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L'università al servizio della società attuale I

Parte I

Autore: Autori Cristiani

“L’università al servizio della società attuale”(Monsignore, vorremmo che ci dicesse quali sono, a suo avviso, i fini essenziali dell’università, e in quali termini colloca l’insegnamento della religione nell’àmbito degli studi universitari.)

73. L’università deve assumere una posizione di primaria importanza nello sforzo per promuovere il progresso umano: lo sapete bene, perché ne state facendo esperienza o quanto meno lo desiderate. I problemi attuali della vita dei popoli, infatti, sono molteplici e complessi – di ordine spirituale, culturale, sociale, economico, ecc. – ed è necessario che la formazione che l’università deve dare abbracci tutti questi aspetti.
Non basta il desiderio di lavorare per il bene comune; la strada per rendere operante questa aspirazione è la formazione di uomini e di donne capaci di acquistare un’adeguata preparazione, e capaci di comunicare agli altri i frutti della pienezza da essi raggiunta.

La religione è la più grande ribellione dell’uomo che non si rassegna a vivere come una bestia, dell’uomo che non si adatta – non si dà pace – finché non conosce e non stabilisce una comunicazione con il suo Creatore: lo studio della religione è una necessità fondamentale. Un uomo privo di formazione religiosa non è del tutto formato. Per questo la religione deve essere presente nell’università; e deve essere insegnata al livello più alto, scientifico, di buona teologia. Un’università in cui la religione è assente, è un’università incompleta: perché ignora una dimensione fondamentale della persona umana, che non esclude – anzi richiede – le altre dimensioni.

D’altro canto, nessuno può violare la libertà delle coscienze: l’insegnamento della religione deve essere libero, anche se il cristiano sa che, se vuole essere coerente con la sua fede, ha il grave obbligo di raggiungere una buona formazione in questo campo, l’obbligo quindi di possedere una cultura religiosa: una dottrina, cioè, che sorregga la sua vita e gli consenta di essere, con l’esempio e la parola, testimone di Cristo.

(In questa tappa storica vi è un’acuta preoccupazione per la democratizzazione della scuola, per facilitarne l’accesso a tutte le classi sociali, e non si concepisce l’università senza una proiezione o una funzione sociale. Come intende lei questa democratizzazione? Come può svolgere l’università la sua funzione sociale?)
74. È necessario che l’università formi negli studenti una mentalità di servizio: servizio alla società promuovendo il bene comune con il lavoro professionale e con la loro azione nella vita pubblica. Gli universitari hanno bisogno di sentirsi responsabili e di vivere una sana inquietudine per i problemi di tutti, e di essere animati da un senso di generosità che li spinga ad affrontare questi problemi e a collaborare alla loro soluzione. Offrire tutto questo agli studenti è un compito dell’università.

Tutti coloro che sono veramente capaci devono poter accedere agli studi superiori, qualunque sia la loro estrazione sociale, la situazione economica, la razza o la religione. Finché sussisteranno barriere di questo genere, la riforma democratica della scuola sarà soltanto una frase priva di contenuto.

In breve, l’università deve essere aperta a tutti, e d’altro canto deve formare i suoi studenti in modo che il loro futuro lavoro professionale si svolga al servizio di tutti.
(Di fronte al panorama, che si osserva in tutto il mondo, di tanta gente che soffre nel corpo e nello spirito o che giace nella miseria, molti studenti si sentono chiamati in causa e vorrebbero intervenire attivamente. Quali sono gli ideali sociali che lei proporrebbe a questi giovani intellettuali di oggi?)

75. L’ideale è, anzitutto, la realtà di un lavoro ben fatto, la preparazione scientifica adeguata durante gli anni di università. Su questa base, si può pensare poi ai mille ambienti di tutto il mondo che hanno bisogno di braccia, che attendono un contributo personale, impegnativo e sacrificato. L’università non deve formare uomini che poi si dedichino a godere egoisticamente dei benefici ottenuti con gli studi, ma deve prepararli a un lavoro di generoso appoggio al prossimo, di fraternità cristiana.

Tante volte questa solidarietà si limita a manifestazioni verbali o scritte, se non a chiassate sterili o dannose: io misuro la solidarietà sul metro delle opere concrete di servizio, e conosco migliaia di casi di studenti di tante nazioni che hanno rinunciato a costruirsi il loro piccolo mondo privato, dandosi agli altri mediante un lavoro professionale che si sforzano di realizzare con perfezione umana, in attività di istruzione, di assistenza, di promozione sociale e cosi via, con uno spirito pieno di gioventù e di gioia.
(Di fronte alla situazione politico-sociale del nostro Paese e delle altre nazioni di fronte alla guerra, all’ingiustizia o all’oppressione, qual è, secondo lei, la responsabilità dell’università e quale quella dei docenti e degli studenti? Può l’università, in qualsiasi caso, ammettere nel proprio territorio lo svolgimento di attività politiche da parte di studenti e di docenti?)

76. Innanzitutto desidero chiarire che in questo colloquio espongo la mia opinione, quella cioè di una persona che dai sedici anni – ora ne ho sessantacinque – a oggi non ha mai perso contatti con l’università. Esprimo su questo argomento il mio modo personale di vedere, non quello dell’Opus Dei che, in tutto ciò che riguarda gli affari temporali e opinabili, non vuole né può fare nessuna scelta – ogni socio dell’Opera adotta e manifesta liberamente il proprio parere “personale”, di cui assume “personalmente” la “responsabilità” -, giacché il fine dell’Opus Dei è esclusivamente spirituale.

Tornando alla vostra domanda, mi pare che sarebbe necessario, in primo luogo, mettersi d’accordo su che cosa intendiamo per “politica”. Se dicendo politica intendiamo l’interesse e l’impegno per la pace, la giustizia sociale, la libertà di tutti, allora, in questo senso, tutti coloro che fanno parte dell’università, e l’università come tale, hanno il dovere di ispirarsi a questi ideali e di promuovere l’impegno per risolvere i grandi problemi della vita umana.

Se per politica invece intendiamo la soluzione concreta di un determinato problema, scartando altre soluzioni possibili e legittime, in contrapposizione a quanti propongono il contrario, allora penso che non è l’università la sede in cui debba prendersi una decisione in merito.
L’università è il luogo in cui “ci si prepara” a risolvere questi problemi; è la casa comune, il luogo di studio e di amicizia; il luogo in cui debbono “convivere in pace” persone di diverse tendenze che esprimono in ogni momento il legittimo pluralismo esistente nella società.

(Nell’ipotesi che le circostanze politiche di una nazione arrivassero a una tale situazione, per cui un docente o uno studente universitario, vedendosi privato degli strumenti legittimi per evitare il danno generale del Paese, ritenesse in coscienza preferibile la politicizzazione dell’università, non potrebbe agire in tal senso, facendo uso della propria libertà?)
77. Nell’ipotesi che in una nazione non esista la benché minima libertà politica, forse l’università potrebbe snaturarsi, cessando di essere la casa comune per diventare il campo di battaglia di opposte fazioni.
Ma io ritengo tuttavia che sarebbe preferibile dedicare questi anni a una seria preparazione, all’acquisto di una mentalità sociale, per far si che coloro che domani avranno un ruolo direttivo – ossia gli studenti di oggi – non finiscano essi stessi per cadere in questa malattia che è l’avversione per la libertà personale. Se l’università si trasforma in una tribuna di discussione e di decisione su problemi politici concreti, è facile che si finisca per perdere la serenità accademica e che gli studenti acquistino una mentalità faziosa; e così l’università e il Paese si trascinerebbero sempre dietro la piaga cronica del totalitarismo, poco importa di quale marca.

Sia ben chiaro che quando dico che l’università non è il luogo adatto per far politica, non escludo, bensì auspico, sbocchi politici normali per tutti i cittadini. Il mio pensiero a questo riguardo, è ben preciso: ma non voglio aggiungere altro, perché la mia missione non è politica ma sacerdotale. Le cose di cui parlo rientrano invece nella mia competenza, perché mi considero uomo d’università: e tutto ciò che concerne l’università mi appassiona. Non faccio politica, non voglio né posso farla; ma la mia mentalità di giurista e di teologo – nonché la mia fede cristiana – mi spingono a schierarmi sempre a favore della legittima libertà di tutti gli uomini.

Nessuno può pretendere di imporre nelle questioni temporali dogmi che non esistono. Di fronte a un determinato problema, qualunque esso sia, la soluzione è questa: prima studiare a fondo, e poi agire in coscienza, con libertà personale e con responsabilità altrettanto personale.(Quali sono, a suo avviso, le funzioni che spettano alle associazioni od organismi rappresentativi studenteschi? Come dovrebbero essere impostati i rapporti con le autorità accademiche?)

78. Mi domanda un parere su una questione molto vasta. Non scenderò quindi ai particolari: mi limiterò ad alcune idee generali. Penso che gli organismi rappresentativi studenteschi debbano intervenire negli affari specificamente universitari. Ci devono essere dei rappresentanti – liberamente eletti dai loro colleghi – che curino i rapporti con le autorità accademiche, nella consapevolezza di dover lavorare in armonia, in un’impresa comune: ecco un’altra buona occasione di offrire un vero servizio.

Ci vuole uno statuto che assicuri l’efficacia di questo servizio, secondo criteri di giustizia e di razionalità: le questioni devono essere ben elaborate e attentamente meditate; se le soluzioni che vengono proposte nascono da uno studio serio, dall’impegno di edificare e non dalla smania di sollevare opposizioni, acquistano autorevolezza e si impongono da sole.
Ma per raggiungere questi obiettivi è indispensabile che i dirigenti degli organismi rappresentativi siano dotati di una seria preparazione: bisogna che amino anzitutto la libertà degli altri, e poi la propria libertà con la responsabilità che ne consegue; bisogna che non cerchino il successo personale e non si attribuiscano competenze che non hanno, ma che perseguano il bene dell’università, che è il bene dei loro colleghi di studio. E bisogna infine che gli elettori scelgano i loro rappresentanti in base a queste doti, e non in base a criteri estranei al buon funzionamento della loro “Alma mater”: solo in questo modo l’università sarà un luogo di pace, un’oasi di sereno e nobile fermento, capace di favorire lo studio e la formazione di tutti.

(Come concepisce lei la libertà d’insegnamento, e in quali condizioni la ritiene necessaria? In tal senso, quali compiti devono essere riservati allo Stato in materia di istruzione superiore? Lei è del parere che l’autonomia sia un principio fondamentale dell’organizzazione dell’università? Potrebbe indicarci a grandi linee la base sulla quale dovrebbe poggiare un sistema universitario autonomo?)

79. La libertà d’insegnamento non è se non un aspetto della libertà generale. Ritengo la libertà personale necessaria a tutti e in tutto ciò che è moralmente lecito. Libertà di insegnamento, dunque, a tutti i livelli e per tutte le persone. Ciò significa che ogni persona o ente idoneo deve avere la possibilità di istituire centri di istruzione a parità di condizioni, senza limitazioni inutilmente restrittive.
La funzione dello Stato dipende dalla situazione sociale: è diverso il caso della Germania da quello dell’Inghilterra, del Giappone da quello degli Stati Uniti, tanto per citare dei Paesi con strutture educative assai differenti. Lo Stato ha delle evidenti funzioni di promozione, di controllo, di vigilanza. E ciò comporta che all’iniziativa privata e a quella statale siano offerte le stesse possibilità: la funzione di vigilanza non consiste nel porre ostacoli, né nell’impedire o restringere la libertà.

È per questo che ritengo necessaria l’autonomia dell’insegnamento: dire autonomia equivale a dire libertà d’insegnamento. L’università, come ente, deve avere l’indipendenza di un organo in un corpo vivo: la libertà di compiere la sua funzione specifica al servizio del bene comune.

Alcuni aspetti di un’effettiva realizzazione di questa autonomia possono essere: la libertà di scelta dei docenti e degli amministratori, la libertà di elaborazione dei piani di studio; la facoltà di costituire un proprio patrimonio e di amministrarlo. In altri termini, favorire tutte le condizioni necessarie per far sì che l’università viva di vita propria. Se avrà in sé questa vita, potrà anche trasmetterla, a beneficio di tutta la società.

Parte seconda ed ultima : https://smartpray.org/luniversita-al-servizio-della-societa-attuale-ii/

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