltà, non credo di aver mai osato fare una cosa simile. Sarà certo perché, non avendo mai servito davvero, non ho mai chiesto nulla; se per caso l’avessi fatto, ne vorrei forse più di tutti gli altri la ricompensa da lui.
16. Non dico che un’anima non faccia progressi e che Dio non le darà una ricompensa, se l’orazione è stata umile; dico che deve dimenticare gli anni trascorsi in essa, perché tutto ciò che possiamo fare non è che uno schifo di fronte a una sola goccia di sangue sparsa dal Signore per noi. E se, quanto più lo serviamo, tanto più il nostro debito aumenta, che mai chiediamo, dunque, visto che per un maravedì in acconto del nostro debito, ci dà in cambio mille ducati? Per amor di Dio, lasciamo stare questi calcoli che spettano a lui. Se i confronti sono sempre odiosi, anche nelle cose di quaggiù, che sarà in quelle che Dio solo conosce? Sua Maestà ce lo ha dimostrato chiaramente quando pagò agli ultimi la stessa somma che ai primi.
17. Ho scritto questi tre fogli in tanti giorni e in tante volte diverse – perché ho avuto e ho poco tempo, come ho detto – da essermi dimenticata di quello che avevo cominciato a dire, cioè la seguente visione. Mentre ero in orazione, mi vidi sola, in un gran campo, attorniata da una moltitudine di gente di diversa condizione; mi sembrava che tutti avessero armi in mano per colpirmi: alcuni lance, altri spade, altri daghe e altri stocchi molto lunghi. Insomma, io non potevo fuggire da nessuna parte senza espormi a un pericolo di morte, ed ero sola, senza poter trovare alcuno che mi difendesse. Con l’anima stretta d’angoscia e non sapendo che fare, alzai gli occhi al cielo, e vidi Cristo, non nel cielo, ma librato nell’aria, ben alto su di me, che di là mi tendeva la mano e mi proteggeva, tanto che io non temevo più tutta quella gente la quale, anche volendolo, non avrebbe potuto farmi alcun male.
18. Questa visione, che potrebbe sembrare di nessuna utilità, mi fu invece di grandissimo profitto perché riuscii a capirne il significato. Poco dopo, infatti, mi vidi quasi in quella stessa situazione e capii che quella visione rappresentava il mondo, dove sembra che ogni cosa sia armata per colpire la povera anima nostra. Lasciamo da parte coloro che sono tiepidi nel servizio di Dio, gli onori, le ricchezze, i piaceri e altre cose simili da cui l’anima, senza rendersene conto, si trova irretita, o per lo meno è chiaro che tutte quante tentano d’irretirla. Io parlo di amici, parenti e, quel che più mi stupisce, di persone assai virtuose; mi vidi così assediata da ogni parte che, pur pensando tutti, certo, di fare il mio bene, io non sapevo come difendermi né a che partito appigliarmi.
19. Oh, Dio mio, se dovessi dire quanti generi e qualità di tribolazioni ebbi a soffrire in quel tempo, oltre quelle che ho già raccontato, che grande ammonimento sarebbe per disprezzare senza eccezione ogni cosa di questo mondo! Fu questa, credo, la maggiore persecuzione, fra quante ne ho sofferte. Alle volte, ripeto, mi vedevo così incalzata da ogni parte che il mio unico rimedio era quello di alzare gli occhi al cielo e d’invocare Dio. Ricordavo bene quanto avevo appreso da questa visione. E mi fu di gran profitto per non fidarmi troppo di nessuno perché, all’infuori di Dio, non c’è nessuno che sia fedele. In queste grandi tribolazioni egli, come mi aveva mostrato in quella visione, mi mandava sempre qualcuno a tendermi una mano da parte sua e, non essendo io attaccata a nulla che non fosse il desiderio di compiacere il Signore, tale aiuto bastava a sostenere quel po’ di virtù che avevo nel nutrire tale desiderio. Sia benedetto per sempre!
20. Una volta, mentre ero molto inquieta e turbata, in preda a una battaglia e a una lotta interiore che m’impedivano di raccogliermi, mentre il pensiero se ne andava dietro cose imperfette (mi sembrava di non sentire ancora quel distacco che adesso sono solita avere), vedendomi così misera, ebbi paura che le grazie ricevute dal Signore fossero illusioni; in conclusione, la mia anima era immersa nelle più fitte tenebre. Mentre ero in tale angoscia, il Signore cominciò a parlarmi e mi disse di non affliggermi, perché, vedendomi in quello stato, avrei capito quale misera cosa fossi, senza di lui, e come non ci sia alcuna sicurezza finché viviamo in questa carne mortale. Mi fece comprendere il valore della nostra lotta e dei nostri contrasti in vista del premio che ci attende e mi parve che avesse compassione di tutti noi che viviamo in questo mondo. Mi esortò a non pensare che egli mi avesse dimenticato, perché non mi avrebbe mai abbandonato, ma era necessario che facessi quanto era in me per servirlo. Questo mi disse il Signore con bontà ed amore e aggiunse altre parole, che non credo sia il caso di ripetere e che mi furono di grande gioia.
21. Sua Maestà, dimostrandomi grande amore, ecco quali parole mi dice spesso: «Ormai sei mia e io sono tuo». Quelle che io sono solita ripetergli e, a mio giudizio, le dico con sincerità, son le seguenti: «Che m’importa, Signore, di me? M’importa solo di voi». Quando ricordo che cosa sono io, le sue parole e la gioia che esse comportano mi riempiono di tale confusione che, come credo d’aver detto altre volte e come dico ora alcune volte al confessore, mi pare sia necessario più coraggio per ricevere queste grazie che per sopportare i più grandi tormenti. Allorché accade ciò, perdo quasi il ricordo delle mie azioni e non vedo che la mia miseria, senza intervento dell’intelletto; pertanto, a volte, mi sembra cosa soprannaturale.
22. Talora sono presa da una così viva ansia di comunicarmi, che non so come descriverla. Avvenne una mattina che piovesse tanto da non farmi ritenere possibile uscire di casa. Ma, una volta uscita, l’impeto di quel desiderio mi travolse a tal punto che, anche se mi avessero puntato lance al petto, non mi sarei fermata, tanto meno poteva trattenermi un po’ d’acqua! Giunta in chiesa, fui presa da un gran rapimento. Mi parve di vedere aprirsi il cielo, e non per un semplice varco, come altre volte. Mi fu mostrato il trono che ho detto alla signoria vostra di aver già visto, e sopra quello un altro, dove, per una rivelazione che non so dire, anche se non lo vidi, capii che stava la Divinità. Mi sembrava che il trono fosse sorretto da certi animali di cui credo di aver udito la descrizione, e pensai che essi fossero il simbolo degli evangelisti. Non vidi né come fosse il trono, né chi vi sedesse sopra, ma solo una moltitudine di angeli che mi parvero di una bellezza senza confronto, superiore a quella degli angeli fino allora visti in cielo. Pensai che fossero serafini o cherubini, perché la loro gloria è assai diversa da quella degli altri, e mi apparivano infiammati d’amore di Dio. La differenza, come ho detto, è grande e così grande anche il gaudio che allora sentivo in me, da non potersi descrivere né dire, né poter mai essere immaginato da chi non ne abbia fatto esperienza. Mi resi conto che lì era riunito tutto quanto di meglio si possa desiderare, pur non vedendo nulla. Mi fu detto, non so da chi, che l’unica cosa ch’io allora potessi fare era capire che non capivo nulla e considerare che tutto è niente in paragone di quel bene. Fu così che, dopo, la mia anima si vergognava al pensiero di potersi soffermare in qualsiasi cosa terrena, tanto più, poi, di legarsi ad essa, perché l’universo intero mi sembrava, ormai, un formicaio.
23. Mi comunicai, ascoltai la Messa, e non so come potei ascoltarla. Mi parve che la visione fosse durata pochissimo tempo; fu grande, quindi, la mia meraviglia quando, al battere dell’orologio, mi accorsi d’essere rimasta due ore in quel rapimento e in quella gloria. Ero, poi, stupita del fatto che, avvicinandosi questo fuoco di vero amore di Dio, che sembra venire dall’alto (infatti, per quanto lo desideri, lo cerchi e mi consumi per averlo, se non è per volere di Dio, come ho detto altre volte, non posso far nulla per ottenerne nemmeno una scintilla), par quasi che esso estingua nel vecchio uomo i difetti, la tiepidezza e le miserie e, al modo della fenice che – a quanto ho letto – rinasce diversa dalla stessa cenere dopo che il fuoco l’ha bruciata, così si trasforma l’anima in questo fuoco, uscendone con nuovi desideri e con grande forza. Non sembra più quella di prima, ma sembra che cominci con rinnovata purezza a percorrere il cammino del Signore. Mentre pregavo Sua Maestà che fosse così anche per me, e che potessi ritornare a servirlo con nuovo ardore, mi disse: «Hai fatto un bel paragone; bada di non dimenticarlo, per cercare di migliorarti sempre più».
24. Un’altra volta, mentre ero nello stesso dubbio di cui ho parlato poco fa, cioè se queste visioni provenissero o no da Dio, mi apparve il Signore il quale mi disse severamente: «Oh, figli degli uomini, fino a quando sarete duri di cuore?». Mi esortò, poi, ad esaminare bene una cosa in me: se mi ero data a lui totalmente o no; se sì, come era in effetti, dovevo tenere per certo che non avrebbe mai permesso che mi perdessi. Quella esclamazione mi aveva procurato grande sofferenza. Egli, allora, tornò a dirmi con gran tenerezza e bontà che non mi affliggessi, che ormai sapeva che da parte mia avrei affrontato qualunque cosa per il suo servizio; che avrebbe esaudito ogni mio desiderio (e fu infatti così per quello di cui allora lo supplicavo); che considerassi come in me l’amore per lui andasse sempre aumentando, per convincermi che non c’era di mezzo il demonio; che non pensassi che Dio avrebbe mai consentito al demonio di aver tanta parte nell’anima dei suoi servi da potermi dare così grande chiarezza di intelligenza e tranquillità d’animo com’era quella che avevo. Mi fece infine osservare che, dopo l’assicurazione avuta da tante e tali persone circa la divina provenienza delle mie visioni, avrei fatto male a non crederlo.
25. Un giorno, mentre recitavo il salmo Quicumque vult, riuscii a capire così chiaramente esservi un Dio solo in tre Persone, che ne rimasi assai sorpresa e consolata. Ciò mi aiutò molto a meglio conoscere la grandezza di Dio e le sue meraviglie; così, quando penso alla santissima Trinità o ne sento parlare, mi sembra di capirne qualcosa e ne sono felice.
26. Un giorno in cui ricorreva la festa dell’Assunzione della Regina degli angeli e nostra Signora, il Signore volle farmi questa grazia: in un rapimento mi fece vedere la sua ascesa al cielo, la letizia e la solennità con cui fu ricevuta e il posto che occupa. Non saprei dire come ciò sia avvenuto. Fu una gioia straordinaria per il mio spirito la vista di tanta gloria; me ne rimasero grandi effetti e progredii molto nel desiderare maggiormente di soffrire grandi pene e di servire questa Signora che tanto ha meritato.
27. Stando un giorno in un collegio della Compagnia di Gesù, mentre i fratelli di quella casa prendevano la comunione, vidi sulle loro teste un sontuoso baldacchino. Lo vidi due volte. Quando, invece, si comunicavano altre persone non lo vedevo.