20 minuti

Libro delle Fondazioni - Capitolo 31 - Parte 1

Autore: Santa Teresa d'Avila

CAPITOLO 31

Questo capitolo tratta della fondazione del monastero dedicato al glorioso San Giuseppe di Sant’Anna nella città di Burgos. Vi si celebrò la prima Messa il 19 aprile nell’ottava di Pasqua del 1582.

1. Da più di sei anni alcuni padri della Compagnia di Gesù, religiosi esemplari, anziani, di gran dottrina e spiritualità, mi dicevano che si sarebbe reso un gran servizio a nostro Signore con la fondazione a Burgos di un monastero di questa santa Riforma, adducendomene varie ragioni che mi invogliavano a farlo. Ma, per tutti i contrasti scatenatisi contro l’Ordine e le altre fondazioni, mi era stato impossibile occuparmene.

2. L’anno 1580, mentre ero a Valladolid, passò da lì l’arcivescovo di Burgos, di recente nomina in questa città e prima vescovo delle Canarie, in viaggio per la nuova sede. Supplicai il vescovo di Palencia, don Alvaro de Mendoza, di chiedergli l’autorizzazione per la nuova fondazione di Burgos. Ho già detto quanto egli appoggi il nostro Ordine: è stato il primo ad accettare il monastero di San Giuseppe di Avila, quando era lì vescovo. Da allora ci ha sempre favorito molto, prendendo a cuore le cose del nostro Ordine come fossero sue proprie. Rispose quindi che molto volentieri gliel’avrebbe chiesta, perché, sembrandogli che in queste case nostro Signore sia ben servito, ha molto piacere di vederne fondare di nuove.

3. L’arcivescovo non volle entrare in Valladolid: prese alloggio nel convento dei Girolamini, dove il vescovo di Palencia lo accolse con gran festa, pranzò con lui e gli diede una cintura o adempì non so quale cerimonia con cui era creato vescovo. In tale circostanza gli chiese l’autorizzazione per me di fondare il monastero. Egli rispose che l’avrebbe data assai volentieri: già nelle Canarie aveva desiderato e cercato di avere uno di questi monasteri, sapendo come nostro Signore vi fosse servito, perché nella sua città natale ve n’era uno, e mi conosceva bene. Il vescovo mi disse quindi che potevo essere sicura dell’autorizzazione, visto che l’arcivescovo si era molto rallegrato di questo progetto, e siccome il Concilio non parla di permesso scritto, ma solo di gradimento da parte dell’Ordinario, si poteva ritenere come già data.

4. A proposito della fondazione di Palencia, trattata precedentemente, ho detto quanto fossi restia allora dal farne di nuove, per aver avuto una grave malattia giudicata mortale e dalla quale non mi ero ancora ristabilita. Siccome però l’abbattimento fisico non suole farmi venir meno a ciò che reputo servizio di Dio, non mi spiego la causa della grande svogliatezza che si era impadronita di me. Se si volesse attribuirla alle scarse possibilità di riuscita, meno ancora ne avevo avute in altre fondazioni. Credo, dopo aver visto lo svolgimento degli avvenimenti, che fosse opera del demonio. In via ordinaria, quando una fondazione deve costarmi particolare fatica, nostro Signore, conoscendo la mia grande miseria, mi aiuta sempre con parole e con opere, mentre ho notato che in quelle esenti da difficoltà, Sua Maestà non mi dà alcun avvertimento. Così è stato in questa circostanza: conoscendo le sofferenze a cui si andava incontro, cominciò subito a farmi coraggio. Sia lodato per tutto quello che fa! Come ho già detto infatti, nella fondazione di Palencia per la quale si svolgevano trattative come per questa, a mo’ di rimprovero mi chiese di che cosa temessi e quando mai mi avesse abbandonato. Sono sempre lo stesso – egli disse –; non lasciar di fare queste due fondazioni. Poiché ho già parlato precedentemente del coraggio che ricevetti da queste parole, non c’è motivo di ripeterlo qui. Tutta la mia svogliatezza sparì all’istante, segno evidente che non ne era causa la malattia né la vecchiaia. Così, come si è detto, cominciai a trattare di entrambe le fondazioni.

5. Mi parve meglio cominciare da quella di Palencia, sia per la maggior vicinanza di questa città, sia per l’inclemenza della stagione e il gran freddo di Burgos, sia, ancora, per far piacere all’ottimo vescovo di Palencia. E così si fece, come già riferito. Ho detto anche che, mentre ero là, mi fu proposta la fondazione di Soria e, poiché a Palencia si era fatto tutto, ritenni opportuno andarvi subito, per recarmi poi da lì a Burgos. Il vescovo di Palencia giudicò conveniente informare di tutto l’arcivescovo e io lo supplicai d’interessarsene. Così egli, dopo la mia partenza per Soria, gli mandò espressamente da lì, a questo solo fine, un canonico di nome Juan Alonso. L’arcivescovo mi scrisse molto affettuosamente, dicendomi quanto desiderava vedermi arrivare, trattò della cosa con il canonico e scrisse a sua signoria rimettendosi a lui; se faceva qualche osservazione, era perché conosceva Burgos e sapeva come, per il nostro ingresso, fosse necessario il consenso della città.

6. Insomma, la conclusione era che io mi recassi sul posto e ne trattassi con la città; se questa mi negava il permesso, non gli avrebbe però potuto togliere la facoltà di concedermi il suo. Ma, essendosi trovato ad Avila al tempo della fondazione del primo monastero e ricordandosi del grande turbamento e dei forti contrasti che erano insorti, voleva qui prevenirli. Occorreva perciò che il monastero si fondasse con rendite o con il consenso della città. Non era conveniente per me agire diversamente, e per questo me lo diceva.

7. Il vescovo la ritenne cosa fatta, e a ragione, visto che l’arcivescovo mi chiamava a Burgos. Perciò, mi mandò a dire di andarvi, ma a me parve di notare nell’arcivescovo una certa mancanza di coraggio. Gli scrissi per ringraziarlo dell’aiuto di cui mi favoriva, dicendogli però al tempo stesso che, a mio giudizio, sarebbe stato peggio procedere alla fondazione dopo il rifiuto della città, che farla senza prevenirla, se si voleva evitare di esporre sua signoria a più seri contrasti (sembrava che prevedessi il poco aiuto che avrei trovato in lui, se fosse sorto qualche ostacolo); aggiungevo che avrei fatto i passi necessari, ma che la cosa mi sembrava difficile, perché in tali circostanze c’è sempre diversità di opinioni. Scrissi anche al vescovo di Palencia, pregandolo di concedermi una proroga, in considerazione del fatto che l’estate volgeva al termine e che le mie infermità erano troppe per affrontare il soggiorno in una città così fredda come Burgos. Non affacciai alcun dubbio sull’arcivescovo, perché egli era già spiacente di vedere che, dopo essersi dimostrato così ben disposto, sollevasse tante difficoltà e, sapendoli amici, non volevo suscitare alcuna discordia fra loro. Lasciai dunque Soria per recarmi ad Avila ben lontana, per il momento, dall’idea di ripartirne assai presto. Il mio ritorno al monastero di San Giuseppe di Avila era urgente per varie ragioni.

8. C’era nella città di Burgos una santa vedova di nome Catalina de Tolosa, nativa della Biscaglia. Se volessi dirne le virtù, così per quanto riguarda la penitenza, come per quanto riguarda l’orazione, le grandi elemosine, la carità, il grande ingegno e il coraggio, mi dilungherei troppo. Da quattro anni, mi pare, aveva fatto entrare due sue figlie nel nostro monastero della Concezione a Valladolid; altre due ne fece entrare in quello di Palencia, di cui aveva atteso la fondazione, conducendovele prima che io ne partissi.

9. Tutt’e quattro hanno avuto la riuscita che meritava l’essere figlie di tale madre: sembrano infatti proprio angeli: Catalina diede loro una buona dote e fece ogni cosa in modo perfetto, data l’estrema sua compitezza: adempie a tutto con grande precisione, e può farlo, perché ricca. Quando venne a Palencia, eravamo così certe dell’autorizzazione dell’arcivescovo, che non sembrava dovesse sorgere alcun intoppo. La pregai quindi di cercarmi una casa in affitto, per prenderne possesso, e di farvi mettere a mie spese grate e ruota. Non mi passava neanche per la mente che dovesse spendere del suo, ma solo anticiparmi il denaro che poi le avrei rimborsato. Ella ne aveva così vivo desiderio, che soffrì moltissimo della dilazione di quest’opera. Così, mentre avevo fatto ritorno, come ho detto, ad Avila, lontana dal pensare di occuparmi per il momento di quella faccenda, ella non rimase in ozio; anzi, ritenendo che tutto dipendesse dall’avere il consenso della città, senza dirmi nulla, cominciò a darsi da fare per averlo.

10. Aveva come vicine di casa due persone di nobili natali e gran serve di Dio, madre e figlia, che desideravano molto la fondazione. La madre si chiamava donna María Manrique, e aveva un figlio consigliere comunale di nome don Alonso de Santo Domingo Manrique; la figlia si chiamava donna Catalina. Entrambe trattarono della cosa con don Alonso, pregandolo di far richiesta del consenso alla municipalità. Egli parlò con Catalina de Tolosa, chiedendole quali garanzie potesse offrire da parte nostra, perché senza alcun impegno formale non c’era da aspettarsi un consenso. Gli rispose che ella si sarebbe assunto l’obbligo di darci una casa, se ne fossimo state prive, e di provvedere al nostro mantenimento, come effettivamente fece. Stese poi un’istanza che firmò col suo nome. Don Alonso si adoperò con tanta abilità a questo scopo che ottenne il consenso di tutti i consiglieri e portò egli stesso l’autorizzazione scritta all’arcivescovo, il quale assentì. Subito dopo l’inizio delle trattative Catalina mi scrisse che stava negoziando quest’affare. Ma io non presi la cosa sul serio, sapendo quanto sia difficile l’accettazione dei monasteri poveri. E, poiché ignoravo né mi passava lontanamente per la mente che ella si fosse assunta l’impegno di fare quel che realmente fece, mi sembrava che ci fosse bisogno di ben altro.

11. Ciò nonostante, un giorno dell’ottava di san Martino, mentre raccomandavo questa faccenda al Signore, mi chiesi cosa si poteva fare se la città avesse dato il suo consenso. Che andassi a Burgos con quel freddo e tutti quei malanni a cui il freddo è assai nocivo, mi sembrava impossibile; era anche una temerità, a mio giudizio, affrontare un così lungo viaggio, appena arrivata da quello tanto faticoso – come ho detto – di ritorno da Soria, né il padre provinciale me l’avrebbe permesso. Reputavo che poteva ben andarci la priora di Palencia perché, essendo tutto liscio, non c’era ormai molto da fare. Mentre facevo queste considerazioni ed ero fermamente decisa a non partire, mi sentii dire dal Signore le seguenti parole dalle quali capii che il consenso era ormai dato: Non badare al freddo, perché io sono il vero calore. Il demonio impiega tutte le sue forze per impedire quella fondazione: impiega tu le tue, da parte mia, per farla. Recati lì di persona, perché la tua presenza sarà molto utile.

12. Questo mi fece subito cambiare parere; infatti, anche se talvolta la mia natura è riluttante ad affrontare la sofferenza, non così la mia volontà, decisa a sopportare qualunque patimento per amore di un Dio così grande. Perciò gli dico di non badare a tali miei sentimenti di debolezza e di ordinarmi tutto quello che gli piace, giacché, con il suo aiuto, non mancherò di obbedirgli. In quel periodo nevicava e faceva freddo. Ma ciò che più mi rende vile è la mia poca salute: se l’avessi buona, credo che tutto mi sembrerebbe nulla. il cattivo stato della mia salute mi ha accompagnato per quasi tutto il tempo di questa fondazione. Il freddo è stato così lieve, almeno quello che ho sentito io che, a dire il vero, non ne ho sofferto più di quando stavo a Toledo: il Signore ha adempiuto perfettamente la parola data a questo riguardo.

13. Pochi giorni dopo mi portarono l’autorizzazione della città con lettere di Catalina de Tolosa e della sua amica donna Catalina in cui mi mettevano fretta, perché temevano il sorgere di qualche contrarietà; infatti i Vittoriani avevano fondato in quel momento un convento; già da tempo, inoltre, i carmelitani calzati cercavano di fare altrettanto; infine erano venuti i basiliani. Ciò costituiva per noi una seria difficoltà. C’era da restare stupiti del fatto che ci fossimo trovati in tanti – contemporaneamente – a prendere la stessa iniziativa. C’era anche da lodare nostro Signore per la grande carità di Burgos nell’accordare molto volentieri a tutti l’autorizzazione, benché non godesse della prosperità di un tempo. Io avevo sempre sentito lodare la carità dei suoi abitanti, ma non pensavo che arrivasse a tanto. Gli uni favorivano un Ordine, gli altri un altro; l’arcivescovo però, preoccupato di eventuali inconvenienti, cercava d’impedire queste fondazioni nel timore che fossero di pregiudizio agli Ordini mendicanti ai quali, poi, poteva riuscire difficile mantenersi. Forse erano questi stessi a ricorrere a lui, o si trattava di espedienti del demonio, per impedire il gran bene che Dio riversa su quei luoghi dove stabilisce molti monasteri, essendo così potente da mantenerli tutti, siano pochi o molti.

14. Per questo motivo, dunque, le due sante donne mi facevano tanta premura che io, seguendo il mio impulso, sarei partita immediatamente, se non avessi avuto da sbrigare alcuni affari. Pensavo infatti, vedendole tanto impegnate in questa faccenda, quanto più di loro io fossi obbligata a non far sfuggire un’occasione così favorevole. Le parole che avevo udite lasciavano intendere gravi difficoltà. Io non potevo sapere da chi né da che parte dovessero sorgere: Catalina de Tolosa mi aveva scritto di aver già sicura la casa – che era quella abitata da lei – per la presa di possesso; la città non presentava ostacoli, l’arcivescovo nemmeno. Non riuscivo a capire da chi dovevano venirmi contrasti per opera del demonio, perché non potevo certo dubitare che le parole rivoltemi a questo riguardo non venissero da Dio.

15. Infine, Sua Maestà dà certo più luce ai superiori che agli altri. Quando, in seguito alle parole che avevo udito, scrissi al padre provinciale per sapere se dovevo intraprendere questo viaggio, egli non vi si oppose, ma mi chiese se avessi l’autorizzazione scritta del vescovo. Inviai lettere a Burgos per informarmene. Mi risposero che egli era stato messo al corrente delle trattative intercorse per avere il consenso della città e che ne era rimasto soddisfatto. Questo, insieme a tutto quanto aveva sempre detto nei riguardi di tale fondazione, permetteva di non avere motivi di dubbio.

16. Il padre provinciale volle accompagnarci nel viaggio per questa fondazione, sia perché era più libero da occupazioni, avendo finito di predicare l’avvento, sia perché voleva visitare il monastero di Soria che non aveva rivisto da quando era stato fondato, tanto più che la deviazione era di poco conto. Oltre a ciò, giudicando la mia vita ancora di qualche utilità, si proponeva in quel viaggio di aver cura della mia salute, essendo il tempo assai inclemente e io molto vecchia e malata. Fu senza dubbio una disposizione di Dio, perché le strade erano così cattive, a causa della caduta di piogge torrenziali, che egli e i suoi compagni ci furono ben necessari per sapere dove passare ed averne aiuto a tirar fuori i carri dai pantani, specialmente da Palencia a Burgos: era stata, certo, una grande imprudenza mettersi in viaggio in quel momento. È vero però che il Signore mi aveva detto di non esitare a procedere in esso, esortandomi a non temere, perché egli sarebbe stato con noi. Anche se allora non feci parola di questo al provinciale, mi era di gran consolazione pensarci nelle grandi difficoltà e nei gravi pericoli in cui ci venimmo a trovare, specialmente in un tratto presso Burgos che chiamano ipontones. La pioggia era caduta in grande quantità e l’acqua del fiume in molti punti raggiungeva tale altezza da superare il livello dei ponti, che non si vedevano più, né si sapeva dove passare; dappertutto acqua, e anche molto profonda, da una parte e dall’altra. In conclusione, era una gran temerità tentare quel passaggio, specialmente con carri di cui bastava il minimo scarto perché tutto andasse perduto. Uno di essi, infatti, corse serio pericolo di affondare.

17. In una locanda incontrata poco prima avevamo preso una guida che conosceva quel passaggio; ma, comunque, questo è assai pericoloso. Alloggiare in qualche posto era, poi, un problema. Non si poteva, infatti, avanzare a tappe regolari con tali pessime strade. Quasi di continuo i carri affondavano tanto nel fango che, per tirarli fuori, bisognava staccare le bestie dall’uno e attaccarle all’altro. I padri che ci accompagnavano dovettero sobbarcarsi a una grande fatica, essendoci capitati carrettieri giovani e poco attenti. La presenza del padre provinciale ci era di grande sollievo, perché aveva cura di tutto. È di un carattere così tranquillo che non sembra turbarsi di nulla. Rendeva facili le cose più difficili, anche se non fu così al passaggio dei pontones, ove non potette evitare di temere molto. Effettivamente, vedersi in mezzo a quell’enorme quantità d’acqua, senza strada né imbarcazione, nonostante tutto l’incoraggiamento che nostro Signore mi aveva dato, fece temere anche me. Quale sarà stata, dunque, la paura delle mie compagne? Eravamo otto: due dovevano ripartire con me, cinque restare a Burgos: quattro religiose coriste e una conversa. Credo di non aver detto ancora come si chiami il padre provinciale. È fra Girolamo Graziano della Madre di Dio, di cui ho già fatto menzione altre volte. Soffrivo di un acuto mal di gola che mi ero presa durante il viaggio per Valladolid e continuavo ad avere la febbre. Mangiare mi faceva sentire gran dolore. Tali sofferenze m’impedirono di godere, come avrei voluto, delle peripezie del viaggio. Questo male mi dura tuttora che siamo alla fine di giugno; benché sia meno violento, mi dà sempre molta sofferenza. Tutte le mie compagne continuarono il viaggio allegramente: passato il pericolo, provavano gusto a parlarne. È gran cosa soffrire per obbedienza, allorché si è in essa tanto radicati quanto queste religiose!

18. Dopo un viaggio così cattivo, arrivammo a Burgos attraverso il gran fiume che s’incontra prima d’entrarvi. Il padre volle che ci recassimo anzitutto a visitare il santo Crocifisso per raccomandargli la faccenda e per attendere lì la notte, essendo arrivate presto. Era di venerdì, il giorno seguente alla Conversione di san Paolo, 26 gennaio. Il nostro fermo proposito consisteva nel realizzare subito la fondazione. Avevo con me molte lettere del canonico Salinas (del quale ho già parlato nella fondazione di Palencia e che qui non ebbe meno da fare, essendo nato nel luogo e da ragguardevole famiglia) dirette a sollecitare vivamente da parenti e amici il loro appoggio per la nostra causa.

19. Essi non mancarono di farlo; subito, fin dall’indomani, vennero tutti a trovarmi, e in commissione, per dirmi che non erano pentiti di quanto avevano promesso e che si rallegravano molto del mio arrivo: vedessi io in che cosa potevano servirmi. Siccome, se avevamo qualche timore, era proprio da parte della città, ci sembrò appianato ogni ostacolo. Senza il diluvio di pioggia sotto il quale giungemmo alla casa della buona Catalina de Tolosa, avremmo provveduto a informare il vescovo del nostro arrivo, prima che lo sapesse da chiunque altro, affinché si potesse celebrare subito la prima Messa, come faccio nella maggior parte delle fondazioni, ma dovemmo rinunciarvi per la ragione anzidetta.

20. Quella notte riposammo assai bene, per tutte le comodità offerteci da questa santa donna. La sua sollecitudine però mi costò cara; c’era un gran fuoco acceso per asciugare l’acqua e, benché fosse in un camino, mi fece così male che il giorno dopo non potevo alzare la testa, tanto che parlavo sdraiata a quelli che venivano a vedermi, attraverso una finestra con la grata, coperta da un velo. Ciò fu per me assai increscioso, perché quel giorno bisognava a ogni costo trattare i nostri affari.

21. Fin dalla mattina il padre provinciale andò a chiedere la benedizione dell’illustrissimo: era tutto quello che, a quanto credevamo, ci restasse da fare. Lo trovò così alterato e sdegnato perché ero venuta senza il suo permesso come se non me lo avesse mai dato né mai si fosse avviata quella fondazione. Le sue parole al padre provinciale furono pertanto di estrema irritazione a mio riguardo. Pur avendo ammesso di avermi ordinato di venire, disse che io sola dovevo trattare della cosa, ma venire con tante monache!… Dio ci liberi dalla contrarietà che ne aveva! Serviva a poco dirgli che già, com’egli aveva voluto, l’affare era concluso con la città, che non si doveva dar corso ad altre trattative, ma solo fondare il monastero, e che il vescovo di Palencia, al quale avevo chiesto se potevo partire senza farlo sapere a sua signoria, mi aveva risposto che non c’era motivo di preavvertirlo, visto che ne aveva già espresso il desiderio. Tutto si svolse esattamente così, perché Dio voleva la fondazione del monastero, come lo stesso arcivescovo ora riconosce. Se infatti gli avessimo fatto sapere candidamente del nostro arrivo, ci avrebbe detto di non venire. Congedò il padre provinciale dicendogli che se non avevamo rendite e casa propria, non ci avrebbe dato in nessun modo l’autorizzazione e che potevamo ben tornarcene subito indietro. Con quelle strade così buone e con quel tempo così bello!

22. Oh, com’è vero, mio Signore, che, non appena vi si rende un servizio, voi lo ripagate con una gran tribolazione! E che ricompensa preziosa sarebbe questa per coloro che vi amano davvero, se ne comprendessero subito il valore! Ma noi allora non avremmo voluto questo guadagno, perché sembrava rendere impossibile ogni nostro piano. L’arcivescovo esigeva di più: che quanto era destinato a servire per la rendita e l’acquisto della casa non doveva essere preso dalla dote delle religiose. Essendo tale condizione inammissibile nei tempi attuali, appariva chiaro che non c’era via d’uscita: non a me, però, sicurissima com’ero sempre che tutto sarebbe tornato a nostro profitto, che erano intralci del demonio per impedire la fondazione e che Dio sarebbe riuscito a farne effettuare l’esecuzione. Il padre provinciale ritornò tutto allegro con queste notizie, non rimanendone, per il momento, affatto turbato. Fu una provvidenza di Dio affinché non s’irritasse con me per non essermi procurata l’autorizzazione scritta, com’egli mi aveva detto.

23. Ho già detto prima che erano stati da me i parenti e gli amici del canonico Salinas, dopo aver ricevuto le sue lettere. Ritornarono subito e furono di avviso che si chiedesse all’arcivescovo il permesso di celebrare la Messa in casa, essendo indecoroso che noi andassimo per le strade scalze con tutto quel fango, mentre in casa c’era una stanza particolarmente adatta allo scopo. Era stata adibita a cappella dai padri della Compagnia di Gesù, appena venuti a Burgos, restando destinata a quest’uso per più di dieci anni. Ci sembrava pertanto che non potessero esserci difficoltà per far lì la presa di possesso fino all’acquisto di una casa. Ma non riuscimmo ad ottenere dall’arcivescovo il permesso di ascoltarvi la Messa, nonostante che i due canonici si fossero recati da lui a fargliene istanza. Tutto quello che si poté ottenere fu che, assicurataci la rendita, la fondazione si facesse in quel luogo fino all’acquisto di una casa, e che a tal fine c’impegnassimo su cauzione a comprarne una e ad andare via da quella in cui eravamo. Trovammo subito chi ci aiutò. Gli amici del canonico Salinas si offrirono a far loro da garanti e Catalina de Tolosa, da parte sua, ad assicurare la rendita della fondazione.

24. Per stabilire quanto, come e da chi dovesse provvedersi a tutto ciò, passarono, credo, più di tre settimane, e in tutto questo tempo non ascoltammo la Messa che nei giorni festivi, di prima mattina. Intanto la febbre non mi lasciava ed io stavo molto male. Ma Catalina de Tolosa provvide così bene a tutto, desiderosa com’era di prodigarsi per gli altri. Ha un cuore così grande che ci nutrì per un mese, come se fosse stata la madre di ognuna di noi, tenendoci con sé in una stanza appartata. Il padre provinciale alloggiava con i suoi compagni in casa di un amico, suo ex condiscepolo, il dottor Manso, allora canonico teologo della cattedrale. Benché contrariato per quell’indugio, non sapeva decidersi a lasciarci.

25. Una volta sistemata la questione dei garanti e della rendita, l’arcivescovo ci mandò dal vicario che doveva sbrigare subito la pratica. Ma il demonio non lasciava certo di correre ai ripari. Dopo che tutto era stato attentamente considerato, pensavamo ormai che non ci fosse più nessun motivo d’indugio: era trascorso quasi un mese per riuscire a ottenere dall’arcivescovo l’approvazione di quanto si era convenuto. Ma il vicario m’inviò un memoriale in cui si diceva che l’autorizzazione non sarebbe stata rilasciata fino a quando non avessimo una casa propria, perché l’arcivescovo non voleva più che la fondazione si facesse in quella dove stavamo, essendo umida e in una strada troppo rumorosa. Presentava inoltre non so quali intralci e difficoltà per la sicurezza della rendita come se si desse inizio allora alle trattative. Ci raccomandava, infine, di stare zitte, perché, dopo tutto, la casa doveva essere di gradimento dell’arcivescovo.

26. Fu grande, di fronte a ciò, il turbamento del padre provinciale e di tutte noi, perché si sa ormai quanto tempo ci voglia per l’acquisto di un locale adatto a un monastero, ed egli provava una viva contrarietà nel vederci uscire per la Messa. Anche se la chiesa non era lontana e l’ascoltassimo in una cappella dove non ci vedeva nessuno, per sua reverenza e per noi era una grandissima pena il prolungarsi di questa situazione. Da allora, credo, egli fu del parere di farci ripartire. Io però non potevo rassegnarmi a questa soluzione, ricordando la raccomandazione del Signore di adoperarmi a questo scopo da parte sua: ero così certa che il monastero si sarebbe fondato, da non soffrire quasi di nessuna contraddizione. La mia sola pena era data da quella del padre provinciale; mi rincresceva molto che egli fosse venuto con noi, non sapendo quanto i suoi amici ci sarebbero stati utili, come dirò in seguito. Mentre eravamo in questa afflizione, assai grande per le mie compagne (ma di questo non mi preoccupavo, presa com’ero da quella del padre provinciale), senza che mi trovassi in orazione, nostro Signore mi disse queste parole: Ora, Teresa, tieni duro. Ciò mi incoraggiò a insistere con il padre provinciale (e Sua Maestà doveva certo ispirarlo ad acconsentire) perché ripartisse lui e ci lasciasse sole: era ormai vicina la quaresima e aveva l’impegno di andare a predicare.

27. Egli e i suoi amici ci fecero dare qualche stanza nell’ospedale della Concezione, dove si conservava il santissimo Sacramento e si celebrava la Messa ogni giorno. Questo gli fu di qualche sollievo, ma per riuscirvi dovette penare molto. Un comodo appartamento, di cui l’ospedale disponeva, era stato preso in affitto da una vedova della città, la quale non solo non ce lo volle prestare (benché non dovesse occuparlo se non da lì a sei mesi), ma fu molto spiacente che ci avessero dato, sotto il tetto, in soffitta alcune stanze di cui una era in comunicazione con il suo appartamento. Così non si accontentò di chiuderla a chiave dall’esterno, ma la fece inchiodare dall’interno. Oltre a questo, i confratelli pensarono che noi intendessimo appropriarci dell’ospedale, sospetto privo d’ogni fondamento, ma Dio voleva farci acquistare maggior merito. Fecero così promettere al padre provinciale e a me, davanti a un notaio, che, non appena ci avessero detto di andarcene, lo avremmo subito fatto.