20 minuti

Meditare nella prima settimana dell'Avvento (I)

Pregare in tempo di Avvento

Autore: Autori vari

Riflessioni della prima settimana di avvento
Prima parte
Gesù viene a stare in mezzo a noi

-Prima meditazione-

Ha inizio il ciclo liturgico e percorriamo ancora una volta i misteri della vita di Cristo, le sue gioie, i suoi dolori e la sua gloria. Cominceremo queste giornate aspettando la sua Nascita, passeremo poi attraverso la sua Vita, Morte, Risurrezione e Ascensione, e alla fine arriveremo a Pentecoste, momento nel quale ci invia il suo Spirito Santo, in modo da stare così in nostra compagnia «tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20).
Sappiamo che questa ripetizione annuale dei misteri è molto più che un devoto ricordo: «non è una fredda e inerte rappresentazione di fatti che appartengono al passato, o una semplice e nuda rievocazione di realtà d’altri tempi. Esso è, piuttosto, Cristo stesso, che vive sempre nella sua Chiesa»[1]. Ogni tempo liturgico della Chiesa ci inserisce personalmente in un momento o in un aspetto concreto della vita dello stesso Gesù che ha percorso le strade della Galilea. Infatti «Iesus Christus heri et hodie, Ipse et in saecula» (Eb 13, 8): Gesù Cristo è ancora vivo sulla terra e noi possiamo conoscerlo e amarlo; possiamo fare anche di più: possiamo vivere in Lui.
In questi giorni di Avvento, in sostanza, viviamo davvero in attesa del Messia. «Ormai sta per arrivare la sua ora, i suoi giorni non tarderanno»[2], ripete la Chiesa. Ancora una volta Gesù viene nel nostro mondo, si rende presente nella nostra vita. Viene con il desiderio di camminare accanto a noi sui sentieri della storia. Egli vuole che lo rendiamo partecipe delle nostre gioie, che gli confidiamo le nostre pene; vuole essere messo nelle condizioni di consolarci e darci la forza necessaria per portare avanti la missione di ogni giorno. Possiamo essergli grati per l’aspetto della sua vita che vivremo in questi giorni: Dio si è fatto uomo perché noi possiamo essere figli di Dio e poter contare sulla sua compagnia.
Ci possiamo sempre avvicinare a Lui

Alcune persone che stettero accanto a Gesù quando Egli passò facendo il bene sulla nostra terra, ci possono insegnare come trattare il Maestro. «Entrato [Gesù] in Cafarnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: “Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente» (Mt 8, 5-6). La liturgia di oggi offre alla nostra considerazione questo episodio della vita del Signore. Quell’uomo buono, un gentile, soffre per la malattia di un servo del quale ha una grande stima. Vista l’amara impotenza che patisce per non essere in grado di aiutarlo, reagisce in maniera saggia e umile, piena di fede: va in cerca di Gesù e gli spiega con sincerità la causa della sua tristezza. Non è necessario che chieda nulla, gli basta esporre la sua situazione, aprirgli l’anima.

Anche noi abbiamo le nostre difficoltà e le nostre tristezze; abbiamo anche degli amici che vogliamo che siano curati; e noi stessi vogliamo sentire vicina la mano del Signore. Per questo reagiamo con fiducia, come ha fatto il centurione, e ci rivolgiamo a Gesù. È bello ricordare quanto bisogno di lui abbiamo e come egli desideri ardentemente aiutarci. È molto consolante sapere che in qualsiasi momento possiamo rivolgerci a Lui con assoluta semplicità: Gesù, ho una serie di cose che non riesco a risolvere e che mi tolgono la pace. Ho fede, ma riconosco che certe volte dovrei confidare di più in te; debbo ancora imparare a mettere la mia vita nelle tue mani in modo più completo.

Oggi vogliamo imitare il centurione del vangelo e aprire al Signore il nostro cuore. Rimanendo in silenzio, in dialogo con Gesù, gli presentiamo la nostra vita e le nostre necessità. E stiamo tranquilli, sapendo che ora se ne occupa anche lui.

Aumentare l’amicizia con Gesù mediante l’orazione

«Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito». Come ci commuove contemplare ancora una volta la fede del centurione! Una fede che anche Gesù ha ammirato, tanto da lodarlo: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande!» (Mt 8, 10). Una fede grande e nello stesso tempo umile e semplice, espressa con parole che la liturgia mette ogni giorno sulle nostre labbra prima di ricevere la santa Comunione.

Ogni giorno noi possiamo avvicinarci a Gesù nell’Eucaristia, e ci piacerebbe farlo con la stessa fiducia nel potere del Signore e con la stessa umiltà che osserviamo in questo personaggio del vangelo. «Non comprendo – diceva san Josemaría – come si possa vivere cristianamente senza sentire il bisogno di un’amicizia costante con Gesù nella Parola e nel Pane, nella preghiera e nell’Eucaristia. Comprendo bene, invece, i vari modi in cui, lungo i secoli, le successive generazioni di fedeli hanno concretato la pietà eucaristica: alcune volte con pratiche collettive che esprimevano pubblicamente la loro fede, altre con atteggiamenti nascosti e silenziosi nella pace sacra del tempio o nell’intimità del cuore»[3].

Nell’Eucaristia e nell’intimità del cuore possiamo alimentare la nostra amicizia con Gesù. Egli è sempre al nostro fianco per aiutarci con la sua grazia, farci gioire con la sua presenza e farci conoscere il suo amore per noi. Anche se a volte non possiamo avvicinarci fisicamente a Gesù Sacramentato, possiamo sempre trovare Dio raccogliendoci nel silenzio del nostro cuore, come tante volte ha fatto nostra Madre, santa Maria (cfr. Lc 2, 19). All’inizio di quest’anno liturgico, possiamo chiedere a Lei la sua compagnia per addentrarci in ogni momento della vita di suo Figlio.

[1] Pio XII, enc. Mediator Dei, n. 205.
[2] Liturgia delle Ore, lunedì della I settimana di Avvento, ora nona, lettura breve (cfr. Is 14, 1).
[3] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 154.

-Seconda meditazione –

Dio si fa conoscere

Guidati dagli insegnamenti e dall’esempio di san Josemaría, abbiamo imparato ad amare appassionatamente il mondo. Godiamo di tutte le realtà nobili e buone della creazione perché sappiamo che sono un dono di Dio. Nello stesso tempo non siamo indifferenti al male che affligge il mondo, che ne diminuisce la bellezza e lo allontana dal suo progetto d’amore.

Anche se le cause di questa situazione sono molteplici, tra esse possiamo identificarne una che riveste un rilievo particolare: il fatto che molte persone non conoscono la bontà del nostro Creatore. «Si potrebbe ben dire che il più grande nemico di Dio è l’ignoranza, perché si ama Dio soltanto dopo averlo conosciuto: l’ignoranza è origine di tanti mali e grande ostacolo alla salvezza delle anime»[1]. Viceversa, quando conosciamo il suo amore per noi, quando scopriamo che Dio sogna la nostra felicità, è logico amarlo su tutte le cose, avvicinarci a colui che è l’origine di ogni bene. «Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio santo monte, perché la conoscenza del Signore riempirà la terra» (Is 11, 9).

Dio si servì di alcuni uomini e donne di diverse epoche per farsi conoscere e così dare all’uomo l’opportunità di essere più libero. «Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge» (Gal 4, 4), per portare a termine questo compito. È tanto grande il desiderio che Dio ha di farsi conoscere, che è venuto Egli stesso, personalmente, per indicarci i progetti del suo amore.

Pieni di riconoscenza e gratitudine, possiamo unirci alla preghiera di lode che, come ci ricorda il vangelo della Messa di oggi, Gesù innalzò un giorno al Padre: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti, e le hai rivelate ai piccoli» (Lc 10, 21).

Semplicità per comprendere gli insegnamenti di Dio

«Ecco, viene il Signore nostro Dio con potenza grande, illuminerà gli occhi dei suoi servi»[2]. Questa promessa di sapienza per gli uomini si è compiuta con la venuta nel mondo di Gesù, sul quale ha riposato «lo spirito del Signore, spirito di sapienza e d’intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore» (Is 11, 2). Egli è sempre disposto a dialogare personalmente con ognuno di noi per istruirci, per guidarci, per incoraggiarci. Spesso Dio ci parla attraverso persone e situazioni, trasformando tutta la realtà della nostra vita in un luogo d’incontro con Lui. Se facciamo in modo di avere una vita contemplativa, in ogni avvenimento del quotidiano potremo scoprire la voce di Dio che ci cerca.

In questo dialogo il Signore aspetta che noi ci rivolgiamo a Lui con fiducia perché illumini quello che non comprendiamo. Perciò, con semplicità, noi ci mettiamo alla sua presenza e gli esponiamo i nostri dubbi da cuore a cuore, ricordando che Dio si rivela ai piccoli. Invece, ai sapienti secondo la carne, le parole del Signore possono suonare come frasi sconnesse. Ecco perché da parte nostra dobbiamo essere sempre pronti ad ascoltare la sua parola, anche se la comprendiamo soltanto in parte. «Quante contrarietà si dileguano quando interiormente ci mettiamo ben vicini al nostro Dio che non ci abbandona mai! Si rinnova, con modalità diverse, quell’amore per i suoi, per i malati, per gli infelici, che fa dire a Gesù: “Che ti succede?”. “Mi succede…” e, subito, la luce o, almeno, la forza di accettare, e la pace»[3].

Se ci avviciniamo al Signore con un’audacia da bambini, allora Egli ci rivelerà la sua sapienza e ci farà conoscere i suoi progetti. Inoltre ci colmerà di pace, di gioia, e ci concederà la fortezza per reggere alle difficoltà che la vita ci presenta.

Il dialogo con Gesù illumina la nostra giornata

In Cristo Gesù è contenuta la pienezza della rivelazione. «Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo» (Lc 10, 22). «Gesù non ci dice qualcosa di Dio, non parla semplicemente del Padre, ma è rivelazione di Dio, perché è Dio, e ci rivela così il volto di Dio»[4]. Dio si è fatto carne in Cristo perché potessimo vederlo, entrare in relazione diretta con Lui e per farci conoscere i progetti della sua sapienza. Nel momento di cercare risposte agli interrogativi della nostra vita, faremo molto bene a ricorrere a Gesù. Nel nostro dialogo con Cristo non esistono preoccupazioni superflue né dubbi inopportuni. Tutta la sapienza è contenuta nel mistero del Verbo fatto uomo: Gesù è la Parola di Dio.

È facile immaginare gli apostoli mentre chiedono a Gesù il significato più profondo di una parabola che non avevano compreso oppure si avvicinano per chiedergli una spiegazione su un certo avvenimento noto a tutti. Noi abbiamo la stessa facilità di intavolare una conversazione con il Signore. Il dialogo personale e quotidiano con Lui ci permette di conoscerlo sempre meglio, di acquisire una connaturalità con il suo modo di reagire alle diverse situazioni della vita. Dobbiamo chiedere allo Spirito Santo che il nostro dialogo con Gesù sia luce per noi e per gli altri.

Nel corso della vita impariamo molte cose. Alcune di esse sono costitutive del nostro modo di pensare, di essere e di agire. È probabile che alcuni di questi insegnamenti fondamentali li abbiamo ricevuti dalle labbra o dall’esempio delle nostre madri. La vita di Maria costituisce per noi un insegnamento meraviglioso di dialogo con il Signore. Potessimo imparare dalla Madonna quella stessa familiarità nel guardare e nell’ascoltare Gesù!

[1] San Josemaría, Lettera 11-III-1940, n. 47.
[2] Messale romano, Martedì della I settimana di Avvento, Antifona al Vangelo.
[3] San Josemaría, Amici di Dio, n. 249.
[4] Benedetto XVI, Udienza generale, 16-I-2013.

-terza Meditazione –

Con la sua venuta il Signore dimostra il suo amore verso di noi

«Vieni, Signore, non tardare»[1]. In questi giorni la preghiera della Chiesa è piena del desiderio della venuta di Cristo, il Messia atteso, il nostro Redentore. Ecco che il Signore verrà a salvare il suo popolo; beati coloro che sono pronti per andare incontro al Signore (cfr. Zc 14, 5). Per lunghi secoli la speranza degli uomini ha atteso la venuta del Redentore. Vedendo ora così vicino il mistero della sua nascita, vogliamo riempirci del desiderio di andare incontro al Signore con la medesima speranza.

Con l’incarnazione del suo Figlio unigenito Dio ci ha mostrato il suo amore infinito: «Quale è la causa della venuta del Signore, se non mostrare il suo amore verso di noi?»[2]. E si tratta di un amore di Padre, perché lo ha fatto «perché ricevessimo l’adozione a figli» (Gal 4, 5).

Il Signore viene sulla terra per colmarci di grazie: «Non ti chiedo ricompensa alcuna per quello che ti do – ci dice –, prima io stesso voglio essere tuo debitore, per il solo titolo che tu vuoi trarre beneficio da tutto ciò che è mio. Con che cosa si può paragonare questo onore? Io sono padre, io fratello, io sposo, io casa, io cibo, io vestito, io radice, io fondamento; tutto quel che tu vuoi sono io; non ti considerare bisognoso di cosa alcuna. Perfino ti servirò, perché il Figlio dell’uomo “non è venuto per farsi servire, ma per servire” (Mt 20, 28). Io sono amico, e membro e testa, e fratello e sorella e madre; tutto sono io, e con te voglio soltanto intimità. Io, povero per te, mendicante per te, crocifisso per te, sepolto per te; in cielo, per te davanti a Dio Padre; e sulla terra sono suo legato davanti a te. Tutto tu sei per me: fratello e coerede, amico e membro. Che cosa vuoi di più?»[3].

Tutta la vita di Gesù è una genuina espressione di questo amore senza limiti, della sua donazione per noi. Coloro che si avvicinarono a Gesù ne ebbero abbondanti prove. Il vangelo di oggi ci parla di una folla che si reca da Gesù per presentargli le sue necessità: «Gesù si allontanò di là, giunse presso il mare di Galilea e, salito sul monte, lì si fermò. Attorno a lui si radunò molta folla, recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì» (Mt 15, 29-30). Nessuna delle nostre necessità lascia indifferente Gesù. Tutto ciò che ci appartiene è un continuo richiamo al suo cuore; le nostre gioie e le nostre preoccupazioni lo spingono a venirci incontro.

Oggi Gesù continua a venire a noi, specialmente nell’Eucaristia

Accanto a Gesù la folla si tratteneva con tanto piacere che i presenti neppure si resero conto di stare con Lui tre lunghi giorni! E il Signore si commuove. «Sento compassione per la folla – dice ai suoi discepoli –. Ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non vengano meno lungo il cammino» (Mt 15, 32). L’affetto di Gesù non si preoccupa soltanto dei grandi problemi, ma anche delle necessità della vita ordinaria; non predica solamente una bella dottrina, ma la vive passo passo.

La preoccupazione di Gesù è creativa, lo induce a immaginare i problemi che ognuno può avere quando è sul punto di tornare a casa; non si limita a interessarsi di loro in quei momenti nei quali erano vicini a Lui, anche se erano passati tre giorni interi. E questa preoccupazione per la felicità dell’altro lo spinge ad agire. Con il suo infinito potere moltiplica miracolosamente pochi pani e alcuni pesci, le uniche cose che in quel momento aveva a portata di mano e chiede ai discepoli di distribuirle tra la folla (cfr. Mt 15, 35-37). Il Signore dà da mangiare alla folla affamata affinché non venga meno lungo il cammino.

Oggi come allora Gesù si commuove di fronte alle nostre necessità e ci aiuta a superarle. Non vuole che veniamo meno, neppure per mancanza di cibo spirituale. Se in quel tempo il Signore si sedette sul monte ad aspettare tutti coloro che volevano avvicinarsi e offrì loro il pane per alimentare i loro corpi, oggi invece ci aspetta nel Pane eucaristico. Anche noi possiamo ricorrere a Gesù per presentargli le nostre necessità, le nostre gioie e i nostri ideali. Ci sentiremo teneramente amati e trascorreremo giorni e giorni accanto a Lui.

Preparare con affetto e delicatezza l’Eucaristia e la Comunione

«Tutti mangiarono a sazietà. Portarono via i pezzi avanzati: sette sporte piene» (Mt 15, 37), conclude il racconto, spiegando che si trattava di oltre quattromila persone. Contemplare la grandezza della generosità del Signore ci può aiutare a disporci nel miglior modo possibile per accogliere le grazie che vuole concederci in questo tempo di Avvento; guardare come divide i suoi doni a piene mani, sino a far traboccare i recipienti, ci colma di speranza. Vieni, Signore – gli diciamo –, il nostro cuore ti aspetta. Vieni, il nostro vuoto vuole riempirsi di te, fino all’orlo.

Nella prima lettura della Messa leggiamo la promessa del banchetto messianico che Dio dispone per gli uomini. «Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popolo e la coltre distesa su tutte le nazioni. Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto, l’ignominia del suo popolo farà scomparire da tutta la terra, poiché il Signore ha parlato. E si dirà in quel giorno: “Ecco il nostro Dio; in Lui abbiamo sperato perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza”» (Is 25, 6-9).

Questo banchetto divino diviene realtà, ogni giorno, nella santa comunione. Perciò, se ci sembra logico mettere il più grande impegno possibile nel prepararci a ricevere il Bambino che nascerà a Betlemme, la stessa cosa succede con la nostra attesa per ogni incontro quotidiano con l’Eucaristia. San Josemaría teneva presente questa realtà, che lo portava a dedicare metà della sua giornata a pensare alla Messa che avrebbe celebrato il giorno dopo: «Hai pensato qualche volta a come ti prepareresti per ricevere il Signore, se si potesse fare la Comunione una sola volta nella vita? – Siamo riconoscenti a Dio per la facilità che abbiamo di avvicinarci a Lui, ma… dobbiamo esprimere gratitudine preparandoci molto bene, per riceverlo»[4].

La comunione spirituale può essere una magnifica espressione dell’impazienza con la quale ci avviciniamo ogni giorno a ricevere il Signore. E in essa ci uniamo alle disposizioni interiori di Maria: «Vorrei, Signore, riceverti con la purezza, l’umiltà e la devozione con cui ti ricevette la tua Santissima Madre»[5]. «Chiedilo con me alla Madonna – insiste san Josemaría –, immaginandoti quei mesi in attesa del Figlio che doveva nascere. E la Madonna, Maria Santissima, farà di te alter Christus, ipse Christus: un altro Cristo, lo stesso Cristo»[6].

[1] Liturgia delle Ore, mercoledì della I settimana di Avvento, ora nona, responsorio breve.
[2] Sant’Agostino, De catechizandis rudibus, n. 4.
[3] San Giovanni Crisostomo, Omelie sul vangelo di san Matteo, n. 76.
[4] San Josemaría, Forgia, n. 828.
[5] Formula della comunione spirituale.
[6] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 11.

– Quarta meditazione –

L’assuefazione e la tiepidezza

«Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel Regno dei Cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7, 21). Queste parole di Gesù, all’inizio del vangelo della Messa, mettono in evidenza, in primo luogo, l’esistenza di un progetto di Dio nel quale vuole coinvolgerci; ma contemporaneamente ci rivela la possibilità sempre presente che noi, nella nostra vita, non vogliamo aderire a tale progetto.

«In lui [Dio] ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità» (Ef 1, 4); questa è la volontà di Dio per ogni cristiano, il senso della nostra vita, il perché della nostra esistenza. Il progetto divino è che siamo santi, vale a dire, che il nostro amore di Dio trabocchi in un amore sincero verso tutti gli uomini, cominciando da quelli che ci stanno accanto. Le vie per raggiungere questa meta sono molteplici e, in molti casi, realmente sorprendenti.

Tuttavia, con il passare degli anni, andando avanti si può manifestare una certa assuefazione, una routine opaca che ci porta alla tiepidezza. Può raffreddarsi l’entusiasmo con il quale abbiamo vissuto la nostra storia d’amore con Dio. Il desiderio di seguire da vicino Gesù continua a essere l’origine delle nostre azioni, ma in un modo più spento, più tenue. Ci accontentiamo di tirare avanti, magari alimentandoci solamente di esperienze del passato. I grandi ideali, allora, ci sembrano un sogno e il nostro spirito d’esame non riesce a svegliare il cuore. Non ci consideriamo particolarmente peccatori e desideriamo anche essere santi, ma con un desiderio così debole che rimanda il momento di tradurlo in opere.

San Josemaría cercava di anticipare una situazione del genere e ci incoraggiava a intensificare la nostra orazione. «Mi addolora vedere il pericolo della tiepidezza che ti minaccia, quando non ti vedo camminare seriamente verso la perfezione nel tuo stato. Di’ con me: la tiepidezza, no! “Confige timore tuo carnes meas” – dammi, Dio mio, un timore filiale che mi faccia reagire!»[1].

L’inganno di edificare sulla sabbia

Nel vangelo di oggi Gesù fa ricorso a un esempio eloquente per caratterizzare il comportamento di chi non ha scoperto la grandezza della volontà di Dio riguardo alla sua vita: «Sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la rovina fu grande» (Mt 7, 26-27). L’aggettivo utilizzato, stolto, dimostra che anche quando volessimo progettare una vita piena, potremmo cadere nella trappola di farlo senza tener conto dell’essenziale: senza costruire secondo i progetti di Dio. Le cause possono essere tante: negligenza, superficialità, pigrizia… E, in ogni caso, avremo consumato molti sforzi e molte spese per una costruzione destinata a crollare.

Anche se a volte non sarà evidente, edificare su una roccia stabile – su Dio – può essere anche più semplice. Invece la vita di una persona tiepida che costruisce sulla sabbia può sembrare in teoria più facile. Anche se rifugge dal sacrificio e da altre esigenze dell’amore, in pratica non riesce a evitare tensioni. Quasi senza rendersene conto, divide il suo cuore, calcola, spreca le sue energie nello scendere a patti e a compromessi che non soddisfano; spesso è più preoccupato dell’opinione altrui oppure di paragonarsi ad altri piuttosto che avere uno sguardo sereno della propria realtà. I sacrifici che prima erano piacevoli ora sono amari, perché non nascono dallo stesso amore.

Quando scopriamo di essere poveri di desideri di santità, possiamo avvicinarci al calore del cuore di Gesù. «I tiepidi – diceva san Josemaría – hanno il cuore di creta, o di povera carne. Vi sono cuori duri, ma nobili, che, al calore del cuore di Gesù, si sciolgono come il bronzo in lacrime d’amore, di riparazione. Si infiammano!»[2]. Incoraggiati dalla luce del suo sguardo amorevole, gli diciamo con audacia: infiamma nuovamente la mia anima. Non permettere che io rimanga nella tristezza della mia anima. Possiamo essere sicuri che il Signore accoglierà la nostra supplica umile e fiduciosa.

Con la preghiera costruiamo sulla roccia

«Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino»[3]. Cercare il Signore nell’orazione e ristabilire il dialogo personale con Lui ci allontana dalla tiepidezza. «Et in meditatione mea exardescit ignis – e, nella mia meditazione, si accende il fuoco. Per questo vai all’orazione: per fare di te stesso un falò, un fuoco vivo, che dia calore e luce»[4]. Questo dialogo intimo con Gesù ci indurrà a intensificare il cambiamento che desideriamo per la nostra vita; ci spingerà a sintonizzarci con i desideri di Dio e a orientare la nostra vita vicino a Lui.

Può darsi che alcune volte sentiamo il peso dei nostri errori e che i nostri buoni desideri superino ampiamente le nostre azioni. Ma è anche vero che quando ci apriamo all’azione dello Spirito Santo sappiamo che la nostra umile preghiera viene ascoltata; Dio ravviva i nostri desideri, compiendo in noi quello che a noi sembrava impossibile. «A te che ti demoralizzi, ripeterò una cosa molto consolante: a chi fa ciò che può, Dio non nega la sua grazia. Nostro Signore è Padre, e se un figlio gli dice nella quiete del suo cuore: Padre mio del Cielo, eccomi qua, aiutami… Se si rivolge alla Madre di Dio, che è nostra Madre, ce la fa»[5].

Su questo solido fondamento il Signore potrà costruire un grande edificio, più imponente e più solido: «Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia» (Mt 7, 24-25). In questo modo potremo andare avanti tranquillamente. Non ci faremo trarre in inganno dai calcoli che ci offre l’abitudine alla lotta. E se anche si presentassero delle difficoltà, né le inondazioni né i venti porteranno via l’essenziale: il Signore è sempre con noi e lotta al nostro fianco.

Chiediamo aiuto alla Madonna: «L’amore per nostra Madre sarà come un soffio che accenderà di fiamma viva le braci di virtù, nascoste nel mucchio di cenere della tua tiepidezza»[6].

[1] San Josemaría, Cammino, n. 326.
[2] San Josemaría, Meditazione, 4-III-1960.
[3] Messale romano, Giovedì della I settimana di Avvento, Acclamazione prima del vangelo.
[4] San Josemaría, Cammino, n. 92.
[5] San Josemaría, Via Crucis, X stazione, n. 3.
[6] San Josemaría, Cammino, n. 492.

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