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Commento al Vangelo Martedì della III Settimana di Pasqua - Don Luca Brenna - (Gv 6,30-35)

"Non Mosè, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo"

Autore: Don Luca Brenna

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 6,30-35

In quel tempo, la folla disse a Gesù: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”».
Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo».
Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane».
Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

Commento al Vangelo Martedì della III Settimana di Pasqua – Don Luca Brenna – (Gv 6,30-35)

“Non Mosè, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo”

Stiamo leggendo tutto il capitolo sesto di San Giovanni, il famoso capitolo che parla del “pane di vita”. Gesù sta cominciando a parlare dell’Eucaristia e le persone non lo capiscono. Qui Gesù si riferisce all’Eucaristia come il pane del cielo, quello vero, “non come quello che hanno mangiato i vostri padri nel deserto”, ma quello vero, quello che, quando lo mangerete, dice Gesù, “non avrete fame e non avrete sete mai”: Gesù sta parlando di sé stesso.

E oggi ci fa riflettere questo passo del Vangelo sul fatto che Gesù ha voluto rimanere presente nella sua Chiesa, nell’Eucaristia, sotto la forma di alimento, di pane e di vino. Avrebbe potuto scegliere un altro segno, invece ha scelto proprio il segno del pane, che è l’alimento più comune, se ti manca il pane vuol dire che sei proprio povero, che ti manca proprio tutto, quella persona non ha nemmeno il pane da mangiare. Riflettiamo su questo segno, sul fatto che Gesù ha scelto proprio questo segno così quotidiano, così comune, da giorno feriale, il pane non è un cibo sofisticato.

Riflettiamoci soprattutto quando percepiamo la grandezza dell’Eucaristia, quando ne percepiamo tutta la sacralità e quando magari questa grandezza e questa sacralità ci porterebbero a stare lontani dall’Eucaristia, a pensare che non ne siamo degni. Questo pensiero è sempre un pensiero corretto, un pensiero giusto, perché chi di noi, anche se fosse un santo, è degno di ricevere Dio? Nessuno.

Quindi ci può cogliere un senso di inadeguatezza, di piccolezza, di indegnità al momento di andare a ricevere la comunione, però dobbiamo anche pensare che è proprio per questo che Gesù è rimasto nell’Eucaristia, perché sa bene che noi lungo la strada ci stanchiamo, ci affatichiamo, ci vengono meno le forze, per questo abbiamo bisogno del suo alimento, del pane quotidiano. Mi sento debole? Proprio per questo ho bisogno dell’Eucaristia.

Mi sento peccatore? Proprio per questo ho bisogno dell’Eucaristia. Mi sento indegno? Proprio per questo ho bisogno che Gesù mi renda degno. Rimane sempre valida la regola per cui per ricevere la comunione non bisogna avere commesso peccati gravi, peccati mortali, se uno ha commesso peccati gravi, quello che deve fare è confessarsi prima di fare la comunione, però se uno invece non li ha commessi, i peccati gravi, ma si sente indegno, beh, a volte la cosa migliore è partire dalla propria indegnità e dire: “Signore, io ti vengo a ricevere proprio perché sono indegno, proprio perché sono debole, proprio perché sono sporco e ho bisogno di essere pulito”.

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