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L'invidia

«Perchè mai avete pensieri malvagi nel vostro cuore?» - Omelia

Autore: Santo Curato d'Ars

No, fratelli miei, non c’è nulla di così santo nè di così perfetto, che i malvagi non biasimino e non condannino.

Essi corrompono, con la malignità della loro invidia, le più belle virtù degli uomini, e diffondono il veleno della loro maldicenza e dei loro giudizi temerari, sulle migliori azioni del prossimo.

Sono simili ai serpenti, che si nutrono dei fiori, solo per farne la materia del loro veleno.

Ciò che odiano nei loro fratelli, ci dice san Gregorio Magno, sono le loro più belle qualità, e con questo, sembrano rimproverare al buon Dio, il bene che ha loro concesso.

Perchè i Giudei si sono scagliati così fortemente contro Gesù Cristo, questo tenero e amabile Salvatore, che veniva in mezzo a loro solo per salvarli?
Perchè essi, tanto spesso, si sono coalizzati, o per precipitarlo dall’alto della montagna, o per lapidarlo, e altre volte per farlo morire?
Non fu perchè la sua vita santa ed esemplare, condannava la loro vita orgogliosa e criminale, ed era come un carnefice nascosto che li torturava?
Non fu anche perchè i suoi miracoli attiravano il popolo al suo seguito, e perchè con ciò, sembrava aver messo da parte quegli empi?
Essendo divorati da una rabbia interiore, non riuscivano più a contenersi.
«Che dobbiamo deliberare, gridavano tra di loro,che cosa aspettiamo?
Dobbiamo disfarcene, a qualunque prezzo.
Non vi accorgete che tutti corrono dietro di Lui, e ci abbandonano?
Facciamolo morire: non c’è altro mezzo per liberarcene».

Ahimè! fratelli miei, quale passione è paragonabile a quella dell’invidia?
Tutte le belle qualità, e tutti i bei tratti di bontà che quei Giudei vedevano brillare nella condotta di Gesù Cristo, avrebbero dovuto rallegrarli e consolarli; ma no, l’invidia che li divora è la causa della loro afflizione; ciò che doveva spingerli a convertirsi, diviene la materia della loro invidia e della loro gelosia.

Viene presentato a Gesù Cristo un paralitico coricato sopra il suo letto.
Questo tenero Salvatore lo guarda e lo guarisce, dicendogli con bontà: «Figlio mio, abbi fiducia, i tuoi peccati ti sono rimessi.
Orsù! prendi il tuo letto, e cammina!».

Chiunque altro, al posto dei farisei, sarebbe stato invaso da un senso di riconoscenza, e si sarebbe affrettato ad andare a pubblicizzare dappertutto la grandezza di questo miracolo; ma no, essi erano talmente induriti, che colsero l’occasione per screditarlo, per trattarlo da bestemmiatore.

E’ così, fratelli miei, che l’invidia avvelena le migliori azioni.
Ah! se almeno questo maledetto peccato fosse morto con i farisei! ma, al contrario, ha gettato radici così profonde, che lo si ritrova in tutti gli stati di vita e a tutte le età!

Per darvi un’idea della bassezza di colui che si abbandona a questo peccato, vi mostrerò:
1°- che non c’è niente di più odioso, e tuttavia niente è più comune, di questo peccato;
2°- che non vi è nulla di più dannoso per la salvezza, come l’invidia, e che, tuttavia, non c’è un peccato da cui ci si corregga di meno, come l’invidia.

Prima di mostrarvi, fratelli miei, quanto questo peccato avvilisca e degradi colui che lo commette, e quanto il buon Dio l’abbia in orrore, voglio farvi comprendere, come meglio posso, che cosa sia il peccato d’invidia.

Questo maledetto peccato, san Tommaso lo definisce un dispiacere e una tristezza mortale, che noi proviamo nel nostro cuore, per i benefici che Dio si degna di effondere sul nostro prossimo.
L’invidia è anche, ci dice, un piacere maligno che proviamo quando il nostro prossimo subisce qualche perdita o qualche disgrazia.

Sono certo, fratelli miei, che questa semplice esposizione cominci già a farvi sentire quanto questo peccato sia odioso, non solamente a Dio, ma anche a ogni persona, che non ne sia già divorata.

Si potrebbe mai trovare una passione più cieca, di quella che consiste nell’affliggersi per la felicità dei fratelli, e nel rallegrarsi per la loro infelicità?
Ecco, precisamente, quello che si chiama peccato d’invidia, peccato così odioso, che racchiude in sè, allo stesso tempo, vigliaccheria, crudeltà, e una segreta perfidia.
Potreste mai, fratelli miei, farvene un’idea, e rappresentarvela così com’è?
No, non lo potreste mai. Ciò è impossibile soprattutto a chi la commette, tanto è cieco.

Ditemi, perchè siete infastiditi che il vostro vicino riesca meglio di voi nei suoi affari?
Egli non vi impedisce affatto di fare ciò che potete, per riuscire bene quanto lui, o perfino meglio di lui.
Vi affliggete perchè egli ha più talento e più spirito di voi; ma egli non vi toglie ciò che avete.
Vedete con sofferenza che egli accresca i suoi beni; ma quest’aumento non diminuisce ciò che è vostro.
Vi dispiace che egli sia amato e stimato; ma egli non vi toglie l’amore e la stima che si ha per voi.
Siete stanchi di vedere una persona più saggia di voi; eh! chi vi impedisce di esserlo ancora più di lei, se lo volete?
Forse che il buon Dio non vi darà la sua grazia, tanta quanta vi sarà necessaria?

Altre volte, al contrario, vi rallegrate quando il vostro prossimo subisce qualche perdita di beni, oppure si sgonfia un po’ la sua reputazione; ma le sue disgrazie e le sue miserie, non vi fanno guadagnare nulla.
Vedete, fratelli miei, come questa passione accechi colui che vi si abbandona?

Non accade per questo peccato, come per gli altri: un ladro, per esempio, rubando, prova un certo piacere nel possedere ciò che ha preso; un impudico, che si dedichi alle sue turpitudini, gusta una gioia momentanea, sebbene i rimorsi lo seguano poco dopo; un ubriaco, prova una soddisfazione, nel momento in cui il vino passa dal bicchiere al suo stomaco; un vendicativo, crede di provare gioia, nell’istante in cui si vendica: ma un invidioso o un geloso, non prova nulla che lo ripaghi.

Il suo peccato è simile a una vipera, che genera nel suo seno i piccoli che la faranno morire.
Ah! maledetto peccato, quale crudele guerra intestina provochi tu, a colui che abbia avuto la disgrazia di generarti!

«Ma, forse voi mi direte: in quale luogo questo peccato è stato commesso per la prima volta?».
Ahimè! ha avuto inizio in cielo. Gli angeli, che erano le più belle creature di Dio, divennero gelosi e invidiosi della gloria del loro Creatore, e vollero attribuire a se stessi quello che non era dovuto che a Dio solo, e questo peccato d’invidia fu la causa per cui il Signore scavò l’inferno, per farvi precipitare quella moltitudine infinita di angeli, che ora chiamiamo demoni (l’unferno era immaginato, secondo un’antica tradizione, sotto terra, ma sia l’inferno che il Purgatorio che il Paradiso non sembra che siano dei luoghi, ma stati o modalità di esistenza; n.d.a.).
Di là, il peccato d’invidia discese sulla terra, e andò a mettere radici nel Paradiso terrestre; è infatti realmente a causa dell’invidia che il peccato è entrato nel mondo.
Il demonio che già, per la sua stessa invidia, aveva perduto il Cielo, non potendo tollerare che l’uomo, che gli era molto inferiore per natura, fosse tanto felice nel Paradiso terrestre, volle tentare di trascinarlo nella sua infelicità.
Ahimè! non ci riuscì che fin troppo bene!
Rivolgendosi alla donna, come alla più debole, fece luccicare ai suoi occhi le grandi conoscenze che avrebbe avuto in più, se avesse mangiato il frutto che il Signore le aveva proibito di mangiare.
Ella si lasciò tentare e ingannare, e indusse suo marito a fare altrettanto.
Questa colpa costò loro molto cara; da quell’istante, furono condannati a morte, che è la punizione più umiliante, poichè l’uomo era stato creato per non mai morire.

Dopo, questo peccato ha fatto nel mondo le più orribili devastazioni.
Il primo omicidio che si commise, ebbe come causa l’invidia.
Perchè, ci dice san Giovanni, Caino uccise suo fratello Abele? Fu perchè le azioni di Caino erano malvagie, ed egli si attirò l’odio di Dio e degli uomini; invece suo fartello era buono, era amato da Dio e dagli uomini, e le sue buone azioni divenivano per Caino un continuo rimprovero.
Ma l’invidia, dalla quale era divorato, non si fermò soltanto nella sua anima.
Essa si manifestò sul suo viso, per la grande tristezza che vi faceva trasparire.
E così il Signore, ci dice la Sacra Scrittura, non si compiacque nè di Caino, nè della sua offerta.
Allora quello pensò fra sè: mio fratello è amato da tutti; egli è la causa per cui io sono disprezzato. Devo vendicarmi di questo disprezzo, devo ucciderlo con le mie proprie mani, per togliermi dagli occhi quest’oggetto che mi è insopprtabile.
«Andiamo, fratello mio, gli dice questo sciagurato invidioso, andiamo a passeggio in mezzo ai campi».
Il povero innocente lo segue, senza sapere che l’altro sta per diventare il suo carnefice.
Non appena sono nei campi, Caino lo colpisce, lo ferisce e lo uccide.
Abele cade ai suoi piedi coperto di sangue.
Ben lungi dall’essere colto d’orrore, per un tale crimine, Caino, al contrario, se ne rallegra, almeno per il momento; perchè poi il suo peccato non tarderà a divenire il suo carnefice.

Guardate ancora Esaù, divorato dall’invidia.
Come Caino, anch’egli vuole uccidere suo fratello Giacobbe, a causa della benedizione che costui ha ricevuto da suo padre (più che ricevuta, gliela aveva sottratta con la frode, perchè era stato colto dall’invidia, ancora prima di Esaù, al quale la benedizione spettava di diritto; nemmeno il curato, a volte, si sotrae alla tentazione di “forzare” le Scritture; n.d.a.).
Si disse tra sè: «Il tempo della morte di mio padre arriverà presto; allora mi vendicherò e lo ucciderò».
Il povero Giacobbe fu obbligato, per evitare la morte, a fuggire presso lo zio Labano, dove restò a lungo senza ritornare, nel timore di essere ancora esposto all’invidia del suo stesso fratello.

Fu sempre l’invidia che animò i fratelli di Giuseppe contro di lui, fino a volergli togliere la vita.
Mio Dio! com’è cieca questa passione!
Giuseppe raccontò ai suoi fratelli un sogno che aveva fatto, e che sembrava esaltarlo al di sopra di loro.
Da quel momento decisero di ucciderlo, perchè la sua vita innocente e gradita a Dio, condannava la loro vita criminale.
Allo stesso modo Saul, divorato dall’invidia contro Davide, al quale si rivolgevano più elogi che a lui, gli tese ogni sorta di trappole per farlo perire, e non potè avere riposo, fino alla morte.

Ah! fratelli miei, come dobbiamo stare attenti a non lasciar nascere questa passione nel nostro cuore, perchè, una volta che abbia messo radici, è molto difficile sradicarla!
Eccovi un esempio molto sconvolgente, riportato nella storia dell’abate Pafnuzio.

Le sue virtù erano così splendide, che era diventato un oggetto di ammirazione per tutti coloro che avevano la fortuna di conoscerlo.
Nello stesso monastero viveva un altro religioso, talmente geloso della sua grande reputazione, che prese la decisione di fare tutto il possibile per screditarlo.
Una domenica, quest’invidioso entrò segretamente nella cella di san Pafnuzio, che in quel momento assisteva alla santa Messa, e avendo nascosto il proprio libro sotto una piccola catasta di legna, se ne andò insieme agli altri in chiesa.
Quindi venne a lamentarsi col superiore, assicurando davanti a tutti che gli avevano rubato il libro.
Il superiore ordinò che nessuno dei religiosi uscisse dalla chiesa; poi mandò tre anziani, che perquisirono tutte le celle, e trovarono quel libro nella cella del padre Pafnuzio.
Al loro ritorno lo mostrarono a tutti, dicendo che lo avevano trovato nella cella di Pafnuzio.
Costui, benchè la sua coscienza fosse tranquilla, non cercò minimamente di giustificarsi, per timore che se lo avesse negato, lo si sarebbe creduto colpevole di menzogna. Nessuno, infatti, avrebbe potuto credere diversamente da come aveva visto con i propri occhi.
Il povero giovane (Pafnuzio) si accontentò di offrire le proprie lacrime al buon Dio, e si umiliò profondamente davanti a tutti, come se fosse stato realmente colpevole.
Trascorse quasi due settimane a digiunare, per domandare al buon Dio la grazia di soffrire bene questa prova, per amor suo.
Testimone della gioia del suo servo, Dio non tardò a far conoscere la verità.
Per rivelare l’innocenza del suo discepolo, che sosteneva con tanta calma l’oscura calunnia che l’invidia gli aveva procurato, permise, per un terribile giudizio, che l’autore di un sì grande crimine, fosse posseduto dal demonio, e fosse costretto a confessare il suo crimine dovuto all’invidia, alla presenza di tutti i religiosi.
Questo spirito impuro lo attaccò con tale violenza, e lo tormentò con tanta ostinazione, che nessun santo del deserto fu capace di scacciarlo.
Quello sciaguarato invidioso fu alla fine costretto a confessare la sua impostura, e a proclamare che Pafnuzio era un santo, e che solo lui poteva liberarlo; e aggiunse che il demonio lo aveva posseduto proprio in punizione per aver voluto far passare quel santo per un ipocrita.
Gli chiese perdono, scongiurandolo di avere pietà di lui.
Come fanno tutti i santi, Pafnuzio, senza amarezza e senza risentimento, si accostò al colpevole, e comandò al demonio di abbandonarlo; ciò che fece all’istante.

Ahimè! dice sant’Ambrogio, come sono numerosi nel mondo gli invidiosi, che sono afflitti per il fatto che il buon Dio benedica i loro fratelli!

Secondo il sant’uomo Giobbe, la collera fa morire l’insensato, e l’invidia fa morire gli spiriti meschini.
Infatti, fratelli miei, non è forse avere uno spirito piccolo piccolo, se si è infastiditi per il fatto che un vicino, e forse anche un fratello o una sorella, sia felice, o perchè abbia svolto bene i suoi affari, o perchè sia amato e benedetto dal buon Dio?

Sì, fratelli miei, ci dice san Gregorio Magno, bisogna avere uno spirito molto debole, per lasciarsi tiranneggiare da una passione così disonorevole e così lontana dalla carità.
Un cristiano, non dovrebbe forse rallegrarsi nel vedere il suo vicino felice?
Ditemi, fratelli miei, si può concepire qualcosa di più odioso che essere afflitti per la felicità del proprio vicino, per poi rallegrarsi, invece, per le sue sofferenze?
Ecco perchè vediamo che colui che è colto da una passione così bassa e così indegna di una creatura ragionevole, sta molto attento a nasconderla finchè può.
Si premura di avvolgerla con mille pretesti, per far credere che agisce solo per il bene.
Quale criminale vigliaccheria! Essere divorati dal dispiacere, perchè il buon Dio ricolma di beni coloro che lo meritano molto più di noi!…

Un invidioso non ha un momento di riposo. Su chi l’nvidioso sparge la sua schiuma velenosa?
Lo fa, o sul suo nemico, o sul suo amico, o, infine, su una persona che gli sia indifferente.

Se si tratta di un nemico, l’invidioso sa bene che, non solo non deve augurargli del male, ma che Gesù Cristo gli comanda di amarlo come se stesso, di fargli del bene, e di pregare per lui, affinchè il buon Dio lo benedica nei suoi beni spirituali e temporali.
«Ma, voi dite, è perchè mi ha fatto del male, è perchè mi ha detto qualcosa che non mi è piaciuta».
E sia pure; tuttavia mostrate una vigliaccheria spaventosa; non avete il coraggio di fare ciò che tanti santi hanno fatto, con l’aiuto della grazia divina.

Se invece si tratta di un amico, voi gli fate buon viso quando lo vedete, gli parlate come se gli auguraste ogni sorta di beni, e poi volete che il buon Dio lo abbandoni, lo riduca alla miseria, oppure che divenga oggetto di disprezzo agli occhi del mondo: quale perfidia e quale crudeltà!
Egli vi apre il suo cuore, mentre voi vomitate su di lui il veleno della vostra invidia.
Cosa pensereste di una persona che si comportasse così nei vostri riguardi?
Se leggeste nel fondo del suo cuore, ne sareste indignati, e direste invoi stessi: ecco un vigliacco, un perfido, un malvagio, che, mentre mi parla mi fa buon viso, e sembra augurarmi ogni sorta di beni, mentre nel suo cuore vorrebbe vedermi il più infelice degli uomini.
C’è forse una passione più malvagia di questa?

Se, infine, si tratta di una persona indifferente, che cosa vi ha fatto per attirarsi addosso il veleno della vostra invidia amara?
Perchè affliggervi per il fatto che sia felice, o rallegrarvi perchè le sia arrivata qualche disgrazia?
Com’è crudele , fratelli miei, e com’è cieca questa passione dell’invidia! (ingiustificata in ogni caso possibile e immaginabile, come ha dimostrato nell’analisi fatta sopra; n.d.a.).

In quanto uomini, voi lo sapete, fratelli miei, dobbiamo avere umanità gli uni verso gli altri; ma un invidioso, al contrario, vorrebbe, se lo potesse, distruggere ciò che vede di buono nel suo prossimo.

In quanto cristiani, lo sapete anche, dobbiamo avere una carità senza limiti verso i nostri fratelli.
Abbiamo visto dei santi che, non contenti di donare tutto ciò che avevano per riscattare i loro fratelli, si sono donati essi stessi.
Mosè acconsentì a lasciarsi cancellare dal libro della vita, per salvare il suo popolo, e cioè per ottenergli il perdono da parte del Signore.
San Paolo ci dice che avrebbe dato mille volte la vita, per salvare l’anima dei suoi fratelli.
Ma un invidioso, è ben lontano da tutte queste virtù, che formano il più bell’ornamento di un cristiano.
Egli vorrebbe vedere il suo fratello, andare in rovina.
Ogni tratto della bontà di Dio verso il suo prossimo, è come un colpo di lancia che gli trafigge il cuore e lo fa morire segretamente.
Poichè siamo tutti un solo corpo, di cui Gesù Cristo è il capo, dobbiamo far apparire in tutto la carità, l’amore e lo zelo.
Per renderci felici gli uni gli altri, dobbiamo rallegrarci, come ci dice san Paolo, per la felicità dei nostri fratelli, e affliggerci con loro, quando hanno qualche pena.
Lungi dal nutrire questi sentimenti, l’invidioso non cessa di lanciare qualche maldicenza e qualche calunnia contro il suo vicino.
Sembra quasi che in tal modo si senta più confortato, e addolcisca un po’ il suo dispiacere personale.

Ahimè! e non abbiamo ancora detto tutto!
E’ questo vizio orribile che rovescia i re e gli imperatori dai loro troni (ma non sempre è un danno…, anche se non ha tutti i torti: la mentalità monarchica del curato, si era dovuta confrontare con lo scempio umano e sociale, prodotto dalla tanto conclamata “rivoluzione francese” che aveva seminato il terrore e prodotto più ingiustizie di quelle che aveva pensato di sanare; n.d.a.).

Perchè. fratelli miei, tra questi re, tra questi imperatori, tra quegli uomini che occupavano i primi posti, gli uni sono stati scacciati, gli altri avvelenati, e altri ancora pugnalati?
Non è stato altro che per subentrare al loro posto (analisi “curatina” degna di un grande storico, con i piedi per terra: la rivoluzione non aveva fatto altro che far “turnare” i poveri di prima con i nuovi ricchi, e i potenti di prima con i nuovi prepotenti: “c’est la vie”; n.d.a.).

Non era affatto il pane, nè il vino, nè l’alloggio, che mancava agli autori di questi crimini.
Assolutamente no; ma è stata l’invidia che li ha divorati.
D’altra parte, guardate un mercante, vorrebbe avere per sè tutta la piazza e gli altri posti.
Se qualcuno lo lascia, per andare altrove, egli cercherà di dire tutto il male che potrà, sia sulla persona del mercante, sia sulla mercanzia.
Si servirà di tutti i mezzi possibili per fargli perdere la sua reputazione, dicendo che la sua mercanzia non è buona come la propria, o che non fa buon peso.
Osservate ancora l’astuzia diabolica di quest’invidioso: egli si raccomanderà di non dirlo ad altri, per non danneggiare quell’altro mercante; «ne sarei molto dispiaciuto, aggiunge, ve lo dico solamente affinche non vi lasciate ingannare» (con questo, e con gli altri semplici esempi che seguono, il curato sembra offrirci col massimo realismo, il quadro generale delle politiche laiche marcescenti, anche dei nostri giorni, al di sotto delle maschere variopinte del teatrino mediatico; n.d.a.).

Osservate anche un operaio: se un altro va a lavorare in un a casa dove di solito va lui, questo lo infastidisce; egli farà tutto il possibile per screditare quella persona, affinchè non la si chiami più.
Guardate quel padre di famiglia, com’è afflitto se il suo vicino svolge gli affari meglio di lui, o se le sue terre producono più delle proprie.
Guardate una madre, ella vorrebbe che non si parlasse bene che dei propri figli; se si lodano i figli degli altri, davanti a lei, e non i suoi, ella risponderà: «Ma non sono poi così perfetti», e diventerà triste.
Quanto sei stupida, povera madre! le lodi che si fanno agli altri, non tolgono niente a quelle dei tuoi figli.
Osservate la gelosia di un marito verso sua moglie, e di una moglie verso suo marito;
guardate come si esaminano in tutto quello che fanno e in tutto ciò che dicono; come squadrano tutte le persone con cui si intrattengono, e tutte le case nelle quali si recano.
Se ci si accorge che l’altro parla con qualcuno, non vi è genere di ingiurie con cui non lo sommergano, sebbene, spesso, l’altro sia innocente.

Non è forse questo maledetto peccato che divide fratelli e sorelle?
Ammettiamo che un padre o una madre donino qualcosa in più all’uno o all’altro: vedrete subito nascere quell’odio geloso contro colui o contro colei che sia stato favorito (il curato ottocentesco, è pur sempre molto attento alla parità di genere…; n.d.a.).
Quest’odio durerà per interi anni, e, a volte, per tutta la vita.
Certi figli, non staranno forse sempre attenti a sorvegliare la loro madre o il loro padre, per vedere se, per caso, regalino qualcosa, o sembrino maggiormente favorevoli a uno dei due?
In tal caso, non c’è sorta di male che non si dicano.

Vediamo anche che questo peccato sembra nascere insieme ai figli.
Guardate, infatti, tra loro, quella piccola gelosia, che concepiscono gli uni verso gli altri, se si accorgono di qualche preferenza da parte dei loro genitori.

Osservate poi quel giovane: egli vorrebb essere il solo ad avere dello spirito, a sapere le cose, o a comportarsi bene; rimane afflitto se gli altri riescono meglio di lui, o sono più stimati di lui.
Osservate quella giovane: ella vorrebbe essere la sola ad essere amata, la sola ben abbigliata, la sola ricercata.
Se qualcun’altra le viene preferita, la vedrete affliggersi e tormentarsi, forse anche piangere, invece di ringraziare il buon Dio di essere disprezzata dalle creature, per non attaccarsi che a Lui solo.
Che passione cieca! fratelli miei, chi potrà comprenderlo a fondo?

Ahimè! fratelli miei, questo vizio lo si ritrova anche tra coloro fra i quali non lo si dovrebbe riscontrare; voglio dire, tra le persone che fanno professione religiosa.
Esse esamineranno per quanto tempo un tale resta a confessarsi, la maniera in cui prega il buon Dio; e poi ne parlano e li biasimano.
Esse pensano che tutte quelle preghiere (s’intende, fatte dagli altri), quelle buone opere, non sono fatte che per farsi vedere, o se volete, non sono altro che semplici smorfie.
Si ha un bel dire che le azioni degli altri non le riguardano; esse si irritano, e si adombrano, perchè gli altri agiscono meglio di loro.

Osservate anche ciò che accade tra i poveri: se si fa del bene più a uno che all’altro, parlano male di chi abbia fatto loro l’elemosina, per evitarlo la prossima volta.
Mio Dio! quale detestabile passione! Essa si attacca a tutto, ai beni spirituali, come ai beni temporali.

Abbiamo detto che questa passione dimostra uno spirito meschino.
Ciò è tanto vero che nessuno crede di averla, o almeno non vuole credere di esserne contagiato.
Si cercherà di coprirla con mille pretesti, per nasconderla agli altri.
Se, in nostra presenza, si parla bene del nostro prossimo, noi stiamo zitti; ma questa cosa ci affligge il cuore.
Se siamo obbligati a parlare, lo facciamo in una maniera fredda.

No, fratelli miei, non c’è carità in un invidioso.
San Paolo ci dice che dobbiamo rallegrarci del bene che arriva al nostro prossimo. E’ ciò che la carità, fratelli miei, deve ispirarci gli uni agli altri.
Ma i sentimenti dell’invidioso sono molto diversi.
No, io non credo che ci sia un peccato più malvagio e più temibile dell’invidia, perchè si tratta di un peccato nascosto, e spesso ricoperto da un bel manto di virtù o di amicizia.
Per meglio dire: è come un leone al quale si voglia mettere una museruola, o un serpente coperto da un mucchio di foglie, che vi morderà senza che ve ne accorgiate; è come una pubblica peste che non risparmia nessuno.
Generalmente è proprio questo peccato, quello che provoca divisioni e sconvolgimenti nelle famiglie.

Io affermo, fratelli miei, che questo peccato è un peccato di malizia; eccovi un esempio che ve lo dimostrerà chiaramente.

San Vincenzo Ferreri racconta di un principe che, avendo appreso che nella sua città capitale c’erano due uomini, di cui uno era molto avaro, e l’altro molto invidioso, li fece venire presso di lui.
Promise che avrebbe accordato loro tutto ciò che avessero chiesto, a condizione che colui che avesse domandato per primo, avrebbe ricevuto la metà meno del suo compagno.
Questa condizione li turbò molto.
L’avaro ardeva dal desiderio di ricevere denaro, ma diceva tra sè: «Se chiedo per primo, avrò la metà di ciò che avrà l’altro».
L’invidioso, si sentiva spronato a chiedere, ma era geloso del fatto che l’altro avrebbe avuto la metà più di lui.
E così il tempo passava tra le dispute, senza che nè l’uno nè l’altro volesse iniziare: l’uno era trattenuto dall’avarizia, l’altro dall’invidia.
Per terminare, infine, questa contestazione, il principe ordinò che l’invidioso domandasse per primo.
Nella sua disperazione, guardate cosa fece costui. In un eccesso di furore incomprensibile, egli gridò: «Poichè mi hai promesso di accordarci tutto ciò che chiederemo, io voglio che mi strappi un occhio».
Sapete perchè, fratelli miei, fece questa richiesta? Fu perchè, come ricorderete, il principe aveva promesso il doppio a colui che avesse chiesto per ultimo.
L’invidioso pensò tra sè: «Io avrò ancora un occhio, per godermi il piacere di vedere strappare i due occhi al mio compagno, e così non avrà più di me».

Io non credo, ci dice san Vincenzo Ferreri, deplorando la disgrazia di coloro che sono contagiati da questo vizio, io non credo, che mai un’altra passione abbia condotto un uomo a una tale malvagità.

Non fu ancora l’invidia che fece gettare il povero Daniele nella fossa dei leoni?
Questo peccato è molto comune. Si estende dappertutto, a tutte le condizioni, a tutte le età.
Com’è detestabile! Ma quello che è più deplorevole, fratelli miei, è il fatto che sia poco conosciuto, e sono molto pochi coloro che ammettano di esserne colpevoli, e ce n’è ancora meno che lavorino per correggersene.

Per accusarsi di un peccato, umiliarsi e cessare di commetterlo, bisogna necessariamente conoscerlo.
Ma un invidioso, un geloso, è così cieco che non è disposto a riconoscere la sua passione.
E’ una persona indurita che non vuole, nè abbandonarla, nè accusarsene.
Da ciò io deduco che è molto raro che un invidioso si converta.
Voi mi direte forse che ogni peccato acceca chi lo commette. Ciò è vero; ma non vi è nessun peccato che avviluppi l’anima con nuvole così spesse, quanto il peccato d’invidia, e che cancelli di più la conoscenza di se stessi.
E’ per questo che lo Spirito Santo ci dice, per bocca del saggio, di non frequentare gli invidiosi, perchè essi non hanno nulla a che fare con la sapienza.

Un povero invidioso si convince che il suo peccato è niente, o almeno è poca cosa, perchè questo peccato non lo disonora agli occhi del mondo, come fa il furto, la bestemmia o l’adulterio.
Egli considera questa passione che lo dissecca, come una cosa del tutto perdonabile; non pensa che si tratti del veleno di Caino, di cui diviene imitatore.
Questo miserabile, ci dice la Sacra Scrittura, non potè soffrire che Dio preferisse l’offerta di suo fratello Abele alla sua.
La sua passione lo accecò a tal punto, che non trovò riposo fino a che non gli ebbe tolta la vita.
Il Signore gli fece sentire la sua voce dall’alto del cielo: «Caino, Caino, che hai fatto? dov’è tuo fratello? il suo sangue grida vendetta».
Caino tremò e si agitò in tutto il corpo. Divenne egli stesso il suo carnefice, e portò dappertutto con sè il suo supplizio.
Ma, ci dice san Basilio, forse che si è ravvduto! o si è convertito?
No, fratelli miei, no, l’invidia l’ha talmente accecato che perì miseramente nel suo peccato.

Guardate ancora i farisei.
L’invidia fa chiedere loro, con grandi grida, la morte di Gesù Cristo, che aveva operato tanti miracoli sotto i loro occhi. Ma forse che si sono convertiti? No, fratelli miei, no, sono morti nel loro peccato.

Dico anche di più: questo peccato, non solo acceca, ma indurisce.
San Basilio aggiunge che un invidioso non è altro che un mostro di…che rende male per bene; il suo peccato lo trascina in un susseguirsi di altri peccati, che lo allontanano sempre più da Dio, e lo induriscono sempre di più.
La sua conversione diventa ogni giorno più difficile.

Guardate ciò che accadde alla sorella di Mosè. Ella non poteva sopportare l’onore che il Signore faceva a suo fratello.
«Forse che il Signore ha parlato solo a Mosè?, diceva, non ha parlato anche a noi come a lui?».
Ma il Signore la riprese per il fatto che osava nutrire invidia verso suo fratello, e le disse: «Dovrai subire subito la pena che merita il tuo peccato di gelosia», e la colpì con una lebbra che le coprì tutto il corpo.
Perchè il buon Dio le inviò questa malattia piuttosto che un’altra?
Fu perchè questa malattia mostra meglio la natura di questo peccato: come la lebbra guasta tutte le parti del corpo, così l’invidia corrompe tutte le facoltà dell’anima.
La lebbra è una corruzione della massa del sangue e un segno di morte; allo stesso modo l’invidia è una putrefazione spirituale che si insinua fin nelle midolla delle ossa.
Questo ci dimostra, fratelli miei, quanto sia difficile guarire una persona che sia colpita dal peccato d’invidia.

Guardate ancora cosa accadde a Core, Datan e Abiron.
Gelosi degli onori che venivano resi a Mosè, questi miserabili gli dissero: «Forse che noi non siamo come te? Forse che noi non possiamo offrire l’incenso al Signore, come fai tu?».
Si ebbe gran da fare a far loro intendere che così avrebbero irritato il Signore, e che Egli li avrebbe puniti.
Nulla fu capace di fermarli. Vollero offrire l’incenzo.
Ma Dio disse a Mosè e ad Aronne: «Fateli separare, insieme a tutto ciò che appartiene loro. Sto per punirli rigorosamente».
Infatti, nel momento in cui pensavano di aver appagato la loro invidia, la terra si aprì sotto i loro piedi, e li inghiottì, ancora vivi, nell’inferno.

Ah! fratelli miei, com’è difficile abbandonare questo peccato, una volta che ne siamo contagiati.
Quante persone hanno concepito tale odio verso qualcuno, e non possono più disfarsene; lo conservano per mesi, per anni interi, e spesso per tutta la vita.
Esse non lo dimostrano; renderanno anche qualche servizio a coloro che ne formano l’oggetto; ma preferibbero non vederseli mai davanti.
Fuggono, tagliano corto, se possono, nella conversazione con loro; preferiscono meglio sentirne parlar male che bene; cercano mille pretesti per evitare di avere a che fare con loro.
Se stanno sperimentando qualche sofferenza, pensano che quelle persone ne siano la causa, e dicono: «Preferirei non vederle, perchè questo mi stanca, le loro maniere mi urtano».
Ti sbagli, amico mio; è la tua passione d’invidia che ti rode e ti dissecca; togli questo peccato dal tuo cuore, e le amerai come tutti.

Volete, fratelli miei, un esempio che vi faccia conoscere bene come questo peccato accechi l’uomo?
Guardate il faraone. Geloso per le benedizioni che il Signore espandeva sul popolo giudeo, lo oppresse con i lavori forzati.
Il Signore, per mezzo del ministero di Mosè e di Aronne, fece dei miracoli straordinari, per costringerlo a lasciar partire il suo popolo.
Ma i miracoli, che avrebbero dovuto convertire questo principe, non servirono che a indurirlo sempre di più.
Tuttavia, un ultimo castigo toccò il suo cuore.
Dio fece morire tutti i primogeniti d’Egitto.
Allora il re acconsentì a lasciar partire gli Israeliti.
Non appena furono partiti, egli si pentì e li inseguì con tutta la sua armata.
Ma il Signore proteggeva sempre il suo popolo….
Mosè, vedendosi preso tra il mare e l’armata del faraone, colpì il mare. Il mare gli aprì un passaggio, e, non appena gli Israeliti furono passati, esso ritornò nel suo alveo ordinario, inghiottì il faraone e tutta la sua armata, senza risparmiarne nemmeno uno solo.

Fu ancora l’invidia che animò Saul contro il povero Davide, fino a cercare tutti i mezzi per togliergli la vita. E sapete perchè?
Davide aveva ucciso diecimila nemici.
Al ritorno dalla guerra, il popolo cantava: «Saul ne ha uccisi mille, e Davide diecimila».
La Sacra Scrittura ci dice che ciò irritò talmente Saul, che, da quel giorno, non trovò riposo.
Ma il buon Dio, per far conoscere quanto questo peccato gli sia odioso, diede il permesso al demonio di entrare nel corpo di Saul. Il suo orgoglio gen

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