L'università al servizio della società attuale
Parte Seconda
Autore: Autori Cristiani
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(Si avverte nell’opinione pubblica studentesca una critica sempre più crescente contro l’istituto della cattedra vitalizia. Lei ritiene giustificata questa opinione?)
80. Sì. Pur riconoscendo l’alto livello scientifico e umano dei docenti spagnoli, preferisco il sistema del libero contratto. Penso che il libero contratto non arrechi danno economico al docente, mentre costituisce uno stimolo per far si che il titolare di cattedra non abbandoni mai il lavoro di ricerca e l’approfondimento della sua materia. In tal modo si evita anche che la cattedra sia considerata come un feudo, piuttosto che come un posto di servizio.
Non escludo la possibilità che l’istituto della cattedra vitalizia possa dare dei buoni risultati in qualche Paese, e nemmeno che con questo sistema vi siano cattedratici molto competenti, e capaci di fare della loro cattedra un autentico servizio universitario. Ma ritengo che il sistema del libero contratto favorisca il moltiplicarsi di casi del genere, fino a permettere di raggiungere la meta ideale, e cioè che questi casi rappresentino la quasi totalità.
(Lei non crede che – dopo il Vaticano II – siano ormai sorpassati i concetti di “scuole della Chiesa”, “scuole cattoliche”, “università cattoliche”, ecc.? Non le sembra che tali concetti compromettano indebitamente la Chiesa o diano l’impressione di situazioni di privilegio?)
81. Non sono di questo avviso, se per scuole della Chiesa, scuole cattoliche, ecc., intendiamo il risultato del diritto che hanno la Chiesa, gli Ordini e le Congregazioni religiose di istituire centri di istruzione. Creare un collegio o una università non è un privilegio ma un onere, quando si vuole che sia un centro aperto a tutti e non solo alle persone dotate di un certo reddito.
Il Concilio non ha preteso di dichiarare superate le istituzioni scolastiche confessionali; ha solo voluto far capire che c’è un’altra forma – che è anzi più necessaria e più universale, ed è praticata da tanti anni dai soci dell’Opus Dei – di presenza cristiana nella scuola: e cioè la libera iniziativa dei cittadini cattolici che hanno come professione l’attività educativa, sia nelle istituzioni promosse dallo Stato che altrove. È questa un’altra prova della piena consapevolezza che la Chiesa oggi ha della fecondità dell’apostolato dei laici.
Devo riconoscere, d’altro canto, che non nutro simpatia per espressioni come “scuola cattolica”, “collegi della Chiesa”, e simili, anche se rispetto quanti pensano il contrario. Preferisco che le cose si riconoscano dai loro frutti, non dal nome che portano. Una scuola sarà effettivamente cristiana quando, pur essendo una delle tante, ma sforzandosi di elevare costantemente il proprio livello, svolge un’opera formativa completa – anche sotto il profilo cristiano -, nel rispetto della libertà personale e adoperandosi per risolvere gli urgenti problemi di giustizia sociale. Purché si raggiungano questi obiettivi, poco importa il nome. Personalmente, ripeto, preferisco evitare queste qualifiche.
(Vorremmo che lei, nella sua qualifica di Gran Cancelliere dell’Università di Navarra, ci parlasse dei criteri cui si è ispirato nel fondarla e ce ne illustrasse il significato nell’attuale quadro dell’università spagnola.)
82. L’Università di Navarra nacque nel 1952 – preceduta da anni di preghiera, lo dico con vera gioia – con il proposito di avviare un’istituzione universitaria in cui venissero a realizzarsi gli ideali culturali e apostolici di un gruppo di docenti che sentivano profondamente la missione dell’insegnamento. Oggi come allora, aspira a contribuire, in stretta collaborazione con le altre università, a risolvere un grave problema educativo: quello della Spagna e di tanti altri Paesi che hanno bisogno di uomini ben preparati per l’edificazione di una società più giusta.
Quando fu fondata, gli iniziatori non erano persone estranee all’università spagnola: erano docenti che si erano formati, come alunni e come maestri, a Madrid, a Barcellona, Siviglia, Santiago, Granada e in tante altre università. Questa stretta collaborazione – certo più stretta di quella esistente fra università anche geograficamente vicine – non è venuta mai a mancare: sono frequenti gli scambi, le visite, i congressi internazionali in cui si lavora assieme, e via dicendo. Lo stesso contatto è stato stabilito e viene mantenuto con le migliori università degli altri Paesi: può confermarlo il recente conferimento delle lauree “honoris causa” a docenti della Sorbona, di Harvard, di Coimbra, di Monaco e di Lovanio.
L’Università di Navarra è servita anche a inalveare la collaborazione di tante persone che scorgono negli studi universitari un elemento basilare nel progresso del Paese, quando questi studi sono aperti a tutti coloro che meritano di studiare, indipendentemente dalle loro condizioni economiche. È una realtà viva l’associazione degli Amici dell’Università di Navarra, che con il suo contributo generoso è riuscita già ad assegnare un notevole numero di sussidi e di borse di studio. Questo numero aumenterà sempre più, come è destinato ad aumentare l’afflusso di studenti afro-asiatici e latino-americani.
(Alcuni hanno scritto che l’Università di Navarra è un’università per i ricchi, e che ciononostante riceve forti sovvenzioni dallo Stato. Quanto al primo aspetto, sappiamo che non è vero, perché siamo studenti pure noi e conosciamo i nostri colleghi; ma rispetto alle sovvenzioni statali, che c’è di vero?)
83. Ci sono dati precisi, a portata di tutti, perché sono stati diffusi dalla stampa, che dimostrano che, pur essendo il costo di gestione dell’Università di Navarra all’incirca lo stesso di quello delle altre università, il numero di universitari che usufruiscono di agevolazioni economiche per i loro studi è superiore a quello di qualsiasi altra università della Spagna. Posso dirvi che questo numero aumenterà ancora, fino a superare o almeno a raggiungere il livello delle università non spagnole più impegnate sul terreno della promozione sociale.
Io capisco che possa destare meraviglia vedere l’Università di Navarra come un organismo vivo, che funziona ottimamente, e che ciò possa far pensare che si disponga di ingenti mezzi economici. Ma ragionando a questo modo si dimentica che non bastano i mezzi materiali perché le cose funzionino a dovere. La vita di questo centro universitario dipende principalmente dall’impegno, dalla dedizione e dal lavoro seriamente compiuto dai docenti, dagli studenti, dagli impiegati, dagli uscieri, dalle benemerite donne delle pulizie. Se non fosse per questo, l’Università non si sosterrebbe.
Sotto il profilo economico, l’Università riceve delle sovvenzioni. Vi è in primo luogo quella dell’amministrazione provinciale di Navarra, per spese di gestione. Bisogna poi ricordare il comune di Pamplona, che ha ceduto i terreni per costruirvi gli edifici, secondo una prassi abituale delle amministrazioni municipali di tanti Paesi. Sapete, per esperienza, quali “vantaggi morali ed economici” comporta per una regione come la Navarra, e in particolare per la città di Pamplona, l’esistenza di un’università moderna, che apre a tutti la possibilità di ricevere una buona istruzione superiore.
Mi domandate se ci sono sovvenzioni statali. Lo Stato spagnolo non contribuisce a sostenere le spese di gestione dell’Università di Navarra. Ha concesso qualche sovvenzione per nuovi posti di studio, alleggerendo il grave onere economico richiesto dalla creazione delle nuove installazioni.
Un’altra fonte di entrate, espressamente per la Scuola Tecnica Superiore di Ingegneria Industriale, che ha sede a San Sebastián, è data dai contributi della locale Cassa di Risparmio.
Particolare importanza ha avuto, fin dagli inizi dell’Università, l’aiuto fornito da fondazioni spagnole o straniere, statali e private: posso citare un cospicuo donativo ufficiale degli Stati Uniti per le installazioni scientifiche della Scuola di Ingegneria Industriale; il contributo offerto dall’ente assistenziale tedesco “Misereor” per la costruzione dei nuovi edifici; quello della fondazione Huarte per le ricerche sul cancro; quello della fondazione Gulbekian, ecc.
Poi bisogna parlare dell’aiuto che, in un certo senso, è il più gradito: mi riferisco alle migliaia di persone di ogni classe sociale, spesso di condizioni disagiate, che in Spagna e altrove contribuiscono, nella misura delle loro possibilità, al sostenimento dell’Università.
Bisogna infine ricordare quelle aziende che si interessano alle attività di ricerca dell’Università, o che comunque le appoggiano. Magari penserete che con tutti questi contributi ci siano fin troppi soldi. E invece no: l’Università di Navarra continua a essere in passivo. Vorrei che ci aiutassero ancora più persone e altre fondazioni, per poter dare ulteriore estensione a quest’opera di servizio e di promozione sociale.
(Nella sua qualità di fondatore dell’Opus Dei e di animatore di una vasta serie di istituzioni universitarie in tutto il mondo, potrebbe dirci per quali motivi l’Opus Dei ha dato vita a tali istituzioni e qual è, nelle linee essenziali, l’apporto dell’Opus Dei a questo grado di istruzione?)
84. Lo scopo dell’Opus Dei è di far sì che molte persone, in tutto il mondo, sappiano, in teoria e in pratica, che è possibile santificare le loro attività ordinarie, il loro lavoro di ogni giorno; che è possibile tendere alla santità cristiana nel bel mezzo dalla strada, e cioè senza dover abbandonare gli impegni ai quali il Signore ci ha voluto chiamare. Pertanto, l’apostolato più importante dell’Opus Dei è quello che ciascuno dei soci svolge individualmente, per mezzo del lavoro professionale realizzato con la massima perfezione umana – nonostante che né io né gli altri siamo esenti da errori personali -, in tutti gli ambienti e in tutti i Paesi: perché appartengono all’Opus Dei persone di circa settanta nazioni, di ogni razza e condizione sociale.
Oltre a questo, l’Opus Dei, come istituzione, in collaborazione con tantissime persone che non appartengono all’Opera – e che spesso non sono cristiane -, promuove delle attività d’apostolato sue proprie, con le quali cerca di contribuire alla soluzione di tanti problemi che affliggono il mondo attuale. Si tratta di istituzioni educative o assistenziali, centri di promozione sociale e di qualificazione professionale, e così via. Fra tutte queste attività ci sono anche le istituzioni universitarie di cui mi parlate. Le caratteristiche che esse presentano potrebbero ridursi a queste: in primo luogo, l’educazione alla libertà personale e alla responsabilità anch’essa personale. Con libertà e responsabilità è un piacere lavorare, i risultati non mancano e non c’è bisogno di controlli o di vigilanza: perché tutti si sentono “a casa propria”, e un semplice orario è più che sufficiente. In secondo luogo, lo spirito di convivenza, senza discriminazioni di nessun genere. È la convivenza che forma la personalità; nella convivenza ciascuno impara che, per poter esigere il rispetto della propria libertà, deve saper rispettare la libertà altrui. E infine, lo spirito di fraternità umana: i talenti personali debbono essere messi al servizio degli altri, altrimenti servono a ben poco. Le opere apostoliche che l’Opus Dei ha creato in tutto il mondo sono sempre al servizio di tutti: perché sono un servizio cristiano.
(Nel maggio scorso, durante un suo incontro con gli studenti dell’Università di Navarra, lei promise che avrebbe pubblicato un libro su argomenti studenteschi e universitari. Potrebbe dirci quando uscirà?)
85. Concedete a una persona che ormai ha più di sessant’anni questa piccola vanità: nutro la speranza che il libro uscirà e che potrà essere utile a professori e studenti. Perlomeno ci metterò tutto l’affetto che ho per l’università, un affetto che non è mai venuto meno da quando ci entrai per la prima volta…, tanti anni fa!
Forse bisognerà aspettare ancora un po’, ma arriverà. In un’altra occasione ho promesso agli studenti di Navarra una statua della Madonna da collocare in mezzo al “campus”, da dove avrebbe dovuto benedire l’amore puro, sano, della vostra giovinezza. La statua tardò un po’ ad arrivare, ma alla fine arrivò: è l’immagine di Santa Maria, Madre del Bell’Amore, benedetta proprio per voi dal Santo Padre.
Riguardo al libro vi dirò di non aspettarvi che piaccia a tutti. Vi esporrò le mie opinioni, che spero saranno rispettate da chi pensa diversamente, come io rispetto tutte le opinioni diverse dalla mia, come rispetto tutte le persone di cuore grande e generoso, anche se non hanno in comune con me la fede di Cristo. Vi racconterò un episodio che si è ripetuto tante volte, e l’ultima qui, a Pamplona. Mi si avvicinò uno studente che voleva salutarmi.
– Monsignore, io non sono cristiano, – mi disse – sono maomettano.
– Tu sei figlio di Dio come me – gli risposi. E lo abbracciai con tutto il cuore.
(Per finire, potrebbe dire qualcosa a noi che lavoriamo nella stampa universitaria?)
86. È una gran cosa il giornalismo, anche quello universitario. Voi potete offrire un grosso contributo alla diffusione fra i vostri colleghi dell’amore per gli ideali più elevati, dello zelo di superare l’egoismo individuale, della sensibilità per i compiti comunitari, della fraternità. E ora, ancora una volta, non posso tralasciare di invitarvi ad amare la verità.
Non vi nascondo che mi disgusta il sensazionalismo di certi giornalisti, che dicono la verità solo a metà. Informare non vuol dire fermarsi a mezza strada fra la verità e la menzogna. Questo non è né informazione né moralità, e non meritano il nome di giornalisti quelli che mescolano poche mezze verità con tante falsità o addirittura con calunnie premeditate: non meritano il nome di giornalisti perché non sono altro che una rotella – più o meno lubrificata – nell’ingranaggio di una delle tante organizzazioni che si dedicano a diffondere il falso, sapendo che verrà ripetuto a sazietà, senza mala fede, dall’ignoranza e dall’insipienza di non pochi. Vi devo dire che, per quanto riguarda me personalmente, questi pseudo-giornalisti “ci guadagnano”: perché non passa giorno senza che preghi con affetto per loro, chiedendo al Signore di rischiarare la loro coscienza.
Vi chiedo quindi di diffondere l’amore per il buon giornalismo, quello che non si accontenta di rumori infondati, dei “si dice” nati da immaginazioni surriscaldate. Informate con i fatti, con i risultati, senza giudicare le intenzioni, considerando con obiettività la legittima diversità di opinioni, senza scendere all’attacco personale. È difficile che ci sia vera convivenza là dove manca vera informazione; e la vera informazione è quella che non ha paura della verità e non si lascia guidare da interessi di potere, di falso prestigio o di lucro.
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