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Libro delle Fondazioni - Capitoli 7, 8

Autore: Santa Teresa d'Avila

CAPITOLO 7

Come bisogna regolarsi con le persone affette da malinconia. È un capitolo necessario per le priore.

1. Le mie consorelle del monastero di San Giuseppe di Salamanca – dove mi trovo mentre scrivo queste pagine – mi hanno pregato insistentemente di dire qualcosa su come bisogna comportarsi con le persone affette da malinconia. Malgrado ogni nostra cura per non accettare fra noi quelle che ne sono colpite, questo male è così sottile da apparire morto allorché gli conviene: pertanto non riusciamo a scoprirlo fino a quando non vi è più rimedio. Mi sembra d’averne già un po’ parlato in un mio libricino, ma non ricordo bene; non sarà male, quindi, dirne qualcosa qui, se piacerà al Signore che vi riesca. Potrà ben darsi che mi ripeta – ma sarei pronta a ripetermi cento volte, se pensassi di potere, almeno una volta, riuscire a dare un consiglio utile. Sono tanti gli espedienti a cui ricorre questo umore malinconico per soddisfare i suoi capricci, che è necessario scoprirli per sapere come sopportarlo e come regolarsi affinché chi ne è colpito non sia di danno alle altre.

2. Bisogna notare che non tutte le persone con quest’umore sono ugualmente difficili, perché quando la malinconia assale quelle umili e di carattere mite, esse, pur soffrendo molto nel loro intimo, non nuocciono alle altre, specialmente se sono dotate di buon senso. Inoltre quest’umore ha gradi diversi. Certo, credo che in alcune persone il demonio se ne serva come mezzo per cercare di guadagnarsele, e se non stanno bene in guardia, ci riuscirà. Infatti, poiché l’effetto principale che produce è offuscare la ragione, una volta che essa si sia oscurata, che cosa non faranno le nostre passioni? Pare che il non aver più l’uso della ragione equivalga ad essere pazzi, ed è proprio così. Ma in quelle persone di cui ora parliamo, il male non arriva a tanto, e se pur vi arrivasse sarebbe un male minore, perché il doverle considerare esseri ragionevoli e trattarle come tali, mentre non lo sono, è una fatica intollerabile. Quando cadono totalmente in preda a questa malattia sono degne di pietà, ma non possono nuocere e, se esiste un mezzo per dominarle, è infondere loro paura.

3. In coloro nei quali questo male pernicioso è solo agli inizi, anche se non ha preso ancora troppo piede, viene pur sempre da quell’umore e da quella radice, cioè nasce dalla stessa causa. Perciò, qualora non bastassero altri espedienti, è necessario far ricorso allo stesso rimedio. Le priore si servano quindi, per le religiose che ne sono affette, delle penitenze dell’Ordine e si adoperino a dominarle in modo che capiscano di non poter riuscire né in poco né in molto a fare la propria volontà. Se, infatti, si avvedessero che, talvolta, possono essere sufficienti al proprio scopo le grida di disperazione che il demonio ispira loro per cercare di rovinarle, sarebbero perdute, e una sola basta per mettere in subbuglio un monastero. Siccome l’anima, poverina, non ha in se stessa la forza di difendersi dalle suggestioni del demonio, occorre che la priora agisca con grande avvedutezza nel guidarla, non solo dal punto di vista esteriore, ma anche da quello interiore. Quanto più, infatti, la ragione è oscurata nell’inferma, tanto più dev’essere chiara nella priora, se si vuole evitare che il demonio giunga a impadronirsi di quell’anima, servendosi della sua malattia. Il pericolo sta nel fatto che, siccome gli attacchi violenti di questo male, quelli che tolgono l’uso della ragione, avvengono ad intervalli (e allora chi ne è vittima, per quante insensatezze faccia, non sarà colpevole, come non sono colpevoli i pazzi, mentre qualche colpa esiste nei riguardi di chi si trova in questo stato e ha solo offuscata a tratti la ragione, stando bene in altri momenti), è necessario che tali persone non comincino a prendersi qualche libertà nel periodo in cui sono malate, onde evitare che negli intervalli in cui stanno bene non siano padrone di sé, il che sarebbe un terribile inganno del demonio. Se vi si fa attenzione, ciò a cui esse sono maggiormente portate è fare quello che vogliono, dire tutto quello che viene loro alla bocca, badare ai difetti degli altri per ricoprire con essi i propri, cercare il proprio piacere; infine, comportarsi come chi non ha in sé alcun freno. Con le passioni, dunque, così sbrigliate che ognuna d’esse vorrebbe averla vinta, che avverrà se non c’è chi opponga loro resistenza?

4. Torno a dire, avendo visto e trattato molte persone affette da questo male, che non c’è altro rimedio per combatterlo se non ridurle in soggezione, servendosi di tutte le vie e di tutti i modi possibili. Se non bastassero le parole, si ricorra ai castighi; se non bastassero quelli lievi, ci si valga dei pesanti; se non fosse sufficiente tenerle in carcere un mese, vi si tengano quattro: è il più gran bene che si possa fare alle loro anime. Come ho già detto e ora torno a ripetere (essendo importante per queste persone capirlo bene, anche se qualche volta non riescono a dominarsi), non trattandosi di una pazzia completa, tale da togliere la responsabilità della colpa – lo è a intervalli, non sempre – l’anima corre il gran pericolo, nel tempo in cui l’uso della ragione non è completamente offuscato, d’essere spinta a fare e dire ancora quello che faceva e diceva quando non poteva reagire. È, dunque, una grande misericordia di Dio se le persone affette da questo male si sottomettono a chi le governa, perché in ciò sta tutta la loro salvezza di fronte al pericolo di cui ho parlato. E, per amore di Dio, se una di loro leggerà quanto scrivo, badi che ne va forse della sua salvezza eterna.

5. Conosco alcune persone alle quali manca ben poco per perdere del tutto il giudizio. Ma siccome sono umili e temono di offendere Dio, anche se segretamente si stanno sciogliendo in lacrime, non fanno se non quello ch’è loro comandato e sopportano il loro male come le altre [sopportano] le proprie malattie, sebbene questo sia un martirio più grande: ne avranno pertanto maggior merito e faranno qui il loro purgatorio per non averlo nel mondo di là. Ma, ripeto, quelle che invece non si sottometteranno di buon grado, vi siano costrette dalle priore, le quali non devono lasciarsi trarre in inganno da inopportuni sentimenti di compassione, onde evitare che tutto il monastero sia messo in subbuglio dalle loro intemperanze.

6. Infatti, senza tener conto del pericolo anzidetto, riguardante la religiosa inferma, vi è un altro danno grandissimo: che le altre, vedendola in buona salute – a quanto credono –, poiché non si rendono conto del male che la tormenta interiormente, potranno figurarsi, miserabile com’è la nostra natura, di soffrire anch’esse di malinconia e di dovere, pertanto, essere sopportate. È quanto effettivamente farà loro credere lo stesso demonio, il quale così provocherà una strage a cui, allorché se ne verrà a conoscenza, sarà ben difficile porre rimedio. Ciò è tanto importante, che in nessun modo si può ammettere alcuna negligenza in merito. Se dunque la religiosa affetta da malinconia resiste agli ordini del superiore, ne paghi la pena come una sana, e non le si perdoni nulla. Se dice una parola offensiva a una consorella, lo stesso. Così per ogni altra circostanza del genere.

7. Sembra ingiusto che, se non può agire diversamente, si castighi un’inferma come una sana. Ma allora sarebbe ugualmente un’ingiustizia legare e fustigare i pazzi, e bisognerebbe lasciare che ammazzassero tutti. Mi si creda, perché è una cosa di cui ho fatto esperienza; dopo aver provato molti rimedi, non mi pare che ce ne sia un altro. E la priora la quale per pietà lasciasse che tali religiose cominciassero a prendersi qualche libertà, alla fin fine dovrà ammettere che la situazione è intollerabile; e quando vorrà porvi riparo, già le altre ne avranno ricevuto un gran danno. Se si legano e si puniscono i pazzi per impedir loro di uccidere, ed è bene far così, per quanto possano sembrare degni di una gran pietà, poiché sono incapaci di dominarsi, a maggior ragione bisogna aver cura che queste persone non danneggino le anime con le loro libertà. In verità ritengo che molte volte – come ho detto – ciò provenga da una natura intemperante, poco umile e non domata, pertanto che i loro eccessi siano da mettere più in rapporto con tali cause che con la malinconia. Dico che «per alcune» almeno, è così, perché ho visto che, in presenza di una persona per cui provano timore, hanno la capacità di dominarsi. Allora, perché non ci riusciranno a causa di Dio? Temo che il demonio, sotto il pretesto di quest’umore – come ho detto – cerchi di guadagnarsi molte anime.

8. Oggi, in realtà, questo male è più che mai diffuso, tanto più che con il nome di malinconia si fa passare ogni espressione della propria volontà e di una malintesa libertà. Ritengo pertanto che nei nostri monasteri e in tutte le case religiose non si dovrebbe mai pronunciare la parola malinconia, che sembra avere implicita l’idea di libertà, ma darle il nome di grave malattia – e quanto grave! – e curarla come tale. Di tanto in tanto, infatti, è indispensabile somministrare qualche medicina che lenisca l’umore, per renderlo più sopportabile. L’ammalata sia tenuta in infermeria e sappia che quando ne uscirà per ritornare in comunità dev’essere umile come le altre, obbedire come le altre, e se non lo farà, il pretesto dell’umore non le gioverà a nulla. È opportuno che sia così per le ragioni già dette, alle quali se ne potrebbero aggiungere altre. È necessario che le priore, senza che esse se ne accorgano, usino verso di loro una grande pietà, comportandosi come vere madri e cerchino tutti i mezzi possibili per guarirle.

9. Sembra che mi contraddica, perché finora ho sostenuto che vanno trattate con rigore. Pertanto, torno a ripetere che esse devono sapere di non poter spuntarla con i loro capricci, né si sopporterà che lo facciano, una volta stabilito che hanno l’obbligo di obbedire, giacché il loro danno consiste nel sentirsi libere. La priora può peraltro non ricorrere ad ordini con quelle che prevede che opporranno resistenza, non avendo in sé la forza di dominarsi. Dovrà allora guidarle, finché sarà necessario, con accortezza e con affetto, cercando, se sarà possibile, d’indurle a sottomettersi per amore. Ciò avverrà facilmente e non è raro che avvenga quando si fa veder loro di amarle molto, convincendole di ciò con opere e con parole. Tengano presente che il miglior rimedio di cui dispongono è di occuparle molto in mansioni domestiche, affinché non abbiano l’opportunità di fantasticare, che è ciò in cui consiste tutto il loro male. Se anche non le disimpegneranno troppo bene, sopportino in esse qualche mancanza di questo genere, per non doverne sopportare di peggiori, se perdessero il senno. Questo è, a mio giudizio, il rimedio più efficace che si possa usare con loro, procurando, insieme, che non stiano molto tempo in orazione, anche se si tratta di orazione ordinaria, perché avendo in generale, tali persone, debolezza d’immaginazione, una lunga orazione potrebbe risultare per loro assai nociva. Senza queste precauzioni avranno capricci improvvisi, inesplicabili tanto per loro quanto per chi ne verrà a conoscenza. Si vigili perché non mangino pese, se non raramente; anche i digiuni bisogna che non siano così frequenti come per le altre.

10. Sembra un’esagerazione dare tanti suggerimenti per questo male e non per alcun altro, pur avendone di così gravi nella nostra misera vita, specialmente noi donne, deboli come siamo. Lo faccio per due motivi: il primo, perché tali persone hanno l’apparenza d’essere sane e non vogliono riconoscere d’avere qualche malattia. Siccome è uno stato, il loro, che non le obbliga a rimanere a letto, perché non hanno febbre, né a chiamare il medico, è necessario che faccia da medico la priora, essendo un male di maggior pregiudizio per tutto l’insieme della perfezione, di quanto non lo sia una malattia che costringe a stare a letto, in pericolo di vita. Il secondo è che di altre malattie, o si guarisce, o si muore; di questa è ben raro che si guarisca, e neanche si muore, ma si viene a perdere del tutto il senno, cioè a morire d’una morte che uccide tutta una comunità. D’altra parte, è nel loro intimo dove tali persone soffrono una morte ben crudele e certo assai meritoria a causa delle afflizioni, delle immaginazioni e degli scrupoli, che scambiano sempre per tentazioni. Se capissero una buona volta che è un effetto del loro male, e non ne facessero alcun caso, si sentirebbero assai sollevate. Certamente io ne ho una gran pietà: ed è giusto che l’abbiano ugualmente tutte le consorelle, considerando che il Signore potrebbe inviare anche a loro la stessa infermità, e che cerchino di sopportarle, senza che esse se ne accorgano, come ho detto. Piaccia al Signore che sia riuscita a suggerire ciò che è opportuno fare riguardo a una così grave malattia!

CAPITOLO 8

Offre alcuni consigli circa le rivelazioni e le visioni.

1. Sembra che ad alcune persone faccia spavento anche solo udire il nome di visioni o di rivelazioni. Non capisco la causa per cui ritengono pericoloso questo cammino attraverso il quale Dio conduce le anime, né da dove proceda siffatta paura. Non voglio ora dire quali siano le vere visioni e rivelazioni e quali le false, né indicare i segni di cui sono stata informata da persone assai dotte per riconoscerle, ma solo esporre come debba regolarsi un’anima che si vedrà in tale circostanza, perché tra i confessori ai quali si rivolgerà saranno ben pochi quella che non la lasceranno in preda alla paura. Certo, farà loro molto meno impressione sentirsi dire che il demonio presenta all’anima vari generi di tentazioni con suggestioni di spirito blasfemo, intemperanze e disonestà, di quanto non li scandalizzerà sentirsi dire che le apparso o le ha parlato un angelo, o che le si è mostrato Gesù Cristo, nostro Signore.

2. Non voglio neanche parlare, ora, di quando le rivelazioni vengono da Dio (essendo orami chiaro per il grande bene che apportano all’anima), ma di quando si tratta d’immagini che il demonio suscita per ingannarci, servendosi della figura di Cristo, nostro Signore, o dei suoi santi. A questo riguardo sono convinta che Sua Maestà non gli darà il permesso né il potere d’ingannare nessuno con tali immagini, tranne che non sia per colpa della stessa anima; sarà invece lui a restare ingannato. Perciò, non c’è ragione di spaventarsi, ma bisogna confidare nel Signore e far poco conto di queste cose, se non è per lodarlo maggiormente.

3. So di una persona, gettata, a causa dei confessori, in preda a viva angoscia per simili cose, che poi, come fu dato d’intendere dai grandi effetti e dalle buone opere che ne seguirono, provenivano da Dio. E pensare che quando le appariva la sua immagine in qualche visione, doveva farsi segni di croce a non finire e ripetere un gesto volgare perché tale era l’ordine da lei ricevuto. In seguito, parlandone con un grande teologo, il maestro domenicano fra Domingo Báñez, questi le disse che ciò era mal fatto e che nessuno doveva agire così, perché ovunque si veda l’immagine di nostro Signore, bisogna riverirla, quand’anche l’abbia dipinta il demonio. Diceva, infatti, che questi è un gran pittore e quando ci dipinge un Cristo in croce o un’altra immagine così al vivo da lasciarla impressa nel nostro cuore, anziché farci del male ci fa del bene. Questa argomentazione mi piacque molto; infatti, di fronte a un’immagine di grande bellezza, anche se sapessimo che è opera di un uomo malvagio, non lasceremmo di ammirarla né faremmo caso del pittore per abbandonare la devozione. Il bene o il male, di conseguenza, non sta nella visione, ma in colui che la vede e che, per mancanza di umiltà, non se ne giova. Se questa c’è, la visione, pur essendo opera del demonio, non può fare alcun male; se invece manca, pur venendo da Dio, non sarà di alcun profitto. Quando, infatti, ciò che deve servire a rendere umile l’anima nella consapevolezza di non meritare quella grazia la fa, invece, insuperbire, le avverrà come al ragno che cambia in veleno tutto quello che mangia, e non come all’ape che lo converte in miele.

4. Voglio spiegarmi meglio: se nostro Signore, nella sua bontà, vuole mostrarsi a un’anima per essere meglio conosciuto e più amato, o per svelarle qualche suo segreto, o concederle particolari favori e grazie, ed essa – come ho detto – a causa di ciò, mentre dovrebbe sentirsi confusa e riconoscere quanto ne sia indegna la sua pochezza, si ritiene subito santa, persuasa che questa grazia è la ricompensa di qualche servizio da lei reso a Dio, è evidente che, come il ragno, cambia in male il gran bene che poteva trarne. Ora, invece, supponiamo che il demonio, per incitare alla superbia, sia lui l’autore di queste apparizioni: se allora l’anima, credendo che vengano da Dio, si umilia, riconosce di non meritare una grazia così eccelsa e si sforza di servirlo meglio; se, vedendosi ricca e non sentendosi degna neppure di mangiare le briciole che cadono dalla tavola delle altre che ha saputo favorite da Dio della stessa grazia, cioè sentendosi indegna d’essere serva di chiunque fra esse, si umilia e comincia a fare penitenza e a dedicarsi di più all’orazione, ad avere maggior cura di non offendere il Signore, al quale crede di dovere tali grazie, e ad obbedire con più perfezione, io affermo con sicurezza che il demonio, lungi dal tornare, se ne andrà via confuso, senza lasciare nessun nocivo effetto nell’anima.

5. Quando nelle visioni si riceve l’ordine di fare qualcosa, o l’annunzio di avvenimenti futuri, bisogna parlarne con un confessore prudente e dotto, e non fare né credere nulla all’infuori di quanto dirà lui. Una religiosa può renderne partecipe la priora, perché le dia un confessore che abbia le suddette qualità. Ma si tenga presente che se ella non obbedirà agli ordini del confessore e non si lascerà guidare da lui, o si tratta dello spirito maligno, o di una terribile malinconia. Posto infatti che il confessore non vedesse giusto, non s’ingannerà lei nell’obbedirgli, fosse anche a parlarle un angelo del cielo, perché Sua Maestà illuminerà il confessore o disporrà le cose come conviene. Così facendo non c’è alcun pericolo, mentre a fare il contrario i pericoli possono essere molti, con altrettanti danni.

6. Ricordiamoci che la debolezza umana è grandissima, specialmente nelle donne, e che si manifesta di più in questo cammino di orazione. Pertanto, per ogni piccola cosa che si presenti all’immaginazione, non dobbiamo pensare subito che si tratti di visione, perché quando lo è, credetemi, lo si riconosce molto bene. Molto maggiore attenzione bisogna avere nel caso che vi sia di mezzo un po’ di malinconia, perché riguardo a queste illusioni mi è giunta notizia di cose che mi hanno sbalordita: non capisco come si possa credere così fermamente di vedere ciò che non si vede.

7. Una volta venne da me un confessore oltremodo stupito, perché una sua penitente gli asseriva che la Madonna andava spesso a visitarla, si sedeva sul suo letto e si tratteneva a parlare per più di un’ora, dicendole cose che dovevano avvenire e molte altre. Siccome fra tante insensatezze qualcosa si rivelava vera, tutto il resto era ritenuto certo. Io capii subito di che si trattava, anche se non osai dirlo, perché viviamo in un mondo dove è necessario riflettere a quello che si può pensare di noi, se vogliamo che le nostre parole abbiano il loro effetto. Gli dissi pertanto che bisognava aspettare l’adempimento di quelle profezie, interrogarla circa altri effetti di queste visioni e informarsi della vita di tale persona. Infine, alla luce dei fatti, risultò che erano tutte insensatezze.

8. Potrei citare tanti di questi esempi, che servirebbero assai bene a provare l’opportunità del mio discorso: cioè che un’anima non deve credere subito a ciò che sente, ma prendere tempo e cercare di conoscersi bene prima di parlarne, onde evitare di trarre in inganno, senza volerlo, il confessore. Infatti, per dotto che sia questi, se non ha esperienza di tali cose, ciò non sarà sufficiente a fargli riconoscere di che si tratta. Non sono passati molti anni, anzi ben poco tempo, da quando un uomo mise in gran subbuglio alcune persone assai dotte e molto spirituali con simili fantasticherie, fino a che venne a trattarne con una che aveva esperienza di favori divini, la quale vide chiaramente ch’era tutto pazzia e illusione, anche se ciò allora, lungi dall’essere evidente, era molto oscuro. Di lì a poco il Signore mise tutto in chiaro, ma quella persona che aveva visto giusto ebbe prima molto a soffrire per il fatto di non essere creduta.

9. Da questi e altri esempi analoghi si vede quanto convenga che ogni consorella sia molto sincera nel parlare della sua orazione alla priora. Da parte sua questa si adoperi con molta cura a esaminare la complessione e il grado di perfezione della religiosa per informarne il confessore, affinché si renda meglio conto delle cose, e lo scelga adatto al caso, se quello ordinario non fosse idoneo a tale compito. Si ponga molta attenzione a non far parola di nulla con estranei, anche se sono favori indubbiamente divini e grazie chiaramente miracolose, nemmeno con quei confessori che non hanno la prudenza di tacere. Questo è molto importante, più di quanto si possa credere; non se ne parli, inoltre, neanche fra le religiose. La priora si faccia prudentemente vedere più incline a lodare le anime che si distinguono in umiltà, mortificazione e ubbidienza, che non quelle condotte da Dio per tale cammino di orazione del tutto soprannaturale, quand’anche abbiano le stesse virtù. Esse non ne riporteranno alcun danno perché, se ad agire è lo spirito del Signore, trae con sé l’umiltà che fa godere di essere disprezzati, e le altre ne riceveranno un grande vantaggio in quanto, non potendo arrivare a quei doni che Dio concede a chi vuole, correrebbero il rischio di scoraggiarsi circa l’acquisto delle altre virtù. È vero che anche queste sono un dono di Dio, ma ci si può adoperare di più per ottenerle e sono di gran pregio per lo stato religioso. Sua Maestà voglia concedercele! Egli certo non le negherà a nessuna di noi che, confidando nella sua misericordia, si adoperi ad acquistarle con l’esercizio, la vigilanza, l’orazione.